7
1. DAL NEW HORROR ALL’HORROR DEL NUOVO
MILLENNIO
1.1 Le origini dell’horror cinematografico
L’horror è uno dei generi più amati e affascinanti di sempre, nel suo corso ha
avuto una potenziale presa sul pubblico e non ha mai subìto battute d’arresto, a quanto
pare è intramontabile. Oggi tendenzialmente rivalutato, in passato, però, è stato spesso
oggetto di critiche in quanto considerato alla stregua dei generi di serie B oltre che
prodotto trash per teenager. Tuttavia, anche se apparentemente poco realistico, nasconde
molteplici situazioni, messaggi e critiche che si agganciano, più di quanto si creda, alla
realtà. Non è sbagliato considerare l’horror il genere che più di tutti rappresenta il
mondo in cui viviamo facendo riflettere su di esso. L’horror tratta ‹‹in modo altrettanto
profondo [rispetto al cinema d’arte] problemi sociali, ed esprim[e] riflessioni sulla vita,
la morte, l’ignoto››
1
; secondo Stephen King
il genere horror è estremamente flessibile, estremamente adattabile, estremamente utile;
l’autore o il regista possono usarlo come un piede di porco per scardinare porte chiuse,
o come un piccolo grimaldello per aprire le serrature. Perciò […] può essere usato per
aprire quasi ogni gabbia e liberare le paure che vi stanno dentro
2
,
che stanno dentro in tutti noi.
Questa tesi vuole essere una sorta di viaggio alla scoperta di ciò che il genere più
amato dai teenager nasconde e sfatare la convinzione che si tratti di puro
intrattenimento, senza ovviamente nessuna pretesa di esaustività. Sulla storia del cinema
horror è già stato detto abbastanza ma ciò che il panorama cinematografico ha offerto
nell’ultimo decennio – molto ricco e variegato – è poco affrontato. Ci si limiterà, perciò,
ad analizzare quello che in alcuni saggi apparsi in Cinergie. Il cinema e le altre arti
3
è
stato definito New-New Horror in relazione a un’altra grande stagione che è il New
1
Stuart M. Kaminsky, Generi cinematografici americani, Parma, Pratiche, 1994, p. 16.
2
Stephen King, Danse Macabre, s.l., Frassinelli, 2000, pp. 154-155.
3
Cinergie. Il cinema e le altre arti, n. 12, settembre 2006.
8
Horror
4
: l’idea di fondo, in tali saggi, è quella di considerare l’ultimo decennio – a
partire dal 1999 – come una rivisitazione o meglio un ‹‹remake›› dell’horror moderno.
Quindi, oltre ad analizzare le principali tendenze, si cercherà di verificare se esistono i
legami fra queste due stagioni del cinema dell’orrore
5
.
Prima di tutto bisogna affrontare alcune questioni legate al genere. ‹‹La parola
horror deriva dalla combinazione fra il latino horrere che significa “spaventare” e
l’antico francese orror che significa “rabbrividire”››
6
. Fin dall’antichità l’uomo racconta
storie del terrore legate a demoni e fantasmi ma è solo fra Settecento e Ottocento, ‹‹con
l’affermarsi del romanzo gotico in Inghilterra e di quello fantastico e orrorifico in
Germania, che il genere inizia a definirsi e codificarsi in risposta a quel complesso e
vasto movimento di pensiero che fu l’Illuminismo››
7
. Quindi, a differenza di ciò che i
lumi sostenevano – il predominio della ragione e la possibilità di spiegare qualsiasi
fenomeno – il gotico ‹‹si qualifica […] come riscoperta e rivalutazione di tutto ciò che è
irrazionale e soggettivo››
8
. L’orrore, prima nella letteratura e poi al cinema, non ha mai
conosciuto crisi; il pubblico vi trova una sorta di fuga dalla realtà oltre che
un’esorcizzazione delle proprie paure e inquietudini – soprattutto della morte – ed è
colpito e affascinato da tutto ciò che è orrido, macabro ed eccessivo. Michela Vanon
Alliata scrive che
il cinema horror articola una serie di tematiche che investono l’interiorità più profonda e
spesso malata dell’individuo nei suoi rapporti con la natura e la società: l’insofferenza
del limite, l’ansia di potere, l’attrazione per l’irrazionale, nonché il sovvertimento delle
leggi umane e sociali
9
.
La trasgressione insita nel cinema horror è uno dei segreti che ha reso vincente questo
genere tanto amato dal pubblico di tutto il mondo.
Sebbene questa tesi non tratti l’intera storia dell’horror, è comunque necessario
delinearne le tappe fondamentali per meglio capirne l’evoluzione dato che, di qualsiasi
argomento, è impossibile capire il presente senza conoscere il passato. Tralasciando il
primo ventennio del cinema muto, in cui è difficile trovare una linea comune nei pochi
‹‹film horror›› realizzati, è con l’Espressionismo tedesco che si delineano alcune delle
4
Per New Horror si intende l’horror moderno a partire dalla fine degli anni sessanta fino all’inizio degli
ottanta, in concomitanza con lo sviluppo della New Hollywood.
5
Precisiamo che la trattazione dell’horror contemporaneo si limiterà alla cinematografia statunitense
anche se non mancheranno riferimenti ad altri paesi.
6
Traduzione da Nöel Carroll, The philosophy of horror. Or paradoxes of the heart, New York,
Routledge, 1990, p. 24.
7
Michela Vanon Alliata, ‹‹Fenomenologia e poetica dell’horror››, in Michela Vanon Alliata (a cura di),
Nel segno dell’horror. Forme e figure di un genere, Venezia, Cafoscarina, 2007, p. 12.
8
Michela Vanon Alliata, op. cit., p. 13.
9
Michela Vanon Alliata, op. cit., p. 17.
9
caratteristiche tipiche di questo genere di film. In realtà, va precisato che questo
movimento d’avanguardia, sviluppatosi tra la fine degli anni dieci e gli anni venti in
Germania, non può essere relegato al contesto di genere sia perché estraneo al mondo
hollywoodiano sia perché nato come sperimentazione sulla messa in scena dei film. Del
1920 è Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene in cui vengono presentati il
tema della pazzia e dell’allucinazione mettendo in scena una storia apparentemente
veritiera che però si scoprirà essere il frutto della mente deviata del protagonista Franz.
Caratteristiche di questo film, e dei successivi, sono l’utilizzo ‹‹di set stilizzati, con
bizzarri, distorti edifici dipinti sullo sfondo, alla maniera teatrale››
10
che restituiscono
una scenografia antirealistica, priva di prospettiva, inquietante e distorta; ‹‹la recitazione
[… è] fatta di movimenti innaturali, a scatti, simili a quelli della danza››
11
e molta
importanza viene dato al trucco; inoltre, l’illuminazione è fortemente contrastata
creando violente zone di luce e ombra. Tra gli altri film espressionisti che seguirono
Caligari vanno ricordati Il Golem – Come venne al mondo (1920) di Paul Wegener e
Carl Boese, Nosferatu il vampiro (1922) di Friedrich W. Murnau, su cui torneremo, Il
dottor Mabuse (1922) e Metropolis (1927) di Fritz Lang. Al centro di questi film vi
sono tutte storie che vedono protagonisti dei pazzi con manie di conquista e oppressione
verso la società, e non è un caso che Siegfried Kracauer leggerà nel movimento
espressionista una prefigurazione dell’avvento di Hitler e del nazismo
12
.
Negli stessi anni, all’altro capo del mondo, Hollywood creava una potentissima
industria cinematografica grazie allo studio system concentrando verticalmente i tre
settori del cinema: produzione, distribuzione, esercizio. Al fianco di cinque grandi
majors vi erano tre minors – chiamate così perché non possedevano l’esercizio – e una
di queste, la Universal, si specializza nella produzione di film horror e molte
caratteristiche dell’Espressionismo vengono riversate grazie alla fuga, a causa
dell’avvento del regime nazista, dei registi, attori, direttori della fotografia, scenografi
che avevano lavorato in Germania. Il 1931 vede alla luce due importanti film che
segneranno l’intera storia del cinema horror e daranno vita a una serie infinita di sequel,
remake e parodie: Dracula di Tod Browning, regista che aveva già realizzato degli
horror con Lon Chaney per la MGM, e Frankenstein di James Whale. Il primo è
10
David Bordwell, Kristin Thompson, Storia del cinema e dei film. Dalle origini a oggi, Milano, Il
Castoro, 1998, p. 166.
11
David Bordwell, Kristin Thompson, ibid.
12
Siegfried Kracauer, Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, a cura di
Leonardo Quaresima, Torino, Lindau, 2007.
10
l’adattamento della versione teatrale del celebre romanzo di Bram Stoker – già adattato
in via non ufficiale da Murnau – mentre il secondo è tratto dall’altrettanto celebre
romanzo di Mary Shelley. Entrambi film di grande successo, consacrano i rispettivi
protagonisti Bela Lugosi e Boris Karloff a icone horror e danno il via a una leggendaria
produzione da parte della Universal e delle altre majors che assumerà il nome di horror
classico. Browning girerà in seguito, per la MGM, Freaks (1932) film anomalo e
maledetto, verrà considerato un horror per la partecipazione al film di veri e propri
‹‹mostri deformi›› in cui interpretano se stessi; Whale, invece, girerà L’uomo invisibile
(1933) e La moglie di Frankenstein (1935), entrambi per la Universal. Un altro grande
successo della celebre casa di produzione sarà La mummia (1932) di Karl Freund,
interpretato da Boris Karloff. Ma il 1931 è anche l’anno di Il dottor Jekyll (1931) di
Rouben Mamoulian, prodotto dalla Paramount e tratto dal romanzo di Robert
Stevenson, di cui Victor Fleming girerà il remake Il dottor Jekyll e Mr. Hyde nel 1941
con Spencer Tracy. Tutti questi film hanno una forte derivazione letteraria, sono
tendenzialmente ambientati nel passato e presentano scenografie fantastiche – di
evidente derivazione espressionista – oltre che illuminazioni molto contrastate
restituendo atmosfere gotiche, oscure; vi sono, invece, pochi riferimenti alla realtà,
siamo nel periodo della grande depressione, tuttavia essi garantiscono uno sfogo per gli
spettatori, un modo per non pensare ai problemi derivati dalla crisi del 1929. Inoltre,
l’elemento horror di questi film risiede nella mostruosità dei loro protagonisti. Anche la
RKO, che aveva già prodotto King Kong (1933) di Merian C. Cooper e Ernest B.
Schoedsack, produrrà negli anni quaranta, sotto la guida di Val Lewton, una serie di
horror tra cui spiccano Il bacio della pantera (1942) e Ho camminato con uno zombie
(1943) entrambi di Jacques Tourneur. In particolare Il bacio della pantera si allontana
molto dagli horror Universal in quanto ‹‹non vediamo mai l’eroina trasformarsi in una
pantera, intravediamo solo la creatura in certe scene. Il film ottiene i suoi effetti con le
ombre, i suoni fuori campo e le reazioni dei personaggi››
13
, creando da un lato una
dimensione terrificante ma dall’altro una sentimentale e poetica. Caratteristiche queste
ritrovabili anche negli altri horror prodotti dalla RKO.
In seguito, negli anni cinquanta emergono in Europa due cinematografie
orrorifiche nazionali: l’Inghilterra con la produzione della Hammer Film e l’Italia con il
cosiddetto Horror all’Italiana. Nel primo caso la celebre casa di produzione inizia a
13
David Bordwell, Kristin Thompson, Cinema come arte. Teoria e prassi del film, Milano, Il Castoro,
2003, p. 159.
11
‹‹proporre soggetti horror e fantascientifici, avviando accordi con la Universal per la
cessione dei diritti dei personaggi orrorifici, reclamando indietro i propri miti
nazionali››
14
, da Frankenstein a Dracula, da Jekyll e Hyde alla mummia, questa volta
non più in bianco e nero ma a colori. Il regista feticcio sarà Terence Fisher realizzando
tra la fine degli anni cinquanta e i sessanta La maschera di Frankenstein (1957),
Dracula il vampiro (1958), La mummia (1959) che avranno diversi sequel e innalzano a
icone del cinema dell’orrore altri due attori: Christopher Lee e Peter Cushing. In questi
film ‹‹il dramma cessa di avere una dimensione universale e viene circoscritto ad una
molto più ristretta››
15
, un affare privato fra vittima e carnefice. Inoltre, l’orrore è
rappresentato ed esaltato grazie all’uso acceso e violento del colore. In Italia, invece, il
film I vampiri (1956) di Riccardo Freda, ‹‹grazie al sapiente dosaggio di orrore esplicito
e allusioni sensuali››
16
, inaugura l’Horror all’Italiana, sottogenere di grande successo
anche all’estero e di ispirazione per registi inglesi e americani come lo stesso Fisher e
Roger Corman. Il film di Freda detta quelle che sono le caratteristiche dell’horror
all’italiana: ‹‹la necessità di girare in pochi giorni con mezzi produttivi limitati aguzzerà
l’ingegno dei registi e il nostro cinema dell’orrore non perderà mai questo carattere
artigianale (nei casi migliori non disgiunto da forti impronte autoriali)››
17
. Vi fanno
parte registi quali Mario Bava, di cui ricordiamo La maschera del demonio (1960);
Lucio Fulci, Dario Argento e Pupi Avati. Queste realtà extra-americane riescono, al
contrario degli Stati Uniti costretti a fare i conti col codice Hays, a osare di più
mettendo in scena situazioni più cruente e sanguinose ma allo stesso tempo anche una
componente erotica molto più esplicita; caratteristiche del futuro horror moderno
americano.
Ma prima di passare alla modernità del cinema dell’orrore bisogna ricordare un
regista anomalo nel contesto produttivo hollywoodiano: Roger Corman. Egli realizza
per l’American International Pictures, una delle prime case di produzione indipendente,
un ciclo di horror ispirato a Edgar Allan Poe a partire da I vivi e i morti (1960); i suoi
film si distinguono ‹‹per il ritmo veloce, l’ironico umorismo e gli effetti speciali da
bancarella, con mostri che sembra[no] fabbricati con scarti di materiale idraulico e pezzi
14
Mariapia Comand, Roy Menarini, Il cinema europeo, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 90.
15
Mario Della Casa, ‹‹Il ritorno al gotico››, in Emanuela Martini (a cura di), Hammer e dintorni,
Bergamo, Bergamo Film Meeting, 1990, p. 39, cit. in Mariapia Comand, Roy Menarini, op. cit.
16
Mariapia Comand, Roy Menarini, op. cit., p. 105.
17
Daniela Catelli, Ciak si trema. Guida al cinema horror, Milano, Costa & Nolan, 2007, p. 89.
12
di frigorifero››
18
, a dimostrazione che è possibile realizzare un buon prodotto pur
avendo a disposizione un budget ridotto. Inoltre, consacrano fra le icone horror l’attore
Vincent Price. Pur essendo lavori di ispirazione letteraria e legati più che altro all’horror
classico, la modalità di realizzazione a basso budget di questi film e la libertà delle
scelte da parte del regista – caratteristiche vincenti che permettono a Corman di ottenere
notevole successo – anticipa la grande stagione del cinema americano nota come New
Hollywood e tali caratteristiche verranno seguite dai registi che daranno una svolta al
genere orrorifico a partire dalla fine degli anni sessanta.
1.2 Il New Horror
Sul finire degli anni quaranta il contesto produttivo a Hollywood stava
cambiando notevolmente; la sentenza Paramount del 1948 aveva tolto l’esercizio alle
grandi majors –grazie al quale detenevano l’oligopolio del mercato cinematografico –
che si trovarono così, in una crisi accentuata negli anni cinquanta, alla perdita di
pubblico per via della concorrenza televisiva. Le majors riescono, tuttavia, a rimanere a
galla ridimensionando la produzione e iniziando a produrre film a pacchetto, cioè
mettendo su un team per ogni film specifico e non più utilizzando la vecchia ‹‹catena di
montaggio››
19
, oltre che spostando la produzione in Europa – ne è un esempio
Hollywood sul Tevere, il periodo in cui vengono girati a Cinecittà numerosi peplum. Ma
questo non serve a riprendersi dall’enorme crisi che toccherà l’apice nella prima metà
degli anni sessanta causando quasi l’arresto della produzione hollywoodiana. A questo
punto è inevitabile una rivoluzione totale del sistema cinematografico americano
abbandonando le regole da studio system classiche e adottando nuove soluzioni
produttive, tecniche ed estetiche derivate dalle Nouvelles Vagues sviluppatesi in Europa
e nel resto del mondo e da quel movimento sorto nel 1960 a New York chiamato New
American Cinema. Inoltre, il pubblico è notevolmente cambiato passando da quello
famigliare a quello giovanile che sempre più contesta i vecchi valori delle precedenti
generazioni. Bisogna ricordare che gli anni sessanta sono segnati in America dagli
18
David Bordwell, Kristin Thompson, Storia del cinema e dei film. Dalle origini a oggi, op. cit., p. 455.
19
La politica dello studio system prevedeva la suddivisione della lavorazione dei film in fasi nettamente
separate e in ognuna partecipava esclusivamente il personale specializzato per quella specifica fase. Solo
il produttore supervisionava l’intera realizzazione dei film.
13
assassinii di John F. Kennedy, Malcolm X, Martin Luther King, dalle lotte per i diritti
degli afro-americani, dalla sanguinosa e inutile guerra in Vietnam e dalla contestazione
giovanile; il cinema di fronte a questi avvenimenti non poteva rimanere legato alle
regole e ai valori classici perciò andava rivoluzionato. Ed è così che nella seconda metà
degli anni Sessanta film come Il laureato (1967) di Mike Nichols, Gangster Story
(1967) di Arthur Penn e Easy Rider – Libertà e paura (1969) di Dennis Hopper
inaugurano una nuova era: la New Hollywood. Nuovi registi e un nuovo uso del
linguaggio cinematografico segneranno la produzione americana per tutto il decennio
successivo in cui finalmente anche Hollywood accetta l’idea che il regista sia il vero
autore dell’opera filmica. Tutti i film girati in questo periodo sono estremamente
radicati nella contemporaneità mettendo in scena storie tutt’altro che positive, spesso
ispirate a fatti realmente accaduti, con protagonisti dei non-eroi incapaci di risolvere le
situazioni in cui si vengono a trovare. Inoltre, viene operata una totale rivoluzione dei
generi classici e non si esita a mescolarli fra loro; a questo punto la rigida
classificazione dei film in specifici generi viene meno.
Il 1968 è un anno molto importante per il cinema horror in quanto segna il
passaggio del genere nella modernità con i film La notte dei morti viventi di George A.
Romero e Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York di Roman Polanski. A partire da
questo momento il genere orrorifico si trasforma, scrive a riguardo Stuart M. Kaminsky:
ora per lo spettatore non c’è più speranza. […] I film si son fatti sempre più pessimisti,
hanno acquisito la cupa certezza che ad avere la meglio saranno le zone d’ombra della
nostra natura, che sarà necessario affrontare le nostre peggiori paure, che il male che sta
dentro di noi semplicemente non può essere distrutto, e tantomeno controllato
20
.
La notte dei morti viventi si distacca enormemente da quelli che erano i canoni del
genere classico e verrà preso come punto di riferimento per gli horror successivi; narra
di come un variegato gruppo di cittadini americani tenta di sopravvivere in una casa
isolata in mezzo al bosco – luoghi classici per antonomasia dell’horror – dall’attacco di
orde di morti tornati in vita a causa delle radiazioni provenienti da una sonda spaziale. Il
film, oltre che puntare sugli effetti sanguinolenti ed efferati per restituire disgusto nello
spettatore, introduce degli elementi assolutamente nuovi; uno di questi è l’affidamento
del ruolo del leader a un personaggio di colore ‹‹che stavolta […] anziché concentrare
su di sé malvagità e terrore è l’eroe del film››
21
. Siamo in un periodo in cui la
20
Stuart M. Kaminsky, op. cit., p. 160.
21
Annalee Newitz, Fingiamo di essere morti. Mostri capitalisti della cultura pop americana, Milano,
Isbn Edizioni, 2008, p. 159.
14
discriminazione razziale viene meno pure al cinema – anche se nella realtà il decennio è
comunque burrascoso – e nuovi attori di colore, tra cui spicca Sidney Poitier, iniziano a
interpretare ruoli da protagonista nei film. Ma il caso di La notte dei morti viventi è più
complesso in quanto all’interno della casa nascono tensioni fra i vari personaggi,
soprattutto a causa della rivalità fra il protagonista di colore, Ben, e il capofamiglia
bianco, Harry, che non sopporta di lasciarsi comandare da un uomo di razza
‹‹inferiore››. Basti questo per capire che il film non è solo una questione di
intrattenimento splatter per un pubblico di teenager ma è anche un’opera che muove
delle pesanti critiche verso la società contemporanea e gli avvenimenti che la
affliggono, tra cui il Vietnam. Infatti, la casa isolata con all’interno una decina di
personaggi è una sorta di sineddoche della società contemporanea dove, invece di unirsi
per combattere il pericolo comune, ci si divide sempre più fino a soccombere tutti a
causa dell’individualità, egoismo e brama di potere di ognuno. Anche la famiglia si
disintegra, emblematica la sequenza in cui la figlia contagiata dagli zombi uccide i
genitori. A questo punto viene da chiedersi chi siano i veri mostri, i morti viventi
affamati di carne o le persone ‹‹normali››? L’unico personaggio positivo è Ben, l’eroe
del film – o meglio non-eroe – la cui unica colpa è di essere nero; questa caratteristica
sembra avvantaggiarlo dato che non solo è una figura estranea a ciò che accade – gli
zombi sono tutti bianchi così come il resto dei personaggi – ma è anche l’unico a
sopravvivere agli attacchi dei morti viventi. Purtroppo il destino vuole che Ben, armato
di fucile per difendersi, venga ucciso alla fine del film, nella maniera più stupida e
assurda possibile: un colpo d’arma da fuoco alla testa sparato da uno degli uomini dello
sceriffo che lo aveva scambiato per uno zombi! ‹‹L’unico personaggio eroico e
intelligente del film [… viene] assassinato da imbecilli bianchi con in mano delle
pistole››
22
. Oltre a essere un finale anticlassico, rappresenta un vero e proprio pugno allo
stomaco dello spettatore che di fronte a una morte così gratuita e impregnata di
razzismo si sente responsabile. Anche perché solo lo spettatore conosce la realtà dei
fatti; il commilitone assoldato dallo sceriffo per combattere i morti tornati in vita crede
di averne ammazzato un altro e lo bruciano, dopo averlo arpionato, assieme agli altri.
Ed è qui che si sommano la critica al razzismo e quella al possesso di armi, già
enunciate nel corso del film. Un’ultima questione legata a La notte dei morti viventi
riguarda gli zombi. Questi erano già stati oggetto di film precedenti ma erano visti più
22
Annalee Newitz, op. cit., p. 160.
15
che altro come dei mostri tornati in vita; con il film di Romero essi rappresentano
qualcosa di più: una metafora della società del consumo. Gli zombi sono esseri stupidi,
non parlano ma emettono solo dei versi, si muovono lentamente e a scatti, eppure sono
pericolosissimi soprattutto se in vasti gruppi, sono alla ricerca di carne e chi ne viene
anche solo morso diventa zombi pure lui. Quindi sono in grado di contagiare l’umanità
intera proprio come il consumismo ha contagiato la società contemporanea. George
Romero con La notte dei morti viventi entra nella storia del cinema e crea un filone
sugli zombi che fino a oggi è pressoché ininterrotto dedicando la propria filmografia a
tale argomento. Il suo secondo lungometraggio sui morti viventi, dal titolo Zombi
(1978), riprenderà molti dei temi del primo film e si scaglierà ancor più contro la società
e il consumismo. Ambientato non in una casa ma in un grande centro commerciale,
alcuni personaggi vi si rifugiano per scampare ai morti viventi. Ma, invece di temere il
pericolo che nel corso del film si avvicinerà sempre più, si preoccupano di razziare tutto
ciò che è possibile trovare nei negozi del centro commerciale; una vera e propria
morbosità del consumismo che non risparmia né vivi né morti. Quanto creato da
Romero sarà imitato, copiato, saccheggiato numerose volte, anche da registi italiani, ma
nessuno riuscirà mai a eguagliare questi autentici capolavori.
Tornando al 1968, Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York dà inizio a un
altro filone del cinema horror, quello satanico. Roman Polanski, di famiglia ebrea, era
sfuggito ai campi di concentramento e in Polonia aveva iniziato la sua carriera di
cineasta all’interno del Nuovo Cinema Polacco per poi trasferirsi in Inghilterra e
realizzare altri film come Repulsion (1965). Rosemary’s Baby, girato negli Stati Uniti e
adattato molto fedelmente dall’omonimo thriller di Ira Levin, inizia come una sorta di
soap-opera: una coppia di sposi, Rosemary e Guy Woodhouse, in procinto di avere un
figlio si trasferiscono in un palazzo di New York
23
. In realtà c’è già qualcosa che non
va, la ‹‹lenta carrellata aerea [iniziale] sorvola il cielo di New York con un movimento
da destra verso sinistra, anomalo rispetto a quello delle tradizionali panoramiche
descrittive››
24
. Qui conoscono i loro vicini, i Castevet, una coppia di anziani
apparentemente normale.
23
È lo stesso palazzo davanti al quale verrà assassinato John Lennon nel 1980.
24
Alberto Scandola, Roman Polanski, Milano, Il Castoro, 2003, p. 86.