2
radioattivo, che fanno risalire al V secolo a. C. la presenza di queste
comunità negroidi, e smentiscono quindi ciò che in Sudafrica si insegna a
scuola; che, cioè, “l’arrivo dei coloni bianchi coincise con quello delle tribù
«bantu»”.4
Il 6 giugno 1488 venne issata la bandiera portoghese su un luogo che
Diaz chiamò «Cabo de Boa Esperança», gesto che aveva anche lo scopo di
commemorare l’uccisione di sei uomini dell’equipaggio da parte delle
popolazioni Khoi-San. Altre spedizioni portoghesi seguirono col tempo a
questa di Bartolomeo Diaz.
Ma la vera cronaca storica del Sudafrica inizia nel 1652 quando gli
olandesi, che succedettero ai portoghesi, fondarono a Città del Capo una
base portuale. Appena cinque anni dopo la regione venne data in
concessione ai freeburgers (liberi cittadini), per lavorare la terra. La
necessità di manodopera costrinse i coloni ad importare degli schiavi,
provenienti dapprima solo da Giava, poi anche dalla costa malgascia e
dall’Angola. Lugan, nel suo libro Storia del Sudafrica, precisa, in accordo
con la teoria da lui abbracciata, che questi schiavi furono i primi Neri ad
entrare nella regione sudafricana.5
Agli olandesi si unirono anche coloni tedeschi e ugonotti francesi
sfuggiti alle persecuzioni in atto contro di loro. Questi gruppi di origine
europea persero le loro caratteristiche particolari e si fusero in un’unica
cultura “afrikaner” che sviluppò una lingua propria, l’”afrikaans” - di
Sperling & Kupfer Editori S.p.A., 1988, p.23.
4
Ibid., p. 23.
5Lugan Bernard, Histoire and l’Afrique du Sud De l’Antiquité à nos jours, Librairie Académique
Perrin, 1986, trad. it. L. A. Martinelli, Storia del Sudafrica dall’antichità a oggi, Milano, Garzanti,
1989.
3
derivazione olandese ma con influssi tedeschi. Sorsero contrasti religiosi
nella colonia e molti Boeri si trasferirono verso l’interno, con la convinzione
di essere il nuovo popolo d’Israele in Esodo verso la loro Terra Promessa.
In questo loro viaggio i Trekboers si scontrarono con le popolazioni
presenti nel territorio dando vita a una serie di conflitti chiamati «guerre
cafre».
Nel 1814 l’Impero Britannico, a seguito del Congresso di Vienna,
prese possesso dell’intero territorio. Creò, mediante lo stazionamento di
coloni britannici, alcune zone cuscinetto per evitare il proseguire degli
scontri tra coloni afrikaner e popolazioni dell’interno; abolì la schiavitù e
proclamò la libertà di stampa. A causa di questi cambiamenti non certo in
loro favore, molti coloni originari si trasferirono verso l’interno in quella
migrazione che fu chiamata Grande Trek e fondarono due repubbliche
indipendenti: il Transvaal nel nord e, nella regione centrale, lo Stato Libero
d’Orange.
All’inizio del XX secolo gli inglesi avevano il controllo sulle province
costiere del Capo e del Natal; mentre gli Afrikaner le due province
settentrionali. La scoperta dei diamanti a Grahamstown ebbe come esito
l’annessione da parte della Gran Bretagna del territorio della Colonia del
Capo; poco dopo quella dell’oro nel Transvaal provocò lo sviluppo della
regione e la nascita della città di Johannesburg. La ricchezza di questo
territorio si affermava a danno della Gran Bretagna, che cercò di contenere
le mire di accesso all’oceano della neo-potenza chiudendola in un cerchio di
regioni britanniche. Questa politica non poteva che concludersi con uno
scontro armato tra Boeri e Britannici: la «guerra boera» si combatté tra il
4
1899 e il 1902 e dopo alterne vicende si concluse con la vittoria dell’Impero
Britannico.
Nel 1909, dalla fusione delle due antiche repubbliche boere
dell’Orange e del Transvaal con le colonie britanniche del Capo e del Natal,
nacque l’Unione Sudafricana; gli afrikaner in questa unione formavano la
maggioranza bianca.
Fino al 1910 la questione delle popolazioni nere della regione
sudafricana non veniva affatto considerata dalla popolazione bianca al
potere. Nel 1912 fu costituito il primo partito politico africano che auspicava
l’unione delle popolazioni nere: il South African Native National Congress,
il futuro African National Congress (ANC); la prima organizzazione che i
Neri si diedero. L’anno dopo la “Legge sulle terre indigene” divise il suolo
dell’Unione in zone riservate ai Bianchi e in zone riservate ai Neri (appena il
10% dell’intero territorio dell’Unione). Questa è stata la prima delle leggi
restrittive per i Neri. Dal 1948 in poi, il partito nazionalista afrikaner guidato
da Malan, che, con lui e i suoi successori ha detenuto il potere fino al 1994,
ha fatto delle discriminazioni razziali il suo sistema di governo. Così infatti
cita il programma del partito di Malan:
Abbiamo davanti due scelte divergenti: o l’integrazione, che nel lungo
periodo significherà un suicidio totale dei bianchi; oppure l’apartheid,
che professa di salvaguardare il futuro di ogni razza. Il principio
fondamentale a cui si ispira il National Party è quello della politica di
protezione e salvaguardia della razza bianca.6
6Malgaroli, Francesco, Le stagioni del Sudafrica: dall’apartheid alla democrazia?, Torino, Edizioni
Sonda, 1993, pp. 154-155.
5
La politica sudafricana è riassunta bene anche in uno dei primi
romanzi di Nadine Gordimer, The Late Bourgeois World [1966], quando
descrive il concetto di società della famiglia Van Den Sandt:
.....when Mrs Van Den Sandt spoke of ‘we South Africans’ she meant
the Afrikaans- and English- speaking white people, and when Theo
Van Den Sandt called for ‘a united South Africa’, going forward to an
era of progress and prosperity for all’ he meant the unity of the same
two white groups, and higher wages and bigger cars for them. For the
rest - the ten or eleven million ‘natives’ - their labour was directed in
various Acts of no interest outside Parliament, and their lives were
incidental to their labour, since until the white man came they knew
nothing better than a mud hut in the veld. As for the few who had
managed to get an education, the one or two outstanding ones who
were let into the University alongside her own son - Mrs Van Den
Sandt thought it ‘marvellous, how some of them can raise themselves
if they make an effort’; but the ‘effort’ was not related in her mind to
any room in a location yard where somebody else’s son puzzled
through his work by the light of a bit of candle, squashing with his
thumbnail (I always remember this description of his student days
given by one of our frinds) the bugs as they crawled out of their
craks.7
La risposta politica nera al potere bianco fu essenzialmente pacifica,
conciliante. I Neri cercavano di portare i bianchi a un tavolo delle trattative,
seguendo anche i dettami del pensiero sulla non-violenza di Gandhi, nati
proprio in Sudafrica. Molti leader neri sudafricani appoggiarono la Land
Bill, la legge che sanciva la suddivisione territoriale in regioni razziali perché
7Gordimer, Nadine, The Late Bourgeois World, London, Jonathan Cape, 1966, Harmondsworth,
Penguin, 1982, p. 26.
6
convinti che questa legge avrebbe aiutato le popolazioni nere a raggiungere
un maggiore sviluppo her di conseguenza un più elevato benessere.
La lotta attiva contro l’apartheid 8 iniziò nel 1952 con una campagna
provocatoria dove alcuni esponenti dell’ANC si fecero arrestare per tentare
di bloccare la campagna repressiva attuata dal governo. Ma la loro fu una
totale sconfitta. Nel 1955 poi l’ANC, assieme a tutti gli altri gruppi
dell’opposizione, deliberò la «carta delle libertà», prima definizione della
lotta contro l’apartheid, e da allora partecipò all’organizzazione di
manifestazioni contro la segregazione. Una di queste, il 21 marzo 1960 a
Sharpeville, finì in tragedia a causa della carica della polizia. Nato come
movimento non-violento, nel 1961 l’ANC costituì il suo ‘braccio armato’
Umkonto We Sizwe (La lancia del popolo o La punta di lancia della nazione)
e scatenò una campagna terroristica, in cui però si cercava di evitare di
colpire le persone.
Un’ulteriore risposta nera alle provocazioni politiche bianche fu il
movimento di Black Consciousness, che rivendicava l’uguaglianza tra
Bianchi e Neri e giustificava la propria richiesta di partecipazione al potere
su basi storiche. Anche questo movimento, come inizialmente quello
dell’ANC, cercava il confronto nel dialogo e non nello scontro armato. Il
suo braccio più estremista chiedeva l’esclusione dei Bianchi dal movimento,
in quanto privilegiati loro malgrado dal colore della pelle.
8Apartheid (afrikaans: separazione): teoria economico-politica del governo sudafricano che si
propone lo sviluppo separato delle diverse razze - bianca, negra, meticcia e indiana - che
coabitano nel Paese, ma che in pratica porta a una spietata segregazione e discriminazione
(A.A.V.V., Compact, Enciclopedia Generale De Agostini, Novara, Istituto Geografico De
Agostini, 1988, p. 103)
7
Nel 1976 ebbe luogo un’altra manifestazione pacifica (questa volta
appoggiata dal movimento di Black Consciousness): la sommossa di alcuni
studenti del sobborgo di Soweto contro l’obbligo di usare l’Afrikaans nella
scuola poiché era considerato la lingua dell’oppressore. Questa
manifestazione si allargò a macchia d’olio e venne repressa dalla polizia nel
sangue. Da allora le organizzazioni contro l’apartheid sfruttarono ogni
occasione possibile per dar contro al potere bianco. Al fine di dare
maggiore solidità alla teoria dei nazionalisti afrikaner, secondo la quale le
popolazioni nere non erano in grado di vivere tra loro pacificamente senza
scontri tra tribù, spesso agitatori pagati dal governo bianco creavano azioni
di disturbo nelle manifestazioni organizzate dai movimenti neri, consentendo
così l’arrivo della polizia e la successiva degenerazione in veri e propri
scontri urbani. Queste agitazioni attiravano sempre più l’attenzione e
l’indignazione degli osservatori internazionali.
Gli sviluppi di questa situazione e la presa di coscienza da parte dei
bianchi che l’economia sudafricana non può vivere senza l’appoggio
internazionale - e che questo appoggio può venire meno se manca la stabilità
sociale e persiste la politica segregazionista - hanno permesso il varo di una
nuova carta costituzionale (1984) che segna l’inizio del cammino di
allontanamento dall’apartheid.
L’elezione di Frederik De Klerk a capo dello stato (agosto 1989) e la
liberazione di Nelson Mandela (febbraio 1990), capo carismatico dell’ANC
in prigione dal 1963 per “sabotaggio, cospirazione per il rovesciamento
violento delle istituzioni e di complicità nel progetto di invasione del
8
Sudafrica da parte di truppe straniere”9 sono i segni del nuovo cammino
sudafricano.
Tra il 1990 e il 1991 viene abolita la legge segregazionista, vengono
legalizzate le organizzazioni anche politiche a maggioranza nera. Nel 1992 il
68,7% degli elettori chiede, in quella che è l’ultima elezione a suffragio
bianco, l’inizio dei negoziati per la democrazia e De Klerk conia la
felicissima espressione «nuovo Sudafrica»10
«Nascere nella società dell’apartheid significa nascere in un campo di
battaglia» ha affermato una volta Frank Chikane, esponente religioso
e politico di primo piano, arrestato, torturato e nonostante questo
sempre in prima fila nella lotta per un «Sudafrica libero, giusto,
democratico, non razzista e non sessista», per citare lo slogan più
caro all’ANC. Anche venire al mondo in una società senza apartheid,
ma con la storia razzista che conoscono e hanno patito i sudafricani,
significherà per lungo tempo ancora ritrovarsi in un campo di
battaglia, che sta appena cominciando a guardarsi tra le macerie di
una «guerra durata oltre quarant’anni», come Nelson Mandela ha
riassunto il tempo dell’apartheid e del potere boero.11
0.2. Cenni di Storia della letteratura
0.2.1. Poesia
Il primo poeta bianco che ha trattato l’Africa Meridionale è stato
THOMAS PRINGLE (1789-1834), di origine scozzese; ha il pregio di non
9Woods, Donald, Biko, p. 35.
10Malgaroli, Francesco, Le stagioni del Sudafrica, p. 11.
11
Ibid., pp.148-149.
9
aver considerato gli Africani dei selvaggi, ma di aver anzi provato e
manifestato per loro una certa simpatia, ponendosi anche a servizio della
lotta a favore della popolazione nera. Egli è uno scrittore romantico e
un’accusa che si può portare alle sue opere è quella di avere semplicemente
riveduto il mito del buon selvaggio in chiave sudafricana. Nei suoi scritti ha
anticipato la lotta contro la censura, e “temi che non sarebbero stati trattati
da altri scrittori sudafricani per cent’anni e più”.12 E’ stato il fondatore di
una delle prime scuole pubbliche di Città del Capo e ha collaborato alla
nascita delle prime riviste della stampa libera sudafricana. Egli rientra in
quella che è stata definita la prima fase della letteratura sudafricana, cioè
quella della letteratura coloniale.13
Un altro passo avanti nella poesia d’argomento africano si ha con
CHARLES BARTER (1820-1904), a cui si deve il primo libro di poesia di
lingua inglese pubblicato in Africa, e più precisamente a Pietermaritzburg,
nel Natal.
Nato nella Provincia del Capo, e quindi africano a tutti gli effetti, è
FRANCIS CAREY SLATER, (1876-1958), che si stacca dal tono poetico
romantico usato fino ad allora in Sudafrica a favore di un linguaggio
realistico, asciutto e descrittivo. In alcuni suoi componimenti si ispira a canti
Xhosa, una delle popolazioni indigene sudafricane.
12Gordimer, Nadine, English-Language Literature and Politics in South Africa, “Aspects of
South African Literature”, a cura di Heywood Christopher, Heineman, Londra, pp. 99-120, a
p.101; tratto da Pajalich, Armando, Una letteratura africana coloniale di lingua inglese, Torino,
Supernova, 1991, p. 89. Armando Pajalich è docente di Letteratura dei Paesi di Lingua Inglese
all’Università di Ca’ Foscari a Venezia.
13Questa distinzione è stata proposta da Laurens van der Post, nell’introduzione che ha scritto al
romanzo di W. Plomer Turbott Wolfe. Egli afferma che la prima fase della letteratura
sudafricana è quella coloniale, la seconda è quella degli scrittori “Europei”, ma nati in Sudafrica;
10
I poeti sudafricani della prima metà del secolo sembrano mostrare
un’internazionalità e una ricerca di radici, dovuta forse anche all’esilio scelto
o forzato che alcuni di essi hanno vissuto.14 Caratteristica di questa loro
poesia è anche la mancanza della voce dei neri.
Armando Pajalich nel suo libro suddivide la poesia sudafricana
anglofona antecedente gli anni Cinquanta in due tendenze - accademico-
meditativa l’una e realistico-umanitaria l’altra - e in due direzioni secondarie:
ironico-satirica e sperimentale. Queste tendenze diventano il banco di prova
del poeta sudafricano nell’assimilazione della tradizione britannica: non
mirano all’autonomia, ma all’inglobamento, confluendo in una corrente di
poesia britannica e americana poco africana nei ritmi, nelle immagini e nelle
forme. Siamo ancora in una poesia essenzialmente bianca. La poesia
accademico-meditativa usava rime e forme chiuse e molto elaborate per
descrivere tratti della natura o avvenimenti traendone spunti da meditare.
Ciò che più stupisce in tal filone di poesia è la mancanza di attualità
delle immagini e dei ritmi: la vita moderna, urbana, meccanizzata,
massificata, vi appare molto di rado. L’individuo continua a prevalere
romanticamente sull’oggettualità del testo poetico ed è ancora centro
e perno della realtà che lo circonda.15
Artefice di un cambiamento nella forma è GUY BUTLER (1918), che
ha modificato la sua poesia inserendovi una dimensione nuova, che parla dei
la terza è la fase della letteratura indipendente dall’Europa.
14
I poeti di questo periodo o sono di nascita europea e hanno vissuto in Africa solo per un periodo
della loro vita; oppure sono nativi del Sudafrica, ma costretti ad emigrare. E’ facile quindi capire
come questi peti sudafricani non potessero sentirsi in patria né in Sudafrica né altrove, e fossero
sempre alla costante ricerca di radici.
15Pajalich, Armando, Una letteratura africana coloniale , p. 94
11
dubbi, dei ricordi dolorosi vissuti partecipando alla seconda guerra
mondiale, e di sguardi al presente che però non vede essere che negativo.
Pur non definendosi un «poeta di protesta», prende una posizione
distaccata nei confronti del razzismo.
La critica sociale, l’ironia e la satira non hanno avuto la possibilità di
svilupparsi e di manifestarsi appieno in Sudafrica poiché il regime totalitario
al potere ha usato le armi della censura e dell’esilio per costringere i
dissidenti al silenzio. Così la poesia sudafricana mostra l’impegno
individuale del poeta, ma non denuncia i problemi sociali e non si scaglia
contro le scelte politiche. Solo dopo la seconda guerra mondiale i poeti
sudafricani sia bianchi che neri si sono resi consapevoli di non potere più
rifarsi alla poesia europea, perché lontana dalla loro realtà a cui preferiscono
ora agganciarsi, ripartendo da una verità dolorosa, ma concreta e attuale. I
due poeti più importanti di questo periodo sono ROY CAMPBELL (1901-
1957) e WILLIAM PLOMER (1903-1973).
Campbell è partito nel 1919 per l’Inghilterra dove ha condotto vita
bohemienne, “sempre disposto a combattere sia con le parole che con i
pugni”16. Inizialmente la sua poesia è densa di simboli difficili da decifrare.17
Una sua opera è riconosciuta importante perché con essa il Sudafrica si
impone nel mondo della poesia di lingua inglese portando qualcosa di
nuovo e di grande. Tornato in Sudafrica, gli viene affidata una rivista
letteraria. Assieme a W. Plomer18 e a Laurens van der Post19 lavora alla
16
Ibid., p. 106
17The Flaming Terrapin è infatti un poemetto visionario molto difficile da capire a causa del
grande simbolismo che vi è contenuto.
18Vedi pagina successiva di questo saggio.
12
Voorslag (termine afrikaans che significa “colpo di frusta”), rivista dalla vita
molto breve - giugno e luglio 1926 - a causa degli attacchi lanciati contro la
discriminazione razziale. Dopo il suo rientro in Inghilterra, e la successiva
decisione di stabilirsi in Provenza, Campbell continua a scrivere, esaltando
l’anima e il corpo, ma descrivendo anche quel senso di isolamento, esilio,
alienazione che sta diventando tema comune per molti scrittori sudafricani. Il
simbolo del cavallo, mutato magari talvolta in zebra o toro, diventa centrale
nella sua poesia, e viene ad identificarsi con lo stesso poeta e la sua
creatività. Il tramontare però degli influssi africani nella sua poesia coincide
col declino dell’ispirazione, e l’autore si è dedicato sempre più alla prosa.
Nella sua poesia sono entrati la luce, il colore e il calore dell’Africa, il
mito della frontiera e la forza di una natura non ancora del tutto
contaminata. Gli africani però sono ancora diffidenti:[...] la Gordimer
lo critica per una pretesa indifferenza alla problematica vitale e
politica del Sud Africa, e per il suo elitismo.[...] La Gordimer stessa,
d’altronde, ammette che scrisse “poesie incomparabilmente sensuali
sui neri”.20
William Plomer è più conosciuto come narratore che come poeta. Nel
1926 viene pubblicata la sua prima opera, considerata uno scandalo in
Sudafrica in quanto per la prima volta un bianco si ribella così apertamente
alla discriminazione razziale, affermando l’uguaglianza dei diritti degli esseri
umani. Negli anni Sessanta traduce alcune poesie di Ingrid Jonker scritte in
afrikaans, ma non cade nell’esaltazione dell’Africa. Le sue poesie su
19Vedi p. 17 di questo saggio.
20Pajalich, Armando, Una letteratura africana coloniale , p. 127. Le citazioni dalla Gordimer sono
tratte da: Gordimer, Nadine, English-Language Literature and Politics in South Africa, p.
13
Johannesburg descrivono la disumanità della società che ha distrutto il
precedente paradiso naturale e Plomer arriva a criticare apertamente la
società.
L’Africa non suggerisce solo un luogo mitico:
resta realtà fisica e sociale. E storica: il
poeta non esita a far soggetto di poesia la
guerra coi Boeri rifiutando ogni possibilità di
mitizzazione, o scolpisce rime disilluse su
antichi pionieri o cacciatori o ufficiali
scozzesi. Se le figure di indigeni sono rese con
maggior simpatia, anche quelle però partecipano
di un presente svuotato di vigori e illusioni.21
Plomer scrive della realtà africana in tutta la sua produzione, così come
costante è il suo impegno civile, che culmina con una composizione
sull’assassinio del Presidente Kennedy. Da allora la morte diviene un tema
ricorrente nei suoi componimenti.
Importante nella storia della letteratura sudafricana degli anni Sessanta
è la poesia inglese nera.
Colui che molto ha influenzato i poeti neri di questo periodo è
BENEDICT W. VILAKASI (1906-1947), che viene considerato un esempio
di “Negritudine sudafricana”22; il suo stile è quello di un uomo che ha la
consapevolezza di essere un nero sfruttato ma non è rassegnato. La sua
rivolta non si indirizza ai bianchi, con i quali non crede possibile un dialogo,
ma alle macchine, simboli di un sistema sempre più disumano e
disumanizzante.
105, come citate da Pajalich nel suo testo.
21
Ibid., p. 131.
22
Ibid., p. 100.
14
La poesia afferma innegabilmente la fierezza di appartenere alla razza
zulu che ora è in letargo ma che ha una sua storia di eroismo e di
dignità - tanto da essere giunta a sfidare la grande “Elefantessa”
(come viene nominata la regina Vittoria).23
Il fine che i poeti neri sudafricani si prefiggono è quello di denunciare
i mali dell’Africa: la corruzione, la segregazione dei molti e lo strapotere di
alcuni assieme all’ignoranza delle tradizioni.
The starting-point is essentially post-Sharpeville - post-defeat of mass
black political movements; the position that of young people cut off
from political education and any objective formulation of their
resentments against apartheid. The stations are three: distortion of
values by submission to whites; rejection of distortion; black/white
polarity - opposition on new ground.24
I temi scelti dai poeti neri interessano per la maggior parte la battaglia
dell’uomo per la sopravvivenza fisica e spirituale nell’oppressione. ‘Io’ è il
pronome da loro più usato, ma è un ‘io’ che unisce in un’unica persona e in
un’unica battaglia i milioni di neri accomunati da questa lotta. Il primo
movimento - distortion by submission - è spesso manifestato dall’apartheid
visto attraverso gli occhi di un bambino, che si sente un escluso dalla
società senza saperne il perché. La seconda tappa - rejection of the self -
prende molte forme. Quello che deve essere abbattuto sono tre secoli di
schiavitù spirituale: il poeta è consapevole che “the bastille of Otherness
23
Ibid., p. 102.
24Gordimer, Nadine, The Black Interpreters: Notes on African Writing, Johannesburg, Ravan
Press Ltd., 1973, p. 55.
15
must have its combination locks picked from within”.25 L’interesse alla
metafisica dell’odio appartiene a questo stadio di “rejection of the distorted
black self-image”.26Come esempio poi del terzo passaggio si può portare
una domanda retorica posta da JAMES MATTHEWS, poeta e narratore
sudafricano: “Can the white man speack for me?”, citata nel saggio della
Gordimer. La risposta è scontata: no, non è possibile in una realtà divisa
come quella sudafricana conoscere i pensieri e le aspirazioni di un gruppo
sociale diverso da quello a cui uno appartiene.
0.2.2. Prosa
La narrativa sudafricana si impone all’attenzione della critica
improvvisamente, con la pubblicazione del romanzo The Story of an
African Farm, nel 1883. OLIVE SCHREINER (1855-1920), l’autrice, è una
donna combattiva e libera che ha saputo individuare e descrivere alcuni dei
problemi che affliggevano la sua gente e i suoi tempi, ed è riconosciuta
all’avanguardia nel campo del femminismo, del movimento socialista, del
pacifismo, dell’obiezione di coscienza e punto di riferimento nelle questioni
razziali. La sua vita però non è stata così aperta e libera; la famiglia
missionaria e bigotta e la sua educazione precaria, incostante e da
autodidatta - in quanto donna non poteva accedere a studi superiori - hanno
pesato lungo tutta la sua vita. “What Schreiner’s work sets out, therefore,
may be seen as a ‘colonial’ problematic.”.27 Trasferitasi a Londra, la
25
Ibid., p. 60.
26
Ibid., p. 64.
27Clingman, Stephen, The Novels of Nadine Gordimer: History from the Inside, London, Allen &
Unwin, 1986, p. 4