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I La responsabilità penale del professionista sanitario
L’ordinamento giuridico italiano irroga sanzioni a chiunque sia responsabile
di condotte attive od omissive riconosciute come reati dalla legge. Queste
sanzioni, applicate dall’autorità giudiziaria, sono di natura penale in quanto
la loro espiazione deve comportare sofferenza, affinché i trasgressori non
intendano commettere nuovamente tali azioni od omissioni in futuro. Le pene,
che si dividono in principali e accessorie, consistono generalmente nella
privazione, definitiva o temporanea, di un bene individuale come la libertà, la
dignità sociale e la proprietà.
Come sancito dall’articolo 27 della Costituzione italiana, la responsabilità
penale è personale. Essa deve quindi scaturire da un fatto colpevole
individuale, ascrivibile a una determinata persona, mentre è esclusa la
responsabilità per fatto altrui. Affinché un individuo sia punito per un reato,
egli deve dunque esserne moralmente responsabile oltre ad averlo
materialmente cagionato. Come si vedrà successivamente, un individuo è
punibile se è soddisfatto il nesso di causalità tra l’azione od omissione e
l’evento, nonché l’azione od omissione sia stata compiuta in condizioni
psichiche normali, tali da poterne considerare l’agente responsabile
dell’intenzionalità del fatto commesso.
La responsabilità è disciplinata dall’articolo 42 del codice penale italiano che
stabilisce <<Nessuno può essere punito per un’azione od omissione
preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e
volontà. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come
delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto
preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. La legge
determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente,
come conseguenza della sua azione od omissione>>. La norma è incentrata
sul principio nullum crimen nulla poena sine culpa
9
, basato
sull’intenzionalità umana che condiziona i comportamenti antigiuridici.
La responsabilità si distingue in:
- Soggettiva, quando il fatto è commesso con coscienza e intenzionalità,
derivante da dolo, preterintenzione o colpa. Si tratta di responsabilità
soggettiva quando l’azione e l’evento sono voluti e preveduti (dolo),
quando l’azione è voluta ma l’evento è voluto in maniera meno grave
di quella verificatasi (preterintenzione), quando l’azione è voluta ma
non è voluto l’evento, che tuttavia era evitabile e prevedibile (colpa);
9
Trad. Nessun reato nessuna pena senza colpa
11
- Oggettiva, quando il soggetto, definito responsabile, risponde di un
reato commesso prescindendo dalla dimostrazione della sua
colpevolezza. Nella responsabilità oggettiva, l’evento dannoso o
pericoloso viene addebitato all’agente in base al solo rapporto di
causalità tra l’azione voluta e l’evento non voluto, senza alcuna
indagine sull’atteggiamento psicologico dell’autore del reato nei
riguardi dell’evento da lui causato. L’agente è chiamato a rispondere
penalmente delle conseguenze della propria condotta per fatti in
ordine ai quali vi è stata la volontà dell’azione ma è mancato il dolo o
la colpa nei riguardi dell’evento, non voluto e non prevedibile.
Il diritto penale si prefigge l’obiettivo di punire la lesione o la messa in
pericolo di un bene giuridico.
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Per l’applicazione del diritto penale devono
essere soddisfatti i quattro principi cardine:
- Principio di legalità, ovvero il fatto deve essere espressamente
previsto dalla legge come reato e il Legislatore deve individuare le
pene specifiche da irrogare. L’articolo 1 del codice penale italiano
infatti recita <<Nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non
siano da essa stabilite>>;
- Principio di offensività, ossia il reo, per essere definito tale, deve avere
la volontà criminosa di commettere il fatto e questa sua volontà deve
realizzarsi in un comportamento umano che possa essere percepito dal
mondo esterno. Non possono essere imputate le mere intenzioni
interne all’individuo che non si siano palesate nella collettività, come
sancisce anche il brocardo latino cogitationis poenam nemo patitur
11
;
- Principio di materialità, il bene giuridico tutelato dalla legge deve
aver subito una lesione oppure la volontà criminosa ne ha messo in
pericolo l’integrità. L’oggetto giuridico del reato quindi è ben definito
e preesistente alla norma penale;
- Principio di colpevolezza, un fatto può essere penalmente attribuito
solo nel caso in cui vi siano presupposti per ritenere che esso sia
obiettivamente e oggettivamente imputabile al suo agente. La
responsabilità penale infatti è personale, come stabilito nel primo
10
Canestrari, Cornacchia, De Simone, Manuale di diritto penale, Il Mulino, 2007
11
Trad., Nessuno può subire una pena per i suoi pensieri
12
comma dell’articolo 27 nella Costituzione italiana, già ricordato in
precedenza.
Tra i più importanti beni giuridici tutelati dal diritto penale si possono
indubbiamente annoverare il diritto alla vita, il diritto all’integrità fisica, il
diritto alla salute, il diritto alla libertà nella sfera sessuale.
La tutela di questi beni giuridici si è frequentemente scontrata con il mondo
delle professioni, in particolare quelle di carattere sanitario, le quali con il
loro operato possono infliggere una lesione a tali beni oppure rilegarli in
situazioni di grave pericolo.
Da sempre il mondo della medicina interagisce con l’ambito giuridico penale
e l’operato del professionista sanitario, soprattutto il medico, è spesso finito
sotto l’occhio-filtro del giurista e dell’operatore di diritto.
Questa condizione vede solitamente contrapposti due soggetti. Da una parte
il paziente che ritiene di aver subito un danno, fisico o morale, che abbia
comportato una diminuzione oppure la lesione totale di un suo bene giuridico;
egli si rivolge dunque all’ordinamento penale affinché il soggetto
responsabile sia punito dalla legge con una sanzione afflittiva. Dall’altra parte
il professionista sanitario, destinatario di un procedimento penale che può
sfociare in un vero e proprio processo giudiziario qualora venga formulata
una imputazione e sia rinviato a giudizio; l’obiettivo del sanitario sarà
dimostrare la sua non volontà ovvero non colpevolezza ovvero estraneità
all’evento e quindi un suo corretto operato nella assistenza, cura e terapia del
paziente.
Il progresso della scienza medica con nuove pratiche, le scoperte della ricerca
scientifica, le varie crisi economiche, l’evoluzione della legislazione e della
giurisprudenza hanno comportato negli ultimi anni un significativo
incremento dei casi di denuncia per malasanità, da parte dei pazienti nei
confronti dei professionisti sanitari e delle strutture sanitarie.
12
In risposta a questa tendenza si è sviluppata la cosiddetta medicina difensiva.
Essa consiste nel prescrivere analisi, visite specialistiche ed esami medici
inutili e superflui per la diagnosi e la terapia, con il semplice obiettivo di
evitare eventuali accuse di responsabilità sanitaria e quindi imputazioni in un
processo giudiziario. Questa prassi costituisce un’enorme spesa per il sistema
12
Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei
disavanzi sanitari regionali
(http://leg16.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/022bis/010/IN
TERO.pdf)
13
sanitario, costretto a sobbarcarsi il costo di prestazioni inutili per la cura del
paziente, e comporta altresì un pericolo per quest’ultimo che viene sottoposto
a visite ed esami inutili, i quali paradossalmente aumentano le possibilità che
egli sia esposto a eventi di malasanità.
Questa situazione ha quindi prodotto una assoluta necessità di più interventi
nel corso degli anni da parte del Legislatore, con lo scopo - a giudizio di chi
scrive, non raggiunto - di contenere il carico giudiziario legato ai casi di
responsabilità sanitaria e soprattutto di ridurre l’elevato costo sociale generato
dalle pratiche mediche eseguite dai medici per mera difesa professionale.
Per un migliore apprezzamento dei delitti specifici inerenti alle professioni
sanitarie e una migliore comprensione delle novità legislative introdotte
nell’ordinamento giuridico italiano nonché dei casi in cui il soggetto reo -
ovvero colui che abbia commesso il reato - possa essere punito, sarà
innanzitutto necessario procedere a un’analisi degli elementi costitutivi del
reato, quali quello psicologico, o soggettivo, e l’elemento materiale, od
oggettivo.
14
1. L’elemento psicologico del reato
L’elemento psicologico del reato attiene il soggetto del reato e considera il
comportamento del responsabile in ordine agli scopi dell’azione e alla sua
capacità di scegliere un modo di agire e di indirizzarlo verso determinati fini,
ossia della volontà. La valutazione della colpevolezza del soggetto reo non
può infatti prescindere da una considerazione della sua azione in rapporto con
la sua volontà.
13
Lo scopo del reato è costituito dal movente o dal motivo dell’azione, ossia il
fine per il quale si agisce, e rappresenta l’interesse personale che spinge
l’agente a delinquere. L’analisi del movente è importante per ricostruire la
psicodinamica del reato e rappresenta il mezzo per individuare il momento
causale interno di un determinato comportamento antisociale.
14
Il codice
penale si attiene a una interpretazione formale conferendo rilievo ai motivi
abbietti e futili o a quelli morali e sociali o alla suggestione collettiva, in
quanto circostanze aggravanti o attenuanti. Il giudizio sui motivi della
condotta è uno degli elementi per desumere la capacità a delinquere del
colpevole.
La colpevolezza è l’atteggiamento psicologico del soggetto agente che
intenzionalmente trasgredisce la legge penale. La dottrina coglie l’essenza
della colpevolezza nel rapporto di contraddizione tra la volontà del soggetto
agente e la volontà del legislatore, ravvisando in tale contrasto una
manifestazione di indisciplina sociale, di disobbedienza legale o di ribellione
intenzionale, meritevole di rimprovero da parte dell’ordinamento giuridico.
La colpevolezza ha un contenuto psicologico e un contenuto normativo. Il
contenuto psicologico risiede nella manifestazione della volontà che si pone
contro la norma e nel rapporto psichico tra l’autore e il fatto da lui commesso.
Il contenuto normativo riguarda il carattere antigiuridico della condotta, in
quanto espressione di una volontà totalmente diversa da quella che avrebbe
dovuto osservare il soggetto.
15
Le cause di esclusione della colpevolezza
sono:
- Caso fortuito, che consiste in un avvenimento imprevedibile e
imponderabile, con carattere di eccezionalità, inserito d’improvviso
nell’azione del soggetto, cagionando un evento impossibile da evitare.
L’autore ha dato un contributo meramente materiale all’evento. Gli
13
Cicognani, Fallani, Pelotti, MEDICINA LEGALE, Esculapio, 2014
14
Puccini, Istituzioni di Medicina Legale, Ambrosiana, 2003
15
Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Trattato di diritto penale, UTET, 2019
15
attributi di imprevedibilità e inevitabilità vanno valutati in relazione
al caso concreto;
- Forza maggiore, ossia un avvenimento esterno, derivato dalla natura
o da terzi, che costringe il soggetto a comportarsi contro la propria
intenzione. Essa deve essere imprevedibile, inevitabile e irresistibile
per agire come scusante;
- Violenza fisica, ovvero la costrizione fisica esercitata da un individuo
su di un altro individuo, mediante l’impiego di forza muscolare, con
lo scopo di fargli commettere un reato. Il soggetto che ha commesso
il fatto non ne risponderà quindi quando non poteva resistere o
comunque sottrarsi alla violenza. Qualora la violenza non sia fisica
ma morale, si tratterà di stato di necessità determinato dall’altrui
minaccia;
- Errore sul fatto, quando la falsa rappresentazione di una situazione di
fatto influisce sulla determinazione della volontà inducendo ad azioni
che non sarebbero state commesse se l’autore non fosse caduto
involontariamente in errore.
L’antigiuridicità indica il rapporto di contraddizione tra il fatto commesso
dall’uomo e la norma prevista dall’ordinamento giuridico penale. Essa
conduce a un processo di valutazione dell’azione, od omissione, nel suo
aspetto esteriore, riconoscendola difforme dalla norma penale. Pertanto,
l’antigiuridicità si risolve in un giudizio di disapprovazione sul
comportamento del soggetto agente. Le cause di esclusione
dell’antigiuridicità sono
16
:
- Consenso dell’avente diritto, disciplinato dall’articolo 50 del codice
penale che afferma <<Non è punibile chi lede o pone in pericolo un
diritto, col consenso della persona che può validamente disporne>>.
Il soggetto che presta il consenso deve essere titolare del bene offeso
dal reato e tale bene deve rientrare nella sfera di disponibilità del
soggetto. Egli deve essere capace di intendere e di volere, consapevole
delle conseguenze derivanti dall’azione consentita. Il consenso può
essere prestato esplicitamente, in forma orale o scritta, oppure può
essere desunto dal comportamento del soggetto avente diritto.
L’ordinamento distingue il consenso putativo - quando l’agente
ritenga per erroneo convincimento l’esistenza del consenso - dal
16
Marinucci, Dolcini, Gatta, Manuale di diritto penale, Giuffrè, 2018
16
consenso presunto, ovvero quando l’agente sa che non vi è stato
consenso e agisce ugualmente;
- Adempimento di un dovere, che esclude la punibilità quando il fatto è
stato commesso durante <<l’adempimento di un dovere imposto da
una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica
autorità>>, come sancito dall’articolo 51 del codice penale.
L’esecuzione di un ordine dell’autorità, nonché l’applicazione di un
comando della norma, non sono considerati azione illecita,
giustificandone l’azione;
- Esercizio di un diritto, ugualmente regolato dall’articolo 51 c.p.,
quando un soggetto compie un fatto previsto dalla legge come reato
pur di esercitare o tutelare un proprio diritto. Gli interessi personali -
diritti soggettivi - hanno prevalenza sugli interessi generali. Una parte
della dottrina considera il diritto di curare come esercizio di un diritto,
tuttavia la giurisprudenza si è espressa più volte in modo contrario
17
;
- Stato di necessità, codificato dall’articolo 54 del codice penale, che
recita <<Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato
costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di
un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato
al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare
dovere giuridico di esporsi al pericolo.>>. Si tratta di una situazione
pericolosa nella quale si imbatte qualcuno contro la sua volontà e dove
egli è costretto a compiere un’azione contro la sua intenzione, non
potendola evitare. Il pericolo deve essere attuale e inevitabile. Il danno
alla persona deve essere grave e consistere in un serio pregiudizio che
minaccia la vita o l’incolumità individuale o altri beni strettamente
personali, quali a esempio la libertà sessuale. La proporzionalità tra
fatto e pericolo comporta una valutazione oggettiva di corrispondenza
fra entità del pericolo stesso e le conseguenze dell’azione compiuta.
Ai sensi del secondo comma della norma, chi ha un particolare dovere
di esporsi a un pericolo non ha possibilità di invocare questa esimente.
A esempio, il professionista medico non potrà sottrarsi dal prestare
opera e assistenza in caso di epidemia, guerra o tumulti.
18
17
Si veda in particolare: Cass. Civile, 23 febbraio 2007, n. 4211 e Appello Milano, 19 agosto
2011, n. 2359
18
Si veda anche Cass. Penale, 18 marzo 1993, n. 2578
17
L’ordinamento giuridico italiano disciplina l’elemento psicologico del reato
all’articolo 43 del codice penale. In questa norma vengono elencati tre livelli
di responsabilità:
- Dolo, che consiste nella volontà e nella coscienza di realizzare
l’evento dannoso. Il reato può essere la conseguenza di un’azione
volontariamente intrapresa e condotta a termine per realizzare il fatto
antigiuridico, che in realtà si è verificato;
- Preterintenzione, il reato si è verificato oltre il voluto dal reo. Da
un’azione volontariamente intrapresa per realizzare un determinato
reato deriva, quale evento non voluto dal responsabile, un diverso e
più grave reato;
- Colpa, ovvero non volontà dell’agente. Il reato è la conseguenza di
un’azione posta in essere dal reo non perché volontariamente
intrapresa per realizzare un fatto illecito, bensì conseguente al
mantenimento di un comportamento imperito, imprudente o
negligente, ovvero trasgredendo disposizioni legislative, disciplinari
e regolamentari impartite proprio per scoraggiare quei comportamenti
che, indipendentemente dalla volontà del colpevole, sono fonte di
danni o di pericoli. I fondamenti della colpa sono dunque la
negligenza, imprudenza e imperizia dell’agente.
Per comprendere al meglio ogni livello di responsabilità, si procederà a
un’attenta analisi di ogni singolo elemento soggettivo.
18
2. Il dolo
Il delitto, e di conseguenza la responsabilità di esso, viene definito doloso
quando l’evento dannoso o pericoloso sia previsto e voluto dall’agente come
conseguenza della propria azione od omissione. Esso si fonda sulla
coincidenza tra fatto ideato-voluto e fatto realizzato.
19
, ossia l’autore risponde
di quello che ha voluto fare e che ha fatto.
Requisiti fondamentali per l’attribuzione del dolo sono dunque la coscienza e
volontà dell’azione, definito anche come momento volitivo, e la
rappresentazione o previsione dell’evento, detta anche momento conoscitivo,
nella commissione del delitto da parte del soggetto reo.
La dottrina definisce il dolo come <<la libera e cosciente determinazione
della volontà a cagionare un evento in contrasto con la legge penale>>
oppure come <<intenzione di cagionare un evento antigiuridico>>
20
.
Il dolo necessita la consapevolezza da parte dell’agente di compiere qualcosa
di vietato, ovvero che egli conosca il carattere antisociale del fatto che ha
commesso. Questa condizione viene definita dalla dottrina con il termine
suitas, ossia la coscienza, da parte dell’agente, dell’antigiuridicità
dell’azione
21
.
In sede di giudizio, il dolo sarà valutato in base agli atti processuali a
disposizione del giudice, che accerterà la corrispondenza tra comportamento
dell’imputato e sua volontà nella commissione, od omissione, del fatto
contestato.
L’intensità del dolo è un elemento determinante, in sede di valutazione della
responsabilità, per l’attribuzione di aggravanti oppure attenuanti - disciplinate
dagli articoli 61 e 62 del codice penale - nella determinazione della pena,
come previsto dall’articolo 133 del codice penale italiano. Essa varia
seguendo una scala di gravità, che può essere maggiore o minore a seconda
del contesto. La forma più grave di intensità è costituita dal dolo di
premeditazione, simile all’elemento soggettivo che sarà trattato nel
successivo paragrafo. La forma con minor gravità è il dolo di impeto, definito
successivamente. Esiste anche una forma caratterizzata da gravità intermedia
che si presenta con il dolo di proposito.
19
Puccini, Istituzioni di Medicina Legale, Ambrosiana, 2003
20
Birkhoff, Nozioni di Medicina Legale, Franco Angeli, 2012
21
Garofali, Manuale di diritto penale, parte generale, Neldiritto, 2017
19
L’ordinamento giuridico italiano distingue varie forme di dolo:
- Diretto o intenzionale, quando vi è corrispondenza tra l’evento
conseguito e quello voluto dall’agente. L’agente si rappresenta
l’evento come certo e persegue con la precisa volontà di realizzarlo;
- Indiretto, quando manca la corrispondenza precedentemente elencata;
- Eventuale, se il reo non vorrebbe il verificarsi di un determinato
evento, ma ne accetta il rischio attuando una condotta che aumenta le
possibilità del risultato. Egli accetta tutte le conseguenze del proprio
comportamento pur di non rinunciare all’azione. L’evento finale si
trasferisce dalla sfera della prevedibilità a quella della volontà;
- Alternativo, se al soggetto reo si configura la possibilità del verificarsi
di due eventi e dimostra indifferenza verso di essi. L’intenzione
dell’agente è diretta a conseguire sia l’evento più grave che l’evento
meno grave, senza mostrare preferenze in merito;
- Indeterminato, quando il reato viene commesso in termini alternativi
ovvero cumulativi. Anche in questo caso vi è una indifferenza insita
nell’agente, che commette il reato senza obiettivo specifico;
- Generico, quando il reato consiste nel semplice fatto disciplinato dalla
norma incriminatrice. È sufficiente la sola previsione e volontà del
fatto descritto nella norma incriminatrice senza ulteriori fini specifici;
- Specifico, il reato è integrato da una specificità e la legge fa espresso
riferimento a una finalità specifica, precisando un determinato tipo di
reato;
- D’impeto, se vi è la particolarità dell’impeto, ovvero la decisione che
porta all’azione non è stata predeterminata ma è successivamente
voluta dall’agente
22
;
- Di danno, il reo vuole effettivamente ledere il bene tutelato dalla
norma;
- Di pericolo, se la volontà di ledere consiste soltanto nella semplice
minaccia di farlo. Il soggetto agente ha creato le condizioni di
minacciare il bene protetto, come a esempio nei delitti di attentato;
22
Demuro, Il dolo, Giuffrè, 2007