48
Shawn Fanning, fu reso disponibile a partire dal 1999, ma solo nel 2000
ebbe un fortissimo impatto su Internet. Napster fu il primo sistema di
peer-to-peer53 di massa che permise lo scambio e la condivisione di file
mp3, provocando però una violazione di massa del copyright.
Proprio per questa ragione nel 2001 il caso Napster finì in tribunale tra lo
sconcerto dei suoi numerosi estimatori, per i quali il file sharing
rappresentava la caratteristica principale di Internet, mentre Napster
veniva considerato essenzialmente un motore di ricerca. Molti osservatori
tuttavia giustamente ritenevano che qualsiasi tentativo di chiudere
Napster avrebbe spinto gli utenti ad utilizzare altri mezzi per lo scambio
di file su Internet, cosa che puntualmente avvenne mediante software
peer-to-peer come Kazaa, Winmx e eMule. I sostenitori di Napster, da
parte loro, erano sconcertati da come i media descrivevano il servizio, come
se fosse un sito web invece che un programma, inducendo il pubblico a
credere che Napster fosse esso stesso un distributore di file musicali
protetti da copyright, piuttosto che un programma che facilitava la
condivisioni degli stessi.
Nel luglio 2001 un giudice ordinò ai server Napster di chiudere l’attività a
causa della ripetuta violazione di copyright. Il 24 settembre 2001 la
sentenza fu parzialmente eseguita: l’accordo prevedeva che Napster
pagasse come indennizzo 26 milioni di dollari in risarcimento per i danni
del passato, causati dall’utilizzo non autorizzato di brani musicali, e 10
milioni di dollari per royalties future. Per poter pagare questo rimborso,
Napster tentò di convertire il servizio da gratuito a commerciale e così è
ancora oggi, nonostante la concorrenza di iTunes lo stia mettendo in
difficoltà.
53 Il peer to peer è un tipo di network che permette ad un gruppo di persone con lo stesso
programma, di connettersi e accedere direttamente alle risorse condivise. Napster,
Gnutella, Kazaa e altri sono esempi di tali software.
49
Quest’ultimo è un programma sviluppato dalla Apple Inc. allo scopo di
riprodurre e organizzare file multimediali, permettendo l’acquisto on line
di canzoni, video e film attraverso il servizio iTunes Store. Tale negozio
propone il catalogo delle cinque maggiori case discografiche del pianeta,
BMG Music, EMI, Sony Music, Universal e Warner Bros, ma include anche
oltre 300 etichette indipendenti. Le canzoni che fanno parte del repertorio
sono ormai più di tre milioni ed ognuna di esse può essere preascoltata per
30 secondi e poi acquistata a 99 centesimi di dollaro. È possibile anche
acquistare cd completi, di solito a prezzi ridotti, che è consentito poi
masterizzare un numero infinito di volte.
DAL MERCATO DI MASSA AL MERCATO DI NICCHIA
Di certo la tecnologia ha ispirato e promosso l’allontanamento dei clienti
dai negozi di dischi ma «non solo perché permetteva di scansare il
registratore di cassa: il fatto è che offriva anche una scelta enorme senza
precedenti, in termini di brani disponibili. Un normale network di file
trading ha più musica di qualsiasi negozio di dischi. E vista l’offerta, gli
appassionati di musica non poterono rifutarla54». Il pubblico di oggi non
compra più dischi «e di fronte all’alternativa tra scegliere una boy band o
scovare qualcosa di nuovo, sempre più gente sceglie la seconda opzione, e
di solito resta maggiormente soddisfatta da ciò che trova55».
Intorno allo scambio di file tra utenti si è ormai creata una piccola
industria con lo scopo di comprendere il fenomeno. Si tratta della base dati
BigChampagne, reperibile all’indirizzo www.bigchampagne.com, società
specializzata nell’analisi dei trend della Rete che tiene traccia di tutti i file
condivisi sui principali servizi peer to peer: dai dati che emergono si nota
54 CHRIS ANDERSON, La lunga coda. Da un mercato di massa a una massa di mercati,
Codice, Torino 2007, p. 23.
55 CHRIS ANDERSON, cit., p. 24.
50
immediatamente uno spostamento dei gusti musicali dagli artisti di massa
a quelli di nicchia. Il fenomeno si è ulteriormente intensificato dal 2001 in
seguito alla commercializzazione dell’iPod, il lettore mp3 dotato di una
memoria così capiente da consentire a chiunque lo acquisti di portare
sempre con sé l’equivalente di un negozio di dischi.
Lo sviluppo tecnologico ha portato indubbiamente ad una crescita
esponenziale della pirateria, ma dall’altro lato ha aperto l’accesso a un
mondo musicale che altrimenti sarebbe rimasto probabilmente del tutto
sconosciuto al pubblico, soprattutto nel settore delle band.
Non molto tempo fa esisteva un sistema ben definito per promuovere i
talenti musicali: «i pezzi andavano in heavy rotation su Mtv, gli artisti
suonavano nei negozi di dischi e la promozione poteva anche includere la
pubblicità in una rivista musicale. Ma la vecchia formula si è rinnovata
con l’avvento della distribuzione digitale, i siti di social network e le web
radio. Ora le band possono vendere la loro musica direttamente tramite
iTunes e costruire la loro base di fan direttamente attraverso MySpace56».
Gli Arctic Monkeys sono solo un esempio di band che ha guadagnato fama
sfruttando il web e tramutando poi il loro successo in una carriera
mainstream sui palchi e attraverso la vendita di cd. «Wired Magazine57»,
possiede una vera e propria lista di MySpace Band che può essere
utilizzata per conoscere nuovi gruppi lontani dalla audience più larga.
Oggi inoltre non è più possibile capire quali band siano di maggiore
gradimento semplicemente osservando le classifiche di vendita, perché
esse non riflettono più la realtà: occorrerebbe fare classifiche per ogni
56 MARK GLASER, 6 Maxims for Music Promotion in the digital Age,
<http://www.pbs.org/mediashift/2007/10/digging_deeper6_maxims_for_mus.html>,
4/10/2007.
57 «Wired Magazine» è un periodico pubblicato a San Francisco, California, dal marzo
1993; l’articolo scritto da Chris Anderson apparve però sul sito Internet della rivista,
reperibile all’indirizzo www.wired.com.
51
genere e sottogenere, creando così infiniti elenchi, e si passerebbe dalla hit
parade alla ‘micro-hit58’.
Nonostante questo le industrie dell’intrattenimento ed i media continuano
a puntare sui best-seller come fonte principale di profitti ricercando il
successo nella hit e compensando con i suoi guadagni la zavorra degli
investimenti sulle band sbagliate. Questa riluttanza ad abbandonare la
ormai superata concezione del mercato di massa non tiene conto dei mutati
gusti e abitudini degli ascoltatori che, al giorno d’oggi, preferiscono
scegliere personalmente cosa rendere di successo.
LE SEI MASSIME DELLA PROMOZIONE MUSICALE NELL’ERA DIGITALE
Jason Feinberg è il fondatore e presidente di On Target Media Group,
un’agenzia on line di marketing per artisti, mentre Scott Perry è il
fondatore di New Music Tipsheet59, una preziosa risorsa on line per
conoscere le novità degli artisti e le loro uscite discografiche, ed in passato
si è occupato della promozione di moltissime band.
Mark Glaser60, giornalista e blogger di Mediashift61, nell’ottobre del 2007
ha realizzato un’intervista62 ai due esperti di promozione musicale.
Dall’intervista, integrata con conversazioni telefoniche o via mail, ha tratto
le sei massime del nuovo mercato musicale, che qui riassumo.
58 CHRIS ANDERSON, cit., p. 25.
59 La home page di New Music Tipsheet è reperibile all’indirizzo
<www.newmusictipsheet.com>.
60 Mark Glaser è un giornalista freelance che nel corso della sua carriera si è interessato
di musica, Internet e nuovi media. Attualmente cura il blog Mediashift per conto di PBS,
l’equivalente della RAI americana.
61 La home page di Mediashift è reperibile all’indirizzo <http://www.pbs.org/mediashift/>.
62 Cfr. nota 56.
52
1) Cedere un po’ della propria musica.
Sicuramente questo punto è molto controverso, soprattutto dopo il caso
Napster; tuttavia, secondo i due esperti, cedere qualche brano rendendolo
scaricabile come mp3 può portare un forte riscontro dal punto di vista
della fama.
Emblematico il caso Radiohead. La band inglese dal 10 Ottobre 2007 ha
reso disponibile in rete il proprio intero cd In Rainbows lasciando stabilire
agli utenti il prezzo d’acquisto: «i fan diventano i diretti beneficiari
dell’industria musicale allontanandosi dal management dei diritti musicali
o DRM. Questo significa che se vogliono supportare un artista evitando la
‘mafia musicale’ hanno la possibilità di farlo63».
Non è la prima volta che si lascia decidere al cliente il prezzo del proprio
prodotto, si pensi ad esempio al ristorante londinese Just Around the
Corner in cui si lascia che il cliente paghi il prezzo che ritiene giusto per la
qualità del pasto consumato ed in cui solitamente accade che la somma
lasciata sia maggiore di quella attesa64, ma è sicuramente la prima volta
che un’operazione di questo genere è stata tentata nel settore musicale.
Cedere un po’ della propria musica diventa essenziale soprattutto per
quelle band che non sono ancora popolari e che non possono contare su
clienti fedeli. Un mp3 può in questo modo diventare un ottimo biglietto da
visita per spingere gli utenti ad acquistare un prodotto che così iniziano in
parte a conoscere: nessuna descrizione potrebbe infatti essere più completa
del vero e proprio ascolto in prima persona.
63 ELIOT VAN BUSKIRK, Dying DRM Means More Freedom for Music Fans,
<http://www.wired.com/entertainment/music/commentary/listeningpost/2007/10/listening
post_1015>, 15/10/2007.
64 VALARIE A. ZEITHAML E MARY JO BITNER, Il Marketing dei Servizi, McGraw-Hill, Milano
2002, p. 384.
53
2) Le etichette discografiche non sono ancora morte.
L’etichetta discografica è un marchio commerciale creato dalle compagnie
specializzate in produzione, distribuzione e promozione di musica e in
taluni casi anche di video (specialmente video musicali), su diversi formati
(come il compact disc, il disco in vinile, il DVD, le musicassette, ecc.). Il
loro nome deriva dall’etichetta stampata che veniva posta al centro dei
dischi in vinile.
Le etichette discografiche si dividono sostanzialmente in due categorie: le
major, legate a multinazionali che detengono più del 70% del mercato
musicale mondiale, e le indipendenti, etichette che autoproducono e
promuovono i propri prodotti indipendentemente dal circuito delle
multinazionali (ma spesso con accordi distributivi o di cooperazione). Molte
etichette discografiche sono di proprietà di alcune tra le più grandi
compagnie multinazionali, che detengono la maggior parte dell’industria
discografica, contrastate solo in piccola parte dal mercato delle etichette
indipendenti. Ancora oggi questo panorama rimane invariato, nonostante
il mercato in cui operano sia sostanzialmente mutato.
Attualmente infatti i costi per una registrazione digitale dei propri pezzi
sono piuttosto ridotti ed ogni gruppo, anche con il solo ausilio di un
computer, gli adeguati programmi ed alcuni strumenti, può autoprodurre
un lavoro di discreta qualità. Caricando i propri pezzi sul web ci si può
autopubblicare e farsi conoscere divenendo manager di se stessi.
Il rapporto degli artisti con le etichette discografiche sta quindi cambiando:
essi possono infatti svolgere da soli gran parte del lavoro di produzione e di
promozione che prima spettava alle etichette, nonostante quest’ultime
continuino a garantire maggiori possibilità di raggiungere la fama. Le case
discografiche quindi non sono ancora defunte, perché possono fornire
ancora molto aiuto alle band.
54
3) I vecchi custodi non hanno più le chiavi.
In precedenza una performance durante lo show di Ed Sullivan, varietà
televisivo americano, poteva portare un gruppo al successo. Ora invece
sono solo molti meno i «momenti che possono aiutare gli artisti ad uscire
dalla Lunga Coda della nicchia dei contenuti on line65», gli artisti devono
invece costruire la propria identità tramite i tour, i social network,
pubblicità mirate e non solo attraverso un’unica apparizione in TV.
Negli anni ‘80 il vero ‘custode delle chiavi della musica’ era MTV, ma oggi
siamo noi utenti a scegliere cosa portare al successo andando a visitare siti
specializzati in ciò che ci interessa: si è aperta l’era della Lunga Coda,
come ci ha spiegato Chris Anderson, redattore capo della rivista «Wired»,
in cui gli autori di contenuto non cercano più di entrare in un mercato di
milioni di lettori o di ascoltatori, ma in un milione di mercati per ciascuno.
4) MySpace non è l’unico protagonista.
MySpace, come abbiamo avuto modo di vedere, è un social network che
nasce come strumento per creare pagine personali straordinariamente
raffinate dal punto di vista dei contenuti multimediali. In esse, con minime
conoscenze HTML, è possibile personalizzare il proprio spazio
arricchendolo con immagini, musica e filmati. Inizialmente MySpace
nacque come network sociale ma in breve tempo, attraverso la sezione
Music, è diventato uno strumento di promozione fondamentale per i
gruppi. Ma è soprattutto l’elemento ‘social’ a rendere MySpace così
interessante: le band possono fare amicizia attraverso la sua funzione ‘add
friend’ ed organizzare concerti facendo uso del suo sistema di
messaggistica. Attualmente MySpace sta tentando di realizzare accordi
con le major al fine di evitare problemi di copyright e questa è la più chiara
65 MARK GLASER, cit.
55
dimostrazione dell’importanza assunta dalla musica all’interno del social
network.
Molto importanti sono anche Facebook, Lasf.fm, AOL Music, Msn Music,
Yahoo Launch, siti che consentono agli utenti di visitare le pagine
personali di artisti conosciuti e di conoscere quelli ancora sconosciuti.
Infine tramite ognuno di questi social network è possibile interagire
direttamente con gli artisti.
5) I business di musica e tecnologia solo come l’olio e l’acqua.
Per capire come mai la musica sta soffrendo nell’era di Internet basta
guardare alla lotta culturale tra l’industria musicale e quella tecnologica.
Mentre l’industria musicale cerca di combattere contro la pirateria, la
tecnologia elabora metodi per scaricare più musica possibile. Questa
controversia non si è ancora sanata e coloro che se ne risentono
maggiormente sono i fan, che ritengono la tutela dei diritti del mercato
lesiva della propria libertà personale in rete.
6) Il marketing dei cellulari non è ancora maturo.
Molte band americane stanno iniziando a trarre profitti dalla vendita di
suonerie musicali per i cellulari. Il fenomeno in Giappone ha già preso
campo, in America sta iniziando a svilupparsi, mentre in Italia non si è
ancora manifestato, ma vale certamente la pena menzionarlo dal momento
che esso, insieme ai profitti che si possono trarre dagli show live, potrebbe
essere una soluzione vincente per il calo delle vendite dovuto alla
digitalizzazione musicale.