Introduzione
Impostazione di un dialogo tra Psicoanalisi e Neuroscienze
“Lo psichismo umano ha la sua origine dentro e fuori del soggetto”
J. CANESTRI
Questa breve citazione ci introduce immediatamente nel vivo della questione.
L‟obiettivo delle pagine che seguono è, infatti, quello di indagare se, a cent‟anni
dalla sua “scoperta” e per la portata che ha avuto su tutta la cultura occidentale
(tanto da parlare di terza ferita narcisistica), l‟inconscio rivesta ancora un ruolo
importante, non solo da un punto di vista teorico, ma anche nella formazione della
personalità dell‟individuo.
Quest‟indagine viene svolta sulla base di un confronto fra la psicoanalisi e le
neuroscienze, discipline scelte per due ordini di motivi: in primo luogo, un motivo
prevalentemente accademico di ricapitolazione del percorso universitario svolto e
di apertura a nuovi spunti di approfondimento.
In secondo luogo, un motivo, per cosi dire, integrativo che fa riferimento alla
cornice concettuale e teorica che ha guidato questo lavoro; infatti, partendo dal
dibattito riguardante il ruolo rispettivamente di natura e cultura nello sviluppo
della mente, per arrivare a quello relativo al rapporto tra mente e cervello, ho
voluto indagare se sia possibile, con le conoscenze attualmente disponibili,
compiere un tentativo teso ad una teoria integrata della mente in tutta la sua
complessità. Una prospettiva, cioè, che tenga conto tanto del substrato organico
quanto degli aspetti più squisitamente psicologici del funzionamento mentale;
tanto dei fattori genetici, ereditari ed innati, quanto dei fattori sociali, culturali e
soprattutto relazionali, assumendo metaforicamente e teoricamente, psicoanalisi e
neuroscienze come degne rappresentanti rispettivamente dell‟uno e dell‟altro
punto di vista, e concentrandomi, data la vastità e la complessità dell‟argomento,
specificatamente sull‟inconscio.
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Il dibattito natura/cultura ha una lunga storia ed è, tuttora, oggetto di interesse per
la comunità scientifica; semplificando, la questione riguarda il ruolo svolto
rispettivamente dai geni e dall‟ambiente nel determinare le caratteristiche mentali
e comportamentali; pertanto, lo sviluppo cerebrale rappresenta il principale
terreno di scontro di tale diatriba. Poiché queste caratteristiche sono funzioni del
cervello, cui sottendono i circuiti interconnessi sinapticamente, il dibattito si
riduce al quesito circa il modo in cui i circuiti si formino durante lo sviluppo.
Attualmente, non è più sostenibile che il cervello, alla nascita, sia una sorta di
tabula rasa sotto l‟esclusiva influenza dell‟esperienza, né che esso sia
geneticamente predeterminato. La dicotomia comincia, anzi, a sfumare
constatando come in realtà natura e cultura siano entrambe necessarie ai fini del
collegamento delle sinapsi, quindi, dello sviluppo dell‟individuo.
Un evento estremamente importante è stata, nel 2003, la pubblicazione (da parte
del Progetto Genoma Umano) della sequenza completa del genoma umano che ha
permesso di riscontrare un‟omologia del 99.9% tra gli individui. Il genoma umano
contiene le istruzioni per lo sviluppo fisico e, quindi, per lo sviluppo di una
struttura generale del cervello. Si stima che circa il 50-70% di tutti i geni del
corpo umano siano nel cervello. Fino a poco tempo fa, la tesi prevalente circa lo
sviluppo cerebrale è consistita nel considerare l‟influenza del codice genetico tale
da lasciare ben poco margine d‟azione all‟influenza dell‟ambiente e
dell‟esperienza, tanto da dedurne che i geni preposti allo sviluppo cerebrale
conferissero una specificità alle reti neurali mature che condizionano il
comportamento. Ma, in realtà, non possediamo abbastanza geni per spiegare il
sistema di cablaggio di ogni particolare connessione sinaptica dei tremila miliardi
presenti nel cervello. Inoltre, alla nascita, il cervello del bambino mostra un
sovrannumero di neuroni ma uno scarso numero di circuiti neurali. Dobbiamo
considerare, allora, un altro fattore, cioè la plasticità dei sistemi cerebrali: essa è
una capacità innata delle sinapsi di registrare e conservare l'informazione,
consente, cioè, ai diversi sistemi cerebrali di codificare le esperienze. Se le sinapsi
di uno specifico sistema non potessero essere modificate, questo sistema non
possiederebbe la capacità di essere modificato dall‟esperienza e di mantenere lo
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stato modificato, pertanto, il cervello non sarebbe in grado di imparare e ricordare
mediante il funzionamento di quel sistema. Se la capacità di apprendimento, e
quindi la memoria, sono geneticamente programmati, ciò che apprendiamo, e
quindi la formazione degli specifici circuiti che ci caratterizzano, dipende dalle
esperienze che facciamo nel corso della vita. Infatti, tutti gli essere umani
posseggono gli stessi processi mentali, mediati dai medesimi meccanismi
cerebrali, ma il modo in cui questi operano è determinato dal peculiare
background genetico ed esperienziale di ciascuno.
Il ruolo dell‟ambiente risulta evidente se consideriamo che l‟essere umano, in
quanto tale, per nascere alla vita psichica necessita di altri esseri umani, in un
senso che va oltre all‟accudimento dei primi anni di vita, poiché: “Il passaggio
attraverso l'altro è anche la condizione necessaria per l'iscrizione dei valori e
dell'universo simbolico che caratterizzano la specie, un passaggio la cui durata si
assimila alla durata della vita umana. Se si volesse proporre una formula essa
reciterebbe: non c'è sé senza l'altro, l'altro è la condizione dell'esistenza dello
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psichismo e lo abita in permanenza”.
Riconoscendo i limiti di ciascuna prospettiva presa singolarmente, la
contrapposizione tra le tesi di culturalisti e innatisti ha portato, quindi, all'ela-
borazione di una teoria che considera come interagenti i fattori genetici e quelli
culturali. Interessanti, a questo proposito, i diversi studi indicanti come lo
sviluppo del cervello debba essere visto come il prodotto degli effetti che le
esperienze esercitano sull‟espressione del potenziale genetico. I geni, infatti,
contengono le informazioni che consentono ai neuroni, nel corso dei processi di
differenziazione dei circuiti cerebrali, di crescere, collegarsi e morire, processi
programmati geneticamente, ma, nello stesso tempo, “esperienza-dipendenti”. I
geni svolgono, quindi, due funzioni fondamentali: consentire la trasmissione delle
informazioni inscritte nel DNA alle generazioni successive e determinare,
attraverso la “trascrizione” di queste informazioni, quali proteine vengano
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CANESTRI, J., Un dialogo tra neuroscienze e psicoanalisi sulla causalità psichica, In
CALISSANO, P. (a cura di), Mente e cervello: un falso dilemma?, Genova, Il melangolo, 2001
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sintetizzate a livello cellulare. La trascrizione (quindi l‟espressione dei geni
attraverso la sintesi proteica) può essere direttamente influenzata dalle nostre
esperienze; per il cervello questo significa che le esperienze possono avere effetti
diretti sui processi di differenziazione dei circuiti neuronali, consentendo la
formazione di nuove connessioni sinaptiche, modificando quelle preesistenti o
favorendone l'eliminazione.
Interessanti, a questo proposito, i principi esposti da Kandel ai fini
dell‟elaborazione di un modello che possa consentire un‟integrazione tra
neuroscienze e psicoanalisi nello studio della mente. Kandel afferma, in primo
luogo, che: “Tutti i processi mentali, perfino i processi psichici più complessi,
derivano da operazioni del cervello”. Questo assunto implica che l‟azione del
cervello non si limita a comportamenti motori relativamente semplici ma si
estende a tutte le funzioni cognitive dell‟uomo, anche le più complesse, nonché ai
disturbi del comportamento relativi alla malattia psichiatrica (anche nel caso in
cui la loro origine fosse ambientale). In secondo luogo, prosegue Kandel: “I geni e
i loro prodotti, le proteine, sono importanti determinanti degli schemi di
interconnessione tra i neuroni cerebrali e delle loro specifiche funzioni”. Pertanto,
i geni e le loro combinazioni esercitano un controllo sul comportamento, ma una
loro modificazione non può spiegare completamente la variabilità riscontrabile in
un dato disturbo mentale, a cui concorrono in larga misura anche fattori sociali ed
evolutivi. Infatti, le esperienze e, in generale, i fattori sociali, esercitano
“un‟azione retroattiva sul cervello modificando l‟espressione genica e il
funzionamento delle cellule nervose”. L'apprendimento, e la memoria, si
traducono in un‟alterazione dell‟espressione genica, in quanto questa
modificazione può produrre cambiamenti negli schemi di connessione neuronale,
cambiamenti che contribuiscono a formare le basi biologiche dell'individualità,
ma che sono anche responsabili dell'insorgenza e del persistere di anomalie
comportamentali indotte da circostanze sociali. Infine: “Nella misura in cui la
psicoterapia e la consultazione psicologica sono efficaci e producono
cambiamenti di lunga durata nel comportamento è presumibile che ciò avvenga
attraverso il processo di apprendimento, che modifica l‟espressione genica agendo
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sull' efficacia delle connessioni sinaptiche e riscrive i percorsi anatomici delle
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interconnessioni tra i neuroni del cervello”.
Le informazioni relative a noi stessi, in termini di pensieri, emozioni e
comportamenti, quindi, sono in larga parte acquisite attraverso l'esperienza, e ci
sono accessibili grazie alla memoria. Senza apprendimento e memoria le
componenti essenziali della personalità non avrebbero coerenza e unitarietà;
inoltre, essi concorrono alla personalità in modi che vanno oltre l'esplicita
conoscenza di sé. In questo senso, l‟importanza rivestita dall‟inconscio è
compresa nel momento in cui constatiamo che ciò che una persona è non dipende
dalla sola coscienza che, anzi, con ogni probabilità, nella storia evolutiva, si è
sviluppata nel cervello solo di recente. Molti dei nostri pensieri, emozioni e
comportamenti hanno luogo in modo implicito, e solo in un secondo momento, a
volte, questi contenuti diventano accessibili alla coscienza. Se, infatti, è, oggi,
riconosciuto che sia possibile avere accesso conscio all‟esito dei processi
cognitivi, generalmente, non siamo consapevoli dei processi implicati nella
produzione di quel contenuto. Pertanto, la comprensione della personalità è
strettamente relata a quella delle funzioni inconsce del cervello e della mente, in
quanto, benché le espressioni consce del Sé abbiano ricevuto sicuramente più
attenzione, i nostri sistemi impliciti contribuiscono ai nostri tratti più caratteristici.
Ciò che è importante sottolineare a questo punto, è che la questione non si riduce
ad affermare che ciò che siamo dipende dall‟interazione, ormai assodata, tra
fattori innati e acquisiti, piuttosto si tratta di comprendere come questa interazione
funzioni. Seguendo LeDoux, la loro modalità di interazione è da rintracciare nei
processi sinaptici di instaurazione delle interazioni, interconnesse nel tempo, tra i
diversi apparati cerebrali implicati nel processing delle diverse esperienze e nella
configurazione dei diversi stati della mente.
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KANDEL, E. R., Psichiatria, psicoanalisi e nuova biologia della mente, Milano, R. Cortina
Editore, 2007
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Questo ci porta ad un‟ulteriore questione, quella relativa al rapporto che intercorre
tra mente e cervello. Il problema mente/cervello riguarda la questione di come
attività cerebrali e attività psichiche possano essere il “frutto unico e indivisibile”
delle cellule nervose. Le prospettive al riguardo sono sostanzialmente tre: la
concezione riduzionista (monista o materialista) sostiene come tanto le attività
cerebrali quanto quelle psichiche siano dovute esclusivamente ai neuroni; l‟ipotesi
dualista, invece, ritiene che le attività cerebrali e quelle psichiche siano distinte e,
fondamentalmente, scaturiscano tramite meccanismi differenti; infine, la terza
prospettiva afferma che cervello e mente siano dovuti entrambi all‟attività dei
neuroni, ma che le attività mentali non siano la semplice risultante dell‟attività
neuronale; piuttosto, esse costituiscono un salto di qualità di natura ancora in parte
sconosciuta; questa ipotesi viene definita delle “proprietà emergenti”.
La concezione dualista è, sicuramente, quella più antica: basti pensare alla
distinzione cartesiana tra res cogitans e res extensa, interagenti tramite la
ghiandola pineale. Anche nei primi del „900, gran parte degli scienziati
differenziava i fattori biologici dai processi psicologici, ma bisogna ammettere
come la conoscenza neuroscientifica dell‟epoca fosse limitata. A livello
accademico vediamo, tuttora, una divisione tra insegnamenti (a volte ancora in
contrasto tra loro) orientati al mentale e orientati al cerebrale che è comprensibile
esclusivamente sul piano organizzativo; infatti, sarebbe antiscientifico se si
avvallasse, ancora oggi, una vera e propria dicotomia funzionale fra attività
cerebrali e mentali; se queste ultime prescindessero dall‟attività dei neuroni,
sarebbe come attribuirgli una natura immateriale, come se si ipotizzasse l‟operare
di un aristotelico omuncolo che provveda alle attività superiori. Oggi, infatti,
quasi nessuno studioso sostiene più la concezione dualista dei processi mentali.
L‟approccio riduzionista, basandosi sul presupposto che, talvolta, sia necessario
analizzare prima il livello più semplice di una determinata attività per poi provare
ad estendere quanto scoperto ai livelli più complessi, ha permesso importanti
progressi nell‟ambito delle neuroscienze. Risultati a tal punto straordinari
(antibiotici e comprensione della struttura del DNA, per fare due esempi) da
indurre a sostenere una correlazione funzionale diretta e senza soluzione di
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continuità fra neuroni, cervello e mente. Tuttavia, ciò che non viene preso in
considerazione da questa prospettiva (proprio per il metodo adottato) riguarda la
constatazione che, spesso, una funzione non risulta semplicemente dalla somma
algebrica delle sue parti, conclusione che vale a tutti i livelli di organizzazione
della materia. Nel caso del cervello, la somma di attività neuronali,
sostanzialmente uguali nelle modalità funzionali, può produrre un salto qualitativo
imprevedibile. Pertanto, nonostante le grandi conquiste ottenute con la strategia
bottom-up, l‟approccio riduzionista può non essere esaustivo nel comprendere il
funzionamento del mentale.
La terza prospettiva concepisce le attività mentali come proprietà emergenti,
proprietà, cioè, che sono effettivamente il frutto esclusivo dell‟attività dei neuroni,
ma non il semplice risultato di una loro somma algebrica. Questa concezione è
legata alla considerazione di come la realtà sia costituita non tanto da sistemi
semplici, quanto da sistemi complessi, di cui il sistema nervoso e il genoma
umano sono due esempi. I sistemi complessi sono sistemi dinamici, con capacità
di auto-organizzazione, composti da un certo numero di elementi che
interagiscono tra loro secondo causalità non lineare, e che danno luogo a
comportamenti globali che non possono essere spiegati da una singola legge
fisica. Il cervello, dunque, è un sistema complesso, un tutto organizzato in modo
reversibile, formato da una serie di elementi (unità organizzate in modo
irreversibile) capaci di comportamenti caotici e individuabili nei vari livelli di
organizzazione delle sue strutture; i neuroni costituiscono le unità funzionali più
semplici, e il grado di complessità aumenta progressivamente. Il condizionamento
è sì reciproco, ma dati gli ordinamenti gerarchici tra unità, gli schemi di causalità
lineare non sono pertinenti; si parla, piuttosto, di “schemi di integrazione”. Inoltre,
il cervello è un sistema vivente aperto (in quanto, per la sua stessa sopravvivenza
deve essere aperto alle influenze dell‟ambiente) e dinamico (cioè costantemente
soggetto a cambiamenti in funzione del variare delle sue attività e dell‟ambiente).
La mente emerge, quindi, dalle attività e dalle funzioni del cervello, dai suoi
processi di modulazione dei flussi di energia (creati dai fenomeni di eccitazione
neuronale) e di processing multimodale delle informazioni (la cui integrazione in
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