5
di trasferimento sia per atti inter vivos che mortis causa previste per il
titolo all’aiuto).
Infine grazie alle analisi sopra svolte è stato possibile orientare lo studio
su alcuni aspetti peculiari del diritto all’aiuto, ossia su alcune
implicazioni particolari che possono coinvolgere l’istituto in esame tali
per cui si possono originare circostanze interessanti per l’ordinamento.
In merito sono state prese in considerazione alcune situazioni giuridiche
affini al titolo che dà diritto al pagamento unico, al fine di vedere come
quest’ultimo può essere coinvolto nelle operazioni che nascono dai
negozi giuridici posti in essere o tra i privati o tra i privati e la Pubblica
Amministrazione PA.
Lo studio si è concluso, come è ovvio immaginare, con una valutazione
afferente l’impatto che la riforma di medio termine ha avuto e avrà nel
comparto agricolo, al fine anche di valutare quale sarà il ruolo che la
nuova forma di sostegno agli agricoltori potrà giocare ancora all’interno
della prospettiva di rilancio del settore primario, prospettiva necessaria
per promuovere la nascita di un’agricoltura “sostenibile”.
Tuttavia per comprendere meglio i termini dell’analisi che è stata svolta
è forse opportuno anticipare quanto segue.
Concepita come revisione di medio termine, la riforma in esame
rappresenta in realtà una radicale modifica del settore agricolo e del
modo stesso della sua formazione progressiva
1
. Come è noto, complesso
e difficile è stato il dibattito prima che si arrivasse alla consacrazione
normativa nel testo base costituito dal Regolamento CE n. 1782/2003 del
Consiglio, 29 settembre 2003 (e successivamente modificato dal
Regolamento CE n. 73/2009), “che stabilisce norme comuni relative ai
regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune”.
1
In occasione del vertice di Berlino del Consiglio Europeo nel 1999, i quindici Stati
membri, adottando le proposte di riforma della Pac conosciute come Agenda 2000,
invitarono la Commissione a fare il punto nel 2002 sul funzionamento del regime dei
seminativi, a sorvegliare la situazione del mercato della carne bovina, a presentare nel
2003 una relazione sul futuro del sistema delle quote latte, senza dimenticare un’analisi
dell’evoluzione delle spese agricole: una revisione quindi per valutare l’impatto della
riforma in questione a medio termine (la cosiddetta Mid – Term Review) del periodo di
bilancio in causa (2000 – 2006). Nessuno avrebbe potuto immaginare che quella che
era annunciata come una “revisione” di medio termine sarebbe diventata un progetto di
riforma destinato a rivoluzionare la Pac nel suo insieme.
6
Il regolamento del 2003 è stato infatti la sintesi di una forte abbondanza,
si può dire quasi alluvionale, di atti normativi, che si era posta come
sintomo inequivocabile della complessità di una situazione che avrebbe
dovuto trovare una compiuta collocazione all’interno di un testo
normativo equilibrato e ben organizzato
2
.
Le proposte abbastanza radicali di quella che era considerata una
“revisione” e che ha ripreso in seguito la sua vera dimensione di
“riforma” della Pac toccano, direttamente o indirettamente, tutte le
organizzazioni comuni di mercato (Ocm)
3
; mirano a rafforzare il
secondo pilastro della Pac, ossia lo sviluppo rurale; coadiuvano la
posizione dell’Unione Europea in seno ai negoziati dell’Organizzazione
Mondiale per il Commercio (Wto); ma, soprattutto, modificano
profondamente l’acquis communitaire per i paesi candidati all’adesione
sul dossier sensibile degli aiuti diretti.
La riforma di medio termine si presenta, quindi, come una risposta alle
evidenti necessità di un settore che, grazie ad essa, sta da poco uscendo
da una profonda crisi che aveva investito ogni aspetto del comparto: il
regolamento n. 1782 del 2003 è intervenuto, infatti, per frenare le
eccedenze produttive europee che fin dai primi anni ’60 hanno minato la
stabilità dei commerci mondiali; ha operato in modo che, anche nel
settore primario, si parlasse di libera concorrenza affinché si potesse
dare origine ad un’agricoltura europea competitiva a livello mondiale e
non più remunerata dai soli aiuti comunitari; ha cercato di far emergere
l’importanza non solo dell’aspetto “quantitativo” ma in particolar modo
di quello “qualitativo” dell’agricoltura, sponsorizzando proprio lo
sviluppo rurale contenuto nel secondo pilastro della Pac.
Tuttavia, anche se il quadro appena illustrato rappresenta già di per sé
una discreta rivoluzione, l’obiettivo primigenio è sempre stato quello di
sostenere gli agricoltori, ossia, coloro i quali hanno finito sempre per
scontare le debolezze di un sistema dalle enorme potenzialità, ma con
2
Il reg. n. 1782/03 modifica infatti i regolamenti (CEE) n. 2019/93, (CE) n. 1452/2001,
(CE) n. 1453/2001, (CE) n. 1454/2001, (CE) n. 1868/94, (CE) n. 1251/99, (CE) n.
1254/99, (CE) n. 1673/2000, (CEE) n. 2358/71 e (CE) n. 2529/2001.
3
È doveroso osservare che con il reg. n. 1234 del 2007, modificato poi dal reg. n. 72
del 2009, le varie Ocm sono state ricondotte poi ad un’unica organizzazione comune
del mercato agricolo.
7
grandi difficoltà nell’esprimerle. Tuttavia, per fare ciò, la Comunità ha
dovuto modificare profondamente il sistema degli aiuti a cui aveva
sempre fatto riferimento e con il “regime unico di pagamento” si è
cercato di introdurre uno strumento che, nel rispetto delle finalità
summenzionate, fosse anche in grado non solo di sostenere gli
imprenditori agricoli, ma anche di garantire la parità di trattamento tra i
produttori senza alterare i principi di libera concorrenza; nonché, fosse
oltremodo capace, di portare avanti quella politica di sviluppo rurale che
già si era venuta delineando in modo sempre più deciso fin dagli inizi
degli anni ’90.
Le ragioni di una tanto acclamata “rivoluzione” possono essere ritrovate
ripercorrendo brevemente quella che è stata la storia della Pac fin dai
suoi esordi.
Nell’Europa degli anni ’60 il tema della produzione era assolutamente
centrale ed era collegato, in maniera del tutto evidente, al problema
dell’insufficienza e del sostegno economico di una grande parte della
popolazione che viveva e lavorava nelle campagne, cosicché due sono
stati i criteri direttivi della Pac di quell’epoca: la spinta all’aumento della
produzione e la tutela delle piccole imprese familiari contadine.
La politica dei “prezzi di intervento” introduceva un correttivo destinato
ad avere forti riflessi in tutto il comparto con il risultato più immediato
di provocare un cospicuo aumento della produzione, data la sicurezza
per l’agricoltore di ottenere il ritiro di tutti i prodotti agricoli, anche se il
mercato li avesse rifiutati per aver raggiunto la soglia dell’eccedenza. Si
diceva, pertanto che gli aiuti erano accoppiati alla produzione in quanto
si percepiva l’aiuto in base alle quantità prodotte.
Effetti positivi sull’aumento della produzione si ebbero anche con la
successiva politica sociale espressa dal II Piano Mansholt del 1968 che,
nonostante gli iniziali orientamenti contrari, continuava ad essere
fondata sostanzialmente sulla conservazione delle imprese familiari
contadine di piccole dimensioni, che però venivano sovvenzionate
purché acquisissero efficienza e capacità di raggiungere redditi
comparabili a quelli degli operatori economici dei settori extra –
8
agricoli. Il tutto era ovviamente orientato affinché anche nel settore
primario si sviluppasse un mercato di libera concorrenza.
Il sistema così delineato ha fortemente stimolato la produzione,
raggiungendo in pochi anni i principali obiettivi dell’ammodernamento
delle strutture produttive agricole, dell’autosufficienza alimentare e del
contenimento dei prezzi sul mercato interno. Al lungo andare, però, esso
ha altrettanto rapidamente prodotto degli effetti collaterali “esattamente
speculari” ai vantaggi ottenuti: una cronica eccedenza di prodotti,
l’aggravamento insostenibile del bilancio comunitario, nonché uno
squilibrio internazionale con l’immissione di ingenti quantitativi di
prodotto a basso costo sui mercati mondiali che aveva finito per dare
vita a pericolose controversie su presunti dumping con gli Usa. Per tale
motivo gli anni ’80 furono caratterizzati da molteplici interventi volti
proprio a contenere l’eccesso di produzione: ricordiamo quindi gli
stabilizzatori, le quote di produzione, i divieti di impianto, la messa a
riposo incentivata. I risultati tuttavia sono stati modesti e oltretutto le
stesse misure apparivano di difficile applicazione.
Contestualmente a tali preoccupazioni, la Commissione si era
preoccupata anche dell’inserimento della tutela dell’ambiente fra le
politiche comunitarie che ha a sua volta giocato un ruolo fondamentale
nella modifica della Pac, contribuendo a spostare l’obiettivo da una
produzione di tipo essenzialmente “quantitativo” (estensiva o di massa)
ad uno sviluppo “qualitativo” in linea con le accresciute esigenze di
tutela della salute e dell’ambiente.
Per ovviare alle problematiche sopraccitate, pertanto, il Commissario
McSharry nel 1992 varò una politica tesa a promuovere la discesa dei
“prezzi minimi garantiti” e assicurò una certa invarianza nel reddito
degli agricoltori attraverso i “pagamenti compensativi”, i quali
figuravano come pagamenti ad ettaro o a capo, legati alla coltivazione o,
rispettivamente, all’allevamento degli animali; il tutto doveva essere
subordinato, però, all’obbligo di ritirare certe superfici dalla
coltivazione. In sostanza con i regolamenti adottati nel 1992 si
prevedeva uno spostamento del sostegno dai “prezzi” al “pagamento ad
ettaro”. La riforma del 1992 ha contribuito a frenare lo sviluppo
9
“esplosivo” della produttività agraria comunitaria ma non lo ha bloccato
del tutto in quanto per percepire l’aiuto si doveva comunque produrre, di
conseguenza la produzione comunitaria continuava, seppur in misura
ridotta a creare delle eccedenze.
La Commissione europea ha quindi cercato di dare una risposta a queste
esigenze presentando nel 1997 l’Agenda 2000, che si presenta come un
insieme di interventi fra cui rientrano ulteriori modifiche al quadro
agricolo comunitario volte ad aumentare la sicurezza delle produzioni
alimentari, la competitività delle imprese agricole, a conferire maggior
peso all’ambiente nella PAC e a stimolare lo sviluppo rurale
promuovendo la diversificazione delle attività degli imprenditori
agricoli. È quindi sulla base di tale ultimo intervento che è stato
progettato il regolamento n. 1782 del 2003 (da poco modificato dal reg.
n. 73/09) al fine di dare un’effettiva inversione di tendenza ad una
politica in costatante e continua evoluzione ma che ha sempre finito per
presentare scarsi risultati.
Al riguardo l’impianto normativo di cui alla riforma di medio termine,
sembra presentarsi come una decisiva rivoluzione necessaria per
l’ammodernamento di un sistema che non può più essere diretto dalle
tradizionali linee guida e, per tale motivo, è risultato opportuno rivedere
il complesso della politica agricola comune in tutte le sue sfaccettature.
Dall’analisi dei precedenti interventi si può evidenziare come i risultati
raggiunti non fossero effettivamente soddisfacenti: la produzione non
aveva raggiunto livelli adeguati; il sistema degli aiuti aveva finito per
drogare il sistema così che gli agricoltori erano più interessati a svolgere
la loro attività non per una naturale vocazione, ma per “inseguire” i
sussidi erogati
4
; il tema dello sviluppo rurale sembrava essere fin troppo
trascurato o quando veniva preso in considerazione finiva per essere
coinvolto negativamente nei riflessi di una politica agricola non
propriamente oculata; infine il sistema degli interventi adottati incideva
4
Per molti imprenditori era divenuto conveniente produrre per il solo contributo che la
Comunità si impegnava ad erogare: in tale quadro è possibile evidenziare come la
produzione, intesa come il precipitato dell’attività agricola, aveva finito per assumere
un aspetto decisamente secondario, ma da ciò non potevano che derivare riflessi
negativi in tutto il sistema.
10
pesantemente sul bilancio comunitario tanto che, era ormai luogo
comune, la convinzione che una situazione del genere non poteva essere
a lungo sostenuta, soprattutto a fronte del futuro ingresso di nuovi paesi
all’interno della Comunità europea.
La riforma del 2003, pertanto, doveva partire proprio dalle critiche
mosse alle precedenti politiche adottate e il reg. n. 1782/03 sembra
focalizzare puntualmente tutte le problematiche sopraccitate.
Ovviamente per quanto riguardava il problema delle eccedenze il
legislatore comunitario ha ritenuto opportuno insistere sul
disaccoppiamento della produzione
5
, ideando un sistema dove il regime
dei contributi fosse unico e cioè non più frazionato nella miriade di
interventi prima previsti (così come indicati nell’Allegato VI al
regolamento di base), ma soprattutto slegato dai singoli livelli produttivi
che potevano essere raggiunti.
Tutto ciò, oltre a introdurre un’evidente semplificazione a livello
amministrativo per ciò che concerneva i vari regimi di pagamento
6
, ha
anche introdotto un concetto da sempre sconosciuto (o molte volte
evitato) nel comparto agricolo: si inizia infatti a parlare del principio di
libera concorrenza.
È da premettere, però, che il comparto agricolo non può certamente
funzionare se affidato esclusivamente alle regole del libero mercato:
quest’ultimo è un settore che per caratteristiche peculiari non può
“vivere di vita propria”, un sostegno pubblico sarà sempre necessario per
chi svolge l’attività agricola e ciò è tanto più necessario non solo se si
tengono in considerazione i benefici che ne traggono direttamente i vari
5
Il tema era già stato affrontato dalla riforma del 1992 ma con scarsi risultati: sulla
“carta” il sistema appariva disaccoppiato ma in pratica per percepire l’aiuto era
necessario continuare a produrre. È evidente che in tal modo era difficile riuscire a
contenere le eccedenze. È da evidenziare, però, che nonostante il reg. n. 1782/03
dedichi particolare attenzione a tale argomento, non si può certo affermare che con la
riforma di medio termine si sia introdotto un regime totalmente disaccoppiato: agli
Stati membri è infatti rimessa la facoltà di decidere se adottare un sistema di
decoupling totale o parziale, oltretutto che anche nel caso in cui si scelga la prima
forma di disaccoppiamento, molte colture rimangono legate a interventi parzialmente
accoppiati (ad esempio il settore del tabacco e dell’olio).
6
Un sistema di aiuti calcolato su un contributo unico ha sicuramente permesso una
riduzione dei costi che dovevano essere sostenuti per accertare e erogare tutti i
differenti aiuti che spettavano alle diverse categorie.
11
imprenditori, ma anche per tutti i riflessi positivi dei quali sarà
destinataria tutta la collettività
7
.
Parlare di libera concorrenza anche in agricoltura inizia però a diventare
un aspetto decisamente necessario: gli imprenditori sono infatti orientati
a produrre non più per beneficiare degli aiuti ma per rispondere alle
effettive esigenze del mercato; così ragionando sarà possibile addivenire
a risultati positivi non solo per ciò che attiene ai livelli di produzione,
ma anche per ciò che riguarda un equo sfruttamento dei suoli, elemento
quest’ultimo, dal quale non si può prescindere se si vogliono risolvere
anche le questioni che affannano il tema dello sviluppo rurale.
Soprattutto quest’ultimo argomento aveva finito per scontare le
inefficienze di una politica orientata esclusivamente verso il sostegno
della produzione, sostegno che veniva realizzato mediante un sistema di
aiuti diretti agli agricoltori. La politica comunitaria, infatti, per molto
tempo sembra che si sia effettivamente disinteressata di quello che negli
ultimi tempi è risultato il tema più importante della politica agricola
comune, dedicandosi al contrario a questioni che riteneva, almeno
nell’immediato, di maggiore spessore.
Le preoccupazioni erano rivolte, infatti, al problema delle deficienze
produttive e tutte le risorse erano orientate verso il primo pilastro della
Pac, in virtù di ciò poco o nulla veniva investito in quello che, invece,
veniva definito come il secondo pilastro della politica agricola comune.
Il legislatore comunitario nel 2003 e successivamente con le modifiche
del 2009, ha voluto “cambiare rotta” e proprio con tali ultimi interventi il
tema dello sviluppo rurale diviene fondamentale e per importanza degli
obiettivi da raggiungere e per l’urgenza dei problemi da risolvere (ma
anche in virtù del fatto che i problemi di cui al primo pilastro si stanno
avviando verso una progressiva risoluzione)
8
.
7
Si pensi al complesso di tutti quei “beni secondari” quali la tutela dell’ambiente, la
conservazione dei suoli e la sicurezza alimentare che solo il comparto agricolo è in
grado di offrire. Ma perché ciò avvenga l’imprenditore deve essere sostenuto in quanto
non riuscirebbe a trovare nel mercato le risorse necessarie per realizzare quella che in
fin dei conti può essere definita come una “produzione di qualità”.
8
È con il reg. n. 1257 del 1999 prima, e con il reg. n. 1698 del 2005 dopo, che
all’interno della Comunità si introduce e si concretizza il tema dello sviluppo rurale:
solamente negli ultimi anni, però, all’argomento sembra essere dedicata maggiore
attenzione. Un chiaro sintomo del diverso interesse coinvolto è sicuramente il più
12
In ragione di ciò è risultato opportuno rivedere il sistema delle spese di
bilancio impiegate, da una parte per la politica dei mercati e, dall’altra,
per la politica di cui all’argomento appena introdotto. Vista l’importanza
degli obiettivi fissati nel secondo pilastro, il legislatore comunitario ha
ritenuto necessario imprimere un’accelerata alla svolta della politica
sullo sviluppo rurale e ciò è stato (e sarà) possibile ideando un vero e
proprio “travaso” di risorse dal primo al secondo pilastro; “travaso” che
sarà realizzato mediante una riduzione progressiva degli aiuti coinvolti
per le esigenze della politica dei mercati
9
.
Altra questione che la Comunità europea si è trovata nella necessità di
risolvere è stata quella di giustificare le ingenti spese che sono state
costantemente assorbite (o forse sarebbe meglio dire “affossate”) nei
vari anni dal comparto agricolo. È ormai opinione comune che la Pac,
fin dalle sue origini, si è spesso dimostrata fonte di sprechi o incapace di
gestire oculatamente le risorse che aveva a disposizione; se si considera
poi che i risultati perseguiti non sono stati certo dei migliori, è facile
comprendere il perché del generale disaccordo che si è formato
all’interno della collettività riguardo il complesso degli interventi operati
in agricoltura
10
.
La riforma di medio termine, al riguardo, è stata costruita anche per dare
tutte quelle risposte che sempre più costantemente esigeva l’opinione
pubblica. L’indirizzo che si è quindi voluto dare era quello di un
intervento che giustificasse le ingenti risorse impiegate, ma soprattutto
che le stesse fossero funzionali al raggiungimento di obiettivi tangibili:
al fine di rispettare questa promessa il legislatore ha posto l’accento
sull’aspetto della multifunzionalità dell’agricoltura.
Sulla base di tale ragionamento il reg. n. 1782 del 2003 deve servire a
promuovere un’agricoltura “sostenibile” e gli investimenti che in essa
elevato quantitativo di risorse dedicato allo sviluppo rurale, aspetto che prima era
fortemente trascurato.
9
Tale stratagemma che fa riferimento al concetto della modulazione introdotto dalla
riforma di medio termine con l’art. 10 di cui al reg. n. 1782/03, prevede una riduzione
progressiva degli aiuti comunitari da versare agli agricoltori fino al 2012, in modo da
liberare ingenti quantitativi di denaro per sostenere, appunto, lo sviluppo rurale.
10
Circa la metà delle spese di bilancio sono investite in agricoltura (45% delle risorse)
e fino ad ora tale comparto ha inciso solamente per il 2% sul Pil europeo.
13
vengono effettuati devono essere considerati necessari per sostenere gli
agricoltori in tale progetto.
L’attività dell’imprenditore agricolo è così destinata ad ampliarsi e a
perseguire finalità che non sono più orientate verso la sola produzione
dei tradizionali beni agricoli, la produzione alla quale adesso dobbiamo
fare riferimento è quella propria di un’agricoltura “sostenibile” tesa ad
immettere sul mercato non solamente prodotti alimentari ma soprattutto i
cosiddetti “servizi secondari”.
È in riferimento a tale ultima categoria di beni che si giustificano, infatti,
gli interventi nel settore primario: la conservazione dei suoli, la tutela
dell’ambiente, la promozione dello spazio rurale e la sicurezza
alimentare costituiscono il quid pluris che solo un’agricoltura di
“qualità” sa offrire, un quid pluris per il quale la collettività è disposta a
sostenere maggiori costi, un quid pluris nel quale è possibile trovare una
giustificazione per le risorse investite nel comparto suddetto
11
.
Dalle considerazioni introduttive appena svolte, è possibile notare
quanto siano ambiziosi gli intenti di riforma del legislatore comunitario
del 2003 e come quest’ultimo abbia riposto tutta la sua fiducia sul nuovo
regime unico di pagamento.
L’istituto in esame si presenta, quindi, con caratteristiche fortemente
innovative e non solo con riguardo alle modalità tramite le quali si è
proposto di raggiungere gli obiettivi prefissati, ma anche per la peculiare
natura del titolo che dà diritto alla percezione del contributo.
Di particolare interesse è sicuramente stato il dibattito in dottrina, ormai
concluso ma dal quale sono emersi tre orientamenti profondamente
divergenti, sulla qualificazione giuridica del diritto all’aiuto
12
; di uguale
11
È però da evidenziare che alcune critiche sono state rivolte al nuovo sistema di aiuti:
secondo alcuni un regime di interventi slegato dalla produzione costituirebbe un
aspetto al quanto negativo per ciò che attiene la produzione di “servizi secondari”, un
sostegno “unico” infatti non sarebbe sufficiente per compensare i costi sostenuti dagli
imprenditori per realizzare un’agricoltura di qualità la quale, come è ormai noto, non
riesce affatto a trovare una adeguata remunerazione nel mercato.
12
Le discussioni afferenti la qualificazione giuridica del diritto all’aiuto sono dipese,
per la maggior parte, dalle incertezze riscontrate nella traduzione del regolamento del
2003. L’originario testo redatto in lingua inglese si riferiva, infatti, al diritto all’aiuto
con il termine “entitlements” che, erroneamente è stato tradotto nella versione italiana
con l’espressione “diritto”. Adesso il concetto che viene espresso dal termine inglese
non può fare riferimento a ciò che il nostro ordinamento intende per “diritto”, al
14
rilievo, poi, sono stati gli studi effettuati per trovare ad esso una corretta
collocazione all’interno del complesso dei beni aziendali gestito
dell’imprenditore agricolo.
I risultati raggiunti dalle analisi svolte sono stati di fondamentale
importanza in quanto hanno permesso non solo di definire la posizione e
le pretese dell’imprenditore agricolo nei confronti dell’ordinamento, ma
anche di poter inquadrare il diritto all’aiuto sotto profili diversi da quelli
pubblicistici.
Tale istituto, infatti, ha dei forti riflessi anche nella dimensione dei
rapporti intersoggettivi aspetto dal quale, come ci si è presto resi conto,
non si può certo prescindere per un adeguato sviluppo e successo di tutta
la riforma di medio termine
13
.
Gli intenti del legislatore sono dunque chiari: ridurre fortemente
l’intervento pubblico nel comparto agricolo per passare da una economia
fortemente dirigistica ad una con maggiori caratteristiche di liberalità,
ma tutto ciò al fine di perseguire il più importante risultato che dovrebbe
concretizzarsi nel passaggio da un’agricoltura di “quantità” ad una
agricoltura di “qualità”.
In tale contesto, protagonista del disegno di riforma del legislatore
comunitario del 2003 è sicuramente l’imprenditore agricolo, al quale è
rimesso il compito di realizzare una effettiva “ricostruzione di
contrario con il termine usato, entitlements, si vuol fare riferimento ad una posizione
giuridica molto più lata rispetto a quella che si potrebbe intendere con il lemma
italiano. Infatti, nel testo redatto in inglese, si voleva fare riferimento ad una “posizione
giuridica di vantaggio” che per la genericità dell’espressione non può essere di certo
ricondotta al concetto di diritto; al contrario se ci si voleva riferire ad esso si sarebbe
dovuto utilizzare il termine “rights” cosa che invece non è stata fatta. Invece il decreto
attuativo, ossia il d.m. Mipaf n. 1787 del 5 agosto del 2004 ha ripreso il concetto
inglese, traducendo il termine entitlements con titolo. Anche se tale traduzione sembra
la più corretta e corrispondente al significato del testo originale, ha forse contribuito a
complicare un po’ le cose tanto che sono emersi tre diversi orientamenti interpretativi
che cercavano di ragionare intorno alla qualificazione giuridica del diritto all’aiuto
quale interesse legittimo, aspettativa del diritto o diritto soggettivo. Ovviamente la
natura del titolo all’aiuto si presenta già di per sé molto difficile da risolvere, ma una
traduzione dell’atto comunitario che sembra non averne seguito pienamente il senso,
non ha facilitato certamente le cose.
13
Si pensi ad esempio al regime di circolazione del diritto all’aiuto che può essere
realizzato tramite atti inter vivos e in particolar modo a titolo gratuito o oneroso,
temporaneo o definitivo; oppure a tutti i trasferimenti mortis causa. Il regime di
circolazione si è dimostrato di fondamentale importanza non solo per affermare la
libertà di impresa invocata dalla riforma, ma anche e soprattutto per favorire un
adeguato sviluppo di tale istituto in tutta la collettività agricola.
15
un’agricoltura sostenibile”. Per fare ciò, il reg. n. 1782/03 non solo ha
fortemente ancorato il titolo all’aiuto al fondo rendendo così
imprescindibile per la percezione del contributo lo svolgimento su di
esso dell’attività agricola (definita dall’art. 2 del regolamento di base); in
più ha anche condizionato i pagamenti al rispetto da parte
dell’agricoltore di determinati “criteri obbligatori di gestione” (art. 5)
14
,
necessari non solo per percepire l’aiuto ma soprattutto per garantire lo
svolgimento di un’agricoltura “sostenibile”.
Concludendo si può osservare che a fronte dei precedenti interventi, la
riforma di medio termine sembra essere quella che presenta il maggior
grado di completezza e di razionalità, sia per i temi trattati che per gli
strumenti da impiegare per raggiungere gli obiettivi preposti.
Sicuramente degli elementi di criticità possono essere mossi anche nei
confronti dell’intervento del 2003, come ad esempio quelli sulla scelta di
adottare un decoupling parziale o il forte decentramento a livello
nazionale (e regionale) per l’attuazione della Pac, tuttavia, forti della
convinzione che dalla cooperazione tra gli imprenditori agricoli e la
Comunità europea non potranno che scaturire effetti positivi per tutto il
settore, si dovrebbe anche auspicare che il nuovo regime di pagamento
sia stato il passo vincente della nuova politica agricola comune.
14
Tale strumento ha sollevato le obiezioni di chi non lo ha ritenuto abbastanza incisivo:
la definizione delle cosiddette condizionalità, infatti, sono state rimesse alla
discrezionalità dei singoli Stati membri e ciò potrebbe portare ad una dannosa
confusione se nel sistema si verrà a creare una scarsa omogeneità di indirizzi.
16
CAPITOLO I
“IL DIRITTO ALL’AIUTO NELLA
RIFORMA DI MEDIO TERMINE”
Sommario: 1. Breve quadro storico del complesso apparato normativo della Pac
dei primi anni ’60 fino alla “riforma di medio termine” del 2003. – 1.1. Il
Regolamento CE n. 1782/03 del 2003. – 1.2. (segue) Il regime unico di pagamento
a fronte delle future modifiche del regolamento n. 73 del 2009. – 2. Le opzioni
nazionali per l’attuazione della Pac. – 2.1. La responsabilità delle Regioni nella
PAC e loro impegno per lo sviluppo rurale. 3 – Il diritto alimentare e i “prodotti
agricoli” a fronte dell’evoluzione della Pac a partire dagli anni ’60 fino alla
riforma di medio termine del 2003. – 4. Il disaccoppiamento nel regime unico di
pagamento. – 4.1. I “criteri di gestione obbligatori”: il principio della
condizionalità di cui all’art. 5 del reg. n. 1782 del 2003. – 4.2. – la modulazione
nella prospettiva della politica di sviluppo rurale. – 4.3. L’istituto della “Riserva
nazionale” di cui all’art. 42 del reg. n. 1782 del 2003. – 5. Il diritto all’aiuto: il
rapporto giuridico in funzione di un “do ut facias”. – 5.1. La responsabilità
dell’imprenditore agricolo destinatario dell’aiuto. – 6. Le prospettive future della
politica comunitaria a pochi anni dalla riforma di medio termine.
1. Breve quadro storico del complesso apparato normativo della
Pac dei primi anni ’60 fino alla “riforma di medio termine” del
2003.
Prima di analizzare il quadro normativo della nuova Pac contenuto nel
Reg. 1782 del 2003 e nei decreti ministeriali interni di attuazione, può
essere opportuno vedere brevemente l’evoluzione della politica agricola
comune che si è sviluppata a partire dagli anni ’60 fino agli inizi del
XXI secolo. Così facendo sarà più semplice comprendere che cosa sia e
le ragioni che hanno spinto il legislatore comunitario a realizzare tale
intervento.
La politica agricola comune è nata agli inizi della seconda metà del XX
secolo, con l’intenzione di incrementare fortemente il reddito degli
agricoltori e la produzione agricola, per la quale l’Europa risultava
deficitaria, attraverso l’organizzazione di un mercato comune (Ocm)
15
.
15
Dal 1962, infatti, si è proceduto ad una progressiva sostituzione delle svariate forme
di intervento sui mercati dei prodotti agricoli esistenti nei singoli Stati membri della
Comunità con regole uniche, introdotte sin dai primi regolamenti che avviavano la
17
Si riconobbe, infatti, che i prodotti “agricoli” secondo il Trattato e il suo
Allegato II (ora I) erano quasi totalmente alimentari o materie prime per
la produzione di alimenti, come si evinceva dalla presenza di pesci,
molluschi e crostacei ma anche, a contrariis, dall’assenza, ad esempio,
del legno e del cotone dall’elencazione contenuta nel detto Allegato
16
.
L’intenzione era quella di creare un libero mercato “protetto” per i
venditori che in quanto tale avrebbe portato con sé qualche intima
possibile contraddittorietà delle finalità perseguite e dei mezzi utilizzati;
vista da un altro punto di vista la soluzione poteva dirsi però che
rappresentasse il massimo di “liberismo” in un settore nel quale questa
dottrina economico – politica non ha mai dato frutti positivi, per
l’instabilità e imprevedibilità dell’offerta e la sua periodicità
17
.
Il mercato agricolo non si può certo dire però che abbia mai funzionato
nel pieno rispetto delle regole in tema di libera concorrenza: si deve
ricordare che il Trattato stesso prevedeva, come ancora fa, la sottrazione
di esso dal rispetto delle regole della concorrenza, secondo quanto
affermato dall’art. 36, ma il diritto derivato ha cercato di mantenere la
deroga entro limiti ben definiti, che comunque hanno consentito di
originare una Ocm nella quale il mercato libero era, come detto,
fortemente “pilotato” dall’intervento pubblico
18
.
Il sistema portò tuttavia ad un successo clamoroso: migliorò la
condizione economica dei produttori agricoli, incrementò la produzione
formazione del mercato comune agricolo; le scelte adottate in quella circostanza furono
caratterizzate dal tentativo di creare un libero mercato che desse garanzie di prezzo e,
di conseguenza, di reddito agli agricoltori, specie a quelli produttori delle grandi
commodities agricole quali cerali, barbabietole da zucchero, latte e derivati, carni
bovine e simili. Sul punto v. L. COSTATO, La riforma della PAC del 2003 e le norme
agrarie del Trattato,in Riv. Dir. Agr. , 2005, p. 478 e ss.
16
Sul punto v. L. COSTATO, L’evoluzione della politica alimentare della Comunità
europea a fronte dell’involuzione della PAC, in Dir. Agr., 2005, p. 775 e ss.
17
Tale intervento mirava a costruire un sistema di libero mercato inteso come l’unico
strumento idoneo a garantire l’efficienza nel mercato dei prodotti agricoli, la tutela dei
consumatori e del benessere collettivo grazie anche al conseguente sviluppo
dell’economia.
18
Il prezzo minimo assicurato dall’intervento era, in ogni caso, bilanciato da una sorta
di prezzo massimo ottenuto ancora in forma per quanto possibile “liberale”, dovuto
all’applicazione di prelievi all’importazione (dazi) mobili, cioè crescenti se il prezzo
mondiale calava, calanti se il prezzo mondiale cresceva, in modo da assicurare ai
consumatori che le derrate non avrebbero potuto crescere a dismisura anche in caso di
carenze produttive contingenti, poiché il prezzo sarebbe stato, comunque, “controllato
all’in su” dall’entrata di prodotti di origine extracomunitaria.
18
e la produttività del lavoro umano. Tutto ciò comportò una profonda
trasformazione della Comunità: da deficitaria che era di molti prodotti,
divenne una dei principali produttori ed esportatori di materie prime e
trasformati d’origine agricola a livello mondiale
19
.
La politica comunitaria ha avuto sicuramente effetti benefici sul
mantenimento di un certo assetto sociale nelle campagne
20
, eppure il
modello è stato ben presto considerato bisognoso di correzioni quali
quelle indicate nel II Piano Mansholt del 1968. Con esso si evidenziava
la modestia delle dimensioni aziendali agricole con la conseguente
scarsa efficienza sul piano della produttività del lavoro umano, il quale
veniva impiegato in modo piuttosto modesto con il risultato che i costi
erano scaricati necessariamente sui “prezzi minimi garantiti” dalla CE.
La riforma suggerita da Mansholt prevedeva la creazione di imprese
efficienti e di grandi dimensioni ma non ebbe l’appoggio politico
necessario; si mantenne al contrario l’intenzione di conservare strutture
piccole e per ciò sempre bisognose di aiuti
21
.
Il ventennio successivo fu caratterizzato da iniziative che erano rivolte
alle imprese che volevano ammodernarsi e produrre più reddito, situate
soprattutto in territori destinati ad essere abbandonati al degrado dovuto
alla cessazione dell’attività conservatrice dell’uomo
22
. Tuttavia la
politica del mantenimento dei “prezzi minimi garantiti”, remunerativi
anche per coloro che si trovavano in zone non vocate, faceva si che i più
fortunati potessero produrre addirittura direttamente per l’intervento con
conseguente grande accumulo dei prodotti ammassati (si pensi ai casi
del burro, del latte in polvere, della carne bovina e dei cereali)
23
.
19
Sul punto v. L. COSTATO, La riforma della PAC, in Dir. Agr., 2003, p. 387 e ss.
20
Tutto ciò non ha potuto evitare però l’esodo dalle campagne verso il settore
secondario e terziario.
21
Si ripiegò sulle direttive n. 159, 160 e 161 del 1972 che stimarono efficienti e
meritevoli di sostegno le imprese che garantivano un reddito ragionevole ad almeno un
addetto. Tutto ciò risultava coerente con quanto affermato nella Conferenza di Stresa
del 1958, anche se con qualche aggiornamento dovuto alle mutate condizioni
tecnologiche che richiedevano una diversa nozione di piccola impresa e di coltivatore
diretto. Sul punto v. L. COSTATO, Problemi di diritto comunitario generale ed
agrario, Ferrara, 1975, p. 290 e ss.
22
Tali aree erano quelle che il Trattato e l’interesse generale chiedevano fossero
sostenute al fine di mantenere la conservazione del territorio rurale circostante.
23
Con il sistema dei “prezzi minimi garantiti”, si erano così formalmente rispettate le
finalità della Pac quali definite dall’art. 33, par. 1 del Trattato; infatti la politica dei