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a 48 mi hanno proposto
per la medaglia della Pace
e me l’hanno data
a 36 anni ho attraversato in sei mesi
i quattro metri quadrati
di cemento
della segregazione cellulare
a 59 sono volato
da Praga all’Avana
in diciotto ore
ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel ‘24
e il mausoleo che visito sono i suoi libri
han provato a strapparmi dal mio Partito
non ci sono riusciti
e non sono rimasto schiacciato
sotto gl’idoli crollati
nel ’51 con un giovane compagno
ho camminato verso la morte
nel ’52 col cuore spaccato ho atteso la morte
per quattro mesi sdraiato sul dorso
sono stato pazzamente geloso delle donne ch’ho amato
non ho invidiato nemmeno Charlot
ho ingannato le mie donne
non ho sparlato degli amici
dietro le loro spalle
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ho bevuto ma non son stato un bevitore
ho sempre guadagnato il mio pane
col sudore della mia fronte
che felicità
mi son vergognato per gli altri e ho mentito
ho mentito per non far pena agli altri
ma ho anche mentito
senza nessun motivo
ho viaggiato in treno in aeroplano in macchina
i più non possono farlo
sono stato all’Opera
i più non ci vanno non sanno
nemmeno che cosa sia
e dal ’21 non sono entrato
in certi luoghi frequentati dai più
la moschea la sinagoga la chiesa
il tempio i maghi le fattucchiere
ma mi è capitato
di far leggere la mia sorte
nei fondi del caffè
le mie poesie sono pubblicate
in trenta o quaranta lingue
ma nella mia Turchia
nella mia lingua turca
sono proibite
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il cancro non l’ho ancora avuto
non è necessario che l’abbia
non sarò primo ministro
d’altronde non ne ho voglia
anche non ho fatto la guerra
non sono sceso nei ricoveri
nel mezzo della notte
non ho camminato per le vie
sotto gli aerei in picchiata
ma verso i sessant’anni mi sono innamorato
in una parola compagni
anche se oggi a Berlino sono sul punto
di crepar di tristezza
posso dire di aver vissuto
da uomo
e quanto vivrò ancora
e quanto vedrò ancora
chi sa.
[Berlino Est 1961]
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QUADRO STORICO-LETTERARIO
La gloria e lo splendore dell’impero ottomano erano già scomparsi da
molto tempo quando esso uscì sconfitto dalla prima guerra mondiale.
L’impresa in cui lo condusse Enver Paşa e il suo partito militare si rivelò
fallimentare. Furono anni di lotta sanguinosa contro gli alleati. Infatti, fin
dal 1908, l’estensione territoriale governata da Istanbul era andata
sempre decrescendo.
La guerra con l’Italia del 1912 aveva privato l’impero della Libia e del
Dodecaneso e, la lotta con le giovani nazioni slave dei Balcani, nel 1913,
ne aveva limitato la presenza in Europa ad una regione molto ristretta a
difesa di Istanbul e del Bosforo. La popolazione araba dell’oriente era
continuamente in tumulto, reclamando un’indipendenza che
ostinatamente il sultano rifiutava. Infine, la Russia, eterno nemico
dell’impero ottomano, il quale gli precludeva l’ingresso al Mediterraneo,
coglieva ogni occasione per mostrarglisi aggressiva.
Allo scoppio della prinma guerra mondiale la Turchia era già da anni
nella sfera d’influenza della Germania, e non poteva essere altrimenti.
Troppo distante dalla mentalità occidentale e colonialista della Francia e
della Gran Bretagna, minacciata da vicino dall’esercito zarista, l’unica
via di scampo che aveva a propria disposizione era un’alleanza con le
Potenze Centrali. L’appoggio alla causa austro-tedesca fu però in bilico
fino all’ultimo per l’opposizione del Movimento politico culturale dei
Giovani Turchi, che si erano battuti fin dall’inizio del secolo per un
ammodernamento delle istituzioni ottomane, ottenendo una costituzione
di stampo liberale che però non andava oltre alcune concessioni in
campo politico, lasciando immutati i privilegi del clero musulmano e in
particolare dello Sheikh-ul-Islam che aveva ancora un veto sulle
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decisioni del governo. I miglioramenti che avrebbero potuto ottenere col
tempo, furono però impediti dallo scoppio della guerra. Pur essendo
contrari per principio ai conflitti armati, i Giovani Turchi erano però
fortemente nazionalisti e ciò fu alla base dell’appoggio fornito ad Enver
Paşa. Di fronte alla scelta tra la divisione dell’Impero (sotto la spinta
delle etnie di confine) e la guerra, essi scelsero quest’ultima come male
minore. Le prime fasi della guerra sembravano dare ragione agli
interventisti, in quanto sia lo sbarco Anglo-francese nei Dardanelli, sia
l’offensiva Russa nel Caucaso si arenarono davanti alla resistenza
dell’esercito ottomano. L’orgoglio per queste vittorie difensive fu tanto
grande che il governo ipotizzò persino un’avanzata in Armenia e
Azerbaigian (tentato con esiti disastrosi nel 1916). Le grandi offensive
del deserto arabico del 1918 e la successiva caduta del fronte orientale
avrebbero tolto ogni speranza almeno di una pace dignitosa. Anche dopo
l’umiliante resa, l’impero Ottomano sarebbe potuto sopravvivere,
almeno come stato cuscinetto tra la Russia comunista e il Mediterraneo,
se non fosse stato per il comportamento sconclusionato dei maggiori
leader politici dei paesi vincitori che non dimostrarono la minima
conoscenza della cultura e della storia turca. Non appena terminarono gli
scontri armati, ogni nazione vincitrice, per quanto fosse stato piccolo il
suo contributo alla vittoria, si sentì in diritto di reclamare delle
compensazioni a carattere territoriale oltre che pecuniario da parte del
Sultanato. Quest’improvviso ritorno al colonialismo non fu per nulla
inaspettato, ma al contrario si basava su precisi impegni presi addirittura
anteriormente all’inizio della guerra. La spartizione della Turchia non si
doveva limitare a privarla della sua città più importante, ma anche di tutti
i territori delle province orientali, che sarebbero stati divisi equamente
tra Francia (Siria) e Gran Bretagna (Iraq), con la costituzione di alcuni
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stati satelliti arabi a protezione dei confini caucasici della Russia. Il
trattato di Sykes-Picot del 1916 servì per delineare questi nuovi confini.
Proprio in quest’occasione si cominciarono ad intravedere dei segni di
schizofrenia nella politica estera della Gran Bretagna. Infatti, mentre da
una parte firmava un trattato con la Russia che prevedeva degli accordi
ben precisi per la popolazione araba dell’Impero, dall’altra stringeva
alleanza con l’Emiro Hussein dell’Hicaz, promettendo la piena
indipendenza del suo popolo in cambio della rivolta contro il Sultano. Se
non fossero bastate queste incongruenze, difficoltà maggiori sarebbero
sorte per l’assegnazione della zona d’Antalya che doveva essere affidata
all’Italia dietro preventivo permesso russo. Così facendo si era arrivati ad
accrescere il risentimento del popolo greco, che sacrificatosi a lungo sui
monti della Tessaglia aveva visto scomparire in un sol colpo ogni
possibilità di espansione. Il sacrificio di un fedele piccolo alleato, valeva
bene la tutela degli equilibri di forza che si erano costituiti nella regione.
A sconvolgere tutto doveva arrivare la rivoluzione russa. Il fatto che lo
zar fosse stato spodestato e che la Russia fosse in preda ad una guerra
civile, non comportava soltanto un ulteriore impegno ripartito sulle tre
potenze rimaste a confrontarsi con l’Austria e la Germania, ma
modificava anche tutti gli accordi giuridici stipulanti prima del cambio di
regime. Il trattato sugli Stretti era virtualmente annullato, così come
quello per Antalya, sottoposto alla condizione di un consenso dello stato
russo che al momento era contestato sia dagli alleati sia al suo interno.
Invece di riunire semplicemente queste regioni alla Turchia, si decise che
si poteva ben concedere quell’espansione territoriale che la Grecia
reclamava. Se non nella zona di Antalya, almeno in quella di İzmir, nei
pressi dei Dardanelli, abitata da una minoranza d’origine greca.
L’ideazione di questo piano ha la paternità del primo ministro inglese
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Lloyd George che se solo avesse conosciuto un pò più a fondo la storia
della Turchia avrebbe compreso quale miccia aveva appena acceso.
Truppe greche furono fatte sbarcare nella zona di Smirne nell’aprile
1919 con scorta di navi da guerra inglesi, francesi e americane. Poco
dopo, più ad est, sbarcavano anche dei reparti italiani a protezione delle
isole dell’Egeo da poco ottenute. La politica estera britannica fece,
probabilmente, un altro errore concedendo spazio alle rivendicazioni
dell’etnia armena (duramente provato dalla persecuzione degli anni della
guerra, il popolo armeno pensava di aver trovato nella Gran Bretagna la
protettrice che aveva cercato per secoli). Inoltre l’esercito britannico
occupò anche tutti i territori caucasici che erano appartenuti all’Impero
con la scusa di salvaguardare il nuovo protettorato dell’Iraq. In mezzo a
queste continue sopraffazioni, alla Turchia fu fatta una sola concessione,
ma di grande rilevanza. Dopo il decadimento del trattato con la Russia,
Istanbul sarebbe dovuto ricadere sotto amministrazione internazionale,
lasciando al sultano un piccolo regno con capitale a Konya. Invece, dopo
aver creato degli stati cuscinetto ovunque, la Gran Bretagna si sentì
abbastanza sicura da poter far ritornare la città in mani turche. In ogni
caso, per evitare futuri problemi, il governo inglese mise al trono un
principe filo-britannico di nome Vaheddin e occupò con le proprie
truppe Istanbul. Tutte queste condizioni furono ufficializzate nel trattato
di Sevres, che la Turchia finì per firmare nel 1920. Questo accordo dava
il dominio del Medio Oriente a Francia e Gran Bretagna, con un sicuro
appoggio di Grecia e Italia. A contrastare questa visione colonialista
rimasero solo gli Stati Uniti che, seguendo i 14 punti dettati dal
Presidente Wilson, non potevano che condannare l’evidente negazione
della volontà popolare nelle zone concesse a nazioni che nulla avevano a
che fare con le tradizioni, la cultura e la storia della Turchia. Purtroppo,
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questa opposizione rimase per lo più sulla carta. La situazione in Turchia
aveva però già cominciato a cambiare nel 1919. Sulla scena era giunto
prepotentemente un personaggio che avrebbe segnato il destino della
Turchia: Mustafa Kemal
1
. Nato nel 1881 a Salonicco (che attualmente si
trova in Grecia, ma che a quel tempo faceva parte dell’Impero
Ottomano) fu educato in principio alla tradizionale scuola religiosa.
Successivamente ebbe la possibilità di trasferirsi in una scuola moderna
di stile occidentale, dove crebbe con gli insegnamenti liberali comuni a
quell’epoca. A soli dodici anni entrò in una scuola militare di studi
superiori. Agli inizi del ventesimo secolo, più precisamente nel 1905, si
diplomò all’Accademia militare di Istanbul con il grado di capitano. Fin
dai primi anni di carriera fu attivo anche in campo politico. Insieme ad
altri ufficiali creò un gruppo segreto chiamato “Patria e Libertà” ed ebbe
un certo ruolo nell’ascesa al potere dei Giovani Turchi nel 1908. La sua
fama crebbe a dismisura solo nel 1915, quando divenne un eroe
nazionale durante la difesa dei Dardanelli. Prima ebbe successo
nell’arginare lo sbarco alleato, poi con una serie di offensive
ottimamente programmate riuscì a respingerlo definitivamente. Ciò gli
valse la promozione a Generale già nel 1916, quando aveva solo 35 anni.
Da quella data fino alla fine della guerra si distinse per le continue
vittorie sul campo che però non modificarono la sconfitta finale della
Turchia. Nel 1919, Mustafa Kemal era riuscito a farsi nominare ispettore
della Terza Armata Nazionale nei pressi della città di Samsun, sulle
coste del Mar Nero. La nomina sul principio non ebbe molto significato,
in quanto questa Armata esisteva solo sulla carta, essendo limitata a un
1
Robert Mantran, Histoire de l’Empire ottoman, Paris 1989. Franz Werfel, The forty days of
Musa Dag. Ifan Olga, Portrait of a Turkish family.
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numero esiguo di uomini. Però aveva due vantaggi estremamente
importanti. Gli consentì di impadronirsi di un residuo di armi e
vettovaglie abbandonati dai tedeschi nel porto di Samsun e gli fornì
quella legittimità che gli derivava dalla carica ufficiale che rivestiva.
Anche se teoricamente avrebbe dovuto prendere ordini dal Sultano in
persona, Mustafa si guardò bene dal farlo, iniziando la traversata
dell’Anatolia con la sua piccola armata, in direzione delle terre occupate
dai greci. Nel suo lungo viaggio dal Mar Nero all’Egeo, egli attraversò
terre abitate da quegli stessi contadini di etnia turca che tanto avevano
sofferto dando il proprio sangue durante la Prima Guerra Mondiale e
ovunque si fermasse trovava nuovi volontari per quello che stava ormai
diventando un esercito di liberazione nazionale. Giunto in prossimità
della città di Sivas si accordò con il governatore della provincia per la
scelta di alcuni delegati che nella conferenza di Balikşehir avrebbero
gettato le basi per il successivo congresso di Erzrum del Luglio 1919
dove, attraverso la stipulazione di un vero e proprio “Patto Nazionale”, si
consacrò il principio che il suolo turco era inviolabile e non
assoggettabile a nessun mandato amministrativo straniero. Però,
nonostante la grande autorevolezza di Mustafa Kemal fino alla
Conferenza di Sivas del Settembre 1919, il movimento nazionale era
ancora sprovvisto di un capo. Lo stesso movimento era ancora moderato
e non si avevano delle tendenze rivoluzionarie. Queste idee erano però
già abbastanza estremiste per il sultano, il quale diede ordine al capo
militare del distretto centrale dell’Anatolia, Kazim Kara Bekir di
arrestare Kemal. L’addetto militare si trovò in una situazione alquanto
difficile. Anch’egli di idee moderate e molto vicino alle posizioni di
Kemal, era tuttavia ancora fedele al sultano, ma non voleva interrompere
il moto riformista che si era attivato a Sivas. Così per non contravvenire
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agli ordini rispose al sultano di non avere mezzi a sufficienza per potere
arrestare il generale ribelle, credendo che così facendo avrebbe preso
almeno abbastanza tempo per potersi accordare con Kemal stesso.
Invece il Sultano, pare spinto da pressioni dei consiglieri britannici,
trasferì l’ordine di arresto in mano a reparti curdi di stanza nell’Anatolia
orientale che intrapresero una manovra di avvicinamento a Sivas che
somigliava troppo al movimento di un esercito invasore per non
risvegliare il sentimento popolare del ceto contadino turco. Davanti alla
minaccia armata, Kemal prontamente impegnò i soldati a lui fedeli nella
lotta contro le truppe del sultano, riuscendo a sconfiggerle con una certa
facilità. Di fronte all’impossibilità di avere ragione dei ribelli con la
forza, il Sultano passò a una tattica diplomatica. Invitò il parlamento di
Sivas a rientrare nella legalità, trasferendosi a Istanbul. I membri del
Parlamento che avevano delle tendenze liberali, ma moderate,
accettarono di buon grado. Una volta raggiunta Istanbul però, l’organo
legislativo avrebbe voluto proseguire con l’opera di ammodernamento
che aveva già cominciato a Sivas. Purtroppo, la differenza che passa tra
un sovrano assoluto e un monarca costituzionale non piacque per nulla al
Sultano e neppure ai Britannici. Così, per evitare rischi inutili si decise di
intervenire. Il 16 marzo 1920 truppe inglesi arrestarono tutti i membri
del parlamento che non riuscirono a fuggire in tempo, condannandoli
all’esilio a Malta. Rimaneva ancora libero Mustafa Kemal che aveva
rifiutato di trasferirsi a Istanbul per non sottostare alla volontà del
Sultano. Per distruggere la minaccia che ancora costituiva per il potere
dell’impero, sia l’armata del Sultano sia le truppe greche di Smirne
cominciarono a convergere sul centro dell’Anatolia col compito di porre
fine alla rivolta. Prima ancora di occuparsi della situazione militare,
Kemal decise di sistemare quella politica. Ad Ankara riunì tutti i membri