trasmissioni e film doppiati comporta un corto circuito derivato dalla sovrapposizione
dei codici che produce come risultante un esito profondamente innaturale.
Proprio questo carattere innaturale, questa assenza di fluidità rappresenta in qualche
modo il principale limite del linguaggio della comunicazione audiovisiva di massa,
limite che si esplicita al suo massimo livello nella trasposizione di un'opera in un'altra
lingua, in quel perfezionatissimo meccanismo di finzione che è l'adattamento
cinematografico-televisivo. E nella trasposizione dei testi da una lingua all'altra, la
scorrevolezza del flusso linguistico incontra gli ostacoli di maggiore entità: la
sovrapposizione della lingua del doppiaggio alla lingua artificiale del parlato filmico,
quella lingua “scritta per essere parlata come se non fosse mai stata scritta” ( Bosinelli,
2000 ), va a costituire un elemente doppiamente finzionale che finisce per generare un
ibrido linguistico artificiale quanto le storie messe in scena. L'artificialità del tappeto
linguistico, unita ad una trasposizione spesso non orientata in direzione del
raggiungimento di un effetto equivalente nello spettatore finale rispetto a quello del
testo di partenza, genera di conseguenza un prodotto spesso eccessivamente distante da
quello originale.
Accompagnato da queste convinzioni, lo studio che segue mira a evidenziare, attraverso
l'analisi del case study rappresentato dalla versione italiana della serie televisiva Skins,
fino a che punto una resa non naturale e non fedele di sceneggiature televisive incida sul
prodotto finale tanto da alterarne la natura e il senso stesso. Partendo da una analisi
attenta delle caratteristiche del prodotto originale e del suo pubblico di destinazione, si
procede con un raffronto contrastivo tra i passaggi più significativi delle prime due
stagioni della serie televisiva per le quali esiste già una versione italiana adattata e
trasmessa su canali televisivi satellitari e terrestri. L'analisi e la messa in evidenza delle
aree problematiche sono finalizzate alla proposta di soluzioni alternative a quelle
adottate nella versione italiana definitiva, in un'ottica che pone naturalezza, fluidità e
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accettabilità dei dialoghi come obiettivi principali da privilegiare, senza dimenticare
alcune caratteristiche peculiari del testo tradotto per il cinema, quali il criterio del
sincronismo labiale.
A seguito del lavoro critico-analitico viene presentata la traduzione integrale di un
episodio significativo della terza stagione della serie, inedita in italiano, effettuata nel
rispetto dei principi enunciati e corredata da un'analisi volta ad evidenziare ed esplicare
le ragioni delle scelte traduttive effettuate. Pur non essendo concepito come un testo già
adattato e pronto per la recitazione, la traduzione proposta tende a rispettare quei basilari
principi di corrispondenza e sincronismo tali da renderlo non un semplice esercizio
critico fine a sé stesso, ma una concreta attualizzazione delle linee guida adottate
nell'avvicinarsi all'analisi delle stagioni precedenti e delle versioni italiane definitive.
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Capitolo Primo
Naturalezza VS artificialità
La traduzione audiovisiva consta di una quantità di processi e tecniche talmente grande
da renderla un sottoinsieme profondamente articolato e sui generis all'interno
dell'universo traduttivo. Attorno a questa particolare branca della traduzione, nel corso
della seconda metà del secolo appena concluso, si è focalizzata l'attenzione di studiosi e
tecnici.
Tale interesse è motivato tanto dal carattere profondamente innovativo e complesso del
testo da trasporre, quanto dai forti interessi commerciali che hanno a lungo incentivato il
perfezionamento del processo. La motivazione economica è indubbiamente centrale, in
quanto è alla base della nascita della prassi di tradurre opere cinematografiche in lingue
diverse dall'originale. L'introduzione del sonoro comportò fin da subito una presa di
coscienza della necessità di elaborare soluzioni utili al fine di rendere i prodotti
cinematografici esportabili all'estero. Se questa problematica difatti era del tutto
marginale nell'era del muto, a partire dagli anni 20 del XX secolo inizio' ad acquisire
una rilevanza sempre maggiore. L'uscita nelle sale nel 1927 de “Il cantante di
Jazz” (The jazz singer, diretto da Crosland), film nel quale venne inserita la prima
battuta recitata della storia del cinema2, rappresentò una svolta assoluta. Il cinema si
stava trasformando da arte puramente visivo-concettuale, nella quale il medium
comunicativo era costituito dall'immagine che veicolava il messaggio per intero, ad arte
più fortemente caratterizzata in senso narrativo. Se nel muto la comunicazione verbale
avveniva rigorosamente in forma scritta e ricopriva un ruolo descrittivo-commentativo,
didascalico in senso stretto con la nascita del sonoro la parola e più in generale
l'elemento narrativo aquistano una centralità sempre maggiore. Conseguentemente, la
2 Paolinelli-Fortunato, 2005
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pellicola intesa come prodotto commerciale conosceva un ridimensionamento del
proprio valore e del proprio potenziale di diffusione: vendere i film di Hollywood ad un
pubblico non angolofono era diventato più difficile, e a meno di non riuscire a rendere il
prodotto fruibile ad un pubblico alloglotto, esso era destinato ad avere successo soltanto
sul mercato interno. Le varie case di produzione raccolsero le nuove sfide imposte dagli
sviluppi tecnologici e giunsero a presentare soluzioni disparate, alcune dispendiose
come le edizioni multiple di film recitate da attori di madrelingua diversa, altre
fantasiose e impensabili oggi, come l'espediente trovato nell'Italia fascista per rendere
comprensibili al pubblico italiano i dialoghi di Morocco realizzando un vero e proprio
falso cinematografico, con l'inserimento di scene girate ex novo in italiano a commento
delle immagini.
Nel corso degli anni si sono affermate tuttavia soltanto alcune tipologie di traduzione
audiovisiva, molto diverse tra loro e nella maggior parte dei casi destinate ad usi
specifici. Limitandoci al contesto cinematografico e televisivo, le tipologie di traduzione
adottate con maggiore diffusione sono tre: il sottotitolaggio, il voice-over ed il
doppiaggio. Come è ampliamente noto, il sottotitolaggio consiste nella trascrizione,
integrale o più spesso sintetizzata, delle battute pronunciate dagli attori che vengono
sovraimpresse all'immagine. Peculiarità di questa tecnica è dunque lo spostamento del
messaggio dal canale orale a quello scritto, e la preservazione dell'accesso alla traccia
audio originale. Nel corso degli anni, il sottotitolaggio si è andato affermando come utile
strumento per la didattica delle lingue.
Analogamente al doppiaggio, anche il voice over preserva l'accesso alla traccia audio
originale, alla quale è tuttavia sovrapposto l'audio nella lingua target. L'economicità di
questa tecnica la rende particolarmente appetibile per i paesi in via di sviluppo e per
l'Est Europeo.
Attualmente la soluzione maggiormente applicata in ambito cinematografico e
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televisivo, seppur con alcune distinzioni tra paesi di diverse tradizioni e con un trend
diretto verso una maggiore apertura a soluzioni diverse, è quella del doppiaggio.
Per doppiaggio si intende comunemente il processo composto dalla traduzione
linguistica della sceneggiatura originale, dall'adattamento delle battute tradotte ai limiti
imposti dai movimenti labiali degli attori originali e dalla successiva recitazione del
copione adattato da parte di attori-doppiatori nella lingua di arrivo.
Come è evidente si tratta di un processo laborioso che comporta un peso economico
rilevante, sostenuto principalmente dai grandi profitti delle opere cinematografiche e
televisive ( e conseguentemente poco diffuso nei paesi in via di sviluppo), che nel corso
degli anni ha raggiunto uno state of the art estremamente elevato nei grandi paesi
doppiatori come Italia, Francia e Germania. Il prodotto che ne risulta è una vera e
propria riedizione dell'opera originale, che risulta alterata in profondità nella sua stessa
natura a prescindere dall'accuratezza e dall'efficacia del lavoro svolto, lavoro che
aggiunge elementi artificiali e estranei ad un testo concepito in una determinata maniera
da propri autori. L'artificialità, o per meglio dire la finzione basata sull'accettazione di
determinati paradossi, è elemento fondamentale nel doppiaggio e riprende direttamente
quegli aspetti caratterizzanti risontrabili alla base della produzione artistica in senso lato
e cinematografica in particolare. L' accettare che un ebreo newyorkese possa esprimersi
in italiano, o che il gruppo di adolescenti protagonista degli episodi di Skins possa
parlare un linguaggio che ricalchi, con tutti i limiti del caso, il gergo parlato dagli
adolescenti di una qualsiasi cittadina di provincia italiana, passa necessariamente da un
tacito accordo tra autori, doppiatori e fruitori dell'opera. Per il bene comune,
rappresentato dall'esportabilità del prodotto per i primi e dalla sua fruibilità per gli
ultimi, si accetta l' irreale scenario nel quale questa alterazione dell'asse diatopico è
possibile e avviene sotto i nostri occhi. Si tratta di un meccanismo perfettamente in linea
con la filosofia della finzione cinematografica in senso lato, della quale il doppiaggio
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non è che una ulteriore possibilità di manifestazione. La sospensione dell'incredulità
teorizzata da Coleridge trova dunque nello straniante bilinguismo degli attori, cosi
palesemente presentato davanti ai nostri occhi dalle versioni in DVD delle opere
cinematografiche e televisive, la sua ennesima realizzazione. Lo spettatore accetta e
prende come vero qualcosa di inverosimile per comodità, per necessità o più
semplicemente, per amore dell'arte in senso lato. Da questa visuale, l'opera doppiata si
integra perfettamente in un mondo di finzione e il lavoro di trasposizione linguistica,
adattamento, ri-recitazione non differisce dal lavoro di taglio e montaggio o da qualsiasi
intervento di post-produzione nel quale venga alterata la presunta purezza della ripresa
scenica e del recitato originale.
Se sul piano concettuale il lavoro di adattatori e doppiatori sembra dunque perfettamente
legittimato in quanto in linea con l'idea stessa di opera filmica intesa come prodotto di
finzione basato sulla sospensione dell'incredulità, è sul piano delle realizzazioni pratiche
che molte delle obiezioni a questa forma di trasposizione trovano un terreno fertile. Le
arte visive cosi' come l'intrattenimento, in qualunque forma si concretizzino, non sono
soltanto prodotti estetici ma, in molti casi, veicolano significati. Se la settima arte degli
albori conobbe un enorme successo e veniva esaltata, come abbiamo visto, anche per
l'enorme potenziale espressivo dell'immagine in movimento non vincolata da barriere
linguistiche, con la nascita del sonoro essa vide in buona parte mutare la propria natura.
La capacità di un film di comunicare messaggi e significati, di narrare storie, di parlare
in senso lato indubbiamente forniva all'opera un maggiore potenziale. Al tempo stesso
però, poneva delle grandi sfide a chi decideva di occuparsi della trasposizione
linguistica del testo originale, dove per testo non intendiamo le nude parole, ma l'intero
apparato semantico-referenziale. Queste sfide spesso sono state raccolte e affrontate con
successo, spesso sono state ignorate. Le soluzioni adottate per affrontare problematiche
come quelle legate alla resa di realia, idioletti, etnoletti, puns, vizi e tic linguistici di
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singoli personaggi la cui comprensione profonda passa soltanto dall'ausilio di quei
determinati e irriproducibili vizi sono state spesso determinanti per il successo di
un'opera doppiata o per il suo fallimento, anche dal punto vista meramente
commerciale3. La lingua e le problematiche ad essa legate sono dunque fondamentali se
si parla di doppiaggio.
Nel corso degli anni, l'industria italiana del doppiaggio ha contribuito, in maniera più o
meno volontaria e consapevole, alla creazione di una vera e propria varietà linguistica.
Il parlato filmico del doppiaggio si distingue immancabilmente non soltanto dal parlato
reale, ma anche dal linguaggio utilizzato in gran parte dei film che nascono in lingua
italiana. Questa variante linguistica è tendenzialmente non marcata, attenta a mantenere
un equilibrio tra le varianti diastratiche e a non tradire provenienze regionali. Risulta
dunque profondamente in contrasto con quella grande variabilità diatopica e diastratica
tanto radicata e caratteristica del linguaggio cinematografico italiano fin dal dopoguerra
e dal neorealismo. Inoltre si scontra spesso con la maggiore vivacità dell'originale ed è
probabilmente una delle principali responsabili del pregiudizio che, specialmente in
un'epoca caratterizzata da una grande facilità di accesso a opere in lingua originale,
sembra svilupparsi nei confronti delle opere doppiate. L'adozione di questo standard
eminentemente medio risulta efficace finché il testo originale si discosta poco dalla
lingua standard, come avviene nei discorsi formali, oppure è connotato fortemente in
senso tecnico. Nel momento in cui ci si trova di fronte a testi originali che si allontanano
da questo standard, le incongruenze tra il linguaggio adottato e l'insieme testo
originale/immagine/contesto risultano maggiormente evidenti ed il metatesto prodotto
manca spesso di riprodurre adeguatamente il valore connotativo dell'originale. Il caso
più comune e noto è probabilmente quello dei gerghi: l'industria del doppiaggio italiana
si affida, per la resa di determinati linguaggi particolari come il gergo dei poliziotti o
quello legale, ad una serie di soluzioni ideate decenni fa e da allora pedissequamente
3 si confronti, in merito, lo scritto di Chiaro-Nocella in AA.VV, 1998,
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riprodotte. L'artificialità di queste espressioni è palese, ma il loro uso consolidato le
giustifica rendendole ormai non marcate in quei determinati contesti. Il gergo dei
poliziotti nei telefilm statunitensi è il classico esempio di una serie di soluzioni
predefinite applicate ad un testo originale, che svelano tutta la loro inadeguatezza se
raffrontate direttamente con la fonte. La serie di espressioni facilmente riconoscibili e
note quali “piedipiatti”, “soffiata”, “pizzicare” per “cogliere in flagrante”, estremamente
marcate come inusuali o antiquate nel linguaggio reale eppure utilizzate con grande
naturalezza nel parlato filmico delle serie tradotte ci da la misura del grado di
indipendenza, o se vogliamo di distanza, che questo ha raggiunto rispetto al linguaggio
naturale. L'assuefazione a questo uso particolare del linguaggio e a questa terminologia
tipica è estremamente diffusa. Il parlato filmico, nell'accezione appena considerata,
spesso non viene percepito come marcato: i personaggi parlano come ci si aspetta che
parlino, scelte che apparirebbero insuali e astruse se utilizzate nella reale conversazione
quotidiana sembrano del tutto legittime nella conversazione quotidiana simulata di film
e produzioni televisive. Il pericolo principale insito dietro questo meccanismo di
standardizzazione è quello di un appiattimento e di una limitazione dell'espressività:
opere diverse per tipologia e contenuti, personaggi diversi per estrazione sociale e
contesto culturale incorrono in un livellamento forzoso nel momento in cui vengono
passati attraverso il filtro omogeneizzante del parlato filmico tradotto, del cosidetto
doppiaggese. Se è vero che questa lingua artificiale risente anche di insuperabili vincoli
tecnici, come quelli legati alla sincronizzazione labiale, la quantità di informazioni,
sfumature e connotazioni perse in questo processo di omogeneizzazione e adeguamento
a modelli adottati in passato deve imporre una riflessione volta a comprendere le
possibilità di miglioramento e le direzioni verso le quali i professionisti del doppiaggio
possono guardare per perfezionare ulteriormente la qualità di un prodotto e l'efficienza
di un' industria che, nonostante i suoi limiti,vanta meritatamete un credito internazionale
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ed una reputazione di alto livello.
Nel corso di questo lavoro, si è scelto di focalizzare l'attenzione su un prodotto
caratterizzato da una vasta serie di specificità problematiche, tanto sul piano linguistico
che sul piano socio-culturale, al fine di comprendere meglio questo meccanismo di
perdita, recupero ed eventuale guadagno di informazioni nel corso del lungo processo di
trasposizione tipico della traduzione audiovisiva finalizzata al doppiaggio. In un recente
saggio pubblicato sulla rivista Intralinea vengono identificate 16 aree problematiche a
livello di resa traduttiva, distinte tra riferimenti culturo-sepcifici, tratti linguistici salienti
e riferimenti linguistico-culturali. Tra i primi vengono annoverati riferimenti a sistemi
scolastici, istituzioni, personaggi famosi, unità di misura, feste nazionali, prodotti
letterario-cinematografici, gastronomia e toponomastica. Nella seconda categoria
rientrano costruzioni idiomatiche, allusioni, gesti, testi in rima e canzoni. Nella terza
vengono citate le scelte allocutive, i calchi, le varianti regionali e locali. Gran parte di
questi elementi sono presenti nella serie televisiva Skins con vari livelli di
problematicità. Inoltre ritroviamo etnoletti, idioletti estremamente caratterizzati che
mescolano gergo adolescenziale e gergo di genere, problematicità legate all'uso di
lingue straniere e dell'italiano nel testo originale. L'analisi contrastiva delle due
versioni, originale ed adattata, delle serie già trasmesse in italiano fornisce un quadro
dettagliato delle logiche traduttive che hanno mosso i curatori della versione italiana.
Partendo dal loro testo, si è cercato di evidenziarne limiti e punti di forza, sottolineando
alcune delle incoerenze riscontrate nel corso del lavoro tanto a livello di omogeneità
interna che di verosimiglianza, fornendo laddove necessario soluzioni ritenute
maggiormente valide.
Nell'affrontare la trasposizione del testo inedito, ci si è di nuovo focalizzati sulla
coerenza interna e sulla verosimiglianza. Trattandosi di traduzione e non di adattamento,
la libertà relativa dal vincolo della sincronizzazione garantisce ovviamente margini di
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lavoro maggiori di quelli concessi ai curatori della versione finale delle serie già
trasmesse. Proprio per questo però, si ritiene che la creazione di una traduzione “pura”,
non ancora vincolata dall'immagine ma che tenta comunque di rispettarla a grandi linee,
possa costituire un utile strumento per una maggiore comprensione dei limiti di una
traduzione appiattita su modelli precostituiti e dei danni che questo tipo di trattamento
puo' arrecare a testi particolarmente ricchi e marcati.
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