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INTRODUZIONE
Prendiamo un semplice cerchio, spazio chiuso e delimitato. E una freccia che,
minacciosa, è diretta verso tale cerchio. Ora, se il cerchio può rappresentare qualunque
entità protetta e circoscritta (la casa, il fortino, l’automobile, l’isola, ma la quantità di
accostamenti è innumerevole), la freccia, diretta con prepotenza verso questo nucleo, è ciò
che la minaccia, il nemico. E’ questa lo schematica ma efficace metafora con cui Francesco
Dragosei apre il suo saggio sui miti dell’immaginario americano
1
, e non è un caso se per
introdurre questa tesi chi vi scrive lo abbia preso in prestito. Ragionando in termini più
generici, è chiaro che il cerchio rappresenti l’America stessa e la freccia chi attualmente è
il suo peggior nemico: il terrorista islamico. L’11 settembre 2001 è stato perpetrato il più
grave attacco sul suolo statunitense mai avvenuto. I due aerei che, schiantandosi contro le
Twin Towers nel giro di 15 minuti, hanno raso al suolo il World Trade Center, hanno
causato quasi 3000 vittime civili. L’America ha sperimentato per la prima volta quella
distruzione e aggressione sul suolo civile che durante le due Guerre Mondiali aveva messo
in ginocchio l’Europa. Quel cerchio dentro il quale i suoi cittadini si sentivano fino a quel
momento inattaccabili è stato violato. Ma questo nemico che ha attaccato l’America non è
più quello tradizionale identificabile con un altro stato: durante la guerra fredda ad
esempio, l’avversario degli Stati Uniti era forte ma compatto, facilmente identificabile e
tutto sommato prevedibile. Con lo shock terroristico il senso di minaccia che ha investito
l’opinione pubblica americana ha rivolto le paure di una nazione contro un nemico non
convenzionale e asimmetrico, subdolo, identificabile erroneamente con un’etnia e un
mondo, quello Islamico, sottoposto a generalizzazioni pregiudizievoli.
L’America, come sappiamo, è una terra che per quanto giovane è imbevuta di miti e
narrazioni che ne hanno codificato l’immaginario. E uno degli immaginari più ricorrenti
nella cultura stelle e strisce, come lo stesso Francesco Dragosei evidenzia nel suo saggio, è
proprio quello dell’aggressione. E arriviamo quindi al cinema, che è poi il medium che sarà
oggetto dell’analisi in questa tesi, l’arte che rappresenta una delle forme di espressione che
1 Francesco Dragosei, Lo squalo e il grattacielo, Miti e fantasmi dell’immaginario americano, Il
Mulino, Bologna, 2002, p.11.
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più di tutte le altre l’America ha fatto sua e ha utilizzato per veicolare i propri miti
all’interno dello stesso suolo americano ma anche all’esterno, raggiungendo quella vecchia
Europa che da oltre un secolo è affascinata dalle grandi storie provenienti da oltreoceano.
Il cinema americano, sin dai suoi albori, pullula di nemici e di minacce al way of life
del suo paese, che riflettono, nel corso delle varie epoche, l’immagine del nemico vigente:
siano gli indiani nel western degli anni ’30 e ’40, riflesso del nemico originario che abitava
la “Virgin land” prima di essere conquistata dai nuovi arrivati, o i nazisti durante la
Seconda Guerra mondiale, che come Francesco Dragosei evidenzia
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ha necessitato
dell’attacco al cerchio
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prima di vedere l’intervento degli Stati Uniti. Come vedremo,
l’immagine del nemico si rinnova all’epoca della guerra fredda con la paura del
comunismo e il conseguente Maccartismo, parallelamente il cinema si mobilita creando
grazie al successo del cinema di fantascienza, permesso dalle nuove tecnologie nel campo
degli effetti speciali, un nemico distante, altro e alieno che non è altro se non il riflesso di
quel nemico rosso decisamente meno lontano. E’ proprio il cinema di genere che si presta,
infatti, a metaforizzare paure sociali dettate dall’opinione pubblica, e non a caso sarà il
genere a essere oggetto prevalente dell’analisi di questo lavoro. Questa equivalenza tra
nemico pubblico/sociale e nemico dell’immaginario cinematografico ha però un puro
scopo esemplificativo e risulta chiaramente generalista e superficiale. La dialettica amico-
nemico mutuata dal discorso politico vigente non è sempre presente nella sua versione più
elementare. Basti pensare a come certi modelli siano stati revisionati e decostruiti dalla
stessa cultura americana che li aveva creati, uno per tanti quello dell’indiano cattivo e del
cowboy buono, rivisto del cosiddetto “western revisionista” che annovera tra i suoi
esponenti più recenti anche Balla coi lupi (Dance with the Wolves, Kevin Reynolds, 1990),
recentemente ripreso da Avatar (Id, James Cameron, 2009). E non bisogna dimenticare che
al nemico esterno se ne alterna uno ancora più subdolo interno, i cui effetti si manifestano
con la paranoia per il complotto, che tocca i suoi apici con l’assassinio di John Fitzgerald
Kennedy: in questo caso il nemico è colui che invece di attaccare dall’esterno il cerchio è
in apparenza uno di noi ma che si rivela subdolo doppiogiochista.
2 Ivi, p.20.
3 L’attacco di Pearl Harbour, quando il 7 dicembre 1941 le forze aereo-navali giapponesi
attacarono la base navale Statunitense di Pearl Harbour nelle Hawai.
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Oltre all’immagine del nemico c’è pulsante e profetica quella degli effetti del suo
agire. Il cinema americano recente pullula di distruzione, di macerie, di attacchi ai suoi
edifici simbolo che si sono profeticamente avverati l’11 settembre 2001. Il filosofo Slavoj
Zizek si interroga proprio su questa contaminazione tra un immaginario profetico e una
realtà sempre più inscindibile da esso: “Non è successo che la realtà sia entrata nella nostra
immagine ma che l’immagine sia entrata e abbia sconvolto la nostra realtà”
4
.
La scelta per questo lavoro di coprire il periodo che va dall’11 settembre 2001 fino
all’anno corrente, nel quale a settembre si celebrerà il decennale dell’abbattimento delle
torri, non va visto come una riduzione deterministica dell’evento in questione inteso come
cesura e spartiacque nella produzione cinematografica americana: come afferma Andrea
Fontana, “l’11 settembre non rappresenta nessuna cesura in ambito cinematografico”. Può
sembrare scontato ma è molto facile farsi ingannare da questo presuntuoso determinismo
che tende a semplificare qualcosa di estremamente complesso come la cultura intertestuale
cinematografica. L’11 settembre 2001 non ha certo cambiato il modo di fare cinema ma ha
al massimo amplificato alcune tendenze già in corso. Vedremo, ad esempio, come la
tendenza del mockumentary già pre-esistente, sia stata sfruttata per raccontare l’evento in
maniera inedita. Ma all’opposto, non si può neanche negare che il cinema, come del resto
tutte le arti, recepisca delle tendenze dominanti per farle sue e rielaborarle, con l’ovvia
mediazione di una moltitudine di fattori tra i quali esigenze di mercato, studi sul pubblico,
sguardo autoriale. Come Peppino Ortoleva asserisce,
“Il senso di un film, e il contributo che da’ un film al senso di un’epoca, non
nasce dal singolo atto inventivo di chi produce il soggetto, al contrario è il frutto
sempre provvisorio di un processo che non finisce fino a quando il film non ha finito
di avere spettatori, cioè potenzialmente mai”.5
Il rapporto tra un testo narrativo, i suoi autori, i suoi fruitori e il contesto è quindi
assolutamente complesso e multi-direzionale e per questo motivo sarebbe tanto sbagliato
sostenere che l’11 settembre 2001 ha “cambiato il modo di fare cinema” quanto ritenere
forzate e arbitrarie tutte le letture analitiche di un’opera che tengano in qualche modo conto
4 Citato in Marco Belpoliti, Crolli, Einaudi, Torino, 2006, p.96.
5 Peppino Ortoleva, Introduzione a Alessandro De Filippo, Idioteque, Bonanno, Roma, 2011, p.22
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degli effetti che tale evento ha avuto sull’immaginario. Lo scopo di questa tesi è perciò
quello di cercare nella produzione cinematografica contemporanea statunitense tracce del
clima politico e sociale che hanno contraddistinto questo complicato decennio, semi di
paura di una società profondamente segnata da politiche estere aggressive e scontri di
civiltà evocati e in parte avveratisi. E’ più facile fare questo soffermandosi in particolare
sull’immagine del nemico e di quel “cattivo” che minaccia il cerchio di cui parlavamo
prima. Tantissimi sociologi, storici e semiotici hanno sostenuto con convinzione che una
società e il proprio sistema di valori si legittimano anche per la sua opposizione a un
nemico esterno. Vedremo quindi, nei primi due capitoli, come due figure simbolo
dell’immaginario fantastico quali l’alieno e lo zombie, che si prestano facilmente a letture
allegoriche, abbiano portato con se’, volontariamente o meno, valori politici o semplici
aggiornamenti dei miti di appartenenza del passato in coerenza con la situazione
geopolitica attuale. Nel terzo capitolo sarà analizzato il cinema sulla paura, quello che
racconta non l’aggressione del nemico ma le nefaste conseguenze che la paura di essa porta
a una società che si sente assediata, e come talvolta questa paura possa fare il gioco dei
poteri forti, che in assenza di un nemico sono in grado di crearlo, inscenando un assedio
che può essere sia fisico che mentale, percettivo. Nel quarto capitolo si vedranno i film in
cui il nemico non è un mostro o un essere esterno alla società ma è interno a essa e
vedremo come questi nemici interni siano più che mai floridi nell’immaginario
cinematografico e portatori di istanze politiche ben definite. Nel quinto capitolo si vedrà
come le nuove tendenze religiose e neo-messianiche abbiano influenzato la
rappresentazione del nemico e come la presenza di isotopie religiose nei film
hollywoodiani possa nascondere messaggi reazionari. Il capitolo 6 sarà incentrato sulla
figura del serial killer e i suoi aggiornamenti e varianti moderne, quello successivo sulla
figura del mostro della nuova ondata di new horror moderna e sui suoi cambiamenti di
segno. Senza dimenticare la figura del terrorista islamico nel cinema d’azione, analizzata
nel capitolo 8, e l’ondata del cinema supereroistico con i suoi super-cattivi e le sue
implicazioni socio-semiotiche, nono e ultimo capitolo.
Tornando alla metafora del cerchio di Dragosei, in questa analisi non si potrà evitare
di tenere conto di un’altra freccia: quella che è rivolta non verso il cerchio ma verso
l’esterno di esso: esso è l’eroe, il buono, il supereroe, quella forza positiva che si oppone al
nemico invasore. Nel mezzo di questo apparentemente facile dualismo, quello del noi e
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loro, buoni e cattivi, che nella retorica politica del dopo 11 settembre ha invaso tanto gli
schermi cinematografici quanto i discorsi degli esponenti politici del governo americano,
c’è quella maggiore complessità che ci aspettiamo di trovare in una produzione
cinematografica tutt’altro che mono-direzionale e schematica e che trae influenza dagli
orientamenti più disparati. Questo lavoro comincia con un capitolo dedicato a quei pochi
film in cui l’11 settembre 2001 è direttamente parte del materiale diegetico. Si tratta di una
parte minoritaria della produzione cinematografica analizzata in cui, come vedremo, l’11
settembre 2001 e le sue conseguenze hanno lasciato una traccia, talvolta latente, in opere in
apparenza molto distanti.
Il lettore noterà che nel corpus di analisi manca all’appello la nutrita schiera di opere
relative ai conflitti in Afghanistan e Iraq, dalle quali non si può chiaramente prescindere
parlando di cinema e 11 settembre. L’autore si era già occupato di questi titoli nel suo
precedente lavoro di tesi, dedicato appunto al cinema sul conflitto iracheno, al quale si
rimanda per una maggiore completezza.
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Il CINEMA SULL’11 SETTEMBRE
Predizioni
Rendere conto di un evento traumatico ed epocale come l’11 settembre al cinema
non è un compito facile. Tutti abbiamo ancora nella mente le immagini di quel giorno,
viste e riviste centinaia di volte, riprese dalle fonti più diverse, dalle televisioni dei network
nazionali ai filmati di amatori di passaggio. Al cospetto di uno degli eventi mediatici più
trasmessi nel mondo, con una copertura senza precedenti sia in tempo reale - il tempo
trascorso tra l’impatto del primo e del secondo aereo ha permesso agli operatori televisivi
di organizzarsi e poter riprendere in diretta assoluta l’evento -, sia in differita – le migliaia
di filmati caricati sulla rete-, come poteva il cinema mettere nuovamente in scena un
terribile spettacolo come quello orchestrato da Al Qaeda? Gli stessi terroristi hanno agito,
forse coscientemente, con un occhio al cinema catastrofico americano che ha
involontariamente fornito loro un intero immaginario di distruzione sul quale lavorare.
Secondo Slavoj Zizek l’11 settembre è la realizzazione della fantasia di distruzione che
proprio questo tipo di cinema ha alimentato
6
.
L’11 settembre al cinema c’era infatti già stato, ma in forma di involontaria
predizione: si può notare come negli anni subito precedenti l’attentato si fosse assistito a
un’ondata di pellicole d’azione in cui gli attentati terroristici o il dirottamento di aerei
erano il principale motore del racconto: in Con Air (Id,Simon West, 1997), un gruppo di
evasi sequestra un aereo, che nel finale del film precipita su Las Vegas distruggendo alcuni
edifici. In Air Force One (Id, Wolfgang Petersen, 1997), il Presidente degli Stati Uniti è
preso in ostaggio all’interno del suo aereo privato. In Attacco al potere (The Siege, Edward
Zwick, 1998), un agente dell’Fbi e uno della Cia cercano di contrastare un’ondata di
attentati di matrice islamica a New York, con tanto di restrizione dei diritti costituzionali da
6 “il fatto che l’attacco dell’11 settembre fosse oggetto di fantasie di massa molto prima di
avvenire veramente ci fornisce tuttavia un altro esempio della logica distorta dei sogni. E’ facile
dar conto del fatto che i poveri del mondo sognano di diventare americani, ma cosa sognano gli
americani benestanti, immobilizzati nel loro benessere? Sognano una catastrofe globale che
sconvolgerà la loro vita”, Slavoj Zizek, Benvenuti nel deserto del reale. Cinque saggi sull’11
settembre e date simili, Meltemi, Roma, 2002, p. 21.
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parte del governo. Ma un precedente clamoroso dell’11 settembre è Obiettivo mortale
(Wrong is Right, Richard Brooks, 1982), che racconta di una serie di macchinazioni della
Cia che portano al rischio dell’esplosione di ben due bombe H a New York. Anton Giulio
Mancino
7
analizza le palesi somiglianze con la dinamica dell’11 settembre, notando come
non manchi davvero nulla: il superterrorista-capo, il luogo ( le Twin Towers), la figura
della donna di colore (Condoleeza Rice), il numero di armi dell’attentato (due bombe,
come due aerei), i dubbi sui reali autori dell’attentato. “Un film vecchio di vent’anni ma
più avanzato e spregiudicato nel delinearne il quadro generale, il contesto, gli interessi in
campo e i comprimari impegnati nel mortale gioco delle parti”
8
. In Bad Company –
protocollo Praga (Bad Company, Joel Schmacher, 2002), due agenti della Cia si mettono
alla caccia di un criminale che vuole far saltare in aria New York con un ordigno nucleare.
Il film, scritto prima dell’11 settembre 2001, doveva uscire nell’autunno dello stesso anno
ma è stato fatto slittare all’anno seguente.
Secondo Andrea Fontana
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invece il film più predittivo sull’11 settembre è senz’altro
Donnie Darko (Id, Richard Kelly, 2001). Il film di Richard Kelly, girato prima dell’11
settembre e uscito subito dopo, prima ignorato e poi diventato cult assoluto grazie alla
diffusione in home video, racconta la storia di un ragazzo con problemi mentali il cui
amico immaginario Frankie, in un grottesco costume da coniglio, gli annuncia l’imminente
fine del mondo. Sotto il coté fantastico, il film contiene riferimenti politici alla società
americana, tramite la figura di un’insegnante di ginnastica interpretato da Patrick Swayze
finto profeta new-age della “buona vita” ma in realtà vuoto demagogo e pedofilo, che
incarnerebbe l’ipocrisia della società americana dell’era Bush padre, il suo edonismo e
individualismo spacciato e venduto per valori edificanti. Il film si conclude con la caduta
del reattore di un aereo sulla casa di Donnie, uno di quei diversi che la società tende a
schiacciare – nel film tutti gli alternativi al modello dominante sono messi fuori gioco -. E
così, con la morte dell’unico ribelle al sistema, muore anche il sogno americano. Il film,
7Anton Giulio Mancino, Prossimamente su questi schermi, in “Segnocinema”, n.146, Luglio-agosto,
2007, p. 21.
8 Ivi, p .22.
9 Andrea Fontana, op.cit, p. 53.
11
più che predire l’11 settembre 2001 è profetico nei confronti del ritorno agli anni ’80,
almeno dal punto di vista politico, del decennio 2000-2010.
I film sull’11 settembre
La difficoltà di rappresentare un evento come l’11 settembre al cinema è evidente.
Non solo dopo la fatidica data è ovviamente di colpo cessato il filone hollywoodiano su
attentati e dirottamenti aerei, ma si è anche palesata la difficoltà di mostrare l’evento in se’
stesso. Secondo Roy Menarini:
“Il cinema americano ha reagito con maggiore lentezza, a causa del fatto che
gli attacchi aerei al WTC sono subito sembrati tragicamente debitori della
spettacolarità hollywoodiana. Come se qualcuno di crudele fosse riuscito a mettere in
scena sul serio l’innocuo catastrofismo di tante pellicole di genere. E’ nato ben presto
un senso di colpa interno all’industria delle immagini, e una conseguente autocensura
sull’elaborazione del lutto”
10
.
Ed è così infatti che i film di finzione il cui motore diegetico sono gli eventi dell’11-
09 si contano sulle dita di una mano. Il momento dello schianto non è mai stato riprodotto
al cinema, se non con l’innesto di filmati reali.
Il primo lungometraggio legato esplicitamente a quegli eventi esce un anno dopo: 11
settembre 2001 (11’09’01 – September 11, 2002). Si tratta di una serie di cortometraggi
diretti da 11 registi diversi
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ognuno dei quali portatore di una prospettiva differente sul
crollo delle torri. Tra i tanti episodi, il più dibattuto è senz’altro quello diretto da Sean
Penn, nel quale un vecchio vedovo vede rinascere le sue piantine sul davanzale dopo che la
caduta delle torri ha riportato la luce del sole nel suo appartamento. L’episodio vuole
mettere in scena quel metaforico riaprire gli occhi dopo il trauma che molti film post 11
settembre hanno narrato, come vedremo.
10 Roy Menarini, il cinema dopo il cinema. Dieci idee sul cinema americano 2001-2010, Le Mani,
Genova, 2010, p. 25
11 Alejandro González Iñárritu, Amos Gitai, Claude Lelouch, Danis Tanovic, Idrissa Ouedraogo, Ken
Loach, Mira Nair, Samirah Makhmalbaf, Sean Penn, Shohei Imamura, Youssef Chahine.