INTRODUZIONE
Sono passati undici anni da quel - ormai - lontano 1999 ove negli Stati Uniti, in
occasione della Conferenza Ministeriale della WTO (Organizzazione mondiale per il
Commercio), si ritiene che fece la prima apparizione ufficiale sui media il cosiddetto
popolo di Seattle in memoria della città americana che ospitò l’evento. Nove dal
fatidico 19 luglio 2001 in cui si riunì a Genova il G8 (nel frattempo il Canada si era
aggiunto al summit dei rappresentanti delle nazioni maggiormente industrializzate - o
globalizzate - del pianeta).
Un termine, in seguito, sarebbe pressoché diventato un sinonimo di quei giorni: Black
bloc. Il termine fu usato dai "media" per il suo valore emotivo e sensazionalistico, in
verità - tra le centinaia di fermati ed arrestati durante i giorni del vertice - nessuno
risulterà aver a che fare con il sistema dei Black Bloc; il movimento, in quanto tale,
smentì la sua partecipazione ai fatti del G8 di Genova e, per smarcarsi dalla cattiva
fama fattagli dai giornalisti, cambiò il suo nome da "Black Bloc" ("Blocco nero"), a
"Antrax Bloc" ("Blocco antracite"). Un simile errore di abbinamento merita un
piccolo approfondimento che cercheremo di chiarire al termine del capitolo
focalizzato proprio sui No-Global.
E' fine del presente lavoro quello di delineare, nelle pagine a seguire, un percorso in
grado di definire nel modo più idoneo possibile due figure - spesso assimilate l'un
l'altra - di rilievo nell'imponente quadro, oggi più che mai attuale, della
globalizzazione. Stiamo parlando dei no-global e del modello nascente che - nelle
pagine a seguire - impareremo a conoscere come new-global.
Definizioni mediatiche, nomenclature figlie - più o meno legittime - di quanto
accaduto in seguito alle riunioni dei capi di stato in sedi differenti: G7, G8. Due sfere
antitetiche a quelle dei “globalisti”, riunite da David Held ed Anthony McGrew nella
famiglia degli “scettici”.
Riprendendo le parole dei due autori sopra citati (da Globalismo ed Antiglobalismo):
“(…) questo dualismo può forse sembrare troppo rigido, poiché con esso si
privilegiano, all’interno di molteplici argomentazioni ed opinioni, le due
posizioni che si collocano agli estremi. Usate nel nostro contesto, le etichette
di “globalisti” e “scettici”, sono pertanto il risultato di una costruzione
astraente, rappresentano cioè dei cosiddetti “idealtipi”. Essi sono strumenti
euristici che aiutano a “fare ordine” in un campo d’indagine e ad identificare
le aree principali di consenso e dissenso.
E’ già all’interno di queste prime parole che possiamo rintracciare l’area di ricerca per
meglio iniziare ad orientarci. Analizzare due diverse identità nell’ambito dell’odierno
panorama globale. I due autori sopra citati non a caso parlano di “idealtipi” per
separare due figure ideali che, secondo questi, avrebbero potuto essere rintracciati
attraverso un confronto sulle diversità. L’approccio prescelto per l’affrontare il lavoro
in oggetto è esattamente quello suggerito da David Held ed Anthony McGrew
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ricorrendo a quelle figure - od idealtipi - per iniziare a delineare i contorni che, in un
secondo momento, diverranno figure ben più particolareggiate.
(…)Essi permettono così di fissare le linee principali dei diversi
ragionamenti, e di far emergere i punti di conflitto tra diverse teorie. Offrono
una via per orientarsi nella pluralità delle voci che hanno origine nella
letteratura sulla globalizzazione ma che per definizione corrispondono a
nessun autore particolare né a nessuna singola opera o definizione
ideologica. Sono sostanzialmente punti di partenza, più che di arrivo, per
cercare di trovare un senso nel grande dibattito sulla globalizzazione.”
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Innanzitutto inizieremo col delineare quale sia realmente il significato della
globalizzazione, che cosa si intenda con un termine oggi iperutilizzato ma ancora
poco digeribile ai palati meno attenti alle politiche socio-economiche più attuali,
ponendo così le basi per poter costruire l’architrave portante al fine di rendere il più
completo possibile il lavoro. A seguire verranno analizzate le linee di pensiero dei
sostenitori della globalizzazione (i cosiddetti globalisti) così come le ragioni per la
quale, questi, affermano a gran voce che tale fenomeno possa considerarsi come un
passo imprescindibile per ogni Paese che intenda misurarsi economicamente - e non -
con il mondo occidentalizzato.
Onde evitare possibili fraintendimenti verranno utilizzati esempi e, qualora sia
possibile, grafici di supporto. Ovviamente non è pensabile che esista una sola
ideologia dominante (meno che mai in grado di mettere tutti d’accordo in un
panorama complesso come quello analizzato), nel secondo capitolo, infatti, la nostra
attenzione verrà focalizzata su tutti coloro che si oppongono vivamente al fenomeno:
coloro che precedentemente sono stati identificati come il popolo di Seattle o, più
semplicemente, con il termine di No Global.
Questa parte del lavoro avrà una doppia finalità: oltre quella di delineare il secondo
schieramento protagonista, antitetico al primo, avrà infatti il delicato compito di
introdurre a sua volta una categoria direttamente (o meno) discendente degli
“scettici”.
Proprio come il titolo stesso di questa tesi sostiene, l’elemento perno del lavoro
consiste nel riuscire a stabilire quali siano le origini di un movimento nascente,
anch’esso schierato tra gli oppositori della globalizzazione, molto particolare: si tratta
della terza figura protagonista in gioco, colei che definiremo con il nome di New
Global.
La particolarità di questa categoria, che definiremo più approfonditamente all’interno
del terzo capitolo, è quella di collocarsi fondamentalmente nel mezzo tra i globalisti e
gli scettici, utilizzando meccanismi socio-economici dei primi pur dichiarandosi
apertamente “sostenitori” dei secondi. Per meglio sottolineare come questo sia
possibile ancora una volta ricorreremo all’utilizzo di esempi concreti come
l’interessante caso della Grameen Bank ideata (e realizzata) da Muhammad Yunus,
oggi presidente dell’istituto di credito. Sarà così più semplice ed esplicativo parlare di
2 David Held - Antony McGrew, Globalismo e antiglobalismo edizioni il Mulino 2002, pag.11
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concetti come banca etica e microcredito, senza trascurare un mondo efficiente e
parallelo al sistema creditizio quale il commercio equosolidale si è dimostrato essere
nel corso degli anni.
Giunti al termine del terzo capitolo di questo lavoro saremo in grado di dimostrare
che un modello efficiente e funzionale che non rincorra puramente il profitto (come,
secondo il movimento No Global, vale per il sistema capitalistico dell’occidente
industrializzato) in verità esiste purché vengano rispettate le condizioni necessarie-
sufficienti affinché lo stesso possa funzionare. L’importanza di una simile
constatazione è dovuta alla critica, non priva di fondamento, mossa ripetutamente dai
sostenitori della globalizzazione nei confronti di coloro che non vedono di buon
occhio tale fenomeno.
Non solo.
Data la peculiarità delle scelte fatte - e sfruttate non ancora al meglio delle proprie
potenzialità - potremo altresì scindere il mondo New Global da quello, se vogliamo di
origine, dei No Global. Sarà possibile farlo nella quarta parte, ponendo a confronto
ambedue le categorie al fine di trovarne similitudini e differenze etiche.
A quel punto il nostro viaggio all’interno della globalizzazione - almeno per quanto
concerne i nostri fini - troverà la sua conclusione all’interno delle ultime pagine.
Si cercherà, quindi, di provare a mettere ordine in questo particolare puzzle per
riuscire nel compito di sviscerare due visioni distinte, due differenti metodologie che
- una volta scomposte nelle rispettive parti ed analizzate separatamente - possono
andare a semplificare (e perché no delineare secondo un’ottica votata alla pura
osservazione) il panorama delle figure realmente protagoniste nel moderno
palcoscenico che, oggi, noi chiamiamo - per l'appunto - con il termine di
globalizzazione.
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CAPITOLO PRIMO
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1.0 LA GLOBALIZZAZIONE
“Il termine “globalizzazione”, semplificando, denota la scala più estesa, la
crescente ampiezza, l’impatto sempre più veloce e profondo delle relazioni
interregionali e dei modelli di interazioni sociali. Esso si riferisce ad una vera
e propria trasformazione nella scala dell’organizzazione della società umana,
che pone in relazione comunità tra loro distanti ed allarga la portata delle
relazioni di potere abbracciando le regioni ed i continenti più importanti del
mondo. Ciò non deve essere inteso come se si prefigurasse l’emergere di
un’armoniosa società mondiale, o di un processo universale di integrazione
globale all’interno del quale si realizzerebbe una crescente convergenza di
culture e civiltà.”
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Con queste parole si apre il primo capitolo del lavoro di David Held ed Anthony
McGrew, Globalismo ed Antiglobalismo. In breve sin da queste prime parole inerenti
la stessa definizione del fenomeno preso in esame, si evince che, sin
dall’inquadramento primario di questa realtà si viene a comprendere un lato
totalmente contrapposto, quello formato da coloro che si trovano in netta
contrapposizione con questo movimento mondiale, colori i quali sempre utilizzando
la definizione dei due autori sopra citati vengono classificati col nome di “scettici”.
E' stata presa in esame la definizione di globalizzazione, ora però dobbiamo effettuare
un’aggiunta che, per quanto a prima vista banale, va a completare un quadro
altrimenti esclusivamente teorico-ideologico. L’interdipendenza che si presta a
fondamento per questo fenomeno è oltre che socio-culturale prevalentemente di tipo
economico. Il mercato mondiale negli ultimi anni ha visto una crescita esponenziale
del commercio internazionale, delle produzioni in serie e soprattutto alla
decentralizzazione delle multinazionali su suolo estero.
E’ solo dopo aver messo in rilievo questo punto tutt’altro che marginale che il lettore
può iniziare a porsi interrogativi etici con maggior cognizione di causa.
Uno su tutti è certamente quello presentato da Paolo Del Debbio all’interno del libro
Global: “la globalizzazione aumenta l’eguaglianza o la diseguaglianza?”
Sebbene questa domanda possa apparire una strada senza sbocchi, un vicolo cieco
all’interno del quale ognuno può dare una propria risposta soggettiva, è a partire da
tale domanda che entra in gioco l’etica sociale applicata, l’ambito entro cui troviamo
il perché alla dicotomia esistente tra i “globalisti e gli scettici”.
Ora dobbiamo inserire un altro tassello importante per iniziare a delineare un buon
quadro di riferimento. Come abbiamo affermato precedentemente la globalizzazione
è fondamentalmente un processo di mercato e, quest’ultimo, si viene a trovare nella
posizione di elemento cardine nella stessa costituzione dell’interdipendenza globale.
L’etica non ha come compito il definire se un dato fattore sia giusto o sbagliato, ha
nella propria ragione di essere il cercare di indicare teorie suffragate da ragionamenti
3 David Held - Antony McGrew, Globalismo e antiglobalismo edizioni il Mulino 2002, pag. 9
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logici concatenati quale possa essere la miglior strada percorribile, in questo caso per
raggiungere uno scopo comune.
Il punto ora è che le maggiori critiche rivolte alla globalizzazione sono riassunte in
questo enunciato “la globalizzazione non tiene conto dei bisogni di coloro che si
trovano in condizione economiche disagiate, sviluppando il libero mercato anzi, viene
totalmente esclusa dalla crescita economica quella fetta di maggioranza che
attualmente non è in grado di competere sul mercato internazionale”. Queste parole
possono corrispondere a verità, ma bisogna tenere conto che, il mercato (il libero
mercato in questo caso) è un meccanismo volto al creare e far circolare moneta,
incrementare gli scambi di beni e servizi ed il loro relativo beneficio per coloro che
finanziariamente possono usufruirne secondo le regole dettate dalla reciproca
interazione corrente tra domanda-offerta.
Non è compito del mercato quello di rendersi garante di coloro che non ne sono
partecipi; questo, nel bene e nel male, è un dato di fatto per ogni economo che assuma
in un modello finanziario la propria politica economica. Ne consegue che gli scettici
considerando il mercato globale un mercato “ingiusto” indichino la globalizzazione
come un fenomeno elitario fondato sulla disparità e sull’ineguaglianza reciproca.
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4 R&S, Indagini sulle multinazionali, pag. 7
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Tabella1: Le maggiori multinazionali industriali: 2009
Rifiutando quindi la stessa concezione di mercato di capitale (o libero mercato) , oltre
che conseguentemente alla globalizzazione economica, il No-Global assume
posizioni rigide alla pari di coloro che vedono alla situazione in crescere come l’unica
strada percorribile per il futuro (i pro-global o globalisti).
Queste due tipologie, questi “idealtipi” quindi non sono definibili come due squadre
avversarie, altresì sono da considerarsi due componenti totalmente differenti in due
campionati totalmente differenti. V enendo a mancare il benché minimo punto di
incontro, la benché minima apertura al dialogo, non è errato affermare che entrambe
le parti si macchino dello stesso errore e, quel che è peggio, delle stesse “bende sugli
occhi” che non permetteranno mai alla posizione contingente di assumere neppure in
un futuro lontano posizioni di reciproco confronto.
Non sembra quindi un caso che perfino le parole della giornalista canadese Naomi
Klein, autrice di No Logo (da molti considerata la bibbia del movimento No-global),
appaiano confermare tale ipotesi addirittura già nell'introduzione del suddetto lavoro:
“Il cardine di questo libro è una semplice tesi: quante più persone verranno a
conoscenza dei segreti della rete globale di marchi e dei logo, tanto più la
loro indignazione alimenterà il grande movimento politico che si sta
formando, cioè una vasta ondata di contestazioni che prenderà di mira
proprio le società transnazionali, in particolare quelle con i marchi più
conosciuti.”
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Una vera e propria opposizione, un'aperta critica rispetto all'ideologia dominante, ma
nulla più di questo. Schierarsi in aperto disaccordo nel tentativo di riscuotere consensi
portando sotto gli occhi di tutti le violazioni commesse da multinazionali ed aziende
con manodopera in paesi del terzo mondo.
Globalizzazione significa soprattutto interdipendenza economica, finanziaria e
commerciale. Secondo il Professor Paolo Del Debbio:
“Ormai sono poche le attività isolabili dalla competizione mondiale. È quindi
importante considerare non solo la quantità del commercio, ma anche i fattori
di mutamento nei flussi del commercio stesso: essi infatti collegano le
economie nazionali e regionali più profondamente di prima. (…) Anche questa
apertura, come nel caso del commercio e della produzione, è stata favorita dai
governi che hanno promosso una liberalizzazione del mercato dei capitali e
hanno cercato di attrarre nel proprio Paese investimenti dall’estero
abbassando i controlli sui capitali stessi.”
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In base alla prospettiva di molti scettici, il concetto di globalizzazione, invece di
offrire una spiegazione delle forze che modellano l’ordine mondiale contemporaneo,
5 Naomi Klein, No Logo edizioni Baldini&Castoldi 2000, pag. 19
6 Paolo Del Debbio, Global edizioni Mondadori 2002, pag. 14
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