Prefazione
Ho scritto questa tesi cercando di condensare in questo testo tutta la mia esperienza di
studente di filosofia, che dura ormai da diversi anni, all'Università di Siena. In questo percorso
di studio ho incontrato diversi argomenti interessanti, ma ho deciso di scrivere la tesi in
filosofia della mente perché già dal secondo anno di università rimasi colpito e affascinato
dalla materia. Spero che questa materia, che per me rappresenta la frontiera della filosofia,
abbia lunga vita. Il lavoro specifico che ho svolto, nello scrivere questa tesi, è durato un anno
e ha visto il mio coinvolgimento in un progetto con l'università di Brema. Durante quel
periodo ho potuto saggiare realmente come opera e come si svolge il lavoro scientifico,
essendo stato a diretto contatto ed avendo collaborato con biologi e psicologi. Nella mia tesi
ho cercato di inserire tutta la mia conoscenza ed il mio amore per l'argomento e ho tentato di
fare tesoro dell'esperienza di tirocinio in Germania, trasformando tale esperienza in
conoscenza.
Nel preparare il lavoro ho iniziato affrontando il tema del riduzionismo in filosofia della
mente, ma con il passare dei mesi e l'accumularsi delle letture, ho sentito la necessità di
allargare il tema e cercare, per quanto le mie conoscenze lo permettessero, di proporre una
visione filosofica generale sul reale e sulla relazione uomo-mondo. Non so se ci sono riuscito;
spero in ogni caso che questa tesi possa essere un punto di inizio di un lavoro e di una crescita
personale ancora più profondi. Nello scrivere ho cercato di appropriarmi dello spirito analitico
che ha contraddistinto la mia formazione, cercando quindi di parlare in modo chiaro e di
creare argomenti convincenti, ma, allo stesso tempo, ho tentato di fornire una visione sintetica
su una questione che ritengo fondamentale in filosofia, come quella del reale.
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Introduzione
In questa tesi mi occuperò del rapporto tra neurobiologia e naturalismo. Questo argomento
si inserisce all'interno di un dibattito più ampio che è quello tra scienza e filosofia. Si cercherà
di valutare che tipo di apporto diano i risultati della neurobiologia al dibattito generale tra
scienza e filosofia, e come contribuiscano a definire che cos'è la realtà. È stato scelto il
naturalismo come proposta filosofica da analizzare perché è una delle formulazioni che, più di
altre, conferisce valore conoscitivo alle affermazioni della scienza. Il naturalismo mira infatti
a far sì che la filosofia sia in continuità con la scienza e propone che quello del filosofo sia un
lavoro a posteriori rispetto ad essa e non possa mai superarne i vincoli teorici. I risultati
dell'analisi filosofica risultano così fortemente subordinati a quelli scientifici, quasi come se
questi portassero ad una determinazione dei primi. L'ontologia è determinata dalle teorie
scientifiche e lo scopo dell'indagine filosofica sarebbe quello di far chiarezza all'interno della
struttura della scienza, esplicitandone appunto gli assunti ontologici.
In quest'ottica di continuità tra scienza e filosofia si creano, ad esempio, interpretazioni
sulla mente che la identificano con il cervello; mentre altre interpretazioni rifiutano tale
identificazione ed altre ancora propongono che l'identità sia soltanto empiricamente realizzata,
ma non logicamente necessaria
1
. La filosofia, in ogni caso, in questa prospettiva naturalizzata,
modella le sue teorie sulle scoperte scientifiche. Se si accetta questa modalità di indagine
filosofica non si potrà non parlare di neurobiologia, quando si parla di mente.
1 Sostengono perciò che a livello metafisico mente e cervello siano due entità distinte.
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D'altra parte la neurobiologia, in un'ottica più ampia rispetto alla definizione del rapporto
tra mente e cervello, è la scienza che indaga -insieme ad altre- che cos'è la conoscenza e le
modalità attraverso cui acquisiamo le conoscenze. In quest'ottica non solo la neurobiologia si
occupa della mente, attraverso indagini sul cervello, ma diventa anche una scienza
fondamentale per l'epistemologia, in quanto indaga le basi neurobiologiche della conoscenza.
In questa tesi si cercherà di dimostrare che la neurobiologia fornisce conoscenze importanti
non solo in questi due ambiti, ma risulta fondamentale anche per l'indagine ontologica. Infatti
si mostrerà che il modo in cui il nostro organismo, in particolare il cervello, entra in rapporto
con l'ambiente può determinare che cos'è la realtà. Sosterrò che il modo in cui veniamo
soggettivamente a conoscenza, attraverso il lavoro dei nostri cervelli, dei dati oggettivi della
scienza può gettare nuova luce su alcuni assunti dell'ontologia e, più in generale, sulle teorie
filosofiche che individuano la realtà con il contenuto delle teorie scientifiche.
Cercando di mostrare che i concetti teorici della scienza non possono prescindere dal
lavoro del cervello, si tenterà di proporre un concetto di realtà che identifichi questa non più
con i concetti -che si cercherà di mostrare essere comunque soggettivi- teorici, ma con il
lavoro stesso del cervello e dei cervelli. Si cercherà di proporre una concezione di realtà che
non sia l'identificazione discreta del reale con il contenuto delle teorie scientifiche, ma che
identifichi il reale con il processo dinamico di adattamento all'ambiente da parte dell'uomo.
Da questa interazione, come prodotto umano, derivano le teorie scientifiche.
Tenterò di spiegare come questa interpretazione del reale non derivi da un'assunzione
filosofica aprioristica, ma, in continuità con la naturalizzazione della filosofia, dalla critica,
basata sui dati empirici della neurobiologia, delle posizioni naturalistiche, in senso stretto, e
del realismo scientifico. Il concetto di ricerca di soluzioni per l'adattamento all'ambiente,
viene tradotto filosoficamente come processo della costruzione della realtà o prassi umana.
Questo concetto però non è un assunto filosofico a priori, ma è il postulato imprescindibile su
cui si basano le scienze biologiche e neurobiologiche evoluzioniste. Il concetto filosofico è
desunto da quello biologico.
Si tenterà quindi di dimostrare che, tenendo fede a questo e ad altri concetti della
neurobiologia applicati allo studio filosofico della realtà, si potrà abbandonare il concetto di
realtà come contenuto delle teorie e si potrà proporre quello di ricerca delle teorie, non solo
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come processo epistemico, ma anche come dimensione ontologica, perché -si tenterà di
provare- per l'essere umano -come affermano alcuni studi biologici e neurobiologici- non
esiste un mondo oggettivo al di là della sua interazione con esso.
Per chiarire il motivo di questo tipo di indagine filosofica che si basa sulla scienza, ma che
non la riconosce come unica fonte di conoscenza, vorrei ricordare un articolo di C.P. Snow
scritto nel 1959 dal titolo “The Two Culture”. Questo articolo è spesso letto come il momento
emblematico in cui si prende atto di una separazione esistente ormai da mezzo secolo tra
cultura umanistica e cultura scientifica. Se si considera il problema della separazione tra
culture all'interno della filosofia, si vedrà che la filosofia della mente (e del linguaggio), più o
meno negli stessi anni, viveva questa situazione di distacco tra l'indagine concettuale
(filosofica) e quella empirica (scientifica). In quest'ottica il naturalismo è un tentativo di
superare questa frattura.
Se la filosofia degli anni Cinquanta, che era dominata dalle concezioni di Wittgenstein e
Ryle e dell'empirismo logico, era orientata verso un'analisi concettuale del linguaggio
ordinario e un'analisi logica del discorso scientifico, rilegava i dati (empirici) della scienza
fuori dal proprio ambito di indagini. Infatti l'analisi concettuale poteva avvenire prima e al di
là dei dati empirici. In questo contesto, l'interpretazione naturalistica di Quine, che vede
l'ontologia come una parte della struttura del discorso scientifico e l'epistemologia come una
scienza descrittiva delle modalità attraverso le quali gli uomini conoscono, rappresenta una
svolta verso le collaborazione tra scienza e filosofia
2
.
A guisa di esemplificazione del cambio di paradigma, basato sulla svolta naturalista, è
interessante vedere come si possa contrapporre, nello studio della mente, ad un'analisi basata
esclusivamente sull'indagine concettuale del linguaggio ordinario, un'analisi volta a misurare
le sue assunzioni con i dati empirici della scienza. In questo senso sarà proposta lo studio di
Place sulla possibilità logica del materialismo e dell'identificazione tra mente e cervello.
Come abbiamo detto l'opera di Quine rappresenta un tentativo, all'interno della filosofia,
di ricongiungere queste due culture. Si pensi al problema mente-corpo e si analizzi come Ryle
tenta di dissolverlo attraverso un'analisi linguistica. In quest'ottica non si riscontra alcun
2 V orrei precisare che già la filosofia dell'empirismo logico entra in stretto contatto con la scienza,
basti ricordare alcuni lavori di Reichenbach sulla meccanica quantistica, ma con Quine si presenta
un nuovo paradigma.
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bisogno di prendere in considerazione i dati della neurobiologia per indagare il problema
filosofico mente-corpo. È però innegabile che la neurobiologia, ormai da diverse decadi, si
occupi dettagliatamente, con discreto impegno e altrettanto successo, di fornire una risposta al
problema mente-corpo. Per dimostrare questo, basterebbe considerare la diffusione di riviste
specialistiche sulla mente e gli studi monografici dei neuroscienziati. Di fatto la scienza si
approccia al problema mente-corpo, indipendentemente da ciò che pensano i filosofi.
Allora si dovrà ammettere che se la filosofia non vuole autoescludersi da questo dibattito
deve necessariamente tentare una riunificazione tra il suo sapere prevalentemente concettuale
e analitico ed i dati della scienza principalmente empirici. In quest'ottica il naturalismo, che
vede l'epistemologia come un tentativo di spiegazione a posteriori (rispetto all'indagine
scientifica) di come funzioni la conoscenza umana e propone una riabilitazione della
metafisica come descrizione della cornice concettuale della scienza, è un buon punto di
partenza.
Non è sorprendente affermare che in quest'ultimo secolo grandi progressi culturali siano
stati fatti in campo scientifico. La fisica e sue scoperte hanno dominato prevalentemente il
panorama culturale (scientifico) del secolo passato. Insieme ad essa la chimica e la biologia
hanno trovato una espansione rapidissima soprattutto nella seconda parte del secolo. Le
neuroscienze oggi sono in un momento di evoluzione e di produzione di concetti e di dati che
forse può essere paragonato a quello della fisica dei primi trent'anni del secolo scorso.
Davanti a questo scenario la filosofia, specificatamente la filosofia della mente, ha davanti a
sé due strade. O rifiutare questo tipo di cultura e chiudersi all'interno dell'altra cultura, quella
umanistica, oppure accettare di entrare in dialogo con la scienza e vedere che tipo di
considerazioni e che tipo di ragionamenti può svolgere all'interno di questa collaborazione.
Il naturalismo è sicuramente la ricerca di questo dialogo. Questo però non deve significare
sacrificare la filosofia sull'altare della scienza. Se si rispetta fino in fondo il ruolo della
filosofia nella cultura umana, si devono chiarire i presupposti che stanno alla base del
rapporto tra questa e la scienza.
La scienza attraverso gli esperimenti scopre fatti oggettivi. La filosofia si interroga su che
cosa sia l'oggettività. La scienza assume che le sue scoperte parlino di cose reali. La filosofia
si interroga su che cosa sia reale. La scienza è una forma di conoscenza. La filosofia si
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interroga su che cos'è la conoscenza. L'elenco potrebbe essere molto lungo, ma ciò che questi
esempi rivelano è che la filosofia è di per sé critica.
Pensare che la filosofia serva alla scienza, in senso stretto, non è totalmente corretto. La
scienza è chiara
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nei suoi scopi, nei suoi metodi, nelle sue ipotesi e nelle sue conclusioni; è
autosufficiente. L'aiuto che la filosofia potrebbe dare nell'opera pratica della scienza è
limitato, se non magari in una forma di collaborazione di tipo progettuale o di sostegno nella
chiarificazione concettuale. In quest'ottica la filosofia potrebbe diventare una sotto-disciplina
della scienza.
Se la filosofia vuol rimanere indipendente come disciplina, non può essere questo il ruolo
con cui si approccia ai dati della scienza. Si dovrà ricordare che parlare de La filosofia oggi è
sempre meno realistico, in quanto anche la filosofia si è divisa da sé in sotto-discipline:
filosofia della scienza, filosofia del linguaggio, filosofia della mente, eccetera. Leggendo il
saggio di Snow si ravvisa che una delle principali critiche che lo scienziato fa alla scienza è
proprio quella di un iper-specializzazione. Rischio che oggi la filosofia corre costantemente.
Parlare di filosofia e specializzazione è quasi un'antinomia. Per esempio Sellars
emblematicamente dice che
The aim of philosophy, abstractly formulated, is to understand how things in the broadest
possible sense of the term hang together in the broadest possible sense of the term. (Sellars
1963, p.1)
La condizione di generalità della filosofia non significa certo che essa non sia una
disciplina complessa e che affrontarla non richieda un gran numero di conoscenze, anzi. È
infatti proprio in questo saggio che Sellars ricorda quante conoscenze siano necessarie per
occuparsi di filosofia, proprio perché essa non ha un oggetto suo proprio e perché è un tipo di
sapere diverso dal knowing that delle scienze specialistiche. Far sì che la filosofia diventi una
scienza specialistica potrebbe distruggere quel knowing how che è tipico di questa disciplina.
E di nuovo si ripropone la distanza tra le due culture.
Si potrebbe allora affermare che la filosofia dovrebbe star lontana dalla scienza proprio per
3 Al di là dei dubbi posti dai filosofi.
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mantenere il suo status di disciplina generale, ma, si sosterrà, questo sarebbe un errore perché,
come affermava Snow, per far avanzare la cultura umana è indispensabile un
ricongiungimento tra cultura umanistica e scientifica. Dato che la filosofia può essere il punto
di contatto tra queste due culture si dovrà delineare effettivamente il ruolo che essa deve avere
nei confronti della scienza. Come ho affermato, pensare che la filosofia possa diventare una
sotto-disciplina scientifica è decretare la fine della filosofia. Pensare che la filosofia possa
essere una disciplina che non si occupa di scienza e allo stesso modo decretarne la fine. Allora
che ruolo può avere la filosofia nei confronti della scienza? La filosofia potrebbe mantenere
uno dei ruoli insito nel suo essere di disciplina, quello della critica. La filosofia può essere
critica della scienza. Per critica non si deve intendere un processo decostruttivo o polemico,
bensì un lavoro di interpretazione dei dati e delle teorie che la scienza propone, volto a
rispondere a quelle domande che sono domande filosofiche. Nella tesi cercherò di trattare due
di queste domande. Soprattutto che cos'è la realtà e conseguentemente cosa significa
conoscere. Nell'argomentare questi due temi si agirà nel seguente modo.
In conformità con ciò che abbiamo detto precedentemente la prima necessità sarà quella di
esplicitare quali siano le nuove conoscenze scientifiche che la neurobiologia porta alla ribalta
e che impatto abbiano sul concetto di conoscenza e di realtà. Questo verrà fatto nel primo
capitolo in cui si analizzeranno le concezioni di tre neuroscienziati, le quali saranno
fondamentali per la comprensione dell'argomento che si svolgerà negli altri due capitoli, in
cui comunque si continuerà a riferirci alle tesi di Roth, di Edelman e di Damasio. Nel
secondo capitolo verrà proposta l'interpretazione del naturalismo di Quine, cercando di vedere
come attraverso la sua lente sia possibile comprendere il rapporto tra stati mentali e stati
cerebrali. Faremo riferimento all'analisi svolta da J. Kim per focalizzare alcuni dei problemi
principali che il naturalismo reca con sé. Prima di spiegare a cosa sarà dedicato l'ultimo e più
importante capitolo, vorrei esplicitare quali sono queste difficoltà e da cosa potrebbero
derivare. La prima riguarda l'assunzione del concetto di reale come reale all'interno di una
teoria. Cercherò di dimostrare come questa riduzione del concetto di reale al concetto di reale
all'interno di una teoria possa essere criticata proprio alla luce degli studi neurobiologici. Si
vedrà che il concetto di reale può essere definito in maniera diversa coerentemente con questi
studi. La seconda difficoltà riguarda il concetto di riduzione. Cercherò di dimostrare come per
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ridurre un fenomeno se ne debba preliminarmente accertare l'esistenza e che quindi ciò che
verrà ridotto del fenomeno non sarà appunto l'esistenza ma la sua descrizione.
Date queste difficoltà che ricorreranno e saranno precisate durante la tesi, nell'ultimo
capitolo cercherò di dimostrare come la filosofia possa interpretare i dati della scienza senza
dover abdicare nel definire che cosa è reale e che cos'è la conoscenza secondo dei suoi propri
termini. Infatti nell'ultimo capitolo si criticherà il realismo scientifico e l'affermazione che
sono reali soltanto le entità indagate dalla scienza (fisica). Nonostante questo, tenterò di
mostrare come le assunzioni, le ipotesi e la pratica della scienza non sia minimamente limitata
dalla concezione del reale che proporrò, nemmeno nelle sue assunzioni ontologiche
(all'interno della teoria). Anzi tali assunzioni ontologiche si diranno legittimate proprio per
effetto dello slittamento semantico che, all'interno della teoria, assume il concetto di reale, il
cui significato generale è quello di il processo attraverso cui l'uomo indaga l'ambiente che lo
circonda. Questa concezione di reale, proposta da alcuni neuroscienziati, reinterpretata sotto
una luce filosofica, è una conquista della neurobiologia. Con questa tesi quindi cerco di
dimostrare quanto fecondo e profondo sia il rapporto tra scienza e filosofia e quanto però la
filosofia possa autonomamente sviluppare, su fondamenti scientifici, le proprie interpretazioni
di alcuni temi che da sempre, e forse per sempre, saranno oggetto di indagine filosofica. Per
concludere quest'introduzione vorrei ricordare come sia la scienza che la filosofia hanno come
loro principale obiettivo quello di modificare la prassi umana. La scienza infatti è una pratica
umana volta a modificare (a migliorare) il mondo in cui gli uomini vivono; così è anche la
filosofia ed ogni indagine teoretica ha come primo fine l'utilità per cui viene pensata. La
neurobiologia afferma che la necessità metafisica è sempre seconda alla necessità pratica.
Questo perché siamo animali, questo perché siamo uomini.
1. Alcuni dati della neurobiologia
In questo capitolo ci occupiamo della mente, della coscienza e della ricerca neurobiologica.
Per un'indagine filosofica della coscienza non sembrerebbe, a prima vista, necessaria
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un'indagine scientifica della coscienza. Spesso si ritiene infatti che la filosofia possa essere
un'attività a priori che prescinde dalle determinazioni empiriche riscontrate dalle scienza
esatte. Si potrebbe affermare che essa si dovrebbe occupare o di analisi concettuale dei
termini del linguaggio ordinario, oppure delle possibilità logiche o trascendentali della
conoscenza (corrente neo-kantiana), ad esempio; si vedrà che non è così.
Il problema della mente è un problema che attraversa tutta la storia della filosofia e da
qualche tempo anche della scienza. Le sue definizioni variano da quelle di spiritus, pnèuma,
rauch, a quelle più moderne di coscienza d'accesso o coscienza fenomenica. Nella storia della
filosofia si possono ritrovare posizioni molto variegate, che si possono sussumere sotto
determinate categorie e che si ripetono nei secoli; materialismo ed idealismo, dualismo e
monismo ne sono degli esempi cristallini. In questo capitolo si descriveranno alcuni aspetti
delle teorie neurobiologiche della coscienza e della mente per farne emergere le implicazioni
filosofiche e le loro conseguenze sulla teoria della realtà.
Come dicevo appena sopra, si deve porre una domanda preliminare sul perché tali
concezioni dovrebbero aggiungere qualcosa alla pura riflessione filosofica. Una prima
risposta di ordine intuitivo è che la scienza ha fornito, nel corso della sua storia, risposte a
molte domande di ordine filosofico. Si pensi ad esempi come Galileo, Newton, Einstein e
molti altri. Nella nostra società inoltre la specializzazione delle discipline e la parcellizzazione
delle ricerche scientifiche pongono spontaneamente la domanda se possa esistere una scienza
della coscienza. La filosofia non può esimersi dal fornire una risposta a questo interrogativo.
Al di là di questa questione generale dell'organizzazione del pensiero nella società, c'è una
motivazione molto più specifica e “tecnica” (prettamente all'interno della disciplina
filosofica). Nel dibattito storico tra materialisti e dualisti la scienza si è inserita infatti come
una lama nel burro.
Le prime teorie sull'identificazione della mente con il cervello vengono fatte risalire a
Place, Feigl e Smart alla fine degli anni Cinquanta. Esse tentano di difendere la posizione
materialista insistendo sulla possibilità logica dell'identità tra stati mentali e stati fisici. Place
propone l'idea che la scienza sia la misura di tale teoria, ma le tecniche del suo tempo non
erano in grado di dare ragioni forti né pro né contro tale affermazione, perciò oggi, aggiornate
le conoscenze scientifiche, il tema si ripropone.
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In ogni caso, una volta intuita la centralità della scienza nel dibattito filosofico, come
banco di prova delle teorie, si potrà spiegare perché in filosofia le neuroscienze abbiano un
impatto travolgente. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta vengono sviluppate diverse
tecniche di indagine del cervello. Se prima di questo sviluppo tecnologico i neuroscienziati
operavano principalmente attraverso indagini post-mortem o attraverso lo studio di disturbi
cognitivi legati a casi di gravi lesioni cerebrali, con queste nuove tecniche sono oggi in grado
di monitorare l'attività elettrica del cervello, l'afflusso di sangue nei vari settori, l'attività di
singole cellule, ecc. e di collegare tali risultati alle attività cognitive. Questo fa sì che si possa
empiricamente testare l'ipotesi sulla possibilità di comprendere i processi mentali attraverso lo
studio di quelli fisici. I risultati sono sorprendenti in ordine di quantità e di qualità, forse non
sufficienti a dirimere la questione dell'identità tra cerebrale e mentale, ma tali da dover essere
presi in considerazione. I dati non sono in sé chiarissimi, tanto che nella comunità dei filosofi
non c'è accordo sulla risoluzione del problema. Filosofi come D. Dennett e P. Churchland
possono essere annoverati tra quelli a sostegno della possibilità di una soluzione positiva a
tale questione, mentre D. Chalmers e N. Block possono essere visti come scettici e critici di
tale progetto.
Negli ultimi quarant'anni, tuttavia, lo studio del cervello ha compiuto progressi
notevolissimi, tanto che oggi le “neuroscienze” costituiscono, insieme alla genetica e alla
biologia molecolare, uno dei settori di ricerca più avanzati in campo biologico. Se ciò finirà
per mutare la disputa bimillenaria tra materialisti e dualisti (o spiritualisti) a favore dei primi, è
presto per dirlo. Tuttavia tale disputa è già stata profondamente segnata dalle nuove
conoscenze sul cervello.(Nannini, 2009)
Nel capitolo che sto introducendo indagherò quali siano le conoscenze sul cervello che
hanno rivoluzionato il problema del rapporto tra mente e cervello, tra anima e corpo, quindi
tra monisti e dualisti. Inoltre si tenterà di dimostrare come la neurobiologia costringa a
ripensare il concerto ordinario di conoscenza, il rapporto tra soggettivo e oggettivo e
soprattutto il rapporto che intercorre tra l'uomo e il mondo. In sintesi si cercherà di ridefinire,
alla luce dell'indagine filosofica delle conoscenze neurobiologiche, il concetto di reale.
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1.2 La coscienza non è una sostanza, è un processo.
Nel dibattito filosofico, come in ogni dibattito che si ponga lungo una linea storica, è utile
determinati dei punti fissi. Nel caso del dibattito sul mentale tale punto fisso è il pensiero di
Cartesio.
Ci si potrebbe chiedere perché tra tutti gli autorevoli filosofi che hanno trattato della
coscienza ed in generale della mente, debba essere proprio il francese, e non ad esempio
Platone o Aristotele, ed essere preso come esempio. La domanda non è di facile risposta,
senonché si potrebbe dire che Cartesio esprime un paradigma. Vissuto in quel Seicento che fu
il bivio in cui iniziano a separarsi -nasce la scienza moderna- scienza e filosofia; è
contemporaneo di Galileo e Bacone, studiosi che delineano il metodo scientifico; è un esimio
propugnatore di teorie scientifiche lui stesso; ed è allo stesso tempo colui che esclude dal
regno dell'indagine scientifica, così come si andava strutturando, il tema della mente, per
mezzo della sua affermazione certa e indubitabile, cogito ergo sum.
Sui motivi per cui Cartesio abbia optato per una filosofia in cui la res extensa (la
dimensione corporea) fosse completamente separata dalla res cogitans (la dimensione
mentale) non è semplice da stabilire. I motivi che sembrano i più accreditati sono di due
ordini completamente diversi. Nel primo caso si parla di motivazioni politiche, secondo cui
Cartesio fu costretto, seguendo un artificio, ad escludere “qualcosa” dal regno del materiale -e
della scienza dunque- per non urtare eccessivamente la visione ufficiale della chiesa; quale
miglior scelta se non l'esclusione del tema della coscienza e della mente allora, argomento
costitutivamente molto vicino all'anima, per poter studiare apertamente e scientificamente
(almeno) i corpi estesi e le leggi di natura? L'altro ordine di spiegazione è filosoficamente più
interessante, ed è anche quello che si può riscontrare nella lettura delle Meditazioni del
filosofo. La necessità di trovare un fondamento per la conoscenza umana. Un'idea chiara e
distinta, tale da non poter essere dubitabile, nemmeno nel caso che un genio maligno ci
ingannasse sul contenuto di essa. Il fatto stesso di pensare, per quanto ingannevole sia il
pensiero, è garanzia che qualcuno che pensa (l'io, il singolo individuo) è. Da qui, il richiamo
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al pensiero come dimensione indubitabile ed essenza dell'essere umano. L'argomento di
Cartesio è molto interessante, ovviamente, ma non rientra, strettamente, nell'analisi della tesi.
Quello che ci preme è comprendere perché quest'idea ha attratto, seppur in molti casi in
termini repulsivi, tutti i neuroscienziati. Al di là dell'adesione al concetto di separazione tra
sfera del mentale e sfera del fisico, che vige nel senso comune, l'idea di Cartesio è importante
perché pone un limite alla ricerca empirica. Non si può dare scienza fisica della coscienza
perché essa non rientra all'interno del mondo fisco. È per questo che ai neuroscienziati alla
ricerca delle basi neurobiologiche della coscienza questa concezione (filosofica) andava
stretta.
Spesso i neuroscienziati, ma anche molti filosofi, attaccano l'idea che la coscienza, e la
mente in senso più generale, sia una sostanza, intendendo con questo termine una “cosa”.
Affermano al contrario che la coscienza è un processo. In un certo senso però questa
interpretazione -della sostanza come cosa- è fuorviante. Si rifà sì alla concezione di Cartesio,
ma legittima l'interpretazione che se la res extensa (mondo fisico) è materia, nel suo
fondamento ultimo, può correttamente dirsi “cosa”, in quanto ogni “cosa” fisica in natura
deve essere composta al limite di materia
4
, ed, essendo -così vengono lette le parole del il
filosofo- il mentale una res, seppur cogitans, anch'essa deve poter essere intesa come una
“cosa”; il cui fondamento, si dirà, non è materia, ma semmai “mente”. Di fondo, in questo
tipo di ragionamento viene supposto un presunto parallelismo tra sostanza e “cosa”. Questa
scelta è però molto arbitraria. Infatti, se si ritorna alle parole di Aristotele ci accorgiamo che
identificare la sostanza principalmente come “cosa” è fuorviante:
Benché il termine “essere” venga usato in tutte queste accezioni
5
, è evidente che, tra
tutte queste, l'accezione fondamentale è quella di “essere un oggetto”, ossia “ciò che sta ad
indicare la sostanza. (Aristotele Metafisica, Settimo libro 1028b 14)
Quindi la sostanza è sì l'essere dell'oggetto
6
, ma che cos'è quest'essere?
4 Ciò vale anche se si interpreta la materia come funzione dell'energia.
5 Libro quinto della Metafisica paragrafo settimo per le varie accezioni di "essere"
6 Sinonimo di cosa
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