6
l’elemento che sta alla base dell’attività creditizia, vale a dire il rischio di
credito e gli elementi che lo compongono nonché la valutazione del rischio
di default, cioè quel rischio tanto temuto dalle banche che veniva
trasferito utilizzando i famigerati credit default swap, anch’essi
ampiamente descritti insieme al mercato dei credit derivatives. Ai CDS ho
voluto dedicare particolare attenzione per via del ruolo che essi hanno
assunto durante questa crisi, in quanto secondo alcuni analisti avrebbero
contribuito ad estenderla poiché “falsavano” la percezione del rischio.
Nel Secondo Capitolo ho illustrato il meccanismo che ha portato alla crisi
finanziaria, quindi ho iniziato dal “gonfiamento” della bolla immobiliare
fino allo scoppio, per poi spiegare perché titoli con la Tripla A erano in
realtà titoli “tossici”. Ciò è dovuto al fatto che essi venivano “re‐
impacchettati” più volte dai diversi intermediari fino ad arrivare a non
sapere più che cosa si aveva in mano. In pratica, le banche per garantirsi
dal rischio di default emettevano CDO che, successivamente, venivano
raggruppati con atri titoli a garanzia patrimoniale. I CDO, inoltre, potevano
essere utilizzati come garanzia di altri prestiti. Cosicché, dopo tutti questi
passaggi non si sapeva cosa contenevano tali pacchetti. Neanche le
agenzie di rating lo sapevano.
Il Terzo Capitolo è una cronologia di tutti gli eventi che riporta le vicende
delle varie banche coinvolte nella crisi: la nazionalizzazione di Fannie Mae
e Freddie Mac, il salvataggio di AIG e di Citigroup, l’episodio dell’eclatante
fallimento di Lehman Brothers e cosi via. Vengono descritti gli interventi
del Governo Usa e della Banca Centrale per risanare la situazione, ormai
caduta in un baratro che sembra essere senza fine. In special modo viene
esaminato il maxi‐piano di salvataggio dell’economia statunitense, il Piano
Paulson, in tutti i suoi punti chiave: l’acquisto dei titoli tossici e dei mutui
dalle società finanziarie con lo scopo di evitare i pignoramenti delle case
dei debitori insolventi; l’assicurazione degli asset “cattivi” contro future
perdite, in cambio del pagamento di una commissione da parte delle
società che li possiedono; l’aumento del tetto dei depositi a 250 mila
dollari; i tagli fiscali. Sono illustrati anche i piani d’intervento dei paesi
europei tra cui l’Italia che ha adottato in particolare due provvedimenti: la
Convenzione ABI‐Tesoro per dare ai risparmiatori la possibilità di
7
rinegoziare i mutui e il Decreto Legge per la Stabilità del Sistema Creditizio
che contiene delle norme a difesa dei depositanti e del sistema del
credito. Sempre per quanto riguarda il nostro Paese ho preso in
considerazione i casi di tre istituti creditizi tra i più importanti in Italia, tra
cui la Banca Unicredit che ha dovuto intervenire sul capitale per riportare
il Core Tier 1 a 6,7% dopo esser sceso a 5,5%. Inoltre, viene prestata
attenzione al Piano anti‐crisi Ue, firmato dai 15 Paesi appartenenti all’area
dell’euro. Esso si suddivide in cinque punti: un'adeguata liquidità alle
istituzioni finanziarie, le garanzie sui prestiti, la ricapitalizzazione efficiente
delle banche in difficoltà da parte dei governi, la revisione delle regole, il
coordinamento delle procedura tra i governi europei. Un’altra azione
importante è stata il taglio globale dei tassi da parte di sei banche centrali:
la Bce, la Fed, la Bank of England, la Banca Centrale Svizzera, la Bank of
Canada e la Banca Centrale Svedese.
Nel Quarto Capitolo ho trattato le cause della crisi finanziaria. In tanti
hanno accusato il governo delle scelte politiche che sono state fatte nel
corso di quest’ultimo decennio in America, a partire dal 1999 quando
vennero approvati la riforma proposta da Phil Gramm, allora presidente
della “Commissione banche, edilizia e affari urbani” del Senato, che
limitava il potere di supervisore della Fed sulle banche di investimento e
gli istituti di credito ipotecario, e il Commodity Futures Modernization Act
che deregolamentava il trading di derivati, fino ad arrivare al boom dei
mutui “facili” del 2006. Altro errore è stata la politica monetaria troppo
espansiva adottata negli ultimi anni dalla Fed. Al riguardo, ho descritto
l’andamento dei tassi di policy a partire dal 2001 fino al 2008. Ma forse, la
colpa più grave è dei supervisori che sono stati accusati di applicare le
regole in maniera “poco convinta”, di aver permesso che si gonfiasse la
bolla della quale essi erano a conoscenza e, soprattutto, la causa sta nella
lacunosa regolamentazione.
Durante questa crisi spesse volte si è fatto riferimento alle bolle
speculative del passato e alle possibili analogie con la bolla dei subprime.
Ho voluto elencarne qualcuna nell’ultimo Capitolo per dimostrare che in
realtà non c’è alcuna somiglianza tra esse, evidenziando invece le
differenze per sottolineare che ogni bolla è a sé e ha le proprie
8
caratteristiche e peculiarità. Inoltre, ho dedicato una parte alle crisi
bancarie e agli interventi endogeni ed esogeni a disposizione per la loro
risoluzione, facendo degli esempi concreti come il fallimento della
Canadian Commercial Bank nel 1985, della Bank of Credit and Commerce
International nel 1991 e le numerose crisi bancarie che coinvolsero gli
Stati Uniti alla fine degli anni Ottanta, allo scopo di evidenziare che le crisi
bancarie quando coinvolgono importanti istituti si concludono quasi
sempre allo stesso modo e cioè con un salvataggio o una
nazionalizzazione. Ciò, da un lato, può essere un bene per il comparto
bancario perché rappresenta un metodo efficace al fine evitare crisi
sistemiche e per i risparmiatori perché vengono salvaguardati i loro
risparmi e investimenti; ma d’altro canto, l’intervento dello Stato in alcuni
casi non fa altro che alimentare il moral hazard, provocando quindi un
effetto quasi contrario.
Al fine della stesura di questa tesi, vista l’attualità dell’argomento trattato
e, di conseguenza, la mancanza di una letteratura ad hoc le fonti da me
utilizzate sono state alcuni dei principali quotidiani nazionali come La
Repubblica e, soprattutto, Ilsole24ore. Inoltre, ho attinto buona parte
delle informazioni su siti internet (www.ilsole24ore.com,
www.bancaditalia.it, www.borsaitaliana.it e cosi via) e riviste finanziarie
e non. Naturalmente, c’è da considerare che il documento potrebbe non
risultare sufficientemente aggiornato al momento della lettura, dal
momento che lo svolgimento della crisi e l’attuazione di misure da parte
dei governi e delle banche centrali sono ancora in corso.
9
CAPITOLO 1
I SUBPRIME E IL RISCHIO DI CREDITO
1. COSA SONO I SUBPRIME?
I subprime, o “B‐Paper”, “Near‐prime” o “Second chance” sono quei
prestiti che vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai
tassi d’interesse di mercato, in quanto ha avuto problemi pregressi nella
sua storia di debitore o ha un reddito basso o, ancora, che non dà alcuna
documentazione circa i suoi redditi o le sue attività. Vengono cioè erogati
a clienti definiti “ad alto rischio”. Ebbene, società specializzate gli
concedono una seconde chance assumendosi il rischio di non essere
rimborsate, dietro il pagamento di tassi d’interesse sensibilmente più alti e
di commissioni e di more elevate appunto perché sono di qualità “non
primaria”. I subprime sono principalmente usati in due modalità: mutui o
carte di credito.
I MUTUI
I cosiddetti mutui subprime sono dei mutui ipotecari ( mortgage
subprime) erogati da banche o finanziarie ( subprime lenders ) e concessi a
debitori ( subprime loans ) che hanno un passato finanziario fatto di
inadempimenti nel rimborso dei propri debiti o, addirittura, pignoramenti
e bancarotta. Tale tipi di finanziamenti chiamati subprime lending cercano
di coprire quel segmento di mercato ( subprime market ) che altrimenti
rimarrebbe privo di finanziatori. Infatti, il subprime dà a coloro che
contraggono un prestito l’opportunità di avere accesso al credito. Costoro
usano questo credito concesso per acquistare abitazioni, oppure
finanziare altre forme di spesa, come l’acquisto di un’automobile, la
ristrutturazione della casa, o persino rimborsare una carta di credito ad
alti interessi.
Gli istituti che erogano il prestito devono reperire i capitali e l’operazione
si concretizza con l’emissione di prodotti finanziari simili alle obbligazioni
che vengono venduti in tutto il mondo (soprattutto ad investitori
istituzionali statunitensi ed europei). Naturalmente, poiché i clienti dei
10
mutui pagano tassi più alti della media del settore, anche chi detiene le
obbligazioni legate ad essi percepisce degli interessi superiori alla media.
La logica alla base di questi prodotti è che proprio i sottoscrittori dei mutui
(attraverso il pagamento delle rate) sono a garanzia delle cedole e della
restituzione del capitale. Ci sono molti tipi differenti di mutui subprime,
tra i quali:
ξ mutui “interest only”, che permettono a chi contrae il prestito di
pagare unicamente la quota di interessi per un determinato periodo di
tempo (in genere 5‐10 anni);
ξ mutui “pick payment”, che consentono ai mutuatari di scegliere la
tipologia di pagamento mensile (pagamento pieno, solo quota
interessi, oppure pagamento minimo che può essere più basso del
pagamento richiesto per ridurre l’indebitamento);
ξ mutui a tasso fisso iniziale che si convertono nel tempo in mutui a tasso
variabile (“mutui a tasso fisso a tasso fisso aggiustabile”).
Quest’ultima classe raggruppa una tipologia di mutui la cui popolarità tra i
prestatori subprime è cresciuta esponenzialmente a partire dagli anni ‘90.
All’interno di essa vengono inclusi i mutui “2‐28”, che offrono un tasso
iniziale basso che resta fisso per due anni, dopo di che il piano di
ammortamento viene ricompilato con un tasso di interesse più elevato per
la vita residua del mutuo, in questo caso 28 anni. Il tasso è tipicamente
agganciato a un indice. Oltre a questo metodo, sono altresì popolari le
varianti “3‐27” e “5‐25”.
Per evitare di affrontare pagamenti elevati sin da subito, molti debitori
subprime contraggono mutui a tasso aggiustabile che con l’aggiustamento
annuale finiscono per arrivare ad un tasso di interesse attorno al 10%.
LE CARTE DI CREDITO
Per quanto riguarda le carte di credito, esse sono carte che iniziano con
bassi limiti di credito, accompagnati da tariffe estremamente alte e tassi di
interesse che possono essere anche superiori al 30%. Recentemente, a
partire dal 2007, sono emerse nel mercato nuove carte di credito
subprime. Il mercato stesso è diventato più concorrenziale e gli istituti di
credito sono stati costretti a rendere le loro offerte più appetibili per i
11
consumatori. Ora, difatti, gli interessi per le carte di credito subprime
partono dal 9,9%, anche se in molti casi compiono escursioni oltre il 24%.
Le carte di credito subprime possono anche aiutare a migliorare bassi
punteggi di credito, nel caso in cui le pendenze vengano saldate
regolarmente.
1.1. LE CONTROPARTI
MUTUATARI
Non c'è un profilo di credito ufficiale che cataloga un mutuatario come
subprime, anche se negli Stati Uniti il termine viene usato
convenzionalmente in riferimento a chi contrae un prestito avendo un
"punteggio di credito" inferiore a 620 (in una scala che va da 300 a 850),
quindi i debitori subprime hanno tipicamente un basso punteggio di
credito e storie creditizie fatte di inadempienze, pignoramenti fallimenti e
ritardi. Generalmente, coloro che contraggono un prestito subprime
presentano una varietà di caratteristiche peculiari di rischio, tra le quali:
• due o più pagamenti di crediti pregressi effettuati oltre 30 giorni dopo
la scadenza negli ultimi 12 mesi, oppure uno o più pagamenti effettuati
60 giorni oltre la scadenza negli ultimi 36 mesi;
• dichiarazione di bancarotta negli ultimi 5 anni;
• insolvenza su mutuo negli ultimi 24 mesi;
• alte probabilità relative di inadempienza come evidenziato, ad
esempio, dagli score degli istituti di credito inferiori a 660.
A causa dell’elevato profilo di rischio dei clienti, il costo di questo accesso
al credito è un tasso di interesse più elevato.
PRESTATORI
I prestatori subprime assumono tale veste nei confronti di coloro che, per
la loro condizione, non possono ottenere prestiti prime. Essi si assumono
così il rischio associato all’attività di credito nei confronti di debitori
scarsamente affidabili, vale a dire con un punteggio di credito molto
basso.
I prestatori usano diversi metodi per coprire questi rischi: da un tasso di
interesse elevato per i mutui, a tariffe di mora molto elevate per i
detentori di carte di credito subprime. Tutto ciò comporta più elevati
12
introiti per i prestatori e in maniera direttamente proporzionale una
maggior difficoltà per i debitori, generando una sorta di circolo vizioso.
2. UN FENOMENO TIPICAMENTE AMERICANO
Quello del mutuo subprime è un fenomeno tipicamente americano. Circa il
25% della popolazione americana cade nella categoria subprime. Dal 1998,
il 25% dei mutui ipotecari concessi sono stati classificati come subprime.
Essi sono proliferati a partire dai primi anni del ventunesimo secolo. John
Lonski, economista di Moody’s, afferma che all’incirca il 21% dei mutui
contratti dal 2004 al 2006 si sono classificati come subprime, mentre dal
1996 al 2004 la percentuale si assestava al 9%. Negli Stati Uniti i mutui
subprime raccoglievano un importo totale di 600 miliardi di dollari nel
2006, capitalizzando circa un quinto sul totale del mercato statunitense
dei mutui per la casa.
2
Fonte: Credit Suisse
Come tutti i mutui anche i mortgage subprime vengono concessi a fronte
della garanzia reale sulla casa. Vale a dire che quando il debitore non
paga, la banca riprende possesso della casa che ha finanziato. Negli Stati
Uniti, a differenza dell’Italia dove possono passare anche diversi anni
prima che la casa ritorni in possesso del finanziatore, bastano pochi mesi.
La procedura è rapidissima, già alla seconda, o al massimo terza rata
mensile non pagata, il titolare del mutuo viene sfrattato e la sua casa
2
Fonte: it.wikipedia.org