NOTA INTRODUTTIV A PERSONALE
i
NOTA INTRODUTTIVA PERSONALE
Questo lavoro, nato da un’esigenza personale, è diventato la prova documentata delle
mie sensazioni. Ho potuto teorizzare, e dimostrare, la coercizione emotiva perchè
l’ho provata prima sulla mia pelle. Dopo la strage i media ufficiali hanno creato
un’unica voce che portava a commuoversi ed a provare dolore, come fosse morto un
amico intimo.
Al di là delle ore di diretta per i funerali e degli articoli dei giornali, fu uno il fatto
che fece scattare qualcosa dentro di me, indelebile nella mia memoria: alla fine di
una puntata, “Verissimo” ha mostrato le foto delle vittime per alcuni minuti.
L’accompagnamento musicale era un brano della canzone di Giorgia, che allora
andava di moda, “Gocce di memoria”. La parte iniziale del pezzo, particolarmente
straziante e ripetuta all’infinito, esasperava la drammaticità in modo esponenziale.
Se già provai un senso di disagio, perché sentivo che si volevano suscitare in me
determinate sensazioni, questo aumentò quando vidi come i media trattarono la
tragedia: allo stesso modo.
La differenza è che “Verissimo” non è un telegiornale.
Quindi il fastidio che provavo, e che provo ancora davanti agli elementi emersi con
questa tesi, non era rivolto tanto alla glorificazione degli “eroi”, ma al modo in cui
questi “eroi” sono stati usati. Mi chiedevo infatti se fosse rispettoso, nei loro
confronti, fare spettacolo, e quindi notizia, del dolore dei loro cari. Avevo la
sensazione che si volesse provocare ed esasperare le emozioni.
Il pensiero che non avvenisse la stessa cosa con i carabinieri morti “in patria” mi
lasciava perplessa. Eppure, anche quelli, a maggior ragione, sono eroi.
Non è stato facile affrontare l’analisi nata dalle mie sensazioni, per vari motivi.
Innanzitutto, fino a pochi mesi fa (2005) chiunque osasse manifestare dei dubbi sulla
vicenda, veniva messo al bando, come ho dimostrato.
Si rischiava di essere accusati di comunismo, oltre che di favoreggiamento al
terrorismo: ad ogni modo, veniva sempre messa in dubbio la buona fede.
ii
Inoltre l’argomento di per sé è drammatico ed il modo in cui è stato trattato ha reso
faticoso lo studio di un fatto che comportava molte implicazioni e sollevava
numerose domande.
L’altro rischio è di essere annoverati tra la schiera degli “apocalittici”: disfattisti
pessimisti che devono criticare per il gusto della polemica, se non per paranoia.
Invece credo che la critica sia positiva, se è vista come “ κριτικος”, “capace di
discernere o giudicare”, da “ κριν ω”, “separare, distinguere, interpretare, spiegare,
esaminare, chiedere, domandare, valutare”. Insomma, critica come consapevolezza,
come analisi fondata, come “non allineamento”, quando ci sono delle contraddizioni.
E le contraddizioni nel novembre 2003 erano evidenti, ma era “pericoloso”, se non
controproducente, esporsi. Per questo, forse, molti giornali come “la Repubblica”
hanno scelto le strategie del topo, del gatto, del pesce palla, del grillo e del corvo;
anche se il problema non sono tanto le strategie, ma la manipolazione
dell’informazione che può derivarne.
Ad ogni modo, non credo nella mala fede e nella mancanza di professionalità
dell’intera categoria giornalistica. Anzi, provo rispetto nei confronti di chi
intraprende un lavoro di tale importanza per la società. Proprio perché sono
consapevole del ruolo del giornalista, sono attenta alla comunicazione che ricevo.
Condivido l’affermazione di Giulietto Chiesa:
“Penso allora che se c'è una speranza, questa è legata alla nostra capacità di
riportare democrazia e decenza nel sistema dell'informazione e della comunicazione
che è oggi un anello decisivo della catena che ci trascina alla guerra. Se posso
permettermi di fare una proposta chiederei che si organizzi il più velocemente
possibile una sessione straordinaria del Tribunale permanente dei popoli per
mettere sul banco degli imputati i giornalisti, i giornali e le televisioni. Questa è la
mia proposta”
1
.
Ho la speranza che qualcosa possa essere migliorato, ed ho fiducia in quei giornalisti
che si battono contro ogni forma di manipolazione dell’informazione.
1
Giulietto Chiesa, Not in my name – “Guerra e diritto” a cura di Linda Bimbi Ed. Riuniti, 2003
http://www.giuliettochiesa.it/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=147
iii
Infine, spero che l’Italia si desti veramente, ma per scoprirsi Patria capace di
prendersi cura della propria cultura, delle opere d’arte, del territorio, della propria
storia.
Spero che unità non significhi omologazione.
Spero che il dolore di chiunque non sia mai più spettacolo per nessuno.
1
1 CONTESTO DELL’ANALISI
1.1 L’importanza del linguaggio
“Giacché la parola, qualunque parola, ha questa facilità o virtù di ricondurci
sempre a chi l’ha pronunciata, e poi, forse, forse, a noi che la stiamo seguendo come
cani da caccia che fiutano.”
Josè Saramago, Storia dell’assedio di Lisbona, p. 60.
Con l’avvento e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa è entrato
nell’uso comune il concetto di “società della comunicazione”, definita da Livolsi
“espressione sintetica ma efficace per indicare la portata complessiva che
l’incremento dei flussi informativi, la specializzazione dei media tradizionali e le
potenzialità delle nuove tecnologie assumono nella sfera economica, politica e
culturale”
1
. La nostra cultura è profondamente legata all’evoluzione dei media
2
, che
costituiscono quindi il contesto di base della mia analisi: sono considerati ormai “la
principale agenzia di socializzazione”
3
. È evidente che i media audiovisivi godono di
un vero e proprio “protagonismo culturale ed educativo”
4
, soprattutto nel caso della
televisione. La loro influenza si traduce anche in una consistente presenza qualitativa
intesa come “attività di trasformazione ecologica del sistema socio-culturale
vigente”
5
, a tal punto che si può parlare di “costruzione della realtà sociale” da
parte dei media, che contribuiscono in modo evidente a formare la conoscenza degli
individui, a causa della “pervasività dei mass media, la loro autorevolezza, ed il fatto
di costituire spesso l’unica fonte di informazione rispetto a certi aspetti della realtà”
6
.
Alla base di qualsiasi tipo di comunicazione c’è sempre una forma di
linguaggio, considerato “forse il più importante sistema di comunicazione umana, il
principale strumento simbolico attraverso cui si costituisce e si trasmette il
significato”
7
. Si tratta quindi di un processo cognitivo, ma anche di un’ “attività
1
Marino Livolsi, Manuale di sociologia della comunicazione, Editori Laterza, 2003, p. 241.
2
Termine che deriva dall'inglese media of mass communication, mezzi di comunicazione di massa,
con cui si denomina l'insieme dei canali di comunicazione (stampa, radio, televisione, ecc.),
mediante i quali le informazioni e le comunicazioni vengono diffuse alle grandi masse umane.
http://enciclopedia.virgilio.it/directory/cgi/dir.cgi.
3
Marino Livolsi , Manuale della sociologia , cit., p. 469.
4
Len Masterman, A scuola di media. Educazione, media e democrazie nell’Europa degli anni ‘90, a
cura di Cesare Rivoltella, editrice La Scuola, Brescia 1997, p. 6.
5
Ibid.
6
Livolsi, Manuale di sociologia., cit., p. 335.
7
Ivi, p. 58.
2
simbolica, inserita in un contesto sociale”
8
. Il linguaggio dunque ci rappresenta.
Attraverso il modo di parlare una persona rivela non solo la propria nazionalità, ma,
eventualmente, l’ appartenenza regionale, di classe, di gruppo.
Studiando il nostro linguaggio si delinea il modo in cui la nostra società si
definisce e si autorappresenta. In questo modo diventa un mezzo di confronto con il
passato, uno strumento per evidenziare i valori su cui si fonda la nostra cultura. Si
può quindi affermare che “la grammatica di ogni linguaggio naturale è la teoria
dell’esperienza umana”
9
, ovvero, che “il linguaggio dà forma alla nostra esperienza
[…] costituisce uno strumento con cui in qualche modo “costruiamo” il mondo”
10
che ci circonda. Di conseguenza la realtà è determinata dal nostro linguaggio, perché
“imparare il linguaggio e imparare attraverso il linguaggio sono due facce dello
stesso processo di apprendimento: la costruzione semiotica del nostro mondo”
11
.
La natura sociale della comunicazione consente perciò di partire dalle
espressioni linguistiche di un determinato mezzo in un preciso momento storico per
rivelare i valori considerati importanti da una certa società. Infatti, il linguaggio è
profondamente legato alla formazione dell’identità sia del singolo individuo che di
interi gruppi sociali:
“può essere utilizzato come risorsa e strumento di differenziazione sociale o
culturale […] come un’arma politica, una risorsa ideologica per ottenere il
riconoscimento di una particolare identità… la lingua costituisce uno degli indicatori
più potenti dell’ «identità nazionale»”
12
.
La mia analisi parte dal riconoscimento della capacità dei mezzi di
comunicazione di formare la nostra conoscenza del mondo, ma anche la percezione
della nostra stessa identità, in un costante scambio dialettico tra “attori sociali”
13
che,
interagendo tra loro, si influenzano costantemente.
8
Livolsi, Manuale di sociologia., cit., p. 58.
9
Taylor, Lingua Inglese, cit., p. 78.
10
Livolsi, Manuale di sociologia., cit, p. 59.
11
Taylor, Lingua Inglese, cit., p. 88.
12
Livolsi, Manuale di sociologia., cit, p. 74.
13
“Attori sociali” perché il linguaggio è visto come “azione sociale”, dal momento che serve anche a
trasformare determinati stati del mondo e non solo a rappresentarli, o descriverli. In questo senso
può essere visto anche come “passione”, ovvero come azione “patita” dal ricevente, che viene
modificato, quindi manipolato, da un altro attore sociale. In Livolsi, Manuale di sociologia., cit, p.
66.
3
1.2 Società dell’informazione: situazione italiana
“È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo
potere. ”
Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, p. 24.
A questo punto è evidente come l’informazione stessa, che si basa sul
linguaggio, rivesta una grande importanza nella costruzione della nostra conoscenza
del mondo. Si dice infatti che l’uomo moderno
14
sia un “grande informato”
15
, proprio
grazie alla possibilità di accesso a varie fonti di notizie. In Italia la principale fonte di
informazione è la televisione, che “si trasforma da ospite di riguardo delle serate
italiane a rumore di fondo che accompagna costantemente la routine domestica di
milioni di famiglie”
16
.
Ma la televisione italiana acquisisce informazioni da due fonti fondamentali,
che costituiscono i “due occhi che registrano tutto”
17
. Il sistema informativo nel
mondo parla inglese: le due principali agenzie di stampa mondiali, Associated Press,
Usa, e Reuters, Inghilterra, coprono la maggior parte del territorio e forniscono
informazioni agli altri paesi. Come sottolinea Remondino, “gli Stati Uniti, da soli,
coprono il 56,8 per cento del mercato audiovisivo mondiale, mentre l’Europa arranca
alla conquista di una quarto di quella torta”
18
, perciò di può dire che “il locale è
locale e il globale è americano”
19
. Di conseguenza, gli italiani vengono informati dai
telegiornali, i quali rispecchiano le notizie distribuite, a livello internazionale, da Usa
e Inghilterra.
Inoltre in Italia sembra che la situazione non sia delle migliori, dal punto di
vista dell’informazione televisiva. Un giornalista affermò che “i telegiornali, per i
politici, sono come le mutande. Le vogliono sempre su misura, bene aderenti e
disegnate sulle loro curve cadenti”
20
, mentre Tobias Jones sottolinea che:
“I telegiornali italiani fanno pena e bisogna capire perché. Lasciamo stare le
censurine (autoinflitte o imposte). Mi riferisco alla pigrizia dei giornalisti che ci
14
Ovviamente si fa riferimento solo ai paesi sviluppati, che, ad esempio, possiedono il 90 per cento
dei televisori. In Ennio Remondino, Senza regole. Gli imperi televisivi all’assalto dell’Europa,
Editori Riuniti, Roma 2004, p. 15.
15
Livolsi, Manuale di sociologia., cit ., p. 243.
16
Ivi, p. 367.
17
Come le definì Ennio Remondino in un intervento del 17/03/2005 a Zevio (VR).
18
Ennio Remondino, Senza regole. Gli imperi televisivi all’assalto dell’Europa, Editori Riuniti, Roma
2004, p. 16.
19
Andrés Ortega, Il potere delle telecamere. Globalizzazione, localizzazione, “effetto Cnn”, in
Problemi dell’Informazione, n. 2- 3 aprile - novembre 2000, pp. 175-180.
20
Ennio Remondino, Senza regole, cit.., p. 84.
4
obbliga a vedere tanti tg fatti con lo stampino: dopo 90 secondi d'informazioni
internazionali, si passa subito al carosello dei politici. Poi papanews in diretta dal
Vaticano. Un po’ di cronaca malinconica, traffico, calcio (o addirittura
calciomercato) per arrivare al succo della trasmissione: tendenze (moda, clima,
intrighi amorosi) e pubblicità subdola ("Esce stasera nelle sale cinematografiche il
grande film di..."). Chiedo scusa se faccio di nuovo un paragone poco lusinghiero
con altri paesi, ma se in Spagna o in Francia il direttore di un tg scrivesse un libro
sui "peluche dei vip" sarebbe considerato lo scemo del villaggio televisivo. Invece
qui un giornalista che dice queste cose (e purtroppo lo so bene) rischia querele per
"danni all'immagine" dello scemo. Ma se il danno se l'è fatto tutto da solo?”
21
.
Nell’Italia del 2000 la televisione sovrasta gli altri mezzi di informazione,
mentre negli anni Settanta Pier Paolo Pasolini avanzava già delle preoccupazioni:
“È in corso nel nostro paese una sostituzione di valori e di modelli sulla quale
hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e la televisione in
particolare. Con questo non sostengo che tali mezzi siano in sé negativi; sono anzi
d’accordo che potrebbero in sé costituire un grande strumento di progresso
culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo spaventoso di
regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi
almeno degli italiani”
22
. Si vedrà, con questo lavoro, se il “Corriere della Sera” e “la
Repubblica” abbiano seguito questa tendenza, o se, invece, siano “strumento di
progresso culturale”.
1.3 La libertà di informazione nel 2003
È interessante fare il punto della situazione per conoscere il contesto reale in cui
si svilupperà l’analisi. Nel 2000 infatti si presume che, nell’Italia democratica,
l’informazione giornalistica costituisca quel quarto potere che è alla base del
concetto stesso di democrazia e, come tale, siano tutelate pluralismo e libertà. In
realtà il sistema italiano dell’informazione è stato definito un “sistema fragile”
23
.
21
Tobias Jones, Il telegiornale ideale. Tanti dirigenti televisivi considerano lo spettatore un cretino,
incapace di capire il mondo, Internazionale 596, 23 giugno 2005,
http://www.internazionale.it/firme/articolo.php?id=9782.
22
Pier Paolo Pasolini, Rinascita, 1974, citato da Ennio Remondino, Senza regole,cit., p. 91.
23
Paolo Mancini, Il sistema fragile: i mass media in Italia tra politica e mercato, Carocci Editore,
Roma 2000, p. 12, l’autore scrive: “la comunicazione, il giornalismo non si sono costituiti in quanto
sistema autonomo da altri poteri, da quello politico o da quello economico […] ne è derivato un
sistema fragile; fragile non nel suo peso economico, ma nella sua identità professionale e
funzionale, nella sua capacità di incidere, autonomamente dagli altri sistemi, sui processi di
mutamento sociale”.
5
Come osserva Ennio Remondino, “la stessa Carta costituzionale italiana […]
all’articolo 21 si limita a garantire a tutti i cittadini il semplice “diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione”. Il termine “informazione” non viene citato una sola volta in tutto il testo
costituzionale”.
24
Dalla classifica mondiale della libertà di stampa stilata da Reporters sans
Frontières, aggiornata al 2003, l’Italia non fa una bella figura, “già classificata a un
imbarazzante 40° posto nel 2002 […] precipita al 53° nelle valutazioni 2003, ai
confini di quella “povertà di libertà” che definisce ormai il Terzo Mondo delle
democrazie”
25
. Allo stesso modo, “nelle poderose 300 pagine della bozza di
costituzione europea dove ogni parola è stata pesata con il bilancino dell’orefice,
scrivono di pluralismo una sola volta”
26
.
1.4 La carta stampata in Italia
Se la televisione detta lo stile, ai giornali non resta che seguirlo. Come
sottolinea Remondino, affermato giornalista, «“In Italia”, denuncia a settembre la
Fieg, la Federazione editori […] “già oggi si registra uno squilibrio tra la televisione
e la carta stampata nell’acquisizione delle risorse non riscontrabile negli altri paesi
europei: la televisione italiana assorbe il 53,3 per cento delle risorse pubblicitarie
contro il 29 per cento della media europea. La carta stampata assorbe in Italia il 27
per cento degli investimenti complessivi, contro il 55 per cento della media
europea”»
27
.
Tra il 1980 e il 2000 le spese per pubblicità in Italia sono decuplicate.
Loporcaro evidenzia come “(dati per il 1999) in Italia il 52,9% delle spese
pubblicitarie va alla tv contro il 22,3% ai quotidiani, mentre il rapporto è negli Usa
39,2/35,8, in Inghilterra 33,2/34,5, in Francia 34,9/23, in Germania 23,1/45,4, in
Giappone 44,3/27,2.2 […] In Italia la stampa e, ancor più, le televisioni commerciali
sono saldamente nelle mani di pochi esponenti del grande capitale.”
28
24
Remondino, Senza regole, cit., p. 26.
25
Ivi, p. 35.
26
Ivi, p. 14.
27
Ivi, p. 110.
28
Michele Loporcaro, Cattive notizie. La retorica senza numi dei mass media italiani, G. Feltrinelli
Editore, Milano 2005, p. 45.
6
Nel 2003, anno in cui si colloca questa tesi, la legge Gasparri
29
viene approvata
dal Parlamento ma rinviata alle Camere da Ciampi proprio il 15 dicembre, per
manifesta incostituzionalità.
Per questo si può sostenere che “la teledipendenza affligge il giornalismo
stampato”
30
.
“La teledipendenza del giornale italiano si riscontra a giro d’orizzonte: rispetto
alla tv, il giornale nell’Italia contemporanea è in una posizione di subordinazione
economica e socio-culturale […] il testo giornalistico non è autonomo rispetto alla tv
[…] è condannato a una rincorsa senza speranza”
31
. Murialdi rileva che, a causa di
questa “teledipendenza”
32
, i giornali adottano gli argomenti ed il linguaggio dei
telegiornali e danno importanza ai personaggi televisivi, in seguito alla diminuzione
dei lettori che inizia dal 1992. Quindi “l’immagine e la formula dei maggiori
quotidiani italiani è […] brillante, ricca […] non lesina gli eccessi del
sensazionalismo e della spettacolarizzazione”. I quotidiani del mattino ormai sono
tutti «gridati»”
33
.
Questa tendenza era cominciata già negli anni Cinquanta, in cui all’
“immobilismo che caratterizza l’editoria quotidiana […] diffusa docilità della
categoria giornalistica, fa riscontro il crescente dinamismo dei settimanali in
rotocalco”
34
. Infatti mentre i quotidiani trascurano gli aspetti della vita quotidiana
che interessano i lettori, i settimanali sono più moderni ed efficaci ed utilizzano un
linguaggio più immediato e comprensibile. Tale fenomeno porta alla
“settimanalizzazione” dei quotidiani, che adottano inserti settimanali ed uno stile più
vivace, accattivante, affrontando temi come la cronaca rosa e nera, gli spettacoli, il
“gossip”. Si arriva così ai giorni nostri, dove “è in atto una trasformazione di tutta la
stampa “di prestigio” in stampa “popolare”
35
.
Inoltre, il giornalismo italiano presenta delle peculiarità, a partire da quello che
Murialdi definisce “il primato letterario”
36
, senza contare i legami con la politica:
“Ambedue questi filoni, quello del rapporto informazione-politica e quello del
rapporto giornalismo-letteratura, per quanto contengano in sé elementi culturali
29
La legge Gasparri “riduce i vincoli della raccolta pubblicitaria, favorendo di fatto le posizioni
televisive più forti, a svantaggio soprattutto della carta stampata. Una legge che dice di affrontare il
problema della concentrazione monopolistica rafforzando di fatto la posizione dei monopoli stessi”,
In Remondino, Senza regole, cit., p. 25.
30
Loporcaro, Cattive notizie, cit., p. 73.
31
Ivi, pp. 74-75.
32
Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 297.
33
Ivi, p. 289.
34
Ivi, p. 213.
35
Loporcaro, Cattive notizie, cit., p. 80.
36
Murialdi, Storia del giornalismo, cit.
7
tutt’altro che disprezzabili e, in taluni casi assai prestigiosi, hanno spinto
generalmente in direzione contraria rispetto ai due grandi modelli di giornalismo
europeo e in particolare anglosassone: il giornalismo-informazione e il giornalismo-
popolare”
37
.
Infatti, come sottolinea Mancini, accanto ad un’origine “erudita, letteraria, di
carattere educativo, fortemente impregnata di intenti e finalità civili”
38
, si sviluppa la
tendenza al commento, all’interpretazione dei fatti, più che alla semplice cronaca,
come dimostrava il “pastone”
39
. Si può quindi affermare che “il mischiare fatto e
commento, racconto e valutazione […] è una tradizione consolidata del giornalismo
italiano”
40
, il cui carattere letterario è testimoniato anche dal fatto che molti
giornalisti erano anche scrittori. Un’altra caratteristica italiana consiste nell’assenza
della suddivisione tra la stampa cosiddetta “popolare” e quella “elitaria”, che cercano
di riunirsi in un unico quotidiano, a differenza del modello anglosassone:
“There are some ways in which the press in England is essentially different
from the Italian press. The most fundamental of these differences seems to be the
distinction there is in England between the so-called QUALITY and POPULAR
PRESS. The first differences to notice between the two kinds of newspapers are of a
physical nature. The quality newspapers are published in large format, the size of
“Corriere della Sera”, while the populars are published in the same small format as
the “Repubblica” […] The qualities are called BROADSHEET, ‘sheet’ being an
abbreviated of ‘sheet of paper’ and ‘broad’ simply meaning ‘large’”
41
. Inoltre
esistono ulteriori differenze, come il fatto che il tabloid presenta più immagini ed una
titolazione più vistosa, e le sue notizie sono definite “soft news”, contro le “hard
news”
42
dei broadsheet. Ad ogni modo, “ the word ‘tabloid’ is now synonymous with
a kind of journalism with which, unless things change radically, the qualities would
37
Asor Rosa, Il giornalista: appunti sulla fisiologia di un mestiere difficile, in AA. VV., Storia
d’Italia, Einaudi, Torino 1981, p. 1242.
38 Mancini, Paolo, op. cit., p. 20.
39 Roberto Morelli, E’ la stampa bellezza, corso generale di tecnica giornalistica, Editoriale Associati
s.r.l. , Trieste 1999, p. 52: “un tempo - dal dopoguerra - il prodotto quotidiano della redazione
ruotava sul cosiddetto pastone, un articolo di compendio della giornata politica che riassumeva,
mescolandole, l’attività delle istituzioni, le notizie di corridoio, le informazioni di partito […] Due
erano cioè le conseguenze negative: la commistione di fatti tra loro slegati […] e l’ingessamento
stancante dell’informazione politica”.
Inoltre il pastone era costruito sulla “velina”: “due o tre cartelle scritte da un giornalista
politico/parlamentare con buone entrature nel mondo stesso della politica”. In Mancini, op. cit., p.
22.
40 Mancini, op. cit., p. 21.
41 John Morley, Truth to tell. Form and function in newspaper headlines, Testi e Discorsi. Strumenti
linguistici e lettarari, Clueb, Bologna 1998, p. 10.
42 Ibid.
8
not want to be associated”
43
, a differenza dell’Italia, in cui le due tipologie sono
reunite in un unico quotidiano
44
.
Data la storia stessa dei giornali italiani, che vede una forte “partigianeria dei
media”
45
, non deve sorprendere se, ancora oggi, ci sia una forte correlazione tra
informazione e politica, a tal punto che “il giornalismo italiano non solo dedica
molto spazio alla politica, ma è esso stesso un giornalismo politico, che prende
posizione”
46
. Questo fenomeno è dovuto anche ad un’altra peculiarità italiana:
l’assenza di un’editoria “pura”
47
.
1.5 Il linguaggio giornalistico: la notizia
È importante capire quali siano le caratteristiche che il linguaggio giornalistico
dovrebbe avere per verificare se i giornali studiati in questa sede si discostino o
meno da tali direttive. Secondo Morelli un giornalista dovrebbe seguire tre principi
guida fondamentali:
1. separazione notizia – commento;
2. buona fede;
3. citazione delle fonti
48
.
Il commento deve essere differenziato anche graficamente, mentre l’articolo di
cronaca non dovrebbe contenere giudizi personali del giornalista. Il secondo punto
affronta il tema molto discusso dell’obiettività, “traguardo che non sempre si può
raggiungere, ma al quale si può tendere senza eccessive difficoltà”
49
. In ogni caso,
quello che conta è che chi scrive sia in buona fede, “il vero requisito del buon
giornalista”
50
.
Ma il fulcro dell’informazione è la notizia, ovvero il modo in cui essa è
costruita e presentata al lettore. Gli avvenimenti vengono selezionati in base ai
43
Morley, op. cit., p. 10.
44
Inoltre Morley sottolinea un’altra differenza tra la stampa italiana e quella anglosassone, che
prevede “daily papers” e “Sunday papers”, mentre in Italia non esistono giornali nazionali che
escono solo la domenica. In Morley, op. cit., p. 18.
45
Mancini, op. cit., p. 29.
46
Ivi, p. 31.
47
Ovvero, che “tragga i suoi redditi esclusivamente dalla vendita di prodotti connessi all’editoria o
alle comunicazioni di massa”. In Mancini, op. cit., p. 17.
48
Morelli, op. cit., p. 19.
49
Sergio Lepri, L’abc del giornalismo, in Studiare da giornalista - Teoria e pratica, (Centro di
documentazione giornalistica, Roma, ed. 1995) p. 56.
50
Morelli, op. cit., p. 23.
9
“valori-notizia”, che rappresentano la potenzialità di un fatto di diventare notizia, che
Morelli riassume in tre categorie
51
:
a) valore essenziale: novità del fatto;
b) valori costitutivi: singolarità e originalità di un fatto, importanza di un
fatto per la comunità, e portata emotiva di un fatto, legata al senso di
attesa che si può creare, alla vicinanza fisica o psicologica, o alla curiosità
che può suscitare;
c) valori addizionali: eventuali sviluppi di un fatto, oppure il possesso
dell’esclusiva da parte di un giornale.
È fondamentale puntualizzare questi aspetti per capire se le notizie che incontreremo
in seguito si basino o meno su tali presupposti.
Infine può essere utile sottolineare quelle che dovrebbero essere le
caratteristiche generali del linguaggio giornalistico, che sarà oggetto di analisi.
Morelli identifica tre punti cardine
52
:
1) la chiarezza: si ritiene che il lettore medio sia frettoloso e “poco istruito”,
quindi si cerca di imitare lo stile del parlato corretto, cioè del linguaggio orale
semplice e quotidiano;
2) la concisione: dati gli spazi limitati degli articoli, è indispensabile una buona
capacità di sintesi;
3) la densità informativa: concetto chiave che dovrebbe consentire solo le
informazioni strettamente necessarie, pertinenti, non generiche o ridondanti
su un fatto.
Queste indicazioni saranno il metro con cui verranno valutati gli articoli studiati.
Una volta visto quello che dovrebbe essere, è utile fare brevemente il punto
della situazione della reale situazione del linguaggio giornalistico in Italia, che
secondo Eco ha seguito “l’ideologia dell’oscurità”
53
, dato lo stile pomposo, contorto,
altisonante, antitetico ai dettami di cui sopra. Negli anni settanta “il giornale italiano
assolve principalmente una funzione di identificazione ideologica e sociale […] la
51
Morelli, op. cit., p. 70.
52
Ivi, pp. 99 – 103.
53
Vittorio Capecchi, Marino Livolsi, La stampa quotidiana in Italia, Bompiani, Milano, 1971, pp.
333 -337.
10
forma del quotidiano italiano è intrinsecamente autoritaria e reazionaria”
54
, tendenza
che l’intellettualità progressista ha cercato di combattere. Infatti “in apparenza, lo
stile giornalistico italiano si è rinnovato negli ultimi decenni”
55
, grazie alla tendenza
alla vivacizzazione ed allo stile brillante, che verranno approfonditi nel prossimo
capitolo.
54
Loporcaro, Cattive notizie, cit., p. 31.
55
Ivi, p. 63.