INTRODUZIONE
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 30 luglio 2004, n.
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14608, è tornata ad occuparsi di una questione a lungo dibattuta in
materia di interpretazione degli artt. 1590 e 1591 c.c.,
rispettivamente intitolati alla “restituzione della cosa locata”, il
primo, ed ai “danni per ritardata restituzione”, il secondo. E’ invero
assai frequente, nella prassi dei contratti di affitto di immobili ad
uso abitativo, che, proprio il momento in cui il proprietario rientra
nella disponibilità dell’alloggio, sia caratterizzato da tutta una serie
di controversie fra le parti, relative ai danni eccedenti il normale
degrado, che si assumono subiti dall’appartamento stesso. Più in
particolare, ed in ciò è da individuarsi il vero punctum dolens risolto
dalla pronunzia che qui si commenta, risulta difficile stabilire se a
carico del conduttore debbano gravare o meno le spese per il
pagamento dei canoni ulteriori, fino al momento della restituzione
“effettiva” dell’immobile al legittimo proprietario.
Il dettato delle norme coinvolte è piuttosto chiaro:
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Cass. civ., sez. III, 30/07/2004, n. 14608, in Arch. Locaz., 2004, 685; Nel Repertorio: 2004,
Locazione, n. 126
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art. 1590, comma 1, “Il conduttore deve restituire la cosa al locatore
nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, …., salvo il
deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in
conformità del contratto”;
art. 1591, “Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare
al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo
l’obbligo di risarcire il maggior danno”.
Pacifico appare dunque, secondo la legge, il diritto del proprietario
di continuare a percepire il canone per tutto il tempo necessario al
conduttore per effettuare le necessarie riparazioni sull’immobile,
allo scopo di ricondurlo all’originario stato in cui esso si trovava
quando il contratto è stato stipulato. Il problema diventa invece
quello di delineare con maggior precisione il concetto di mora del
conduttore, posto che da questa scaturisce l’obbligo legale, per lo
stesso conduttore, di pagare il canone di locazione per la durata dei
lavori di riparazione e di ripristino da compiersi sull’alloggio. Da
questo punto di vista, va notato come la giurisprudenza di
legittimità si sia di recente attestata su posizioni consolidate ed
indubitabilmente coerenti con il dato legislativo, all’esito tuttavia –
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ed è ciò che ci preme evidenziare – di un percorso evolutivo che
non ha mancato di dar luogo ad orientamenti interpretativi
contrastanti. Basti a tal fine ricordare una fra le tante pronunzie
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della Suprema Corte, risalente al 1976, ove si afferma che “…nei
confronti del conduttore che abbia restituito la cosa locata, in uno
stato diverso da quello in cui l’ha ricevuta, il locatore può agire
soltanto per il risarcimento dei danni, ex art. 1590 c.c. e non per il
pagamento dei canoni, fino al ripristino dello stato iniziale della
cosa medesima, essendo quest’ultima azione prevista solo nel
diverso caso di mora del conduttore nella restituzione (art. 1591
c.c.)”.
Un primo indirizzo giurisprudenziale, formatosi a partire dagli anni
Settanta, e fatto poi proprio dal legislatore del 1978 con il testo
sull’equo canone, ha dunque arginato con decisione gli spazi di una
responsabilità del soggetto conduttore dell’immobile, obbligato al
risarcimento dei danni derivanti da un uso non conforme del bene
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Cass. civ. 12.5.1976, n. 1678, rv. 380453, in “ Codice civile” commentato, 1999, edizioni
giuridiche Simone.
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posseduto entro i ristretti limiti dell’art. 1590. L’aver cagionato
danni all’appartamento assumeva un rilievo del tutto autonomo,
senza che ciò potesse in alcun modo ricollegarsi alla situazione
oggettiva che, proprio a motivo di quella condotta del conduttore, si
concretizzava ad ulteriore nocumento del proprietario dell’alloggio
per eseguire le opere di ripristino, infatti, l’immobile non poteva
essere locato con le ovvie conseguenze di una perdita, pur
momentanea, della sua utilità economica. Con il passare degli anni,
e con un rinnovato clima di attenzione, da parte delle Istituzioni,
anche alle ragioni della proprietà immobiliare, si è finalmente
determinato un nuovo corso nell’evoluzione giurisprudenziale, il
quale, passando attraverso alcune coraggiose tappe intermedie, è di
recente approdato alla sua più compiuta maturazione.
“Il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione della cosa locata –
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si legge in Cass. Sez. III, 18.6.1993, n. 6798 – quando essa presenti
deterioramenti dovuti all’omessa esecuzione delle riparazioni è
illegittimo, ma il locatore medesimo ha diritto al risarcimento del
danno, consistente nella somma di denaro occorrente per
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Cass., sez. III, 18-06-1993, n. 6798, in Massime ufficiali, Foro it., 1993, I, 2819, Arch.
locazioni, 1993, 722. Nel Repertorio: 1993, Locazione [3990], n. 160
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l’esecuzione delle riparazioni di piccola manutenzione omesse dal
conduttore e nel mancato reddito ritraibile dalla cosa nel periodo di
tempo necessario per l’esecuzione dei lavori di riparazione, e questa
seconda serie di danni va determinata in relazione all’epoca in cui i
lavori possono essere iniziati dal locatore usando l’ordinaria
diligenza ed alla presumibile epoca del loro compimento”.
Inizia così a farsi strada, nella massima riportata, l’idea di
un’interpretazione collegata degli artt. 1590 e 1591 c.c., scindendo
da essa l’ulteriore questione della risarcibilità del “maggior danno”,
desumibile dall’ultimo inciso dell’art. 1591 c.c., anch’essa frutto di
una rinnovata sensibilità verso le prospettive di tutela della
proprietà.
Nell’insieme delle ragioni di diritto fatte valere dal locatore
confluiscono più voci di danno risarcibile: l’una, riconducibile alla
somma di denaro necessaria per l’esecuzione dei lavori di
riparazione dell’immobile deteriorato; l’altra, da far risalire
all’ammontare dei canoni non percepiti dal locatore a causa
dell’impossibilità di locare l’appartamento per tutto il periodo di
tempo necessario a compiere i suddetti lavori; l’ultima, infine,
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derivante dall’eventuale maggior danno sofferto dal locatore stesso.
In questo allargamento della sfera del danno che deve essere
risarcito al proprietario dell’immobile , va individuato l’obiettivo
centrato dal cammino di evoluzione giurisprudenziale del quale in
questa sede si dà conto; un danno non più considerato, come in
precedenza, “a compartimenti stagni”, ma rispetto al quale, invece,
la mancata utilizzazione economica del bene da parte del locatore,
per ragioni del tutto indipendenti dalla sua volontà, trova un suo
giustificato e puntuale indennizzo. Del resto, è apparso altresì
evidente dalla stessa ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale
in precedenza fornita che il dato conclusivo, cui è giunto il lavoro
ermeneutico della Suprema Corte, non si discosta di gran lunga dal
significato letterale delle norme di legge coinvolte. Basti al riguardo
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riassumere il contenuto di una sentenza del 1995, per cogliere
appieno le coordinate cui si orienta il nuovo corso della
giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché, da ultimo, la
pronunzia che qui si commenta.
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Cass. civ., 7.6.1995, n. 6368, in Mass. Giust. Civ., f. 6; in Arch. Locaz., 1995, 814.
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“L’obbligo del conduttore in mora nella restituzione della cosa – si
legge nella suddetta sentenza - di pagare al locatore il corrispettivo
convenuto sino alla riconsegna, ai sensi dell’art. 1591 c.c.,
costituendo una forma di risarcimento minima per la mancata
disponibilità dell’immobile, prescinde dalla prova di un danno
concreto subìto dal locatore, essendo tale prova necessaria solo per
gli eventuali maggiori danni”. Viene in tal modo del tutto superata
quella scissione nella quantificazione del danno sofferto dal
locatore, in forza della quale le sentenze di due decenni fa
separavano il risarcimento ex art. 1590 c.c. dal pagamento dei
canoni dovuti durante i lavori di riparazione: la logica interpretativa
più recente prevede infatti che in ogni caso il conduttore sia
obbligato a tale ultimo pagamento, configurandosi, a suo carico,
una vera e propria mora ex lege. Una presunzione di mora, cioè, che
si determina in capo al conduttore per il solo fatto di aver egli
cagionato danni all’immobile a seguito di un utilizzo non conforme
del bene: tale circostanza, che di fatto “blocca” ogni possibile
ulteriore sfruttamento economico dell’immobile, dà di per sé luogo
al diritto del locatore di continuare comunque a percepire i canoni
dall’inquilino in affitto.
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Alla luce di quanto sino ad ora premesso può meglio comprendersi
il senso della pronunzia della Suprema Corte del 2004, la cui
massima vale del resto a suggellare un importante cammino
evolutivo compiuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
“Qualora in violazione dell’art. 1590 c.c., al momento della
riconsegna l’immobile locato presenti danni eccedenti il degrado
dovuto ad uso normale, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire
quei danni e tale risarcimento deve coprire non solo il costo delle
opere indispensabili alla rimessione in pristino, ma anche l’importo
del canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario ai fini
dell’esecuzione e del completamento di tali opere, e ciò a
prescindere da concrete possibilità del locatore di provare di aver
ricevuto da terzi richieste, non soddisfatte a causa dei lavori, di
prendere in locazione l’immobile”. Quest’ultima evenienza, che
deve essere circostanziatamente provata dal locatore, può dar luogo,
in ossequio all’inciso finale dell’art. 1591 c.c., al risarcimento
dell’eventuale maggior danno patito dal proprietario dell’immobile.
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I. CARATTERI GENERALI DELL’OBBLIGO DI
RESTITUZIONE: art. 1590 c. c.
1. La locazione: linee generali
L’art. 1571 c.c. definisce la locazione alla stregua di un accordo in
virtù del quale una delle parti ( locatore ) si impegna ad assicurare
temporaneamente all’altra (conduttore) il godimento di una cosa,
mentre il conduttore, a sua volta, si impegna a dare al locatore un
determinato corrispettivo. Si tratta perciò di due attribuzioni
patrimoniali: infatti, mentre il conduttore si assicura per un certo
tempo il godimento di una cosa di cui ha bisogno, il locatore riceve
a sua volta da tale operazione un vantaggio economico
commisurato all’entità del sacrificio inerente alla privazione, per
quello stesso tempo, del godimento della cosa concessa in
locazione.
La locazione è strumento che consente la produzione di frutti
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civili, in quanto il locatore, concedendo ad altri il godimento di una
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Come è noto, si suole distinguere tra godimento diretto e godimento indiretto della cosa
(propria), a seconda che il godimento si attua mediante un rapporto immediato tra il
proprietario e la cosa che si trova nella sua disponibilità fisica, o invece mediante un rapporto
giuridico tra il proprietario medesimo ed un altro subbietto, al quale è stato attribuito il
godimento diretto. A tali diversi aspetti del godimento della cosa corrispondono due diversi
concetti di frutti della cosa, previsti dalla legge, e cioè i frutti naturali che si apprendono
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cosa, acquista, appunto, il diritto ad un corrispettivo. Il che si
verifica sia quando attribuisce al conduttore il semplice uso della
cosa, sia quando gli attribuisce l’uso ed il frutto della cosa
medesima. In entrambi i casi il corrispettivo è frutto e, quindi,
reddito, in quanto ricavato della concessione ad altri del godimento
diretto di una cosa, il cui valore (locativo) risulta appunto da ciò che
viene corrisposto in cambio della concessione stessa. Ne consegue
che, in forza di questo tipo di contratto, il conduttore si assicura il
godimento diretto di una cosa che non gli appartiene ad alcun titolo,
mentre il locatore continua a goderne indirettamente, sicché la cosa
viene in definitiva ad essere goduta nello stesso tempo da entrambi i
soggetti.
Il che spiega come nel secolo scorso la locazione poteva essere
esaltata come insostituibile strumento di progresso economico e
sociale, in considerazione, appunto, della sua specifica idoneità a
realizzare un più ragionevole ed intenso sfruttamento dei beni,
consentendone peraltro l’accesso anche a persone che non
sarebbero in grado, neppure volendolo, di diventarne proprietarie.
direttamente sulla cosa da parte del proprietario e i frutti civili, i quali si acquistano invece in
virtù di un rapporto giuridico tra il proprietario ed un altro soggetto, ed i quali, da questo punto
di vista, costituiscono l’equivalente economico del godimento diretto della cosa attribuito ad
altri. Così rientrano tra i frutti civili i proventi delle enfiteusi, i fitti e le pigioni dei fondi.
M. GIORGIANNI,Contributo alla teoria dei diritti reali di godimento su cosa altrui, pag. 10.
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Ora, prescindendo da questo genere di valutazioni, legate ad
ideologie proprie di un’epoca ormai superata, è certo, tuttavia, che
la locazione continua, ancor oggi, ad essere strumento tra i più
importanti e diffusi dell’autonomia privata. Il nostro codice civile vi
ha dedicato un intero capo (il 6° del titolo 3° del libro 4°). Si tratta
di una disciplina molto ampia ed articolata, emersa da
un’esperienza normativa plurisecolare, saldamente ancorata al
diritto romano, nel cui ambito è avvenuta l’elaborazione, da parte
della giurisprudenza, di uno schema negoziale perfettamente
adeguato, pur nella sua elementare semplicità, alla propria funzione,
assicurando a ciascuna delle parti l’integrale soddisfacimento dei
rispettivi interessi. A questo schema hanno continuato, infatti, ad
ispirarsi, sino ai nostri giorni, come ad un modello insostituibile,
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giuristi e legislatori.
La causa della locazione consiste nello scambio tra l’attribuzione
temporanea del godimento diretto di una cosa ed una qualsiasi
attribuzione patrimoniale che funge da corrispettivo della prima; più
in particolare, attraverso la locazione, dal punto di vista economico-
sociale, viene a realizzarsi una forma specifica di cooperazione che
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G; PROVERA, Locazione. Disposizioni generali;In comm.cod. civ.;a cura di Scialoja e
Branca, p. 1-2-3.
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