2
che vide le fotografie del progetto e pensò subito di esporle alla XI. Biennale
Internationale de Paris. Manifestation internationale des Jeunes artistes, del
1980, a Parigi.
Fotografia, scrittura, arte concettuale, performance… cosa caratterizza l’arte di Sophie
Calle?
Ma soprattutto dove nasce questa sensibilità artistica? A cosa si ispira? Cosa ignora?
La mia ricerca cercherà di dimostrare il legame che l’esperienza artistica della Calle ha
avuto con il movimento della Narrative Art.
Mi riferisco alla nuova attenzione verso la realtà e gli aspetti casuali della vita che, a metà
degli anni Settanta, veniva espressa attraverso l’abbinamento di frasi e immagini
fotografiche secondo nessi logici estranei al senso comune, enigmatici, provocatori,
contrastando la referenzialità e l’oggettualità dell’arte precedente.
Questa tendenza fu denominata Narrative Art, dal titolo di una mostra intitolata appunto
“Narrative Art”, tenutasi nel1974 presso la John Gibson Gallery, a New York (preceduta
nel 1973, nella stessa sede, da una mostra intitolata “Story”).
Il comunicato stampa della mostra riportava la seguente definizione:
“Movimento internazionale che si basa sull’utilizzo sistematico della fotografia
abbinata ad un testo, separati nello spazio, ma legati da una relazione mentale. In
accordo con l’arte concettuale che privilegia la riflessione sul progetto a scapito
della realizzazione, ma in contrasto con un modo di pensare analitico e didattico, la
Narrative Art sceglie i suoi temi dalla vita quotidiana e dall’ambiente circostante.”
La narrazione si definisce attraverso due dimensioni: spazio e tempo.
La mia ricerca partirà dall’analisi di come queste due componenti imprescindibili del
racconto diegetico siano state introdotte, a scopo narrativo, nell’opera d’arte.
Inizierò con lo studio delle opere dell’artista On Kawara, che si dedicò alla
rappresentazione artistica dello scorrere del tempo, delle epoche e alla quantificazione
materiale della dimensione temporale; temi che definirò come precursori del fenomeno
Narrative.
3
Proseguirò con il confronto di alcuni degli artisti che adottarono la metodologia
espressiva tipica della Narrative Art: John Baldessari, Christian Boltanski, Jochen Gerz,
Bas Jan Ader, Jean Le Gac, Allen Ruppersberg, Roger Welch.
Il mio intento è quello di analizzare questa tendenza, cercando di capire cosa la rende tale
e la distingue da una mera soluzione formale. Capire in quale contesto storico-geografico
nacque: Europa, Stati Uniti o contemporaneamente in entrambe? Seguire lo sviluppo di
questa tendenza attraverso le mostre collettive e le esposizioni che si sono tenute dal ’74
ad oggi nel mondo.
La Narrative Art nacque come reazione all’arte concettuale degli anni precedenti o come
parte di essa?
Vorrei poi confrontare i diversi artisti che sono stati definiti narrativi: diversità
nell’impaginazione delle opere, eterogeneità delle tecniche di narrazione, differenti usi
della fotografia, per quali esigenze espressive? Qual è lo scopo della narrazione:
autobiografico, esplicativo, sociale o politico, ludico?
Questa analisi servirà per comprendere i legami estetici ed espressivi tra l’artista francese
Sophie Calle e la tendenza Narrative Art, che si concluse alla metà degli anni Ottanta.
La mia ricerca è iniziata in Italia dove la documentazione è pressochè insesitente.
La quantità di materiale recuperato invece tra Parigi e Londra è stata significativa. Ad
eccezione di brevi saggi e articoli non esistono monografie riguardanti la Narrative Art,
in particolare non esistono pubblicazioni italiane riguardanti Sophie Calle. Al contrario è
oggi in esposizione nelle librerie di alcune importanti istituzioni internazionali d’arte
contemporanea (ad esempio l’ICA di Londra, il Palais de Tokyo e il Centre Pompidou di
Paris) l’ultimo catalogo della personale di Sophie Calle e nuove pubblicazioni dedicate a
Bas Jan Ader. Altre utili informazioni mi sono state fornite dai responsabili degli archivi
di gallerie e musei che negli anni Settanta e Ottanta organizzarono mostre di Narrative
Art, come la dott.ssa Soens Veerle responsabile dell’archivio storico del Palais des
Beaux-Arts di Bruxelles.
4
Per la documentazione completa riguardante Sophie Calle ho contattato la sua assistente
Peggy Leboeuf, presso la Galèrie Perrotin di Parigi, dove ho potuto visionare tutto il
materiale a lei riguardante e Lucile Rives, della Galèrie Sollertis di Tolosa, che mi ha
fornito importanti documenti risalenti agli anni Ottanta.
5
CAPITOLO 1 – La narrazione
1. 1. Un uomo è sempre un narratore di storie.
Cos’è la narrazione e come si è evoluta dagli anni Settanta ad oggi? Qual è il rapporto tra
l’uomo, la sua vita e la narrazione? Cosa significa raccontarsi? Quando la narrazione
diventa opera d’arte?
"Narrare" deriva dal verbo latino Narràre (raccontare), contratto dall’antico Gnarigàre,
che trova suo fondamento nella radice Gna (conoscere, rendere noto) e da Igàre, da Ager,
cioè fare, che indica azione. Dunque il significato etimologico del verbo è far conoscere
raccontando: come dire che il raccontare implica sia una modalità di conoscere che un
modo di narrare, entro un’inestricabile mescolanza.
La natura umana sente il bisogno di ascoltare, vivere, creare e raccontare storie, perché
senza la capacità di raccontare storie su se stessa riuscirebbe difficilmente a definire la
propria identità. Narrando o narrando-si ci si costruisce e conosce, in un continuo
processo dialettico che è un atto di bilanciamento tra l’idea di autonomia, cioè "io sono
me stesso" e quella di appartenenza, ovvero "io sono parte di questa classe, gruppo,
famiglia, cultura".
L’uomo sente la necessità, quasi vitale, delle costruzioni narrative che connotano e
costellano la sua esistenza e rendono l’inaspettato meno sorprendente e meno arcano.
Quelle già scritte nei testi epici o nei libri delle grandi religioni: metafore, simboli o
archetipi; oppure quelle nelle storie mitologiche, nelle storie bibliche, nei racconti, nei
romanzi o novelle, che altri autori hanno pensato o scritto per soddisfare questo bisogno
di narrazioni che da sempre è stato connaturato e caratterizza la specie umana.
6
"Un uomo è sempre un narratore di storie; vive circondato dalle sue storie e dalle
storie altrui, tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere la
sua vita come se la raccontasse".
2
Prima dell’invenzione della scrittura, gli uomini tramandavano i loro racconti sotto forma
di dipinti e di incisioni rupestri, come quelle di Lascaux, Altamira o della Val Camonica:
storie di caccia, di culti, di riti, di paure…
Ma possono dunque le parole scritte o pronunciate racchiudere la varietà dell’esperienza
umana?
Le storie, i linguaggi e le parole, non sono sufficienti da soli a rendere conto di tutte le
dimensioni dell’esistenza umana o del vissuto: ad essi sono estranei le sensazioni
corporee, i desideri, i conflitti e persino i tabù inaccettabili.
3
Gli artisti sentirono sin dal
principio questa mancanza, questa necessità di portare alla luce ogni aspetto della propria
vita, raggiungendo la fusione con l’arte stessa. Scrisse Eugenio Montale:
"Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe e a lettere di
fuoco lo dichiari”.
4
Negli anni Settanta la ricerca dell’arte narrativa iniziò spinta da questa problematica:
esprimere la quotidianità e il vissuto dell’artista cercando la fusione trasparente tra arte e
vita. La scelta estetica fu quella di utilizzare immagini e racconti e di catturare la magia
dell’esperienza vissuta in ambigui, criptici, poetici, asettici nessi logici tra la realtà visiva
e la realtà cognitiva. Questa metodologia rappresentativa concede la libertà
d’interpretazione e di percezione da parte dello spettatore che fruisce l’opera d’arte
narrativa, spinto a una lettura mutevole e quindi l’opera o meglio il racconto rimangono
aperti alle possibilità significative che l’evento può aver avuto per l’artista che lo narrò.
2
SARTRE, Jean Paul, La nausea, Einaudi, Torino, 1963, p. 58.
3
Cfr. JEDLOWSKI, P., Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Bruno Mondadori, Milano,
2000, p. 132.
4
MONTALE, Eugenio, Ossi di seppia (1925), Classici Oscar Mondadori, Milano, 1991.
7
La Narrative Art compie un’analisi del linguaggio, propone una serie di immagini,
solitamente sotto forma di sequenza fotografica, accompagnata da didascalie il cui scopo
è quello di attribuire all’immagine stessa un significato analitico, riflessivo e critico.
Tende quindi a defunzionalizzare il linguaggio, sia della letteratura che della fotografia,
ponendosi oltre la letteratura narrativa. Di questa essa assume comunque la dimensione
temporale, la scansione rallentata, diacronica degli eventi filtrati dalla memoria, che
ripropone secondo una dimensione quotidiana.
Una componente fondamentale per la comprensione di quest’esperienza artistica è la
considerazione dell’importanza della memoria nella narrazione, come vedremo più
avanti. Il premio Nobel per la letteratura Gabriel Garcìa Márquez scrisse un romanzo che
s’intitola proprio “Vivere per raccontarla”. L’autore scrive:
"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per
raccontarla".
5
La Narrative Art gioca con l’ambiguità della memoria, riportando il tutto ad una
dimensione che ricorda quella del Nouveau Roman francese di Robbe-Grillet o della
Serraute e, a maggiore distanza, quella di Proust.
Proprio come nella Recherche proustiana, l’artista francese Jean Le Gac, durante il
periodo della sua adesione alla Narrative Art, produce molti lavori basati sul passato e
sulla memoria: fotografie corredate di didascalie, nelle quali egli ripercorre i luoghi della
sua infanzia, fotografata nei particolari delle vacanze di un gruppo di giovani, o ancora
altre foto, spesso banali, le cui spiegazioni narrative sono però sempre molto puntuali e
precise.
5
MÁRQUEZ, Gabriel Garcìa, Vivere per raccontarla, Mondadori, Milano, 2002.
8
L’artista francese Christian Boltanski in “10 Portraits Photographiques de Christian
Boltanski, 1946-1964” (10 Ritratti Fotografici di Christian Boltanski, 1946-1964), del
1972, raggruppa gli scatti fotografici che lo ritraggono in diverse età della sua vita.
Vent’anni sono racchiusi da una sequenza fotografica in ordine cronologico e da alcune
annotazioni: il ricorso alla sequenza sottolinea lo scorrere del tempo. Le fotografie
evocano un denso vissuto solo indicato dalle scritte eseguite manualmente, che
sottolineano la lontananza temporale dell’immagine presente.
9
1.2. La svolta narrativa e l’autobiografia.
Secondo il filosofo estetico Aldo Gargani ciò che più ha caratterizzato il XX secolo in
letteratura, filosofia, arte, musica, ma anche nella scienza è stata “la linguistic turn”
6
, la
svolta linguistica, da cui è emersa una rinnovata consapevolezza della funzione
indispensabile della mediazione del linguaggio in ogni operazione intellettuale.
7
Questo
mutamento ha significato un nuovo interesse da parte degli studiosi sulla capacità della
forma narrativa di modellare i nostri concetti di realtà.
8
Ancora più complessa ed
interessante diventa poi l’osservazione di opere di Narrative Art, in cui il concetto di
realtà si confronta sia con la narrazione verbale che con quella visiva delle fotografie.
E’ possibile tracciare un percorso evolutivo della forma narrativa, dei suoi impieghi e
della sua padronanza, iniziando dalla considerazione, espressa dalla Poetica di Aristotele,
che le forme narrative hanno principalmente lo scopo di imitare la vita. Aristotele porta in
primo piano il problema della mimesis, cioè delle modalità in cui le diverse forme
letterarie (commedia, tragedia, ecc.) imitano la vita. Ancora nella Poetica aristotelica si
trova una definizione di mythos, che coincide con quanto si definisce con il termine
trama. Per Aristotele mythos e praxis, cioè trama e azione, sono anteriori sul piano logico
ad ogni altra parte della creazione drammatica, incluso l’ethos o carattere. Usando un
termine inglese, la trama o mythos
9
coincide dunque con il plot, cioè con
l’organizzazione e lo sviluppo dei diversi testi, mentre l’attività di plotting, cioè la
dinamica del narrare, può essere identificata con la più generale attività umana di
intessere, elaborare e progettare costruzioni narrative, sia orali che scritte. Per usare una
categoria dell’analisi linguistica, il plot o trama coincide con la sintassi di un certo modo
di narrare, di raccontare; di esprimere, cioè, la nostra comprensione del mondo.
6
Definizione del filosofo americano Richard Rorty, che così intitolò la sua opera: RORTY, R., The
linguistic turn, University of Chicago Press, Chicago, 1967.
7
Cfr. GARGANI, Aldo, Stili di analisi. L’unità perduta del mondo filosofico, Milano, Feltrinelli, 1984.
8
Cfr. BRUNER, Jerome S., La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, Laterza, Bari, 2002.
9
Cfr. BROOKS, Peter, Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo, Einaudi, Torino, 1995.
10
Ripartendo da Aristotele e proiettandosi nella modernità, è fondamentale l’apporto dei
formalisti russi e in particolare i lavori di Vladimir Propp. L’importanza di questa scuola
sta nel fatto di aver elaborato una teoria "costruttivista" della narrazione, capace di
richiamare l’attenzione sull’elaborazione dei materiali e sui modi in cui un dato testo
viene di fatto messo insieme. Una delle loro espressioni favorite è infatti il termine
"artificio", e cioè la tecnica con la quale viene impiegato un determinato motivo, evento o
tema.
10
Nel 1928 Propp pubblicava la “Morfologia della fiaba”; da studioso del folklore quale
egli era, si sentiva molto attratto dal nuovo formalismo della linguistica russa dell’epoca,
riconoscendo però al contempo che la struttura della forma narrativa non si esauriva nella
sola sintassi, ma soddisfaceva al recondito e comune desiderio degli uomini ed esprimeva
il loro sforzo di fronteggiare le cose spiacevoli ed inaspettate della vita, così come gli
antichi greci avevano fatto con il mythos.
Si può continuare a parlare di bisogno anche per l’artista che usa la narrazione, ma
sicuramente in una nuova accezione. Dove nasce la necessità dell’artista di raccontarsi, è
solo esibizionismo o è costruzione di sé, comprensione della società, apertura ad essa?
Prevale l’esigenza di fare della propria vita privata un’opera d’arte, di controllare le
forme plasmate dal tempo e soprattutto dalla memoria, di recuperare momenti, istanti,
fisicamente inarrestabili, attraverso l’annotazione manuale e lo scatto fotografico. Questo
conduce alla costituzione di un’identità unica dell’artista, inscindibile dalla sua opera,
che, come vedremo nei prossimi capitoli, si allontana fino ad una sorta di egomania
riscontrabile nei lavori che verranno analizzati in seguito di Sophie Calle.
Cosa è l’autobiografia?
Lo scrittore britannico Edward M. Forster con la pubblicazione, nel 1927, del libro
“Aspects of the Novel”
11
formulò la teoria che l’importanza attribuita da Aristotele alla
10
Cfr. BROOKS, Peter, Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo, cit.
11
FOSTER, Edward M., Aspects of the Novel, trad. it. Aspetti del romanzo, Garzanti, Milano, 1991.
11
trama fosse erronea e che l’interesse per un’opera di narrativa derivasse non tanto dalla
"imitazione di un’azione", quanto dalla "vita segreta che ciascuno di noi vive nel proprio
intimo".
12
La svolta narrativa arrivò con la scuola degli Annales nella seconda metà del XX secolo e
determinò anche una vera e propria svolta autobiografica; l’autobiografia smise di essere
considerata una semplice descrizione delle vite più rappresentative di un’era e cominciò
ad essere vista sempre più come espressione della condizione umana durante particolari
circostanze storiche.
13
Per raccontare un’epoca, un contesto culturale, l’autobiografia diventa uno strumento
fondamentale e l’adozione di questa tecnica narrativa, da parte degli artisti della
Narrative Art, poi anche di Sophie Calle, permette di scoprire l’intimità dell’uomo di cui
parla Foster.
Gli odierni studi antropologici non si limitano più all’indagine sulle istituzioni presenti in
una data cultura, ma narrano i racconti che le persone fanno loro; la ricerca antropologica
diventa quindi un’interpretazione delle narrazioni biografiche (o autobiografiche) delle
persone, finalizzata a far comprendere in che modo si configura il rapporto "cultura-
personalità". L’antropologo americano Clifford J. Geertz (1926-2006) è stato il primo,
nel libro “Interpretazione di culture”
14
, del 1973, ad affermare e a riconoscere che la
cultura non coincide con la struttura delle istituzioni, come invece sosteneva Claude
Levi-Strauss, ma che essa è un modo di interpretare il mondo in accordo con altri.
Questo atteggiamento potrebbe essere associato a quello di artisti come Gillian Wearing o
Sophie Calle. Nel primo caso si consideri il progetto “Signs that say what you want them
to say and not signs that say what someone else wants you to say” (Segni che dicono
quello che vuoi che dicano e non-segni che dicono quello che qualcun altro vuole che tu
dica)[ill. n.1-4, tav.I], del 1992-95, durante il quale l’artista interroga alcuni passanti nelle
12
BROOKS, Peter, Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo, cit.
13
Cfr. BRUNER, Jerome S., La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, cit.
14
GEERTZ, Clifford J., Interpretation of Cultures, Basic Books, New York, 1973.
12
strade, chiede loro di scrivere su un foglio di carta quello che stanno pensando e che
vorrebbero comunicare agli altri e scatta loro una fotografia. Dalle diverse estrazione
sociali dei soggetti emerge un quadro eterogeneo di desideri e speranze, si delineano le
esigenze di un panorama sociale eterogeneo. Considerando la seconda artista, invece, si
prenda in esame il gruppo di opere realizzato dal 1986 al 1991 sul tema dell’assenza
(“Les Aveugles”(I ciechi), “La Couleur Aveugle” (Il colore cieco), “Fantômes”
(Fantasmi), “Last Seen” (Ultimo visto) e tanti altri suoi lavori che coinvolgono persone
comuni o gruppi sociali localizzati e utilizzando i loro racconti o espressioni disegna una
bizzarra ma interessante mappa socio-culturale. Uno dei motivi che ribadiscono
l’importanza del movimento Narrative è questo, il valore antropologico che deriva dalle
scelte estetiche degli artisti, insieme alla rilevanza sociologica e a quella in letteratura,
dove istintivamente segue l’evoluzione e la svolta narrativa della fine degli anni Sessanta.
La svolta narrativa ed autobiografica si propaga rapidamente anche alle scienze sociali. In
Francia, dopo il maggio ’68, il movimento studentesco e quello operaio si incontrano
nelle piazze parigine: l’esito di questo incontro è l’esperienza dei militanti francesi del
gruppo Alpha
15
; si tratta di volontari decisi a combattere l’analfabetismo magrebino:
insegnando il francese agli immigrati, essi imparano le loro storie di vita. Proprio l’uso
delle histoires de vie nell’educazione degli adulti si è diffuso non solo come metodologia,
ma come veicolo principale per fare acquisire consapevolezza di come si è e di quello che
si fa e si può fare. Questo esempio ribadisce nuovamente il valore delle storie di vita,
delle proprie biografie e può indurre a riflettere sull’intento degli artisti narrativi che ne
fanno uso. A differenza dell’arte concettuale, il rapporto con l’osservatore cambia
profondamente, perché si assiste ad una apertura verso di esso, ad un coinvolgimento più
energico dello spettatore.
15
Cfr. DEMETRIO, D., “Autoconoscenze e Trasformazioni” in ALHEIT, P., BERGAMINI, S., Storie di
vita. Metodologia di ricerca per le scienze sociali., Guerini Studio, Milano, 1996.