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Infatti, gli stati di tutto il mondo stanno attivando gruppi di ricerca per la
progettazione di Robot in grado di aiutare l’anziano nella normale
attività quotidiana. Essi dovrebbero servire da personal assistant
tuttofare, teoricamente capaci di svolgere faccende domestiche come
lavare vestiti e stoviglie e pulire il pavimento. Sarà prevista inoltre la
possibilità di poter fare un check-up veloce e automatizzato dello stato di
salute, come rilevare il livello della pressione arteriosa, senza trascurare
la cura dell'igiene personale per gli anziani che avessero difficoltà in tal
senso.
Li vede così anche uno dei maggiori esperti del mondo di robotica e
padre dei robot antropomorfi, il giapponese Hirochika Inoue, che ha
detto “la vita è destinata ad essere supportata dai robot, non saranno tutti
robot umanoidi, ma di aspetto e dimensioni simili a quelle umane
possono essere una scelta vincente per orientarsi in un ambiente calibrato
sulle dimensioni umane”. Egli vede già sistemi capaci di aiutare gli
anziani nei movimenti, di accompagnarli, di muoversi fuori e dentro casa
per prendere e portare oggetti.
In questo contesto concentreremo la nostra attenzione sulla progettazione
e lo sviluppo di un robot, di nome ICA ( atural Interaction with a
Cares Agent ) in grado di riconoscere l’emotività di un anziano, il
contesto in cui si trova e di inferire su di essi dialoghi di natura
informativa o di task maintaining con il supporto di un sistema emotivo
in grado di esprimere emotività dati stati d’animo che pervengono
all’interno del sistema . Esso sarà anche in grado di svolgere attività di
task reminding e di advising considerando gli appuntamenti e le attività
che giornalmente devono essere svolte dall’anziano.
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2. UBIQUITOUS ROBOTICS
Negli ultimi anni la ricerca internazionale nel settore della robotica ha
cominciato a realizzare sistemi artificiali basati sul concetto di
“ubiquitous robotics” (2). Si tratta in sostanza di realizzare dei sistemi
robotici (in molti casi mobili e capaci di una certa “semiautonomia”) da
inserire in un ambiente reale ( ad esempio nell’ambiente domestico ) e
collegati con una infrastruttura telematica presente all’interno
dell’ambiente (così come detto in precedenza). Se come sistema usiamo
un robot, esso muovendosi ha la possibilità di compiere una serie di
attività sulla base di vari input che riceve sia dall’utente con cui
“convive” che da una serie di sensori artificiali situati all’interno
dell’abitazione ed anch’essi collegati alla “rete domestica”. Ad esempio,
una serie di sensori visivi può permettere al robot di identificare eventi
pericolosi in una posizione lontana dalla sua e farlo agire di
conseguenza. In questa maniera, il sistema robot-retesensori è capace di
eseguire numerosi compiti con un buon grado di autonomia, buone
prestazioni e discreta intelligenza.
Questo approccio è attualmente utilizzato in Giappone, Corea, Stati
Uniti, Europa ed alcuni di questi sistemi sono stati e sono tuttora in fase
di test in residenze sanitarie o nelle case di soggetti senior. I risultati
sono stati così interessanti da portare nel recente passato il Ministero
delle Comunicazioni coreano a finanziare alcuni sistemi robotici che
stanno per entrare in commercio e che sono basati su questo schema,
seppure con una intelligenza ed una autonomia limitate. Questo
approccio sembra essere particolarmente interessante nel caso di soggetti
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con disordini cognitivi come nel caso dell’Alzheimer o di altri tipi di
demenze. In questo caso il robot, oltre a svolgere compiti di assistenza
nelle attività quotidiane a supporto della qualità della vita del soggetto,
deve avere un certo grado di “intelligenza cognitiva” per identificare
eventuali situazioni pericolose che coinvolgono quest’ultimo (ad
esempio, una caduta oppure una fuga di gas) e cercare di porvi rimedio
se possibile allertando mediante comunicazione telefonica un call-center,
i parenti più vicini o in casi estremi l’ospedale. Il robot deve inoltre
essere in grado di osservare le attività che il soggetto sta svolgendo ed
identificare eventuali sequenze errate. Questo tipo di intelligenza è
particolarmente difficile da ottenere, ma è fondamentale specialmente
nel caso di utenti con disordini cognitivi spesso soggetti a
“dimenticanze” durante compiti caratterizzati dalla successione di
numerose azioni differenti (anche fare il caffè può essere complicato in
alcuni casi!). Inoltre, il robot può coinvolgere il soggetto senior in una
serie di “giochi cognitivi” pensati al fine di rallentare l’insorgenza di
disturbi ad esempio a livello della memoria, eventualità altamente
frequente nelle patologie di demenza. Infine, l’interazione fra il robot ed
il soggetto può rappresentare una evoluzione della terapia “emozionale”
realizzata in alcuni ospedali utilizzando animali domestici o comunque
capaci di suscitare reazioni “piacevoli” e positive.
E’ importante sottolineare che questi robot devono assolutamente essere
capaci di “scomparire”, quando il loro intervento non è necessario. Non
devono essere visti come intrusi da parte del soggetto anziano ma come
“vecchi amici” capaci di “apparire” e di essere presenti solo quando è
necessario. Solo in questa maniera i robot (ed in generale tutta la
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tecnologia) possono essere accettati dai possibili utilizzatori. Questo tipo
di approccio è attualmente perseguito presso la Scuola Superiore
Sant'Anna per la realizzazione di sistemi robotici e meccatronici basati
sul paradigma dell’ubiquitous robotics. Nei prossimi mesi alcuni sistemi
saranno realizzati e testati durante esperimenti in ambito clinico al fine di
comprendere le potenzialità di questo approccio.
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2.1 Context-Awareness
Si riferisce all'idea che il computer sia in grado di percepire e di reagire
in base al contesto in cui si trova. Questi dispositivi possono avere
informazioni sulle circostanze in base alle quali essi sono in grado di
operare basandosi su regole o stimoli intelligenti, per reagire di
conseguenza. Il termine contesto di sensibilizzazione e ubiquitous
computing è stato introdotto da Schilit (1994).I dispositivi sensibili al
contesto possono anche provare a fare ipotesi circa la propria situazione
attuale. Dey (2001) definisce il contesto come "qualsiasi informazione
che può essere utilizzata per caratterizzare la situazione delle entità."
Per esempio: un cellulare sensibile al contesto sa che è attualmente in
sala congressi, e che l'utente è seduto. Il telefono cellulare può
concludere che l'utente è attualmente in una riunione e quindi rifiutare
qualsiasi chiamata irrilevante. I sistemi sensibili al contesto sono sistemi
interessati all'acquisizione del contesto (ad esempio, utilizzando dei
sensori per percepire una situazione), l'astrazione e la comprensione del
contesto (ad esempio far corrispondere uno stimolo sensoriale ad un
contesto), e l'applicazione del comportamento basato sul contesto
riconosciuto (ad esempio, innescando azioni sulla base del contesto.
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Schmidt, Beigl & Gellersen definiscono i fattori umani e l'ambiente
fisico come due aspetti per la definizione del contesto (3) . I fattori
umani connessi al contesto sono strutturati in tre categorie:
Informazioni sull'utente (conoscenza delle abitudini, stato
emotivo, condizioni biofisiologiche)
Relazioni sociali nell’ambiente (co-locazione di altri, l'interazione
sociale, dinamiche di gruppo)
Compiti dell'utente (attività spontanea, obiettivi generali).
Allo stesso modo, l'ambiente fisico legato al contesto è strutturato in tre
categorie:
Posizione (posizione assoluta, posizione relativa, co-locazione)
Infrastrutture (risorse circostanti per il calcolo, comunicazione
prestazioni compito)
Condizioni fisiche (rumore, luce, pressione).
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2.2 Intelligenza Artificiale
Con il termine intelligenza artificiale (spesso abbreviato in AI,
dall'inglese Artificial Intelligence), si intende generalmente l'abilità di un
computer a svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana (4).
Questa espressione (Artificial Intelligence) fu coniata nel 1956 dal
matematico americano John McCarthy, durante uno storico seminario
interdisciplinare svoltosi nel New Hampshire. Secondo le parole di
Marvin Minsky, uno dei "pionieri" della I.A., lo scopo di questa nuova
disciplina sarebbe stato quello di "far fare alle macchine delle cose che
richiederebbero intelligenza se fossero fatte dagli uomini".
L'IA, tratta dell'individuazione dei modelli (appropriata descrizione del
problema da risolvere) e degli algoritmi (procedura effettiva per
risolvere il modello).
Questa formulazione viene studiata con differenti sapori e con approcci
differenti. Ognuno dei due aspetti (modellizzazione o algoritmico) ha via
via maggiore o minore importanza e varia lungo uno spettro abbastanza
ampio.
Un punto di svolta della materia si ha con un famoso articolo di Alan
Turing sulla rivista Mind nel 1950. Nell'articolo viene indicata la
possibilità di creare un programma al fine di far comportare un computer
in maniera intelligente. Quindi la progettazione di macchine intelligenti
dipende fortemente dalle possibilità di rappresentazione simbolica del
problema.
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Il “test di Turing” così viene chiamata la condizione che la macchina
dovrebbe superare per essere considerata intelligente è stato più volte
superato da programmi e più volte riformulato, tanto che queste teorie
hanno ricevuto diverse confutazioni. Il filosofo Searle ne espose una
famosa, chiamata "la stanza cinese".
Il test consiste in un gioco, noto come gioco dell'imitazione, a tre
partecipanti: un uomo A, una donna B, e una terza persona C.
Quest'ultimo è tenuto separato dagli altri due e tramite una serie di
domande deve stabilire qual è l'uomo e quale la donna. Dal canto loro
anche A e B hanno dei compiti: A deve ingannare C e portarlo a fare
un'identificazione errata, mentre B deve aiutarlo. Affinché C non possa
disporre di alcun indizio (come l'analisi della calligrafia o della voce), le
risposte alle domande di C devono essere dattiloscritte o similarmente
trasmesse.
Questo test si basa sul presupposto che una macchina si sostituisca ad A.
In tal caso, se C non si accorgesse di nulla, la macchina dovrebbe essere
considerata intelligente, dal momento che - in questa situazione - sarebbe
indistinguibile da un essere umano.
Per macchina intelligente Turing ne intende una in grado di pensare,
ossia capace di concatenare idee e di esprimerle. Per Turing, quindi, tutto
si limita alla produzione di espressioni non prive di significato.
Nell'articolo si legge: Secondo la forma più estrema di questa opinione,
il solo modo per cui si potrebbe essere sicuri che una macchina pensa è
quello di essere la macchina stessa e sentire se si stesse pensando. Allo
stesso modo, la sola via per sapere che un uomo pensa è quello di essere
quell'uomo in particolare. Probabilmente A crederà "A pensa, mentre B
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no", mentre per B è l'esatto opposto "B pensa, ma A no". Invece di
discutere in continuazione su questo punto, è normale attenersi alla
educata convenzione che ognuno pensi.
Nello stesso anno dell'articolo di Turing sull'omonimo test per le
macchine pensanti, Arthur Samuel presenta il primo programma capace
di giocare a Dama, un risultato molto importante perché dimostra la
possibilità di superare i limiti tecnici (il programma era scritto in
Assembly e girava su un IBM 704) per realizzare sistemi capaci di
risolvere problemi tradizionalmente legati all'intelligenza umana. Per di
più, l'abilità di gioco viene appresa dal programma scontrandosi con
avversari umani.
Nel 1956, alla conferenza di Dartmouth (la stessa conferenza a cui l'IA
deve il suo nome), viene mostrato un programma che segna un'altra
importante tappa dello sviluppo dell'IA. Il programma LT di Allen
Newell, J. Clifford Shaw e Herb Simon rappresenta il primo
dimostratore automatico di teoremi.
La linea seguita dalla giovane IA si basa quindi sulla ricerca di un
automatismo nella creazione di un'intelligenza meccanica. L'approccio
segue essenzialmente un'euristica di ricerca basata su tentativi ed errori
oltre che investigare su tecniche di apprendimento efficaci.