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I° PARTE : Vita di Bruce Chatwin
La vita è un ponte. Attraversalo
ma non costruirvi alcuna casa.
(Proverbio indiano)
1
I Chatwin
Charles Chatwin, nato nel 1908, era un uomo concreto, non un sognatore.
Le sue due passioni erano recitare e andare in barca a vela. Studiò legge,
sulle orme del padre, perché la famiglia non disponeva dei mezzi per
fargli studiare medicina, come invece sarebbe piaciuto a lui. Nel 1933 il
padre morì e Charles divenne l’unico rappresentante dello Studio Gem e
Co., al numero 2 di Bennetts’ Hill Birmingham. A trent’ anni si sposò
con Margharita Turnell di Sheffield. Lui aveva trent’anni, lei ventisei.
Bruce nacque il 13 maggio 1940 a Sheffield. Lo stesso anno scoppiò la guerra
e Charles, che si era arruolato in Marina, partì. I cinque anni successivi furono per
Bruce e Margharita un periodo di “fantastica sradicatezza”.
2
Desiderosa di non avere
una base fissa e di sottrarsi al dispotismo di sua madre viaggiava avanti e indietro
sui treni del tempo di guerra. La casa per Bruce era una grande borsa di stoffa con
due tasconi alle estremità e un solido baule-armadio nero detto “Rev-Robe”.
Le persone più determinanti in quella prima infanzia furono donne e cugini di una
certa età e i suoi punti di riferimento la vetrinetta della nonna paterna Isobel e la
passeggiata che faceva con il nonno Sam nelle brughiere del Derbyshire, fino alla
Eagle Stone.
Il primo luglio 1944 nasce Hugh Chatwin. Nel 1945 ritorna il padre dalla
guerra e si trasferiscono a Birmingham, in Stirling Road. La casa era tetra e priva di
riscaldamento centrale e assorbiva l’umidità come una spugna. Bruce soffrì di
1
B. Chatwin, Le Vie dei Canti, Milano, Adelphi, 1988, p. 242.
2
Ibid., p. 16.
7
bronchite per due inverni e, quando si trasferirono, Birmingham rimase sempre nel
suo ricordo come un posto da cui fuggire.
I Chatwin, poi, s’insediarono a Brown’s Green, una piccola fattoria in campagna,
nell’aprile 1947. Trentacinque anni dopo Bruce rievocò in On the Black Hill
l’immagine bucolica della vita a Brown’s Green. Molti personaggi, nomi ed episodi
vi appaiono così come li aveva vissuti nell’infanzia e sono tratti direttamente da
quelli della famiglia e dei vicini. La fattoria fu il mondo di Bruce fino ai quattordici
anni. Nei week-end estivi la loro vita sociale si imperniava sul Sailing Club di Bart
Green. Su quello specchio d’acqua Bruce si destreggiava bene con un optimist, ma il
mare non faceva per lui.
Dal 1949 al 1953 Bruce frequenta la Old School Hall a Wellington. Come
scolaro Bruce passò sostanzialmente inosservato, anche se aveva sempre parecchie
cose da raccontare e così si guadagnò il nomignolo di “Chatty”. Il suo mondo di
fantasia era dominato da isole dei mari del Sud e deserti. «Mentre gli altri bambini
giocavano con i balocchi, io giocavo con un atlante e l’unica cosa che m’interessasse
era andare a X e a Y e a Z, vedere tutto»
3
, dice Bruce.
Dal 1953 al 1958 frequenta il Melborough College nello Wiltshire. Alla fine del
primo anno al Melborough, Bruce fece il suo primo viaggio: due mesi in Svezia per
parlare inglese con un ragazzino svedese. Con grande disappunto della famiglia che lo
ospitava, i Bratt, Bruce non strinse amicizia con il loro figlio ma con il prozio,
Percivald, un uomo all’antica e di vasta cultura. Rimase anche molto colpito
dall’architettura nordica: le linee lisce dei tetti, simili a scafi rovesciati, le tinte chiare
e neutre degli interni in legno, gli assiti di pino grezzo. «I colori grigio chiaro, verde
chiaro e ocra li ritrovi in tutte le sue abitazioni», dice Elizabeth, sua moglie.
Bruce iniziò presto ad interessarsi di arredamento e collezionismo. Gli acquisti
iniziali furono dipinti, piccole suppellettili, sedie: cose che potesse caricare sulla
bicicletta. Nella primavera del 1957 si trasferì in un locale al pian terreno, nel New
Court, e si mise d’impegno a trasformarlo.
3
B. Chatwin a Colin Thubron (in N. Shakespeare, Bruce Chatwin, London, The Harvill Press, 1999, p. 62).
8
Da Sotheby’s
Nell’aprile del 1958 Margharita lesse su Vogue un articolo su una casa d’aste che
trattava opere d’arte e pensò che potesse fare al caso di Bruce. Lui scrisse una lettera a
Peter Wilson e in luglio ebbe un incontro con lui. Fu subito assunto da Sotheby’s come
magazziniere nella sezione Opere d’Arte.
Fino a quando Wilson non ne divenne presidente, la Sotheby’s era stata una tranquilla
ditta a gestione familiare un po’ pedante e vecchio stile. Aveva quattro reparti e una
sessantina di dipendenti. Dopo l’asta Goldshmidt, Wilson l’agguantò per la collottola e
i quattro reparti divennero quindici. Bruce arrivò nel bel mezzo di quest’espansione.
Qui imparò ad osservare gli oggetti e a descriverli in modo succinto. Per incarico della
Sotheby’s si recò nei paesi di provenienza di quei medesimi oggetti, Afghanistan,
Egitto, Russia, Beirut, Istanbul e, sulle orme di Robert Byron, in Afganistan. La
Sotheby’s gli diede modo di entrare in contatto con tutta una rete di persone giovani,
ricche, amanti del bello, piene di interessi. E gli fece anche incontrare sua moglie.
Eppure in capo a tre anni, subentrò il disgusto. «D’un tratto ho provato orrore per il
cosiddetto mercato dell’arte», scrisse ad un amico, «e, anche se poi ne sono diventato
un dirigente, tutto della Sotheby’s mi dava claustrofobia e disgusto»
4
.
Hewett, che dirigeva il settore Antichità, insegnò a Bruce a presentare un
oggetto nei suoi dati essenziali con poche nitide parole, così che non si potesse
scambiare un pezzo con un altro. Bisognava tracciare una sintetica descrizione
dell’oggetto, con provenienza, peso e dimensioni, in modo da valorizzarlo al massimo.
Hewett autorizzò anche Bruce a vivacizzare la cosa aggiungendo la storia di ciascun
oggetto: da dove veniva, perché era interessante, a chi apparteneva.
Nella sala da tè della Sotheby’s cominciò a circolare l’espressione “fare un Bruce”,
ossia lavorare di fantasia su qualcosa e ricavarne una storia.
Prima che Peter Wilson assumesse la presidenza, le aste erano ben poco
frequentate dalla gente comune. Poi le cose cambiarono radicalmente. Un’abile
campagna pubblicitaria fece arrivare nel salone tutti coloro che avevano cento sterline
da spendere. Il reparto Antichità cominciò ad entrare in contatto con un flusso
quotidiano di personaggi con storie incredibili.
4
B. Chatwin a Nigel Acheson, 1978-79 ( in Ibid., p. 86).
9
In pittura gli piacevano Piero della Francesca, Altdorfer, Hercules, Seghers e gli
acquerelli di Turner. «Era del tutto cieco per l’arte contemporanea» , dice John
Kasmin, mercante d’arte moderna.
5
Nell’intervista a Malraux, Bruce disse che l’arte
inglese toccava l’apice «Quando è veramente inglese, e i suoi grandi artisti, come
Palmer o Blake, sono degli eccentrici isolati».
6
Nel 1960 divenne catalogatore nella sezione Impressionisti. Wilson un giorno
affidò il compito a Bruce di catalogare quarantanove bronzi di Matisse appartenenti al
signore e alla signora Theodor Ahrenberg di Stoccolma. «Arrivò un giorno in cui
l’anziano catalogatore del reparto era via», raccontò Bruce a Suzanne Haynes, «Così
andai la e dissi : “Be’, meglio che li cataloghi”. E lo feci. E di colpo sono diventato un
esperto».
7
Il fatto che a un novellino fosse stata affidata un’incombenza così
importante aveva destato qualche malcontento, ricordava Peregrine Pollen, assistente di
Wilson. Ma «Bruce adorava essere al centro dei pettegolezzi, della conversazione, di
tutto», disse John Hewett .
8
La prontezza con cui Bruce dichiarava falso questo o quello irritava chi gli stava
attorno. Ma per lo più la sua sicurezza si rivelava giustificata. Hewett disse: «A
disporre dieci pezzi su un tavolo, Bruce sceglieva subito il più interessante. Possedeva
una dote insolita, e ormai un po’ decaduta, che si chiama occhio pronto».
9
La cosa che più piaceva a Bruce era viaggiare, a spese della ditta, per fare
periziare le opere. Adorava quei continui spostamenti, quel turbine di attività e
l’amicizia con ricchi collezionisti induceva Bruce a spendere più di quanto potesse
permettersi.
Ortiz, collezionista, dice: «Gli piaceva vivere bene, ma mi confessò che non
aveva abbastanza denaro».
10
Bruce si guadagnava qualcosa facendo acquisti durante l’estate. Uno dei
vantaggi del lavoro alla Sotheby’s era il lungo intervallo estivo. Partiva per l’estero
senza dire a nessuno dove andava . «Il suo concetto di vacanza» dice David Nash che
lavorò con Bruce da Sotheby’s nella sezione Impressionisti e si recò con lui in
5
N. Shakespeare, op.cit., p. 94.
6
B. Chatwin, Che ci faccio qui?, Milano, Adelphi, 1990, p. 164.
7
N. Shakespeare, op. cit., p. 97.
8
Ibid., p. 99.
9
Ibid., p. 147.
10
Ibid., p. 112.
10
Afganistan, «Era andare in un posto dove nessuno potesse raggiungerlo
telefonicamente».
11
Non solo le donne gli stavano appresso. I collezionisti, per lo più, erano
omosessuali. Il primo racconto di Chatwin “Rotting Fruit” fu il suo unico tentativo di
affrontare narrativamente quel mondo omosessuale. Lo tirò fuori dal cassetto per il
regista James Ivory.
Jane Abdy, mercante d’arte, dice: «Quando si arrese alla propria omosessualità
rimase disgustato di sé, il che spiega il resto della sua vita, una continua fuga dalla
realtà: andare a Edimburgo, andare in Patagonia, per poi fuggirne regolarmente. Quel
disgusto non c’era quando l’ho conosciuto».
12
Nel novembre del 1961 Elizabeth Chanler venne assunta da Sotheby’s come
segretaria di Wilson. Elizabeth proveniva da due delle famiglie più in vista degli Stati
Uniti: i Laughlin da parte di madre e i Chanler da parte di padre. Aveva due anni in più
di Bruce.
All’inizio Bruce non fece particolare caso a lei. Iniziò a prestarle maggiore
attenzione solo in seguito al suo primo viaggio in America, nell’inverno 1961. La loro
relazione iniziò nel 1963 ma, per due anni, nessuno ne seppe nulla. Elizabeth sapeva di
alcune ragazze che Bruce frequentava ed era al corrente anche delle sue relazioni
omosessuali .
Nell’agosto-settembre 1963 Chatwin compì, con l’amico Robert Erskine, la
prima delle tre escursioni in Afganistan allo scopo di acquistare oggetti antichi e
seguire le tracce di Byron indicate in The Road to Oxiana. La spedizione durò solo tre
settimane ma comprese anche Istanbul, Il Cairo, Beirut, Peshawar. L’Afganistan che si
presentò a Bruce era molto cambiato rispetto a quello conosciuto da Byron nel 1933.
Vari rimaneggiamenti edilizi avevano deturpato molti dei minareti e delle cupole
descritti in The Road to Oxiana. A Herat, Bruce si recò al mausoleo di Gohar Shad e si
sentì mancare il cuore quando arrivarono alle mura di recente costruzione.
Nell’agosto-settembre 1964 compì, con David Nash, il secondo viaggio in
Afganistan passando dall’architettura alla botanica. Un botanico suo amico,
l’ammiraglio Furse, era stato costretto a rinunciare alla missione affidatagli da Kew
Gardens: reperire un particolare tipo di cerfoglio che cresceva solo sui versanti
11
Ibid.., p. 112.
11
settentrionali dell’Hindukush. Bruce, nella speranza che gli orti botanici reali gli
coprissero le spese, decise di portare a compimento la ricerca. L’impresa sarebbe stata
compromessa da una caduta.
Dopo un periodo di intenso lavoro alla Sotheby’s, Bruce cominciò ad accusare
dei disturbi all’occhio destro. Il 31 dicembre 1964 si fece visitare da uno specialista
che lo trovò stanco ed angosciato e gli consigliò di rallentare il ritmo, di darsi fiato.
«Hai guardato i quadri troppo da vicino» disse. «Perché non li sostituisci con vasti
orizzonti ?».
13
Nel febbraio del 1965 Bruce partì per un lungo periodo di riposo in Sudan, dove
incontrò per la prima volta dei nomadi. Era la tribù Beja, «i Fuzzy-Wuzzies di
Kipling», popolazione di cui parlano certi testi egiziani di tremila anni fa. «Sono
sensazionalmente oziosi e insieme battaglieri. Gli uomini dedicano gran parte della
mattinata a fantastiche sedute di pettinatura reciproca» .
14
I Beja avevano lunghi capelli
ricci che ungevano con grasso di capra . «Verso le tre del pomeriggio i capelli
cominciavano a contrarsi ricadendo sulle spalle e la sera erano una massa tondeggiante,
crespa, su cui potevano dormire».
15
Si vestivano di pelli e si spostavano senza portare
tende con sé. «Ero sbalordito dalla semplicità di vita di quella gente e ho intuito che si
è molto più felici se non ci si porta appresso nulla ». Bruce disse a Michael Ignatieff :
«Mi hanno spinto alla ricerca del segreto della loro irriverente, eterna vitalità: come
mai i popoli nomadi hanno questa straordinaria capacità di sopravvivere nelle
circostanze più avverse, mentre gli imperi crollano ».
16
Durante gli ultimi mesi trascorsi alla casa d’aste Bruce toccò il culmine delle
sue fantasie morbose. «L’atmosfera del Mondo dell’Arte mi ricordava l’obitorio .
“Quanti begli oggetti ti passano per le mani” dicevano - e io mi guardavo le mani e
pensavo a Lady Macbeth».
17
Era stanco di arrivare tutt’al più a capire che un oggetto
aveva un certo valore, ma di non conoscerne mai la storia.
12
Ibid.., p. 124.
13
B. Chatwin, Le vie dei canti, Milano, Adelphi, 1995, p. 30.
14
B. Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza, Milano, Adelphi, 1996, p. 99.
15
N. Shakespeare, op. cit., p. 162.
16
M. Ignatieff, “The Story Teller”, Granta, 21, Summer 1987, (tr. It. di R. Mazzanti, “Quante suole di scarpe”, Linea
d’Ombra, 68, Febbraio 1992).
17
B. Chatwin a C. Thubron ( in N. Shakespeare, op. cit., p. 159).
12
Quando tornò dal Sudan, Bruce chiese ad Elizabeth di sposarlo e al fratello
Hugh confessò che lo faceva « Per impedirmi di diventare pazzo ».
18
Pensava che la
felicità offerta da quell’unione avrebbe prevalso sui suoi istinti sessuali .
Per tutta la durata del loro matrimonio Elizabeth si mantenne ben salda.
Conservò la sua indipendenza psicologica accettando con perfetta calma qualsiasi cosa
lui facesse. Bruce, da parte sua, aveva bisogno di qualcuno da cui fuggire e a cui fare
ritorno e in Elizabeth trovò questo qualcuno.
Il 21 agosto 1965 si sposarono. Per un po’ di tempo abitarono nell’alloggio di
Bruce in Mount Street, ma era troppo piccolo. Nell’aprile del 1966 comprarono
Holwell Farm, nel Gloucestershire, con i soldi forniti dalla madre di Elizabeth .
Nell’aprile 1966 Bruce divenne ufficialmente uno degli otto soci di secondo
livello di Sotheby’s ma, a giugno, rassegnò le dimissioni.
Il 27 agosto 1988, sei mesi prima di morire, Bruce dichiarò di essersi licenziato
dalla Sotheby’s perché era stato costretto da loro a vendere !fraudolentemente" in
America la collezione Pitt-Rivers .
Pitt-Rivers è considerato il padre dell’archeologia moderna. Quando Bruce
conobbe il museo, la proprietà era passata al nipote del generale, un etnologo con
simpatie fasciste che aveva operato nei mari del Sud: il capitano George Pitt-Rivers.
Nel 1927 il capitano George era giunto ad un importante accordo con il fisco:
non avrebbe dovuto pagare le tasse di successione purché la collezione rimanesse
intatta. Ma gli introiti, affermava il capitano George, bastavano appena a coprire le
spese di riscaldamento del museo. Cominciò a pensare di vendere e si rivolse a Hewett.
Impossibile accertare che cosa venne venduto e a chi, e questo soprattutto a
causa della misteriosa scomparsa del catalogo, un meticoloso ed enciclopedico tomo,
accompagnato da disegni ad acquerello, che elencava tutte le acquisizioni dal 1881 al
1900. Il capitano George l’aveva sbadatamente dimenticato su un taxi a Parigi, o forse
a Vienna .
18
N. Shakespeare, op. cit., p. 167.
13
Edimburgo
Nell’ottobre 1966, Bruce decide di iscriversi all’Università, alla facoltà di Archeologia.
L’idea gli si era presentata durante il viaggio a Leningrado nel dicembre 1965.
All’Ermitage, Bruce era rimasto a contemplare affascinato il corpo imbalsamato di un
capo Pazyryk, seppellito con un imponente copricapo. La pelle era ricoperta da
primitivi tatuaggi che rappresentavano animali fantastici. Era un nomade, pastore
dell’Altai, trovato in una tomba di ghiaccio presso il confine mongolo. Era rimasto
congelato, e in perfette condizioni, in quel primo inverno di più di duemila anni fa. Il
corpo, riempito di canapa, era stato deposto in una bara intagliata e, accanto a lui c’era
la sua concubina. L’archeologo Rudenko aveva fatto arrivare il corpo a Leningrado nel
1933.
« Bruce non aveva la minima pazienza, voleva scoprire tutto subito», dice
Erskine « Si era buttato sull’Archeologia con l’idea di diventare un altro Howard
Carter ed entrare in una tomba stipata di opere d’arte, e non di passare un’infinità di
tempo col sedere all’aria nel fango, a scavare in un sito mesolitico fradicio. Quando si
trovò di fronte al rigore scientifico e a mucchi di vecchi cocci si annoiò
maledettamente ».
19
Bruce ed Elizabeth si erano sposati con l’intenzione di mettere su famiglia
presto ma, non ebbero figli. La vicenda dei due gemelli senza figli di On the Black
Hill, rivela un immedesimarsi in un rapporto infecondo. La sterilità si collegò per lui
alla posizione dello sciamano. Lo sciamano sterile dell’Africa occidentale esercitava su
di lui un particolare fascino. «E’ uno stregone », dice un ragazzo in una stesura del The
Viceroy of Ouidah . «Non può avere bambini e così li mangia ».
20
Nell’inverno del 1967, Cary Welch, insegnante di Boston e collezionista di
miniature indiane e arte nomade, propose Bruce per la cura di una mostra dedicata
all’arte nomade delle steppe asiatiche. Bruce aveva il compito di far buon uso
dell’esperienza accumulata alla Sotheby’s contattando musei e collezionisti per
radunare i più significativi esempi di arte nomade, essenzialmente oggetti indossati dai
19
N. Shakespeare, op. cit., p. 191.
20
Taccuini di B. Chatwin, Scatola 23 (da N. Shakespeare, op. cit., p. 200).
14
pastori che si aggiravano a cavallo per le steppe dell’Asia e dell’Europa nel V e VI
secolo avanti Cristo.
L’Asia House avrebbe coperto le spese dei viaggi nelle aree a lui affidate: Tule e
la zona degli esquimesi, la Russia settentrionale e la Finlandia. Per cercare il materiale
Bruce viaggiò parecchio: Helsinki, Francia, Svizzera, Italia, Basilea, Monaco di
Baviera e Leningrado.
Mentre Bruce aspettava che arrivassero i soldi per quest’ultima destinazione,
Stuart Piggott, suo professore di archeologia ad Edimburgo, gli offrì di unirsi a lui e
Ruth Tringham, archeologa, in un giro ufficiale di musei archeologici in Unione
Sovietica. Bruce accettò, anche perché a Leningrado si trovava il materiale migliore, e
invitò anche George Ortiz, collezionista boliviano, milionario. Il viaggio non fu un
gran successo. Trascorsero una settimana a Leningrado visitando musei e bevendo
vodka con aggressivi archeologi russi ed a un certo punto le cose sfuggirono di mano.
L’11 luglio trascorsero una serata a casa di Vladimir Masson, direttore dell’istituto
archeologico di Leningrado. Erano tutti ubriachi e Bruce, in piedi sul tavolo recitò un
sonetto di Shakespeare a beneficio della padrona di casa.
In What Am I Doing Here?, Bruce da una versione di questo episodio: sposta la
scena a Mosca, trasforma il sonetto nel discorso d’apertura del duca Orsino nella The
Twelfth Night, e lo rivolge alla sorella di Masson. Dice Piggott: « Credo che vivesse in
un mondo di fantasia e che fosse realmente incapace di distinguere tra realtà e
immaginazione. Non fingeva ». A Piggott pareva che tutto questo andare all’estero di
Bruce fosse un’evasione « che viaggiando fuggisse da se stesso ».
21
Quando tornò a Edimburgo, in ottobre, aveva accumulato per l’archeologia lo
stesso disprezzo che nutriva per il mondo del mercato dell’arte. Dice lui stesso che «
Tutti gli elementi dovevano essere ricavati da oggetti inanimati. Decisi che ciò che più
m’interessava erano gli individui sfuggiti alla classificazione archeologica, i nomadi
che avevano lasciato tracce lievi sul terreno e non avevano costruito piramidi ».
22
Bruce si accorse di avere un temperamento troppo anarchico per l’archeologia.
Dell’esperienza nel mondo universitario parlò come della sua saison en enfer. Nel
novembre 1968 lascia Edimburgo e l’università.
21
N. Shakespeare, op. cit., p. 208.
22
N. Shakespeare, “A Very Curious Man”, Telegraph Weekend Magazine, 5 novembre 1988, pp. 36-38.
15
La mostra dell’Asia House
Libero dai corsi di studio, riversò tutte le sue energie intellettuali sulla mostra
dell’Asia House: doveva presentare un saggio sullo stile animalistico per il catalogo.
Ci lavorò su tutto l’inverno e verso la fine di gennaio del 1969 presentò The Nomadic
Alternative. Quando le sue due colleghe curatrici lessero il testo capirono che i loro
peggiori timori si erano avverati: il testo era zeppo di astrusi elementi esoterici e
illazioni antropologiche poco consone al dotto catalogo che loro si proponevano .
Ann Farkas, studiosa di cultura tracia e sua collega curatrice della mostra, dice :
«Il suo saggio non aveva nulla a che vedere con la mostra che stavamo preparando
trattava esclusivamente i nomadi ».
23
Scrisse Gordon Washburn, direttore dell’Asia House, nella prefazione al
catalogo: «Bruce Chatwin, che ha un approccio antropologico, pare ritenere che le
origini dello stile animalistico vadano ricercate nello sciamanesimo...Meno attratte di
lui da ipotesi non verificabili, la signora Bunker e la dottoressa Farkas si sono invece
dedicate a una scrupolosa ricostruzione».
24
La mostra si sarebbe aperta di lì a un anno, oltreoceano. Per l’immediato, Bruce
si chiese se potesse esserci un mercato per il suo saggio .
Nel giugno 1969, il libro sui nomadi offrì a Bruce una scusa per recarsi in
Afganistan per la terza volta. Intendeva seguire la Via della seta insieme a Peter Levi,
che aveva avuto l’incarico di scrivere un libro sull’influsso greco in quell’area.
Levi era per Bruce una figura carismatica. Levi sapeva molto bene che Bruce
idealizzava la sua esistenza di poeta e prete gesuita. «Trovava meraviglioso l’idea di
avere diverse basi sparse in giro: una stanza a Campion Hall; una stanza ad Atene, una
stanza a Eastbourne, dove abitava mia madre. Mi attribuiva uno stile di vita che era in
gran parte frutto della sua immaginazione. Riteneva che avessi trovato la grande
soluzione: viaggiavo e scrivevo. Secondo me si scrive per cambiare noi stessi. Lui
stava cercando di cambiare la sua vita diventando uno scrittore».
25
Raggiunsero in aereo i magri pascoli di Khakhcharan dove Bruce aveva saputo
che era in corso un vasto raduno annuale dei nomadi. C’erano una quarantina di tende a
23
N. Shakespeare, Bruce Chatwin, London, The Harvill Press, 1999, p. 216.
24
«Prefazione» a Art from East to West, Bruce Chatwin, Emma Bunker, Ann Farkas cit., Asia Society 1970
( da S. Clapp, Con Chatwin, Milano, Adelphi, 1998, p. 154).
25
N. Shakespeare, Bruce Chatwin, cit., p. 222.
16
palpitare in una tempesta di polvere. Le tende appartenevano ai Firuzkuhi , giunti in
Afganistan con i primi conquistatori turchi. La meta di Bruce era la loro capitale
perduta, rinserrata tra le montagne del Ghor e identificata nell’attuale centro di Jam .
Il 10 luglio giunsero in autobus a Shahrak e da li procedettero a cavallo per Jam.
La città era rinomata per le numerose piante di albicocchi e il minareto di mattoni rosa
intenso il quale era situato in una forra nera e lucente ed emergeva alla vista tra pareti
di roccia quasi verticali. «Impossibile descrivere la sorpresa e lo sbigottimento di
fronte a tale meraviglia»,
26
scrisse Bruce.
Bruce esaltava i nomadi per non avere lasciato tracce e al tempo stesso restava
incantato di fronte alle costruzioni di Jam, Balkh e Herat .
Fu probabilmente a Jam che Bruce decise di scrivere un libro sull’Afganistan:
doveva intitolarsi On the Silk Road ed essere un resoconto dei suoi tre viaggi.
L’orientamento era in gran parte lo stesso scelto da Byron in The Road to Oxiana. Il
libro avrebbe avuto la forma di un diario di viaggio con alcune diversioni per
esaminare l’aspetto della regione, le montagne, la flora, le coltivazioni, la fauna; i
viaggiatori che l’hanno attraversata, a cominciare dai pellegrini buddisti, e i grandi
conquistatori; le costruzioni per lo più islamiche, e le opere d’arte; la complessa
etnografia; i commerci dai tempi antichi ad oggi. Bruce avrebbe anche fornito le
illustrazioni. Ma il libro, in realtà, non venne mai scritto.
Bruce aveva ormai visto le cose più elettrizzanti e cominciò a sentirsi orribilmente
depresso, così, scrisse ad Elizabeth, che arrivò a Kabul all’inizio di agosto.
Viaggiarono insieme per un mese in Afganistan poi andarono a trascorrere un mese a
Patmos, «La più splendida isola dell’Egeo», presso Millington-Drake, e solo in ottobre
tornarono a Holwell .
26
Taccuini di B. Chatwin, Scatola 30, (da ibid., p. 229).
17
I Nomadi
Bruce ed Elizabeth viaggiavano ottimamente insieme, e lui anzi diceva agli amici che
si trovava meglio con lei che con chiunque altro. Ma a casa non riuscivano a trovare il
medesimo equilibrio. Sugli animali scaricava la sua scontentezza di trovarsi a Holwell.
«Detesto i gatti, per questo Elizabeth li tiene »,
27
dichiarò ad un giornalista francese.
Anche il protagonista di The Viceroy of Ouidah odia il gatto rosso-arancio di sua
moglie: «Quando miagolava, aveva l’impressione che un ferro gli penetrasse nel
cranio»
28
. Da Silva lo uccide, forse mettendo in atto una fantasia di Bruce.
Il giro di amici che risiedeva in campagna lo irritava quanto gli animali di
Elizabeth, preferiva far arrivare amici da Londra, ma si annoiava in fretta anche dei
suoi invitati. Spesso, la domenica mattina, già non ne poteva più delle persone invitate
per il week-end. Le portava a prendere il tè dai Tomlinson e le piantava là.
Nel dicembre del 1970 era già afflitto da fitte di irrequietezza. Progettava di
andare in Mauritania. «L’unico posto di cui nessuno sa niente sembra», scrisse Bruce
in un suo diario tenuto per due mesi, dal dicembre 1969 al febbraio 1970.
Giunse in Mauritania nel febbraio 1970, proveniente da New York dove era
andato all’inaugurazione della mostra alla Asia House, e si recò a Oulata per entrare in
contatto con la tribù dei Nemadi. Questo fu uno dei tre viaggi che compì appositamente
per studiare i nomadi nei loro percorsi migratori. Gli altri due furono:
• Iran, aprile 1971, dove per cinque giorni seguì i Qashgais nella loro migrazione di
primavera;
• Dahomey, gennaio 1972, per conoscere i Bororo Peuls.
A Teheran, nel 1971, grazie a Alison Oxmantown di cui fu ospite, conobbe
Jeremy Swift, studioso di antropologia economica che era stato a contatto con tribù
nomadi in Africa, Medio Oriente e Mongolia. Bruce aveva passato sei giorni con i
Qashgais e i Bakhtiari; Swift era rimasto sei mesi con loro e altri sei con i Tuareg del
Mali .
Swift trovò Bruce quanto mai acuto, spiritoso, «Dotato di vaste conoscenze sugli
argomenti più insoliti» e ricco di esperienze di viaggi. «Già agli inizi degli anni
Settanta era stato in posti di cui pochi sapevano qualcosa». Ma lo considerava un
27
Ibid., p. 234.
28
B. Chatwin, Il vicerè di Ouidah, Milano, Adelphi, 1983, p. 64.
18
geniaccio, non un etnografo . «Io studiavo i nomadi secondo canoni rigorosi. Lui li
osservava con occhio romantico, si lasciava trascinare dalla fantasia. Non era un
nomade con lo spirito degli autentici nomadi. Un vero nomade va verso luoghi che
conosce, capisce le distanze, non va in cerca di sensazioni».
29
Swift sostiene che «La teoria di Bruce, secondo cui il movimento sarebbe un impulso
innato, è sbagliata. Personalmente ho trascorso molto tempo con diversi gruppi. Tutti
sostengono che spostarsi è magnifico, non si hanno gli attriti che si verificano nelle
città o nei villaggi, si va in luoghi piacevoli: il clima fresco delle montagne in estate e
quello mite delle pianure in inverno. Ma è maledettamente faticoso trascinarsi avanti
portando le masserizie e i bambini. Ricordo le donne Bakhtiari nell’ultimo tratto della
loro migrazione, su un alto passo di montagna sotto la neve, e una che singhiozzava
esausta : “Perché siamo costrette a questa vita?”. Erano felicissime quando Bruce
offriva un passaggio sulla sua Land Rover. Così non avrebbero dovuto camminare».
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Come Desmond Morris, zoologo e scrittore, Swift non era d’accordo sulla
definizione di nomade. «I nomadi di oggi», scrisse Bruce nel suo libro, «sono
camionisti, gauchos vaqueros, mafiosi, rappresentanti di commercio, emigranti
stagionali, e coloro che possiedono lo spirito dei samurai, mercenari, guerriglieri».
31
Swift dice: «Lui accomuna cacciatori, pastori, zingari. Tutti coloro che si spostano
sono nomadi. In realtà, è molto più consistente ciò che li separa. I nomadi si spostano
perché il loro bestiame ha bisogno di nuovi pascoli non per via di una nevrosi
congenita. Questo non significa che il movimento non sia importante: è insito nel loro
modo di vivere, ne parlano nelle loro canzoni, ma è secondario, dettato dalle esigenze
degli animali. Molti di loro mi hanno detto: “Se ci fossero più pascoli per le bestie noi
ci sposteremmo di meno”. Adesso, in tutto il mondo, i nomadi si muovono di meno e
non sembrano affligersene. Hanno un forte senso della casa, del territorio. L’idea che si
spostino a casaccio è completamente errata ».
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I nomadi sono tra le popolazioni più studiate del mondo; Bruce pareva ignorare i
testi fondamentali e conoscere solo gli autori classici. Esiste un enorme corpus di
opere di etnografia, lui non ne cita alcuna, a parte Frederik Barth.
29
N. Shakespeare, op. cit., p. 239.
30
Ibid.
31
Ibid.
32
Ibid., p.240.
19
Ma Swift dice anche: «Non conosceva la prudenza. Era una delle cose straordinarie di
Bruce. Il suo metodo non era scientifico. Lo studioso cerca di inquadrare gli elementi
che invalidano la sua idea. Bruce si fissa su una splendida idea poetica e poi raduna gli
elementi che la convalidano. Ma così la sua tela è troppo vasta. Sta cercando di
scrivere qualcosa che somiglia molto alla storia dell’umanità ma non ha preso visione
dei testi fondamentali e finisce col mordersi la coda ».
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Come Swift aveva previsto, ciò che lo impastoiava era la disinvoltura con cui
applicava il termine “nomade”. Ogni viaggio gli forniva altro materiale eterogeneo da
incorporare e Bruce cominciò a non poterne più .
Nel giugno del 1971 partì per passare l’estate nell’alta Provenza e cercare di
terminare il libro. Resistette due settimane poi mandò un telegramma all’amico James
Ivory chiedendogli di raggiungerlo per fargli compagnia. Bruce aveva conosciuto il
regista Ivory nell’autunno del 1969 a casa di Hodgkin, vicino a Bath .
Ivory si trattenne una settimana e alla fine di luglio arrivò Elizabeth .
All’inizio del novembre 1971 Bruce consegnò The Nomadic Alternative a
Debora Rogers la quale lo esaminò accuratamente con enorme fatica. «Quando si
pensa a come sarebbe diventata la prosa di Bruce, un’impeccabile digestione
intellettuale, questa era completamente indigerita. C’era troppa roba».
34
Il manoscritto
così viene rifiutato.
All’inizio del gennaio 1972, Bruce prese l’aereo per il Niger. Per tre mesi
viaggiò attraverso il Niger, il Benin (ex Dahomey ), e il Camerun .
Una delle ragioni per cui era andato nel Niger era per la tribù nomade dei Peul
Bororo, la gente più bella del mondo, che se ne va in giro da sola nella savana con del
bestiame bianco dalle lunghe corna e ha abitudini piuttosto sorprendenti, tipo un
completo ribaltamento sessuale in certe stagioni dell’anno.
Un’altra ragione era quella di fare un breve film sui nomadi, e un documentario sul
mercato del Niger di Bermou. Ma non si era premunito di prendere in considerazione
cosa comportasse girare un film. Non solo l’attrezzatura era troppo pesante per poterla
portare in giro senza una macchina, ma il film si inceppava e «La gente tirava roba
contro la cinepresa quando gliela puntavo addosso»,
35
scrisse nel taccuino.
33
Ibid.
34
Ibid., p. 257.
35
Ibid., p. 259.