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Preludio
Nella vita di un artista, le tracce riferibili alla sua arte e alla sua vita sono sempre
sparse un po’ in giro, e la ricostruzione è spesso affidata a se stesso mediante
un’archiviazione sistematica del proprio materiale.
Diversamente vanno invece le cose per un artista represso negli anni bui dello
stalinismo. Tutte le tracce dell’autore (le opere, i manoscritti, gli appunti, gli scritti
teorici) vengono sistematicamente cancellate dal regime che, per ragioni soprattutto
politiche e ideologiche, fa sparire in modo scientifico ogni traccia che sia in suo pos-
sesso, relegando i documenti confiscati negli archivi di stato. Ma come ogni regime
repressivo e totalitario, anche la Russia di quegli anni archivia tutto ciò che gli è
scomodo e, nell’archiviare, opera una conservazione storica fondamentale e preziosa
per gli studiosi che tale materiale documentario consulteranno in seguito. Gli archivi
dei regimi, infatti, anche i più segreti, a meno che non vadano distrutti, prima o poi
vengono aperti e resi disponibili alla consultazione.
Così è accaduto nel caso di Nikolaj Andreevič Roslavec (1881-1944)
Dopo la sua morte, avvenuta in circostanze rimaste ancora misteriose, il suo
appartamento fu saccheggiato dalle autorità di partito che confiscarono molti mano-
scritti, anche se molti altri erano stati salvati dalla vedova.
Per trent’anni il nome di fu espunto dai dizionari musicali. Esso fu appena mensionato sal-
tuariamente nella letteratura musicale sovietica in commenti quali: «Le opere di Roslavec
non valgono la carta su cui sono scritte». Il suo nome riapparve in un dizionario di musica
sovietica soltanto nel 1978. Gli studiosi che cercarono di rivendicare una certa sua impor-
tanza furono attaccati dalla stampa anche dopo il 1982.
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Fino al 1982, infatti, tutti i musicologi russi che osavano esaltare l’opera di Ro-
slavec dovevano fare i conti con le dure censure dell’apparato culturale sovietico e
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http://www.answers.com/topic/nikolai-Roslavec (ultima visita 18 dicembre 2007).
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solo nel 1990 – quando ormai la Perestroika stava facendo il suo ingresso nella storia
– venne finalmente ritrovata la sua tomba senza nome. Oggi sono in molti a chiedersi
quante opere di Roslavec siano andate perdute dal 1944, anno della sua morte, alla
sua definitiva riabilitazione.
La cieca negazione di un proletariato reazionario – che aveva bollato Roslavec, figlio di con-
tadini e entusiasta fautore della Rivoluzione d’Ottobre, esponente di un’arte di ispirazione
borghese fine a se stessa – ha finalmente ceduto il passo a una graduale rivalutazione della
reale valenza artistica dello “Schönberg russo”.
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Klaus Schweizer, note introduttive al CD In den Stunden des Neumonds – Konzert für Violine und
Orchester n.1 (trad. mia dalla trad. inglese di R. Rieves), Wergo, 1993, Mainz, Germany, pp.11-16.
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Tema con variazioni
Tema
Dunque questo è ciò che è realmente accaduto in Russia nei trentaquattro anni
che separano la morte del compositore ucraino dall’inizio di una sua rivalutazione
storica ed artistica: «La cieca negazione di un proletariato reazionario» non lasciava
spazio né voce alla musica di Roslavec , compositore post-romantico con intuizioni
innovative nel campo della teoria musicale.
Ma sono stati davvero trentaquattro anni di silenzio? Nessuno mai in quegli
anni lo ha ricordato o citato? Non ci sono mai state esecuzioni di sue musiche? Que-
sto non è esattamente vero, almeno per quanto riguarda l’Europa occidentale e gli
Stati Uniti.
Questo elaborato vuole dunque ripercorrere alcuni momenti della vicenda u-
mana e artistica di Roslavec attraverso una ricerca bibliografica e online da me effet-
tuata per raccogliere materiali, articoli di riviste musicologiche, saggi, partiture e CD
(alcuni già da tempo in mio possesso).
Un percorso attraverso le testimonianze e la riscoperta, dalla data della sua
morte fino ai nostri giorni, di uno dei più innovativi compositori russi del Novecento.
In questo percorso mi sono limitato ad articoli e saggi in lingua inglese, che ho
potuto tradurre io stesso. Ma tante sarebbero ancora le testimonianze che, per igno-
ranza di lingua, non ho potuto prendere in considerazione. È comunque nei miei pro-
positi futuri un approfondimento che possa colmare queste lacune.
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I Variazione 1920 – 1944
Il primo scritto organico su Roslavec, negli anni in cui era ancora in vita e pri-
ma della persecuzione da parte degli apparati di regime, è un capitolo di un libro di
Leonid Sabaneev interamente dedicato ai compositori contemporanei russi.
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Egli
scrive il libro a Parigi, un anno dopo la sua partenza dalla Russia e dopo aver collabo-
rato con alcune riviste nazionali e internazionali (si pensi all’articolo Il «Prometeo»
di Skrjabin, apparso su Der Blaue Reiter nel 1912).
L’autore inizia il capitolo in questione parlando della situazione musicale degli
anni che precedono la rivoluzione e che gettano le basi della futura svolta modernista
post-rivoluzionaria, facendo riferimenti precisi a Skrjabin e all’eredità da lui lasciata
in compositori come Roslavec.
A quel tempo i suoi lavori non incontrarono consensi e in qualche modo egli divenne parte del
gruppo dei non-compositori. La sua crescita, nonostante tutto, fu interessante. Il periodo pre-
bellico, supportato dal motto “combattere contro i vecchi fondamenti musicali”, e che posse-
deva, musicalmente parlando, un forte colore rivoluzionario, era estremamente differente da-
gli impulsi inventivi del precedente romanticismo della scuola nazionale russa di Borodin,
Musorskij, Balakirev e Rimskij-Korsakov. Le precedenti innovazioni erano ingenue e arbitra-
rie, sostenute in nome della libertà e dell’arte, e rovesciavano i vecchi canoni e le vecchie re-
gole per stabilire il potere completo e la volontà del genio creativo. Nell’epoca di cui parlia-
mo, si osserva qualcos’altro. Le innovazioni sia di Skrjabin sia di coloro che facevano parte
del suo gruppo (tra i quali Roslavec occupa indubbiamente un posto di rilievo) furono un po’
differenti. I vecchi canoni furono rovesciati soltanto per stabilire, al loro posto, nuove regole,
nuovi fondamenti teorici perfino ancora più rigidi. Il sistema armonico tonale di Skrjabin por-
ta tutti i segni interni ed esterni di uno specifico e prolungato “stile severo”: Skrjabin non la-
scia libertà creativa. Al contrario riconosce i propri limiti in se stesso, conducendo il proprio
lavoro creativo entro i limiti della tradizione. Scriveva secondo regole certe, nuove è vero, ma
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Leonid Sabaneev, Modern Russian Composer, trad. dal russo di Judah A. Joffe, New York, Inter-
national Publisher, 1927. Ristampa New York, Da Capo Press, 1975, pp. 201-207.
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regole tuttavia, e entro queste scrisse, con tale puntualità e rigore che in paragone a Schumann
o Chopin, escludendo soltanto Wagner, sembrava un puro anarchico.
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Quindi nuove regole che sembrerebbero condurre all’anarchia creativa, ma che
invece nascondono principi formali rigorosissimi. È in questa atmosfera che Roslavec
si forma musicalmente. Così Sabaneev centra subito l’obiettivo, mettendo a fuoco ciò
che sarà la teoria musicale di Roslavec con l’evoluzione da lui attuata dell’accordo
sintetico, che altro non è che l’evoluzione dell’accordo usato da Skrjabin per il Pro-
meteo.
Nella pleiade dei musicisti russi che riflettevano nei suoni lo spirito della letteratura simboli-
sta, Skrjabin è paragonabile a Bal’mont, Roslavec invece è piuttosto paragonabile a Brjusof,
che freddo ben bilanciava il maestro, ammiratore fino in fondo della padronanza stilistica,
nella quale il processo creativo sembra talvolta ridotto a una serie di calcoli scientifici, che
danno tuttavia l’impressione dell’ispirazione.
Roslavec inizia dove Skrjabin finisce, proclamando un nuovo catechismo musicale di caratte-
re puramente formale e costruendo una nuova teoria armonica che rimpiazzò la vecchia. Con
Skrjabin la teoria era una sorta di “super-struttura” in senso filosofico-mistico, proprio come
tutta la sua musica in generale era concepita a partire da alcune considerazioni di ordine co-
smico, non musicale. Roslavec non aveva legami né con il misticismo né con la filosofia. Il
suo mondo non va al di la dei suoni; dietro i suoni non ci sono “rimescolamenti del caos”,
come direbbe Tjutčev. Tutto è semplice e chiaro. Egli è esteticamente positivista e, di conse-
guenza, parte da una sua teoria che applica in modo costante e metodico. Con lui la musica è
l’organizzazione dei suoni, né più né meno. Le emozioni non lo interessano; è interessato sol-
tanto ai metodi dell’organizzazione. D’ora in poi Roslavec è essenzialmente un esteta forma-
lista, un inventore di un bizzarro piano tonale dietro cui non desidera che si veda alcun’altra
sostanza, essendo egli stesso orgoglioso del suo formalismo anti-emozionale.
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È interessante notare come Sabaneev metta in risalto il formalismo sia di Skrja-
bin che di Roslavec, tuttavia differenziandoli. Certo «Roslavec inizia dove Skrjabin
4
Ivi, pp. 201-202 (traduzione mia).
5
Ivi, pp. 202-203.
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finisce», sviluppando però in modo quasi scientifico le teorie filosofico-mistiche del
predecessore. Con Roslavec la teoria diventa dogma che egli cerca di far diventare
legge universale.
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La sua teoria attinge direttamente dalla vecchia, formando una
nuova costruzione a partire dall’edificio originario.
Roslavec l’evoluzionista, che pensa che tutto deve necessariamente svilupparsi e crescere in
modo più complesso, considera la sua teoria la sola verità musicale, assoluta come le leggi
della natura. […] Egli è già uno strano tipo di “innovatore accademico”. Per lui tutto è chiaro
nel mondo della musica e non deve far altro che applicare la sua tecnica per “produrre oggetti
musicali”. E’ una combinazione di maestria e artigianato, “una mistura d’arte con qualcosa
che in nessun modo differisce dal lavoro di un orologiaio o un gioielliere”. Queste sono esat-
tamente le opinioni di Roslavec, un maestro convinto e un convinto “specialista negli affari
musicali”, come egli chiamò se stesso.
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A questo punto Sabaneev esamina, senza tuttavia mai entrare troppo nei dettagli,
la teoria di Roslavec. Ciò che principalmente nota, è l’uso che il compositore fa delle
dissonanze e delle consonanze, sostenendo che proprio il suo complesso mondo ar-
monico gli fa dimenticare la differenza, con l’effetto che le une sono interamente as-
sorbite nelle altre.
Proprio in questo suo modo di intendere l’armonia Sabaneev individua l’animo
positivista e marxista di Roslavec, che applica alla teoria musicale le sue idee politi-
che e si prefigge come obiettivo la scrittura di una musica rivoluzionaria per quel pro-
letariato ch’egli considera non passivo ascoltatore di enfatiche musiche propagandi-
stiche, ma potenziale fruitore di una musica complessa capace di «sradicare il dilet-
tantismo dalle composizioni di questo tipo e il loro scontato stile e gusto povero, di
solito proveniente dal repertorio dell’operetta e della musica leggera. Ma, malgrado
le sue premesse teoriche che la musica più complessa fosse comprensibile dal lavora-
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Egli infatti insegnerà ai suoi allievi la sua tecnica compositiva (al contrario di Schönberg che in-
segna la sua tecnica con l’aiuto dei classici), ritenendo che essa possa costituire la panacea per le
sfide musicali del XX secolo.
7
Ivi, p. 204.
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tore, qualora fosse ben organizzata, Roslavec fu alla fine obbligato a fare molte con-
cessioni e le sue composizioni rivoluzionarie, scritte per i club dei lavoratori, sono
fortemente in contrasto con lo stile delle sue composizioni “serie”».
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Il capitolo termina con la descrizione dei lavori che Roslavec scriveva in quel
periodo e del passaggio della sua produzione dagli anni Dieci agli anni Venti, quando
intensifica la scrittura per organici sempre più ampi. Le composizioni di cui parla Sa-
baneev sono quelle che verranno ritenute perdute fino alla fine degli anni Ottanta,
come ad esempio il Concerto n. 1 per violino e orchestra (1925), ritrovato poco prima
che Edison Denisov cominciasse la sua trascrizione per orchestra dalla versione per
violino e pianoforte che circolava sia in Russia che in Europa occidentale fino a quel-
la data. Di ciò riferirò dettagliatamente più avanti.
Sabaneev traccia quindi un ritratto lucido e particolareggiato di uno dei più
sfortunati compositori russi del XX secolo. Infatti, sebbene anche altri autori rimasti
volontariamente in Russia non ebbero vita facile per tutto l’arco della loro vita - come
Šostakovič dopo l’articolo anonimo (dal titolo Non musica ma rumori) apparso sulla
Pravda nel 1936 dopo la prima rappresentazione della Lady Machbeth - il caso di
Roslavec rimane uno dei più tristi e inspiegabili di tutta la storia della musica russa.
Sabaneev, dal volontario esilio parigino, provò, con scarso successo, a far conoscere
al pubblico dell’Europa occidentale la musica del compositore ucraino.
Un accordo tra la Casa Editrice di Stato di Mosca e la Universal Edition di
Vienna fece sì che alcuni lavori di Roslavec potessero essere pubblicati anche in Eu-
ropa occidentale: in tal modo almeno parte della sua musica poté varcare i confini
della Russia. Poté così iniziare il processo di riscoperta a partire dagli anni Sessanta,
quando venne eseguito per la prima volta negli Stati Uniti (1964) il III Quartetto per
archi del 1920. Proprio il III Quartetto, edito in Europa dalla Universal Edition nel
1928, fa da spartiacque nella produzione di Roslavec, che da quel momento dovrà fa-
re i conti con la crudele persecuzione stalinista.
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Ivi, pp. 206-207.