Introduzione
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lotta ha la forma di una critica che riguarda tutta la cultura.”
1
E’ questa continua
battaglia con la verità, di cui l’uomo razionale si fa orgoglioso portatore, che ha
portato Nietzsche ad affermare l’uomo primitivo, la bestia dionisiaca, in cui tutti gli
impulsi vitali sono accettati ed esaltati. Questa verità che si basa sul dualismo
vero/falso, soggetto/oggetto, si contrappone inevitabilmente con il nichilismo,
distruttivo certo, ma liberatorio, e, soprattutto, per andare al di là del bene e del male.
Solo grazie alla volontà di potenza, questa volontà assolutamente creatrice, si può
essere essenzialmente umani, superumani; solo così è possibile cogliere l’essenza
delle cose, vivere con tutto il corpo, il sangue, la vita ebbra della terra. La
conseguenza di un tale uomo dionisiaco è il superamento, necessario e inevitabile,
del concetto, la sua stessa distruzione. La distruzione dell’intelletto, o meglio, della
sua supremazia nella vita, l’innalzamento di tutti i sensi del corpo. La carnalità del
corpo prende il sopravvento, ma ciò non significa che la conoscenza si è persa, ma è
proprio questa prospettiva ad essere il vero strumento cognitivo, di un sapere non più
fittizio, ma concreto, doloroso e terribile, ma assolutamente reale. E’ un sapere
entusiastico, creativo, è un’esperienza continuamente diveniente, che non è mai
divenuta, è il gesto che ritorna, identico a se stesso, eternamente, eppure il lancio di
dadi avviene una sola volta, quell’unica volta. Pertanto, la teoria nietzscheana
dell’eterno ritorno si manifesta proprio in questa sua paradossalità, ossia nell’essere
una duplice azione, che in realtà è una.
La domanda che viene a porsi legittimamente è come si può stabilire
l’equazione secondo cui arte/pittura = Nietzsche/Dioniso. Particolarmente urgente si
pone la questione: come può questa visione essere un pensiero che si esprime in
1
E. Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Venezia, 1993, p. 10.
Introduzione
4
termini pittorici? Ancora: come mai solo con l’irrazionalità è possibile una lettura
coerente e non falsificante del pensiero di Nietzsche?
Una prima risposta si può prendere proprio da Nietzsche, che afferma:
“L’arte non è solo imitazione della realtà naturale, bensì proprio un supplemento
metafisico della realtà di natura, posto accanto a questa per superarla. Il mito
tragico, in quanto appartiene in generale all’arte, partecipa inoltre pienamente a
questo fine metafisico di trasfigurazione che ha l’arte in generale: ma che cosa
trasfigura, quando presenta il mondo dell’apparenza nell’immagine dell’eroe che
soffre? Non certo la “realtà” di questo mondo dell’apparenza.”
2
Poco oltre:
“Solo come fenomeno estetico l’esistenza ed il mondo appaiono giustificati: in
questo senso proprio il mito tragico deve convincerci che perfino il brutto e il
disarmonico sono un gioco artistico che la volontà gioca con se stessa nell’eterna
pienezza del suo godimento.”
3
Non solo, ma, secondo Nietzsche, tutta l’arte ha la peculiarità di essere
qualcosa di chimerico e irrazionale.
4
2
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1989, p. 158.
3
Ibid., p. 159.
4
F. Nietzsche, Aurora, Mondadori, Milano, 1981, § 263, p. 168.
Introduzione
5
Balza, quindi, tosto in evidenza che l’artista è portatore di una creazione
irrazionale, ingiustificabile concettualmente, la cui unica possibilità d'esistenza è
estetica. E, come si è appena visto, l’esistenza ed il mondo si possono giustificare
solo come fenomeno estetico, creati dalla volontà creatrice, la quale gioca come un
fanciullo con se stessa
5
, alla ricerca di un piacere possibile solo in virtù dell’ebbrezza
dionisiaca, che, a sua volta, si maschera nel sogno apollineo, senza di cui non
sarebbe pensabile sopportare l’esistenza. L’arte, l’opera d’arte, non è la “realtà”, ma
solo un'integrazione, un surplus metafisico della realtà naturale, che si pone accanto
a questa, per superarla in qualcosa di superiore.
L’arte di cui parla Nietzsche è creata da un tipo d’artista particolare, l’artista
primitivo, ossia da un uomo lontano dal concetto, lontano dalla “verità”.
Infatti:
“Gli stati in cui poniamo nelle cose una trasfigurazione e pienezza e poetiamo su
di esse, finché rispecchino la nostra pienezza e gioia di vivere:
l’istinto sessuale
l’ebbrezza
il mangiare
la primavera
la vittoria sul nemico, lo scherno
il pezzo di bravura; la crudeltà; l’estasi del sentimento religioso.
5
Cfr. Eraclito, Dell’origine, Feltrinelli, Milano, 1993, p. 198. (Nietzsche ne fa spesso riferimento nella sua
filosofia).
Introduzione
6
Tre elementi principalmente:
l’istinto sessuale, l’ebbrezza, la crudeltà: che appartengono tutti alla più antica
gioia FESTIVA dell’uomo; che, del pari, prevalgono tutti nell’“artista”
primitivo.”
6
Le caratteristiche dell’artista primitivo sono quelle che contraddistinguono la
figura di Dioniso, che è una maschera di centrale importanza nel pensiero del
filosofo tedesco. Dunque, da queste citazioni è possibile capire immediatamente che
l’arte di cui qui si parla è di tipo particolare, cioè necessita della creazione di un
artista dionisiaco, caratterizzato dai sentimenti dell’ebbrezza, dell’istinto sessuale e
della crudeltà; sentimenti che appartengono alla festa orgiastica in onore del dio
Dioniso, un Dio capace di danzare e volare, capace di toccare l’essenza della realtà,
dolorosa, ma anche capace di sopportarla con gioia, grazie alla mediazione visionaria
del dio con lui in stretto rapporto: Apollo. Solo mediante la necessaria
compenetrazione dei due stati che contraddistinguono l’arte (l’apollineo e il
dionisiaco), attraverso cui l’arte si esprime, è possibile una trasfigurazione metafisica
della realtà e, nel contempo, un suo superamento.
Pertanto la prima necessità di questa tesi consisterà nella chiarificazione del
rapporto Apollo-Dioniso, come figure centrali del pensiero artistico di Nietzsche. Ma
ad una questione posta in precedenza non è stata data ancora una risposta, anche per
la complessità della stessa. Si tratta del fatto che la figura dionisiaca si esprimerebbe
in termini pittorici, anzi, che il pensiero nietzscheano sia comprensibile solo in virtù
di una prospettiva pittorica. La questione è molto delicata, in quanto per Nietzsche il
6
F. Nietzsche, frammenti postumi 1887 - 88, Adelphi, Milano, 1971, p. 50.
Introduzione
7
testamentario delle arti figurative è Apollo, e tale affermazione è molto esplicita
nelle sue opere, ma basti questo passo per farsene una precisa idea:
“Lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco...
Alle loro due divinità artistiche [dei greci], Apollo e Dioniso, si riallaccia la
nostra conoscenza del fatto che nel mondo greco sussiste un enorme contrasto,
per origine e per fini, fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa
della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono l’uno
accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione
reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di
quell’antitesi, che il comune termine “arte” solo apparentemente supera; finché,
da ultimo, per un miracoloso atto metafisico della “volontà” ellenica, appaiono
accoppiati l’uno all’altro e in questo accoppiamento producono finalmente
l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia Attica.”
7
Il passo è preciso: Apollo è la divinità dell’arte figurativa, mentre Dioniso si
contrappone in quanto divinità espressamente non figurativa. Il passo sembra
indiscutibilmente negare la tesi di questo lavoro, dato che il preciso compito
proposto è quello di mostrare come Nietzsche esprima la sua filosofia, mediante la
maschera dionisiaca, in termini pittorici, e quindi figurativi. Se il fatto che l’arte è
l’Organon della conoscenza è chiaro, non è chiaro come questa possa essere
figurativa nello stato dionisiaco. Pertanto: come può un’arte non figurativa
esprimersi pittoricamente, vale a dire per immagini? Ma, anche in questo caso, è
Nietzsche stesso a dare una chiara risposta in merito, facendo notare che rispetto agli
7
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1989, p. 21.
Introduzione
8
stati artistici immediati della natura (apollineo-dionisiaco), ogni artista umano è un
“imitatore”, in altre parole:
“o artista apollineo del sogno o artista dionisiaco dell’ebbrezza o infine - come
per esempio nella tragedia greca - insieme artista del sogno e dell’ebbrezza.
Quest’ultimo dobbiamo raffigurarcelo all’incirca come uno che, nell’ebbrezza
dionisiaca e nell’alienazione mistica di sé, si lascia andare solitario e in disparte
dalle schiere deliranti, e al quale poi, attraverso l’influsso apollineo del sogno, il
suo stato, cioè la sua unità con l’intima essenza del mondo, si rivela in
un’immagine di sogno simbolica.”
8
Quindi l’artista è dionisiaco, non solo apollineo, e tale uomo artistico si rivela
in un'immagine di sogno, che certamente è peculiarmente apollinea, ma è con tale
immagine che si rivela il dionisiaco. Questo sta significando, altrettanto
inequivocabilmente come nel passo citato in precedenza, che il dionisiaco per
mostrarsi necessita dell’immagine, del sogno e della visione, che senza le pennellate
simboliche dell’artista il dionisiaco andrebbe perso inevitabilmente. Questa lettura è
confermata dal filosofo tedesco verso la fine del paragrafo:
“Nel ditirambo dionisiaco l’uomo viene stimolato al massimo
potenziamento di tutte le sue facoltà simboliche; qualcosa di mai sentito preme
per manifestarsi, l’annientamento del velo di Maya, l’unificazione come genio
della specie, anzi della natura.
8
Ibid., p. 27.
Introduzione
9
Ora l’essenza della natura deve esprimersi simbolicamente; è necessario
un nuovo mondo di simboli, e anzitutto l’intero simbolismo del corpo, non
soltanto il simbolismo della bocca, del volto, della parola, ma anche la totale
mimica della danza, che muove ritmicamente tutte le membra. In seguito
crescono all’improvviso e impetuosamente le altre capacità simboliche, quelle
della musica, come ritmica, dinamica e armonia. Per comprendere questo
scatenamento totale di tutte le capacità simboliche, l’uomo deve essere già giunto
a quel vertice d'alienazione di sé che in quelle capacità vuole esprimersi
simbolicamente: il ditirambico seguace di Dioniso viene quindi compreso solo
dai suoi simili! Con quale stupore dové guardare a lui il Greco apollineo! Con
uno stupore che era tanto più grande, quanto più in esso si mescolava l’orrore di
sentire che tutto quello non gli era poi davvero così estraneo, anzi che la sua
coscienza apollinea gli nascondeva questo mondo dionisiaco solo come un velo.
[corsivo mio]”
9
E’ confermata quindi la tesi di un artista dionisiaco manifestantesi solo grazie
all’immagine visionaria del suo lato apollineo; tale immagine si traduce
espressamente nel corpo dell’artista, in tutta la sua mimica, più precisamente nella
danza. Così come viene ad essere confermata la tesi della compenetrazione di Apollo
in Dioniso, e viceversa, nonostante si verifichi qui la compenetrazione di una
contraddizione. Ma è proprio nella contraddizione che si risolve l’arte. Questo
significa andare contro la lettura che Colli ha fatto di Nietzsche su questo aspetto, o
almeno, voler affermare che la tesi data da Colli sia stata data già da Nietzsche in
9
Ibid., pp. 29-30.
Introduzione
10
modo compiuto. Infatti, in La sapienza greca I,
10
Colli afferma che in Dioniso
"l'orgiasmo è anche danza, musica, gioco, allucinazione, stato contemplativo,
trasfigurazione artistica, controllo di una grande emozione. Quest'aspetto
dell'orgiasmo già Nietzsche l'aveva colto, sia pure unilateralmente, e proprio nella
prima fase della sua speculazione su Dioniso, quando affermava che il dionisiaco è
un istinto estetico. Se cerchiamo però un carattere generale che accomuni tutti gli
aspetti, nell'orgiasmo stesso, di opposizione al trascinamento incontrollato
dell'impulso vitale, troviamo il subentrare - al culmine dell'eccitazione, anzi come
risultato ultimo, trasfigurato, del suo più intenso scatenarsi - di una rottura
contemplativa, artistica, visionaria, di un distacco conoscitivo. L'"uscire fuori di sé",
ossia l'"estasi" nel significato letterale della parola, libera un sovrappiù di
conoscenza. In altre parole, l'estasi non è il fine dell'orgiasmo dionisiaco, ma soltanto
lo strumento di una liberazione conoscitiva: rotta la sua individualità, il posseduto da
Dioniso "vede" quello che i non iniziati non vedono."
Mentre, in Dopo Nietzsche
11
, Colli dice: “Apollo, nella sua significazione
avvolgente, come simbolo di esaltazione conoscitiva, come parvenza che allude a
qualcosa di nascosto, non solo si allarga in Dioniso, o almeno è affine a lui, è in
comunicazione con Dioniso inteso come effusione interiore del sentimento,
straripante e collettiva, come immediatezza e animalità estranee alla parola, ma è il
dio della sapienza, allo stesso modo che lo è dell'arte, è il protettore della comunità
pitagorica. Non c'è antitesi qui tra arte e conoscenza, come vorrebbe Nietzsche, e
Dioniso non è un dio concorrente della sapienza, poiché quest'ultima è negata alla
parola, strumento d'Apollo. Costui è il dio del responso, della parola ambigua, della
10
G. Colli, La sapienza greca I, Adelphi, Milano, 1990, p. 18.
Introduzione
11
divinazione, della conoscenza del futuro, e indirizza tutto ciò con imperiosa ostilità,
con fomentazione agonistica. L'istigazione a interpretare, l'oscurità della parola come
stimolo alla lotta, la formulazione antitetica dell'enigma: ecco gli elementi apollinei
che vivranno nella dialettica. Il carattere di Apollo riapparirà nella spietata volontà di
vittoria di chi discute, e la sua violenza si tradurrà nel legame di necessità che stringe
l'argomentare della ragione.”
In Nietzsche l’estasi è il fine dell’orgiasmo dionisiaco, ma è anche il mezzo,
lo strumento efficace, di una liberazione conoscitiva. E’ nel momento che raggiunge
il suo fine (scopo) che Dioniso si perde come individualità, si compenetra totalmente
con Apollo e, appunto, vede ciò che i non iniziati non vedono. Diviene corpo
simbolico e si fa opera d’arte nel suo essere immagine diveniente, grazie alla visione
sognante della sua contraddizione interna, in pratica Apollo. Dioniso e Apollo
costituiscono in tal modo i due volti di una stessa medaglia; pertanto, non vi può
esserci una rappresentazione dionisiaca senza l’apparire apollineo. Non si potrebbe
comprendere altrimenti come Nietzsche abbia potuto affermare l’espressione
dionisiaca di quadri di Michelangelo o di Raffaello o Leonardo da Vinci, dichiarando
la loro lontananza dal naturalismo positivistico e la loro non cristianità.
“Pongo Michelangelo più in alto di Raffaello, perché egli, attraverso tutti i veli e
i pregiudizi cristiani del tempo, intravide gli ideali di una cultura più nobile di
quella cristiano-raffaellesca, mentre Raffaello si limitò a glorificare, fedele e
modesto, i valori del suo tempo, e non portò in sé nessun istinto di ricerca e di
inquietudine. Michelangelo vide e sentì il problema del legislatore di valori
nuovi, come anche il problema dell’uomo completo e vittorioso, che ha bisogno
11
G. Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano, 1988, p. 46.
Introduzione
12
di superare anche l’“eroe in sé”; l’uomo salito troppo in alto, che si innalza al di
sopra anche della propria compassione e che sfracella e distrugge anche ciò che
non gli appartiene - splendidamente e con imperturbata divinità. Solo in alcuni
momenti, naturalmente, Michelangelo fu così alto e così al di fuori del suo tempo
e dell’Europa cristiana; per lo più il suo comportamento fu condiscendente verso
l’eterno femminile del cristianesimo; sembra anzi che si sia alla fine spezzato
proprio di fronte ad esso, abbandonando l’ideale delle sue opere più alte. Si
trattava, infatti, di un ideale a cui può essere pari solo un uomo nella più forte e
alta pienezza della vita, non certo un vecchio! Sì, in fondo egli, in base al suo
ideale, avrebbe dovuto distruggere il cristianesimo! Ma a tal fine non era
abbastanza pensatore e filosofo. Leonardo da Vinci è stato forse il solo di questi
artisti ad aver avuto uno sguardo veramente sovracristiano. Egli conosce
“l’Oriente”, quello interno altrettanto bene di quello esterno. C’è in lui qualcosa
di sovraeuropeo e di taciuto, qualcosa che è tipico di chiunque abbia contemplato
una cerchia troppo vasta di cose buone e cattive.”
12
Ancora di Raffaello:
“Un cristiano che allo stesso tempo sia artista, non esiste... Non si sia puerili e
non mi si obbietti Raffaello o certi cristiani omeopatici del diciannovesimo
secolo: Raffaello diceva Sì, Raffaello faceva Sì, di conseguenza Raffaello non
era un cristiano...”
13
12
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884 - 1885, Adelphi, Milano, 1975, pp. 148-49.
13
F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, in Il caso Wagner. Crepuscolo degli idoli. L’anticristo, Mondadori,
Milano, 1988, p. 129.
Introduzione
13
Che Nietzsche si sia espresso in termini pittorici è dimostrato non solo dal
fatto di considerare alcuni grandi pittori del Rinascimento italiano come artisti
dionisiaci, ma anche e soprattutto dal fatto di aver egli stesso testimoniato di scrivere
con il pennello, di dipingere il proprio pensiero, fatto di immagini e di figure che
sono state la sua guida ed il suo punto di partenza, per una filosofia artistica. Inoltre
egli ha chiarito come le sue prime opere, nonostante una struttura criticata e rifiutata
nel futuro
14
, contenevano in germe già tutto il suo pensiero compiuto. Era già
presente l’affermazione dell’artista come uomo intuitivo, contrapposto all’uomo
razionale, l’uomo dionisiaco contro il filosofo del concetto.
15
“Ciò che io stesso un giorno, nei miei “anni giovani”, scrissi, e dipinsi più che
scrissi, in un affresco troppo temerario, tracotante ed eccessivamente giovanile,
su Schopenhauer e Richard Wagner, meno che mai starò oggi ad analizzarlo nei
particolari, rispetto alla sua “verità” o “falsità”. Ma posto che io mi sia allora
ingannato, il mio inganno almeno non torna a disdoro né dei suddetti né di me
stesso! E’ qualcosa, sbagliare così; è anche qualcosa aver sedotto a questo punto
proprio me. Inoltre, fu per me in ogni caso un beneficio inestimabile - quando mi
risolsi a dipingere “il filosofo” e “l’artista”, e per così dire il mio “imperativo
categorico” - aver potuto apporre i miei colori nuovi non del tutto su qualcosa
d'irreale, ma quasi su figure disegnate in precedenza. Senza saperlo, parlavo solo
per me, anzi in fondo solo di me. Nondimeno, tutto quello che allora vissi, è per
una certa specie di uomini un’esperienza tipica, esprimere la quale --- E chi
leggerà quegli scritti con un’anima giovane e ardente, indovinerà forse i severi
voti con cui mi legai allora per tutta la vita, con cui mi risolsi a vivere la mia vita:
14
Cfr. F. Nietzsche, Ecce homo, in Ecce Homo. Ditirambi di Dioniso. Nietzsche contra Wagner, Mondadori,
Introduzione
14
possa egli essere uno dei pochi a cui è dato decidersi per una vita simile e
pronunciare voti simili!”
16
L’artista è quindi costantemente legato all’immagine, non può prescinderne;
è uno che sa danzare, stare in ritmo e armonia, ma non è alla ricerca della “verità”,
non è dominato dalla “volontà di verità”; egli si differenzia dal filosofo. Infatti “gli
uomini della conoscenza” cercano sempre di sapere e stabilire che cosa è, e non
sanno mai determinare niente del così come dev’essere, capacità peculiare
dell’artista.
Gli artisti “determinano un’immagine di ciò che dev’essere - sono produttivi, in
quanto effettivamente cambiano e trasformano; non come gli uomini della
conoscenza, che lasciano tutto com’è.”
17
Quindi:
“L’arte e nient’altro che l’arte! Essa è la grande creatrice della possibilità di
vivere, la grande seduttrice della vita, il grande stimolante per vivere.”
18
Milano, 1983, p. 48.
15
Ibid., p. 49.
16
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884 - 1885, Adelphi, Milano, 1975, p. 360.
17
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887 - 1888, Adelphi, Milano, 1971, p. 27.
18
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888 - 1889, Adelphi, Milano, 1974 p. 310.