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Capitolo 1: Sistemi per il drug delivery
1.1. INTRODUZIONE
I sistemi per il rilascio controllato di sostanze bioattive sono dispositivi
ampiamente utilizzati in numerosi settori di applicazione: in agricoltura sostengono il
rilascio prolungato di pesticidi e diserbanti [1] oppure permettono l’impiego di
misure più ecologiche, come il rilascio di feromoni, allo scopo di eliminare gli insetti
novici [2]; nell’industria alimentare sono utilizzati per incapsulare aromi e proteggere
componenti sensibili all’ossidazione, come le vitamine, e nell’industria cosmetica
consentono di intrappolare le fragranze e rilasciarle in modo controllato e sostenuto
nel tempo o di proteggere particolari componenti volatili [3]. È però soprattutto in
campo farmaceutico che negli ultimi trent’anni le tecniche per il rilascio controllato
sono state protagoniste di importanti innovazioni partendo dalla semplice idea di un
rilascio rallentato dei farmaci in funzione della modalità di somministrazione e della
sede di applicazione fino ad arrivare allo sviluppo di tecniche di rilascio sempre più
raffinate per consentire un’assunzione più precisa e costante del principio attivo.
Gli obiettivi delle tecniche di drug delivery sono molteplici: proteggere il
farmaco dalla degradazione ad opera di agenti ambientali come l’umidit{, migliorare
la maneggiabilità del prodotto farmaceutico, prolungare l’emivita del farmaco
abbastanza a lungo da permettere il mantenimento della concentrazione terapeutica
per un tempo adeguato, indirizzare il principio attivo verso specifici organi, tessuti o
tipi cellulari, determinare il rilascio in funzione delle condizioni locali o in seguito a
particolari stimoli e formulare farmaci che richiedono solitamente la
somministrazione per via parenterale in modo che siano assorbiti efficacemente
anche attraverso altre vie. I sistemi di rilascio controllato possono quindi offrire
numerosi vantaggi se paragonati alle forme di rilascio convenzionali, tra cui
l’aumento dell’efficacia terapeutica rispetto all’intensit{ degli effetti collaterali, la
riduzione della tossicità e del numero di somministrazioni richieste durante il
trattamento, l’utilizzo di una forma farmaceutica semplice da somministrare
garantendo un incremento nel grado di adesione del paziente alle prescrizioni
mediche [4]. I sistemi di drug delivery, ad esempio, sono in grado di proteggere
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determinati farmaci dalla degradazione acida o enzimatica garantendo un’adeguata
concentrazione al sito bersaglio anche in caso di somministrazione orale di farmaci
soggetti a metabolismo epatico o poco stabili in soluzione, con conseguente aumento
dell’efficacia del trattamento.
I benefici derivanti dall’utilizzo dei sistemi di drug delivery dipendono dalla
loro capacità di veicolare il farmaco in modo selettivo al sito attivo e/o di rilasciarlo
con particolari cinetiche. Nel primo caso il direzionamento attivo, ottenuto mediante
la coniugazione del carrier con ligandi specifici per l’area interessata, permette
l’accumulo del farmaco nel sito d’azione riducendo così l’esposizione degli altri tessuti
e di conseguenza minimizzando gli eventuali effetti tossici a livello sistemico; alcuni
sistemi di rilascio controllato inoltre permettono al principio attivo di raggiungere
particolari siti di azione altrimenti inaccessibili, ad esempio consentendo
l’attraversamento della barriera emato-encefalica [5, 6]. Nel secondo caso il sistema
permette di rilasciare il farmaco al bisogno o di prolungare il tempo in cui la
concentrazione del principio attivo si trova all’interno della finestra terapeutica
(intervallo di concentrazione tra la minima dose efficace e la minima dose tossica),
importante soprattutto per quei farmaci che sono rapidamente metabolizzati ed
eliminati dall’organismo dopo la somministrazione.
1.2. NANOSISTEMI PER IL RILASCIO CONTROLLATO DI
FARMACI
Lo studio di dispositivi per il rilascio controllato di farmaci è un campo della
ricerca che suscita sempre più interesse poiché la possibilità di controllare la cinetica
di rilascio e la distribuzione dei farmaci si traduce direttamente in una terapia
farmacologica più efficace, con una sensibile diminuzione degli effetti collaterali. Negli
ultimi anni l’attenzione si è concentrata su dispositivi costituiti da nanoparticelle di
piccole dimensioni e con un più ampio rapporto tra superficie e volume rispetto ai
materiali convenzionali, che permettono di influenzare la biodistribuzione
stabilizzando il principio attivo e sostenendone il rilascio in maniera controllata [7].
I nanosistemi di rilascio controllato possono essere suddivisi in diverse
categorie tra cui le nanoparticelle costituite da polimeri, le micelle polimeriche, i
liposomi, le nanoparticelle lipidiche solide e i dendrimeri. La grande varietà di
materiali appartenenti a questi classi permette lo sviluppo di molteplici dispositivi
con un diverso controllo sulla capacità di rilascio; ulteriori variazioni possono essere
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introdotte nella composizione della matrice ad esempio variando il peso molecolare
dei componenti o modificando le loro caratteristiche di superficie e di conseguenza le
interazioni con il principio attivo dando così origine ad un ampio ventaglio di
possibilità di cui in questo capitolo sono riportati solo alcuni esempi. I sistemi
costituiti da materiali silicei porosi, in quanto oggetto del presente lavoro di tesi,
saranno trattati in modo approfondito nei capitoli successivi.
1.2.1 Nanoparticelle polimeriche
Le nanoparticelle polimeriche sono sistemi colloidali, costituiti da polimeri di
varia natura, di cui almeno una dimensione è nell’ordine dei nanometri; questi
materiali sono molto utilizzati come base per i dispositivi di drug delivery grazie alla
loro capacità di fungere da carrier per un’ampia gamma di principi farmaceutici. Il
termine nanoparticella raggruppa due categorie di sistemi: le nanocapsule e le
nanosfere (figura 1.1). Le nanocapsule sono sistemi vescicolari costituiti da un
nucleo centrale circondato da una sottile membrana polimerica; il principio attivo si
trova solitamente distribuito in modo uniforme all’interno della struttura ma può
anche essere adsorbito sulla superficie esterna della particella. Le nanosfere sono
sistemi a matrice in cui il principio attivo può essere intrappolato nella matrice
polimerica, disciolto nel polimero oppure adsorbito o coniugato sulla superficie della
particella [7, 8].
Figura 1.1: a sinistra è raffigurata la struttura delle nanocapsule e la distribuzione uniforme
del principio attivo nel cuore del sistema circondato dalla membrana polimerica. A destra è
rappresentata la struttura delle nanosfere in cui il farmaco è intrappolato o disciolto all’interno della
matrice polimerica.
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I polimeri biocompatibili utilizzati in campo medico-farmaceutico sono
molteplici: la scelta della matrice polimerica più adatta per i diversi sistemi di drug
delivery dipende da molti fattori tra cui l’applicazione terapeutica, le caratteristiche
del principio attivo, la biocompatibilità e le proprietà meccaniche del polimero stesso,
nonché il suo destino dopo il rilascio. Solitamente vengono preferiti quei polimeri che
sono naturalmente escreti dall’organismo direttamente o dopo degradazione in
molecole più semplici (polimeri biodegradabili). L’utilizzo di polimeri non
biodegradabili può essere accettato solo in caso di sistemi recuperabili dopo il rilascio
del farmaco (rimozione di cerotti o inserti) o che prevedono la somministrazione per
via orale e il passaggio del polimero limitato al tratto gastrointestinale [4]. La scelta
del polimero utilizzato per il dispositivo di drug delivery influenza pesantemente la
modalità di rilascio: a seconda della formulazione, infatti, il rilascio del farmaco può
dipendere da uno o più meccanismi tra cui il desorbimento del principio adsorbito, la
diffusione attraverso la matrice polimerica nel caso delle nanosfere o attraverso la
membrana polimerica di rivestimento nel caso delle nanocapsule, la degradazione o
l’erosione del polimero [4, 9]. Per quanto riguarda le nanosfere, dopo un primo
momento in cui si può osservare un rapido rilascio dovuto alla presenza di farmaco
vicino o adsorbito sulla supeficie della nanoparticella (burst release), il rilascio del
farmaco dalla matrice polimerica dipende dalla diffusione del principio attivo e
dall’erosione del materiale stesso; se la diffusione avviene più velocemente della
degradazione il processo dipende solamente dalla diffusione, esibendo un cinetica di
rilascio di primo ordine, altrimenti è influenzato anche dalla degrazione [10]. I
farmaci intrappolati all’interno delle nanocapsule devono diffondere attraverso la
membrana polimerica per essere rilasciati e teoricamente ciò avviene con una
cinetica di ordine zero [11]. Il rilascio è anche influenzato dalla metodica utilizzata
per l’incorporazione del farmaco: rispetto alla coniugazione, l’adsorbimento presenta
un rilascio generalmente più rapido [9].
Le tecniche utilizzate per la preparazione delle nanoparticelle prevedono l’uso
di polimeri preformati o la polimerizzazione di monomeri; tra le metodologie di
preparazione sono incluse l’evaporazione emulsione-solvente, il salting-out, l’utilizzo
della tecnologia dei fluidi supercritici, la separazione di fase e la polimerizzazione in
situ [9].
In seguito sono riportati alcuni esempi di polimeri utilizzati per la produzione
di sistemi di drug delivery, suddivisi in polimeri di origine naturale e polimeri
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sintetici, che a loro volta possono essere raggruppati in due classi: i polimeri sintetici
non biodegradabili e i polimeri sintetici biodegradabili.
1.2.1.1 Polimeri naturali
I primi approcci di drug delivery prevedevano l’utilizzo di sistemi costituiti da
polimeri naturali come il chitosano e la gelatina. Il chitosano è un polisaccaride
naturale derivato dalla deacetilazione della chitina, il più abbondante biopolimero
presente in natura dopo la cellulosa. Tra le caratteristiche che lo rendono un buon
candidato per l’utilizzo in formulazioni farmaceutiche spiccano la sua
biocompatibilità, la biodegradabilità a zuccheri aminici e l’abbondanza di gruppi
aminici disponibili per l’interazione con eventuali gruppi funzionali del principio
attivo. Il rilascio avviene per desorbimento del farmaco adsorbito sulla superficie, per
diffusione attraverso la matrice polimerica e a seguito dell’erosione della matrice
stessa. La diffusione attraverso la matrice avviene mediante tre processi: diffusione
dell’acqua all’interno della matrice, transizione del polimero da vetroso a gommoso e
diffusione del farmaco nella matrice [12]. Il rilascio da nanoparticelle di chitosano è
influenzato dal peso molecolare del polimero, dal grado di deacetilazione e dal pH
dell’ambiente, dato che il chitosano possiede carica positiva. L’utilizzo di
nanoparticelle di chitosano preparate mediante microemulsione, per esempio, è stato
valutato in un modello di cancro murino: nanoparticelle contenenti un coniugato di
doxorubicina e destrano hanno permesso una riduzione del volume del tumore
superiore del 40 % rispetto al trattamento con il coniugato da solo [13].
La gelatina è un polimero naturale derivato dal collagene che si ottiene per
estrazione a caldo dai tessuti connettivi animali dopo parziale idrolisi. Nanoparticelle
di gelatina sono state utilizzate ad esempio come base per sistemi di rilascio in
terapie contro il cancro intrappolando la cicloesimide, un inibitore della sintesi
proteica [14], e per il trasporto di DNA plasmidico. In quest’ultimo caso le
nanoparticelle sono state caricate positivamente in modo che potessero interagire
con il DNA: la transfezione genica è risultata efficiente e gli effetti citotossici delle
nanoparticelle minimi [15].
1.2.1.2 Polimeri sintetici non biodegradabili
I polimeri sintetici utilizzati per il drug delivery possono essere suddivisi in
due grandi gruppi: i polimeri non biodegradabili e i polimeri biodegradabili. Tra i
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primi si trovano i siliconi, o più correttamente i polisilossani: sono polimeri idrofobici
parzialmente inorganici sintetizzati generalmente per idrolisi di alogenuri
alchilsiliconici o arilsiliconici. I polisilossani sono chimicamente inerti, stabili
all’idrolisi, possiedono eccellenti propriet{ meccaniche, tra cui un’alta flessibilit{, e
sono estremamente permeabili all’ossigeno. Le loro caratteristiche fisiche possono
essere modificate variando il grado di polimerizzazione, introducendo modificazioni
chimiche o copolimerizzando i silossani con altri polimeri. Gli elastomeri di silicone si
prestano bene come base per i sistemi di drug delivery poiché al loro interno i
composti a basso peso molecolare possono diffondere a velocità controllata; inoltre le
matrici siliconiche sono caratterizzatte da un’eccellente biocompatibilit{ in
particolare nel caso di impianti sottocutanei [16]. Dispositivi costituiti da
polisilossani sono stati utilizzati con successo per il rilascio controllato dell’ormone
levonorgestrel come contraccettivo [17].
I copolimeri di etilene e acetato di vinile sono tra i materiali polimerici non
biodegradabili maggiormente biocompatibili e sono quindi molto utilizzati
soprattutto per i dispositivi ad uso topico. Il copolimero maggiormente studiato,
costituito per il 40% da acetato di vinile (EVAc), è stato utilizzato come matrice per il
rilascio di numerosi farmaci tra cui la pilocarpina sulla superficie dell’occhio per il
trattamento del glaucoma [18].
1.2.1.3 Polimeri sintetici biodegradabili
I polimeri biodegradabili sono molto utilizzati per la produzione di dispositivi
medici come gli impianti temporanei o di dispositivi farmaceutici per il rilascio
controllato di farmaci poiché durante o al termine del trattamento vengono dissolti
all’interno del corpo senza la necessit{ di rimozione dell’innesto. Appartengono alla
classe dei polimeri biodegradabili alcuni poliesteri tra cui i polilattati, i poliglicolati e i
copolimeri di acido lattico e acido glicolico (PLGA): sono materiali biocompatibili e
biodegradabili in ambiente acquoso in metaboliti naturalmente presenti all’interno
del corpo umano, mediante idrolisi del legame estereo. Gli omopolimeri, impiegati
inizialmente come materiali da sutura, oggi sono anche utilizzati per i dispositivi
farmaceutici a rilascio controllato: la prima applicazione in tal senso prevedeva il
rilascio di ciclazocina, un antagonista dei narcotici, da un film di acido polilattico [19].
I polilattati e i poliglicolati sono anche utilizzati in ambiti diversi da quello medico
come ad esempio per il rilascio controllato di pesticidi in agricoltura [20]. Il
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copolimero PLGA è utilizzato per sostenere il rilascio controllato di molti farmaci
soprattutto per il trattamento del cancro: per esempio nanoparticelle di PLGA
caricate con il paclitaxel, un inibitore della divisione cellulare, mostrano un’efficace
attività antitumorale in vitro su di una linea cellulare umana di carcinoma polmonare
a piccole cellule [21] e nanoparticelle di PLGA coniugate con doxorubicina mostrano
attività antitumorale in vivo su tumori solidi impiantati nei tessuti sottocutanei del
topo [22]. Il tasso di degradazione del copolimero dipende fortemente dal rapporto
tra i monomeri utilizzati e può essere quindi modificato in funzione delle proprietà di
rilascio ricercate: in particolare l’acido lattico diminuisce la velocit{ di degradazione
del sistema poiché è più idrofobico dell’acido glicolico [23].
Ottimi candidati per i sistemi di drug delivery sono le polianidridi poiché sono
materiali facilmente biodegradabili dato che il legame anidridico è molto instabile in
presenza di acqua: la degradazione avviene per idrolisi a partire dalle catene in
superficie e a seconda della composizione del polimero può impiegare da pochi giorni
ad alcuni anni [4]. Le polianidridi più comunemente utilizzate sono composte da
monomeri di acido sebacico, p-carbossifenossipropano e p-carbossifenossiesano. Un
esempio dell’utilizzo della polianidride composta da acido sebacico è riportato da Fu
et al. [24] per il rilascio del colorante ftalocianina nel trattamento del cancro con
terapia fotodinamica. La ftalocianina incorporata nelle nanoparticelle polimeriche
non aggrega ed è quindi maggiormente disponibile per un trattamento efficace.
Diverci approcci di drug delivery si basano sull’utilizzo di monomeri naturali,
tra cui gli aminoacidi, come base per i dispositivi di rilascio. In particolare l’attenzione
si è concentrata sull’utilizzo di aminoacidi modificati in modo da migliorare le
proprietà meccaniche dei materiali sintetizzati: copolimeri di acido L-glutammico e γ-
etil L-glutammato sono stati utilizzati per il rilascio di diversi farmaci. La
degradazione di dispositivi così costituiti avviene a seguito della dissoluzione in
catene polimeriche che vengono quindi idrolizzate enzimaticamente a livello epatico
[25].
1.2.2 Micelle polimeriche
Le micelle polimeriche sono strutture costituite da copolimeri a blocchi di
natura anfifilica che formano una regione centrale maggiormente impaccata che
comprende i blocchi idrofobici e un involucro esterno formato dai blocchi idrofili
impaccati in maniera più lassa. Le micelle polimeriche tipicamente hanno un
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diametro compreso tra 20 e 100 nm e sono poco polidisperse; la loro concentrazione
micellare critica è piuttosto bassa il che li rende sistemi stabili anche quando iniettati
in vivo. Le micelle polimeriche sono potenziali candidati per la preparazione di
sistemi di rilascio di farmaci o geni dato che l’involucro idrofilico sembra prevenire il
riconoscimento da parte del sistema immunitario garantendo così alla sostanza
bioattiva un tempo di vita in circolo maggiore [7]. Questi sistemi sono ottimali per il
trasporto di farmaci idrofobici poco solubili che si prestano bene ad interagire con il
polimero costituente il cuore della micella, ad esempio un poliortoestere (figura 1.2).
Figura 1.2: struttura di una micella polimerica costituita da un rivestimento esterno idrofilico
e da un cuore idrofobico all’interno del quale è intrappolato il principio attivo.
Copolimeri a blocchi costituiti da un poliortoestere e da polietilenglicole,
rispettivamente a formare la regione idrofobica e quella idrofilica, sono utilizzati
come matrice per il drug delivery soprattutto in caso di terapia antitumorale mirata
[26].
1.2.3 Liposomi
I liposomi sono sistemi colloidali formati più comunemente da fosfolipidi,
digliceridi costituiti da una testa polare a base di fosfato, carica o neutra, e una coda
apolare più o meno lunga. I liposomi sono stati descritti per la prima volta da
Bangham et al. [27]; in soluzione acquosa i fosfolipidi si assemblano spontaneamente
in vescicole chiuse composte da una o più membrane a doppio strato (chiamate
lamelle). I liposomi vengono classificati in tre gruppi: vescicole multilamellari (Multi
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Lamellar Vesicles, MLVs), piccole vescicole unilamellari (Small Unilamellar Vesicles,
SUVs) e grandi vescicole unilamellari (Large Unilamellar Vesicles, LUVs); una classe
molto particolare è costituita dai liposomi multivescicolari (Multivesicular Vesicles,
MVVs), vedi figura 1.3. I liposomi MLVs hanno un diametro tra 0.5 e 5 µm e sono
costituiti da diversi compartimenti; i liposomi SUVs hanno dimensioni più piccole
comprese tra 20 e 50 nm e sono costituiti da un solo doppio strato lipidico; i LUVs
hanno un diametro tra 200 e 1000 nm e sono formati da un solo doppio strato lipidico
e racchiudono pertanto al loro interno abbondante soluzione acquosa [28]; infine i
liposomi MVVs sono formati da un doppio strato lipidico piuttosto grande (diametro
solitamente superiore ad 1 µm) contenente al suo interno diversi liposomi
unilamellari.
Figura 1.3: struttura di un liposoma unilamellare costituito cioè da un solo doppio strato
lipidico (a sinistra) e rappresentazione dei diversi tipi di liposomi (a destra).
I liposomi sono utilizzati per il drug delivery poiché sono altamente
biocompatibili e biodegradabili essendo costituiti da molecole naturalmente presenti
all’interno del corpo umano. A differenza delle micelle, i liposomi possono trasportare
principi attivi sia idrofili che idrofobici: nel primo caso la molecola bioattiva viene
incapsulata all’interno del sistema vescicolare semplicemente idratando i lipidi con
una soluzione acquosa del farmaco. Nel caso di principi attivi idrofobici, invece, il
farmaco viene dissolto insieme ai fosfolipidi in un opportuno solvente organico prima
della formazione del liposoma in ambiente acquoso: in questo modo il principio attivo
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si dispone all’interno del doppio strato, solubilizzato dalle code idrofobiche dei
fosfolipidi. Un ulteriore metodo di caricamento del farmaco sfrutta la proprietà di
certi farmaci, ad esempio gli acidi deboli, di esistere sia in forma carica che neutra a
seconda del pH dell’ambiente nel quale si trovano: queste molecole vengono aggiunte
in soluzione acquosa nello stato neutro affinché possano permeare il doppio strato
lipidico, quindi il pH interno del liposoma viene modificato in modo da fare assumere
al farmaco una carica; una volta carica la sostanza non è più sufficientemente lipofila
da riuscire ad attraversare lo strato lipidico e ritornare nell’ambiente esterno [29]. I
liposomi sono molto utilizzati come dispositivi di drug delivery nel trattamento del
cancro poiché tendono ad estravasare dal circolo sanguigno preferenzialmente
attraverso l’endotelio fenestrato dei capillari, accumulandosi così nei siti tumorali che
sono caratterizzati da una forte attività angiogenetica e quindi dalla presenza di vasi
in formazione dove l’endotelio è fenestrato. Le cellule cancerose, inoltre, consumano
una forte quantità di lipidi per sostenere una rapida crescita per cui riconoscono il
liposoma come una potenziale fonte di nutrimento incamerando così anche il farmaco
[28]. I liposomi possono essere utilizzati per somministrare farmaci che altrimenti
sarebbero poco solubili, come ad esempio la molecola SN-38 (7-etil-10-
idrossicanfotecina), metabolita attivo della molecola CPT-11 (irinotecan) utilizzata
per il trattamento di diversi tumori solidi tra cui il cancro del colon. La formulazione
con i liposomi permette di utilizzare direttamente il principio attivo SN-38, molto più
citotossico del suo precursore, nonostante la sua scarsa solubilità [30].
1.2.4 Nanoparticelle lipidiche solide
Le nanoparticelle lipidiche solide sono dispositivi costituiti da una matrice
lipidica solida; le metodiche di preparazione sono varie e comprendono
l’omogenizzazione ad alta pressione a caldo o a freddo, la microemulsione e la
precipitazione. I vantaggi derivanti dall’utilizzo di questi materiali risiedono nella loro
ridotta tossicit{ dovuta all’utilizzo di lipidi biodegradabili e ben tollerati
dall’organismo, nelle loro ridotte dimensioni (tra 50 e 1000 nm) e nella possibilità di
somministrazione per via parenterale [31]. Problemi associati alla limitata capacità di
caricamento del farmaco dovuta alla sua solubilit{ all’interno della miscela lipidica e
alla potenziale espulsione del farmaco durante lo stoccaggio sono stati risolti almeno
in parte con la nuova generazione di carrier lipidici nanostrutturati prodotti
miscelando lipidi solidi con lipidi oleosi [32].
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1.2.5 Dendrimeri
I dendrimeri sono una classe recente di dispositivi polimerici per il rilascio
controllato di farmaci e sono costituiti da un cuore da cui si dipartono diversi rami. La
sintesi di queste strutture tridimensionali permette di controllare finemente le
dimensioni e la composizione finale così come la reattività e porta alla formazione di
materiali poco polidispersi, caratteristica favorevole per il drug delivery. La scelta del
polimero costituente il dendrimero è di fondamentale importanza in vista delle
possibili interazioni con il farmaco candidato: i primi dendrimeri sintetizzati e
caratterizzati erano costituiti da poliamidoamine, ma da allora ne sono stati
sviluppati diversi altri tipi [7]. Dendrimeri costituiti da poliamidoamine e ricoperti da
polietilenglicole sono stati utilizzati come dispositivi di rilascio del chemioterapico
fluorouracile nel sistema modello di topo albino [33]. Oltre all’intrappolamento
all’interno del dendrimero, il farmaco può anche essere legato covalentemente o per
interazione elettrostatica sulla superficie [34].