NEUROSCIENZE E PEDAGOGIA SPERIMENTALE. IPOTESI DI FATTIBILITA'
INTRODUZIONE
La Pedagogia sperimentale in questi ultimi decenni ha avuto sempre più collegamenti con le
Neuroscienze. Già a partire da Piaget, medico svizzero, quest’aspetto era stato particolarmente
indagato con la creazione del “Circle des Sciences”, dove la Pedagogia Sperimentale era appunto
situata all’incrocio tra Pedagogia e Scienze. Col progredire dell’indagine scientifica, soprattutto in
Neurofisiologia e Psicobiologia e Biologia, è stato possibile addirittura identificare le aree del
cervello deputate ad alcune funzioni e indagare i complessi meccanismi della trasmissione degli
impulsi nervosi da un’area all’altra in relazione al comportamento. Ciò da una parte ha implicato
una migliore conoscenza dello stesso, dall’altra una possibilità di classificazione fino ad allora
sconosciuta. La precisione delle Neuroscienze è andata sempre più affinandosi sino a raggiungere
risultati sorprendenti esprimibili in studi statistici che danno una dimensione concreta alle ricerche
sul campo.
Da parte sua la Pedagogia Sperimentale non si è fermata ad analizzare solo il comportamento degli
allievi, ma a partire dal XX secolo con “Pensiero e linguaggio” di Vigotskij ha proposto sempre
nuove indagini e nuove soluzioni a problemi che erano rimasti irrisolti nei secoli precedenti, quali
appunto il rapporto tra il pensare e l’esprimersi, il calcolare, il creare, sfociando spesso in ricerche
come quella sulla sinestesia che ha visto pubblicazioni autorevoli proprio in questi ultimi anni.
Si potrebbe dunque affermare che il fecondo rapporto tra Neuroscienze e Pedagogia Sperimentale
ha riguardato parzialmente tutti i campi del sapere, non ultimo quello delle emozioni, che è tanto
più interessante se si pensa che esse sono alla base dello sviluppo del bambino. Il fiorire di molte
scuole su quest’argomento, da Bowlby a Erikson, ci dà conto di come esso rivesta una particolare
importanza all’interno dell’educazione: infatti, sembrerebbe scontato dire che senza emozioni non è
possibile né crescita né apprendimento, e questo anche da parte di chi insegna, ma è stato
particolarmente arduo analizzare le relazioni neurofisiologiche tra emozione e crescita quindi non si
tratta di una scoperta poi così banale.
La peculiarità delle Neuroscienze è quella di avere una base biologica molto accentuata, mentre la
Pedagogia Sperimentale dal canto suo risulta essere più discorsiva, ma ciò non ha impedito fecondi
rapporti tra le due, tanto che oggi si può parlate di una vera e propria integrazione anche linguistica.
I rapporti cominciano a intensificarsi all’inizio degli anni ’30 del XX secolo, per poi divenire
sempre più forti col passare dei decenni, in ordine anche alle scoperte della Psicologia della
personalità e di quella dell’Evoluzione, che puntano il dito sull’essenzialità dell’emotività nel
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processo di acquisizione e mantenimento di certi peculiari caratteristiche individuali. In particolare è
dimostrato come il temperamento non sia un fattore solo biologico, ma sia condizionato dal clima
familiare e come il rapporto affettivo con la madre costituisca l’imprinting per gli schemi mentali
del bambino.
Da qui agli assunti della Pedagogia Sperimentale il passo è breve. Il primo a indagare in questo
senso in aperta polemica con Piaget è Vigotskij, il quale nella sua ultima opera ci dà un saggio di
come debba essere condotta una ricerca sperimentale, oltre che affrontare un tema che da tempo
affliggeva la mente dei pedagogisti, e cioè il rapporto tra pensiero e sviluppo del linguaggio nel
bambino, dando una soluzione più che innovativa grazie alla solidità del suo metodo. Ma non è
questo l’unico problema che viene risolto: grazie alle continue ricerche e scoperte nelle
Neuroscienze viene fatta luce sul rapporto tra aree cerebrali e funzioni cerebrali, con la messa a
punto di test che permettono di confermare le indagini su vasti strati di popolazione. Inoltre le
ricerche sul campo nelle scuole sui più svariati argomenti forniscono sempre più materiale per
giungere a conclusioni certe e ripetibili.
I padri fondatori della Pedagogia Sperimentale sono dovunque riconosciuti come Jean Piaget e
Vigotskij, che all’inizio degli anni ’30 del XX secolo danno luogo a una vasta produzione sullo
sviluppo del bambino.
Jean Piaget, medico svizzero, dedica un’opera monumentale a quest’argomento, suddividendo lo
sviluppo in quattro fasi:
_ sviluppo senso motorio fino ai 3 anni, in cui il bambino si impadronisce del movimento.
_ sviluppo psicomotorio, in cui si aggiunge la consapevolezza del pensiero.
_ sviluppo pre-operatorio formale, in cui il bambino è un piccolo scienziato (verso gli 8-9 anni).
_ sviluppo operatorio formale, in cui il bambino raggiunge la padronanza del pensiero logico.
Vigotskij, in aperta polemica con Piaget, sostiene invece che il passaggio dalla scienza al pensiero
logico è mediato dal linguaggio, nel quale identifica la chiave di volta per comprendere i
ragionamenti infantili e interpretarli correttamente, come a dire che senza la padronanza del
linguaggio è impossibile formulare una qualsivoglia specie di pensiero, e che ciò non può avvenire
automaticamente bensì attraverso l’educazione e l’apprendimento.
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Da ora in poi tutti i successivi pedagogisti si schiereranno ora con Piaget (Claparède) o con
Vigotskij (Bruner), ponendo l’accento di volta in volta su nuove implicazioni del loro pensiero e
soprattutto facendo riferimento alle nuove scoperte della Linguistica e delle Neuroscienze. Le
Neuroscienze dal canto loro affineranno sempre più le indagini e la Pedagogia Sperimentale potrà
usufruire degli stessi metodi di ricerca per applicarli al suo campo (Statistica, osservazione
partecipante, questionario, test).
La produzione letteraria su questi argomenti è vastissima, quindi in questa sede ci limiteremo a dare
nel primo capitolo notizie sulle Neuroscienze e sulle loro applicazioni e ricerche, nel secondo a
fornire un quadro generale della Pedagogia Sperimentale, nel terzo a proporre un parallelo tra le due
e nel quarto a presentare in breve il pensiero dei principali pedagogisti sulla scorta di un’opera di
riferimento, in modo da dare una esauriente panoramica dello stato sia meno sia più attuale di
questa scienza che con il progredire dei decenni si è scavata una nicchia tutta sua che la vede
protagonista di ogni discussione che riguardi lo sviluppo, l’educazione, l’apprendimento e la sua
organizzazione nelle strutture preposte a questo compito.
Chiaramente non si pretende di sviscerare completamente l’argomento, quanto piuttosto di fornire
delucidazioni sullo stato in progresso della Pedagogia Sperimentale e di dare un quadro dei suoi
principali protagonisti in collegamento con uno dei più indagati settori di oggigiorno, cioè quello
delle Neuroscienze, che ci aiuteranno ad approfondire il pensiero dei vari autori, con particolare
riferimento allo sviluppo del bambino dall’età postnatale a quella prepuberale, con qualche
escursione anche nel mondo degli adulti.
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PRIMO CAPITOLO: LE NEUROSCIENZE
Le neuroscienze iniziano la loro affermazione sin dall’antichità. E’, infatti, il medico greco
Ippocrate che ipotizza per primo un collegamento tra i liquidi corporei e il temperamento
individuale: in particolare il sangue sarebbe la causa del temperamento sanguinico, appunto, la bile
gialla del temperamento collerico, quella nera del temperamento melanconico e la linfa di quello
flemmatico. Questa scoperta sarà poi ripresa da Galeno che nel Medioevo propose vari rimedi (detti
appunto galenici) per risolvere le conseguenti patologie. Ma è nel settecento con l’Illuminismo che
si fa più viva l’esigenza di indagare a fondo la psiche e con l’opera di La Mettrie “L’uomo
macchina” si postula una serie di meccanismi cerebrali che funzionerebbero proprio come quelli di
un marchingegno meccanico.
Questo primo meccanicismo si risolve nel XIX secolo in un’indagine più raffinata che sconfina
nell’intellettualismo spirituale di Pinel che si recava alla Bastiglia, dove venivano ricoverati gli
insani di mente, a liberarli dalle catene.
Nel XX secolo assistiamo a tutto un fiorire di scuole di pensiero di stampo completamente
differente: da una parte abbiamo il fiorire della psicoanalisi col suo padre fondatore Sigmund Freud,
che si diramerà in infinite correnti a seconda dello psicoanalista che se ne occupa (avremo dunque
Jung e Adler che si distaccano dal pensiero freudiano l’uno per il rilievo differente dato alla libido e
all’inconscio e ai sogni e l’altro per la ricerca della causa delle patologie identificata nel complesso
d’inferiorità, come di seguito si svilupperà il pensiero di Anna Freud sullo sviluppo dei bambini
come pure quello di Melanie Klein e di Margareth Mahler sempre sullo stesso argomento, e da
questi filoni prenderà spunto tutta la psichiatria e l’antipsichiatria contemporanee con esponenti
come Rogers, Kelly e Laing e in Italia Franco Basaglia che nel 1978 fece approvare prima di morire
la legge per la chiusura dei manicomi), dall’altra abbiamo il nascere di vere e proprie scuole di
pensiero, dalla Gestalt al Costruttivismo al Comportamentismo a Cattell e alla teoria dei Big Five
per approdare infine alla teoria di Bandura e Mischel che postula un’interazione tra ambiente e
personalità. Certo tutti questi studiosi partono da alcuni presupposti fondamentali che sono:
1) che il comportamento umano sia studiabile su basi scientifiche
2) che i progressi delle Neuroscienze possano in qualche modo chiarire le basi di tale
comportamento
3) che le indagini siano svolte con metodi statistici e quindi siano replicabili
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4) che gli argomenti trattati diano luogo a terapie conseguenti per curare i pazienti affetti da disturbi
Ma vediamo più nello specifico di cosa si occupano le varie Neuroscienze.
Alla base di tutto abbiamo chiaramente la Chimica e la Biologia che spiegano nel dettaglio il
funzionamento e la formazione di ogni organo, delle cellule, del loro modo di comunicare tramite
sinapsi elettriche o chimiche, della storia dell’evoluzione dell’essere umano che tanto ha influito sul
suo spirito di adattamento all’ambiente e sulla sua conformazione fisica e caratteriale, della genetica
che spiega il modo con cui passano i messaggi contenuti nei cromosomi da una generazione
all’altra. Questo vastissimo patrimonio di conoscenze ha dato luogo a molti studi specifici, ad
esempio quello sui neurotrasmettitori, sulle basi biologiche di aggressività e patologie, sui
comportamenti dei gemelli omozigoti ed eterozigoti, sulle mutazioni geniche, sulla funzionalità di
mioglobina, emoglobina ed eterocromatina, sulla riproduzione delle cellule e sulla loro capacità di
duplicare il DNA tramite trascrizione e l’mRNA tramite traduzione, e via dicendo. Chiaramente in
questi campi sono avvenute scoperte che spesso hanno fruttato il premio Nobel agli scienziati che le
avevano fatte, una fra tutte nel 1953 da parte di Watson e Crick la scoperta della doppia elica del
DNA, ma altri scienziati meritevoli potrebbero essere ricordati qui: Mendel, che scopre le leggi di
dominanza e segregazione della genetica, Darwin che scopre la casualità dell’evoluzione, e una
lunga serie di studiosi e ricercatori che con i loro esperimenti hanno contribuito al progresso
continuo e incessante di queste scienze.
Certamente non si può dire che questo progresso si sia arrestato, anzi, la Chimica e La Biologia
continuano ad essere la fonte di prima mano a cui si riferiscono tutte le altre Neuroscienze, anche se
ormai esse percorrono una strada spesso differente e meno generalizzata, più specifica. Le principali
di cui tratteremo in questo capitolo sono la Neuropsicologia, la Psicobiologia e la Psichiatria, che si
collocano all’incrocio tra psicologia e Biologia e Chimica.
La Neuropsicologia
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presuppone solide basi di Anatomia del corpo umano e tratta della modalità di
funzionamento di tutto il corpo, organo per organo, nonché delle emozioni e delle patologie che
possono colpire il cervello. Il discorso sembrerebbe semplice, ma non è così: bisogna impadronirsi
della terminologia esatta e di una quantità notevole di capacità di collegare la parte propriamente
neurologica con quella fisiologica. Inoltre a complicare le cose c’è anche il fatto che ogni individuo
ha reazioni particolari, soprattutto nel campo delle emozioni, e non si può discriminare sempre con
precisione in alcuni casi quale sia la causa e quale l’effetto o in quale regione cerebrale avvenga una
1Tutte le informazioni sulla Neuropsicologia sono tratte dai seguenti volumi: E.R.Kandel, J.H.Schwarz, T.M.Jessell,
Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento, Milano, CEA, 2013; Dalai Lama, D.Goleman, Emozioni
distruttive, Milano, Oscar Mondadori, 2013
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determinata reazione, visto che a tutt’oggi conosciamo solo una decima parte del funzionamento del
cervello umano, nonostante si siano affermate moderne tecnologie come la TAC e fMRI che ne
permettono uno studio più approfondito e raffinato. Ma andiamo con ordine.
La Neuropsicologia tratta soprattutto del funzionamento di alcuni organi come il cuore, l’occhio,
l’orecchio, l’olfatto, il gusto, di alcuni sistemi (parasimpatico, simpatico, muscolare) e del cervello
con tutte le patologie ad essi collegate. Inoltre si occupa anche del Linguaggio e delle sue patologie
e della memoria e delle emozioni. In un campo così vasto ci sarebbe sicuramente da perdersi se non
ci fosse stato il lavoro di sistematizzazione degli scienziati che si sono occupati di questi problemi e
soprattutto dei divulgatori che hanno reso più semplice l’approccio a questa scienza.
Rita Levi Montalcini ebbe a dire sul cuore un bellissimo concetto: “tutti dicono che il cervello sia
l’organo più complesso del corpo umano, e da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi
assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi
meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le
emozioni.”. Fin dai tempi della nascita della filosofia il problema del cuore era essenziale, molto più
che degli altri organi. Questo particolare muscolo striato, infatti, ha una particolarità eccezionale,
riesce a battere anche al di fuori del corpo perché non ha bisogno del cervello per funzionare.
Inoltre il cuore ha dei meccanismi di funzionamento molto particolari, legati ai meccanismi del
calcio nei miocardiociti, ritrovati poi nei neuroni della corteccia cerebrale. La ricerca neurologica è
fortemente influenzata da quella cardiologica e viceversa. Il cervello senza il cuore non può
sopravvivere oltre una manciata di minuti (non riceve più ossigeno), il cuore senza il cervello sì. Il
cuore è posto centralmente nella cavità toracica, con una posizione un po’ spostata a sinistra. Forma
un angolo con l’asse longitudinale del corpo ed è leggermente ruotato verso sinistra. Dalla parte
superiore prendono origine le arterie e le vene (base del cuore) mentre la parte inferiore è adagiata
sul muscolo del diaframma (apice del cuore). Esso sta tra i due polmoni e occupa parte del polmone
sinistro, che, infatti, essendo più piccolo, è formato da due soli lobi. La cavità dove è posto si
chiama mediastino. Pesa circa 300 gr e consuma circa il 9% della richiesta totale di ossigeno
dell’organismo. La parete cardiaca è formata da 3 strati:
1- endocardio: è lo strato più interno, una sottile lamina endoteliale liscia che riveste interamente le
cavità cardiache seguendone la struttura.
2- miocardio: è lo strato intermedio. Il tessuto muscolare striato cardiaco, che permette la
contrazione del cuore. E’ molto spesso nel ventricolo sinistro, poiché questa camera deve pompare
sangue in tutta la periferia corporea
3- pericardio: è la superficie esterna del cuore. E’ formato da 3 strati:
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- pericardio fibroso: è un sacco connettivale inestensibile che circonda e avvolge il
cuore
- pericardio sieroso: ha due strati; 1- quello esterno che ricopre la superficie interna
del pericardio fibroso. 2- quello interno che ricopre il miocardio. Tra questi due
strati (parietale e viscerale) esiste lo spazio pericardico, che contiene un liquido
siero che permette al cuore di scorrere e contrarsi.
Internamente il cuore presenta quattro camere, due atri e due ventricoli: i primi sono posti
superiormente, i secondi inferiormente e sono separati tra loro rispettivamente dal setto interatriale e
dal setto interventricolare. Nel cuore di destra il sangue è povero di ossigeno, nel cuore di sinistra
ne è ricco. Il cuore di destra da vita alla piccola circolazione, quello di sinistra alla grande: la
piccola va dal ventricolo destro ai polmoni e ritorna al cuore nell’atrio sinistro, la grande parte dal
ventricolo sinistro, manda sangue ossigenato a tutto il corpo e torna in atrio destro. Dal ventricolo
destro parte l’arteria polmonare che si dirama nei capillari alveolari all’interno del polmone sinistro:
lì avviene lo scambio tra CO2 e O2, per mezzo degli alveoli polmonari. Ogni polmone ha due vene
polmonari che tornano in atrio sinistro. Quindi il sangue passa nel ventricolo sinistro e si immette
nell’ aorta, portando ossigeno agli arti e risalendo carico di CO2 nella vena cava superiore o nella
vena cava inferiore. Se un vaso esce/si allontana dal cuore è un’ arteria, se un vaso entra/si avvicina
al cuore è una vena. I rami dell’aorta sono: aorta ascendente, arco dell’aorta, aorta discendente.
Dall’aorta ascendente si dipartono le arterie coronarie (destra e sinistra): la destra irrora il 20% del
cuore, la sinistra il 50% e il rimanente 30% viene irrorato dalla fusione delle due. Il sangue refluo
delle arterie coronarie non torna in atrio destro attraverso la vena cava superiore, ma attraverso una
piccola vena chiamata seno coronario, che ha una valvola, della di Tebesio, che si chiude quando la
pressione all’interno dell’atrio aumenta. La pressione arteriosa deve essere provata al braccio
destro, questo poiché il primo ramo che deriva dall’aorta, tolte le coronarie, è l’anonima e il primo
ramo dell’anonima è la succlavia destra. Provare la pressione al braccio sinistro significa provare
una pressione più bassa poiché tra arteria succlavia destra e sinistra intercorrono le due carotidi e un
tratto dell’arco dell’aorta.
ANATOMIA FUNZIONALE
Il ciclo meccanico si divide in:
1- sistole: atriale e ventricolare (contrazione del miocardio)
2- diastole: atriale e ventricolare (riposo del miocardio)
Il ciclo è definibile come ritmico, globale, involontario. Il cuore in 70 anni batte per oltre 2 milioni
di volte e ogni giorno fa uno sforzo di 18.000 Kg/m corrispondente alla forza che impiega un
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