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esplorata e per questo non meritevoli di essere trasferiti in volume. Il criterio di cui si è avvalso
per selezionare gli articoli destinati a essere pubblicati nei libri di viaggio sembra essere la
presenza in essi di un qualcosa in più, “un certo atteggiamento”, una riflessione da sottoporre a
un lettore che non è più quello del quotidiano. Il trasferimento di sede dell’articolo dalla testata
giornalistica al libro, oltre ad un cambiamento di pubblico, provoca da una parte il mutare
dell’atteggiamento del lettore verso il testo, ma a mio avviso anche il riappropriarsi, da parte
dello scrittore del suo testo. Il lettore, che può essere anche lo stesso del quotidiano, di fronte al
libro si pone in maniera diversa da quella con cui legge l’articolo nella terza pagina del giornale:
coglie e interpreta i suggerimenti paratestuali dell’autore, soprattutto i titoli attraverso i quali
ridefinisce gli articoli facendoli diventare capitoli, come dei segnali che indicano la complessiva
unità dell’opera. Credo che sia interessante notare come Moravia abbia eliminato ogni
riferimento che rimandasse alla precedente collocazione del testo. Gli articoli sono preceduti
infatti solo da un breve titolo, luogo e data. L’eliminazione di ogni traccia che riportasse al
giornale, secondo me, si inserisce in quel processo di recupero del proprio testo da parte
dell’autore: dando una collocazione letteraria ad alcuni dei suoi resoconti di viaggio, Moravia ne
rivendica appunto il possesso, ricollocandoli nel mondo più specificamente narrativo e
cancellando ogni traccia della sede originaria del testo.
A questo proposito cito una dichiarazione che sembra convalidi la mia tesi:
…non sono un giornalista ma uno scrittore che scrive sui giornali e non per i giornali. Gli aspetti
economici, sociali, storici, non mi interessano più di tanto, sono appena accennati, come, del resto,
nella mia narrativa
2
.
E nell’intervista rilasciata a W. Mauro, dopo aver ripetuto sostanzialmente il concetto sopra
riportato spiega:
...io sono un giornalista impressionista e ho avuto anche una polemica con un bravo giornalista
africanista che mi rimproverava di non parlare dei veri problemi dell’Africa[…]
Naturalmente, intendiamoci, non è che non sia capace di fare un’inchiesta economica o politica; me
ne intendo abbastanza, però non è quello che cerco durante i viaggi, e comunque non voglio passare
per un giornalista professionista a cui si dice: “occupati di questo problema”.
3
2
A.MORAVIA, Breve autobiografia letteraria, in A.MORAVIA,Opere 1927/1947 a cura di G. Pampaloni,
Milano, Bompiani, 1986, p. XXXIII.
3
AA.VV, Alberto Moravia, Il narratore e i suoi testi, Roma, La nuova Italia Scientifica 1987, p. 66.
4
Di fronte alle numerose critiche che colpirono i suoi reportages accusati di superficialità nei
confronti della realtà politica e sociale dell’Africa ma anche degli altri paesi del Terzo Mondo
che visitò come reporter, Moravia si difende ricordando la propria “professione” di scrittore,
precisando che il fatto che le sue prose di viaggio siano pubblicate sui giornali non fa di lui un
giornalista; piuttosto si può dire che egli si è calato nei panni del giornalista (intervistando anche
importanti leader politici) ma ciò non ha soffocato quell’istinto di artista, che dipinge la realtà
che vede affascinato dalle sensazioni che questa produce in lui, senza dover per forza svolgere
delle inchieste, fare il punto della situazione e quindi spesso sorvolando su questioni importanti
della situazione politica o sociale dei luoghi che visita per concentrarsi piuttosto sulla loro
bellezza e sulle impressioni che questi gli trasmettono.
Lo stesso Moravia ha riflettuto sulla differenza fra l’artista e l’intellettuale:
Io comincerei col fare una distinzione tra intellettuale e artista. Molti artisti sono intellettuali ma non
tutti…io penso che un intellettuale non è mai, o di rado, un artista[…]
Sembrerò presuntuoso, ma io sento di essere un artista che è anche un intellettuale.
4
Se è stato notato che in tutta la sua opera in effetti convivono in una vita pendolare queste due
identità: lo sguardo dell’ideologo legato alla realtà sociale e politica con quella dell’artista,
interessato alle costanti più profonde e universali del rapporto tra l’uomo e il mondo; è vero
anche che nei volumi di viaggio è lo sguardo incantato dello scrittore a scalzare quello del
giornalista interessato agli aspetti contingenti del paese, ed è quest’aspetto a conferire alle pagine
dei reportages il loro fascino letterario. Ancora in un’altra citazione, in cui Moravia definisce e
descrive il carattere delle sue prose di viaggio in riferimento a “Lettere dal Sahara” ma che ha
senz’altro validità generale, ritroviamo accanto agli ingredienti base del reportages, descrizione e
commento, il modello di una prosa “impressionistica”, legata alla sensibilità dell’autore:
Le impressioni che consegnerò in questo diario saranno soprattutto visive; quanto a dire che
descriverò quello che vedo nonché il “senso” di quello che vedo ma non più che il senso, cioè quello
che penso della cosa nel momento stesso che la vedo. Sarà, insomma, il diario di un turista.
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Sono sottolineati i due elementi fondamentali del reportage classico: la volontà descrittiva e la
coscienza che le impressioni “visive” debbano essere seguite dal commento, scaturito nel
momento stesso della visione e fissato nella stesura dell’articolo. Ma c’è un altro spunto
importante in questa citazione: i reportages sono paragonati al “diario di un turista”.
4
N. AJELLO, Intervista sullo scrittore scomodo,Roma- Bari, Laterza, 1978 p. 69.
5
A.MORAVIA, Lettere dal Sahara, Milano, Bompiani, 1981 pp. 7- 8
5
Moravia argomenta subito dopo come arriva a questo paragone: intanto spiega che la parola
turismo sia ormai screditata, evoca immagini come quelle degli autobus di Rome by Night, o le
pubblicità delle crociere, ma il turismo non è sempre stato soltanto consumismo; egli rievoca
un’idea di viaggio per il quale si partiva per conoscere il mondo e se stessi attraverso esso, per
constatare che nella diversità delle apparenze, il mondo è sempre uno solo; insomma ritorna a
un’idea di turismo come “ forma di educazione sentimentale”.
Il turismo, insomma, era un modo di vedere la realtà, non di spiegarla; di raccontarla, non di
smascherarla. Questa maniera di viaggiare richiedeva soprattutto sensibilità e curiosità; ma alla fine si
rivelava più proficua delle inchieste dei cosiddetti esperti, perché informava il lettore non già delle
cose divulgabili e approfondibili che tutti possono sapere ma di quelle che il viaggiatore era stato solo
a provare, cioè appunto, come ho detto, delle sue impressioni.
6
Quindi gli elementi di riferimento sono il grand tour dei viaggiatori sette- ottocenteschi che
partivano desiderosi di conoscere un Altrove e un Altro diversi da sé ma consapevoli che
attraverso questi, avrebbero conosciuto meglio se stessi e la cultura alla quale appartenevano;
mentre da un punto di vista letterario ecco che Moravia ritorna in entrambi i passi su un modello
di prosa “impressionistica” , con la quale lo scrittore non si limita a descrivere ma carica di un
senso le impressioni che raccoglie, dando loro un’impronta soggettiva e “artistica”.
Le prose di viaggio di Moravia appaiono quindi quasi un compromesso tra il giornalismo e la
letteratura: se infatti del primo hanno l’originaria collocazione e la forma chiara e agile, si
discostano dai tradizionali reportages per il programmatico “disinteresse” verso le inchieste, per
le pennellate di colore che fanno dei testi letteratura e per la definitiva collocazione di alcuni
articoli, gelosamente recuperati nelle pagine dei giornali sulle quali erano destinati ad essere
probabilmente dimenticati, e rivestiti da capitoli di un libro. Ma avremo modo di verificare, di
approfondire e di ampliare attraverso esempi, queste che vogliono essere considerazioni
introduttive sulle caratteristiche delle prose di viaggio moraviane in riferimento alle pagine di A
quale tribù appartieni? nei prossimi capitoli.
6
Ivi p. 8.
6
II
Il viaggio
Moravia spesso diceva “Stendhal viaggiava in Italia come noi possiamo viaggiare in Africa”
7
,
dallo scrittore francese eredita il modello di una prosa curata che non cede alle tentazioni di una
rilassatezza giornalistica, ma delle Promenades dans Rome soprattutto lo affascinava lo
sguardo dello scrittore, quello di chi si affaccia in un mondo nuovo senza dimenticare il mondo
da cui proviene, che filtra l’ignoto attraverso il noto, non dimenticando alla partenza per un
viaggio esotico, il bagaglio della propria cultura e la propria identità.
Al centro dell’idea di esotismo, per Moravia, sta proprio il legame indissolubile tra il noto e
l’ignoto, il proprio paese e il paese straniero, mèta del viaggio:
E’ l’idea che il luogo dove viaggiamo non solo è molto diverso dal luogo in cui di solito viviamo ma
che ci sono delle cose che desidereremmo trovare nel luogo dove viviamo e poiché non ci sono
andiamo a cercarle altrove.
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Proprio Stendhal Moravia prende come modello di questo esotismo; uno scrittore che proietta in
un paese straniero ciò che gli manca o crede che gli manchi in patria, nell’illusione di un’Italia
energica, libera, violenta, quanto la Francia della Restaurazione gli pareva noiosa.
Ma sull’esotismo moraviano, e sul suo carattere letterario, c’è qualche altra considerazione da
fare: amò particolarmente Baudelaire nella sua adolescenza; le pagine dei “Fleurs du mal”
dovevano essere la via di fuga preferita durante la convalescenza dalla tubercolosi ossea che lo
costrinse a letto per mesi, molti di questi trascorsi in un sanatorio ampezzano.
Ma i veri viaggiatori partono per partire
E basta: cuori lievi simili a palloncini
Che solo il caso muove eternamente,
dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri somigliano alle nubi;
e come il coscritto sogna il cannone, loro
sognano vaste, ignote, cangianti voluttà
di cui nessuno al mondo ha mai saputo il nome!
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7
E.Siciliano nell’Introduzione a Alberto Moravia,Viaggi. Articoli 1930/1990, a cura e con introduzione di Enzo
Siciliano, postfazione di Tonino Tornitore,Milano, Bompiani, 1994, cit. p. VIII.
8
A.ANDERMANN, A. MORAVIA “Perché viaggiamo”, “Corriere della Sera”, 11 marzo 1984.
9
C. BAUDELAIRE, Le voyage da I fiori del male e altre poesie, Torino, Einaudi, 1999, p.217.
7
A questi versi, che gli presenta il regista A. Andermann, suo compagno di viaggio per quindici
anni, in veste di intervistatore sul “Corriere della sera”, Moravia risponde: sì a partire per partire
senza un motivo valido, ma non si sente un romantico, il viaggio piuttosto ha una funzione
terapeutica, è un modo di guarire, di risolvere delle questioni insolubili o di cambiare
provvisoriamente identità. Inoltre ricorda l’aneddoto secondo il quale Baudelaire non scese dal
battello una volta arrivato alla costa di Malabor, episodio che a suo avviso spiega il significato di
questa poesia permeata di delusioni, dall’orrore di ogni illusione; “in realtà”, conclude:
“Baudelaire non era partito per partire, ma per tornare”.
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Ma Moravia subiva il fascino del poeta
francese e dei versi coi quali scriveva di viaggi reali e immaginari, così risponde alla domanda di
A.Elkann:
Ma che cosa ti affascina di più nel viaggiare?
L’ignoto. Lo dice anche Baudelaire del resto: “Au fond de l’inconnu pur chercher du nouveau”.
L’accoppiamento dello sconosciuto con il nuovo.
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Enzo Siciliano scorge un sotterraneo richiamo rousseiano che negli anni soppiantò il sentimento
romantico di Baudelaire, richiamo temperato dallo spirito razionalistico dello scrittore; a suo
avviso senza questo sarebbe mancata quella ricerca, in ogni parte del Terzo Mondo, delle spinte
rigenerative della civiltà. La vita di Moravia appare come una perpetua ricerca dell’origine,
nascosto in un’ “altrove” dove il mondo umano mostra ancora forme di purezza e verginità
primordiali; ed è proprio in quell’altrove e nelle forme originarie che conserva, che l’uomo
occidentale avrebbe dovuto guardare per cancellare la decrepitezza dell’Occidente. Ma
l’esotismo è anche una fuga: durante gli anni venti fuggiva dal fascismo, in seguito continuò a
fuggire verso realtà lontane, probabilmente anche per esorcizzare il terrore di una probabile
immobilità che lo ossessionò negli anni della adolescenza. Viaggiare gli dava un senso di
eternità, di immortalità, egli stesso lo ammette: “durante il viaggio il tempo rallenta e si allunga”
e ancora “viaggiare è una forma provvisoria di eternità. Il viaggio allunga la vita, per questo tutti
viaggiano: hanno paura di morire !”
12
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10
A.ANDERMANN, A. MORAVIA “Perché viaggiamo”, “Corriere della Sera”, 11 marzo 1984.
11
A. ELKANN, A. MORAVIA Vita di Moravia, Milano, Bompiani, 1990, p. 96.
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A.ANDERMANN, A. MORAVIA “Perché viaggiamo”, “Corriere della Sera”, 11 marzo 1984.