2 INTRODUZIONE
guajira e quella assimilata dagli spagnoli, la trasposizione dei culti
africani sul suolo americano a seguito della schiavitù, con le loro
musiche e tradizioni, la contradanza, il danz n e la rumba, fino ad
arrivare al son, sintesi dell'essenza mulatta del popolo cubano, di bianco
e negro
1
, cafØ con leche y bong .
Fernando Ortíz la definì con una brillante dicotomia: blanco,
azucar y guitarra; negro, tabaco y tambor
2
.
Quando nel 1930 Nicolás Guillén pubblicò i suoi Motivos de
son, fu come se provocasse lo scontro tra due pianeti che gravitavano in
orbite diverse: la poesia, arte colta per eccellenza, veniva abbassata a
livello della musica negra, l'espressione più infima del popolo più
popolo. O forse sarebbe meglio dire che la musica popolare venne
elevata e consacrata a forma d'arte, alla stregua di poesia e letteratura.
Nel secondo capitolo si è ritenuto indispensabile inquadrare la
situazione storica, sociale e culturale nella Cuba di inizio '900,
inserendovi la figura e l'opera di Nicolás Guillén e definendo l'apporto
e l'innovazione che egli diede al movimento culturale della negritude.
Il son, con tutte le possibilità espressive della sensibilità cubana,
raggiunse il massimo compimento della sua espressione artistica nel
momento in cui un poeta come Guillén si rifece al modello ritmico del
suo canzoniere popolare per descrivere una serie di brevi affreschi della
vita del negro del solar o della casa de vecindad, rivendicando
l'importanza di un gruppo sociale e di un ritmo popolare.
Nel terzo ed ultimo capitolo, come in una triade dialettica
hegeliana, ho inteso svolgere la sintesi di musica e poesia attraverso la
poesia-son di Nicolás Guillén: approfondendo l'analisi dei suoi sones,
anche comparati con alcune loro orchestrazioni ad opera di musicisti
dell'epoca, cercherò di dimostrare l'intimo legame di dipendenza
1
Utilizzo il termine negro, rifacendomi alla espressione utilizzata dalla popolazione di
origine africana, senza la connotazione negativa che spesso la cultura occidentale gli ha
voluto assegnare.
2
Fernando Ortíz, La africanía de la música folklórica de Cuba, La Habana, Ed.
Universitaria, 1965.
INTRODUZIONE 3
reciproca che in essi acquistano poesia e musica. Lo farò prendendo in
esame, oltre alle due dimensioni di forma e contenuto, un terzo asse
cardinale: il ritmo, dal concetto che assume nelle culture africane, a
quello necessario per interpretare i versi di Guillén, tanto vicini ai
tamburi africani, al folclore spagnolo, alla clave cubana.
5
1 CAPITOLO 1
LA MUSICA CUBANA ED IL SON
1.1 El AJÍACO CUBANO
Una delle più originali, e forse la migliore delle definizioni di
Cuba, la formulò Fernando Ortíz, durante il discorso di apertura del
Primer Congreso Nacional de Historia, all'Avana nel 1942. Egli
sostituì al termine crisol (letteralmente crogiolo), con il quale si
descriveva la variopinta mescolanza di razze e culture che a Cuba, come
in molte altre nazioni americane, determina l'identità del popolo, con il
termine ajiaco, che, alla lettera è una specie di stufato brodoso di
legumi e carne con peperoncino rosso.
Come spiegò il professore, el ajiaco es el guiso más típico y más
complejo...
3
, gli indiani e i popoli primitivi lo preparavano facendo
bollire dell'acqua in una pentola di terracotta sul fuoco, mettendoci
dapprima le erbe e le radici che la donna coltivava seguendo le stagioni,
poi le carni degli animali che l'uomo cacciava, sui monti o in mare.
Nella pentola finiva ogni cosa commestibile, carni in putrefazione o
erbe ancora sporche e con dei vermi, che davano più sostanza al piatto.
Il tutto lo si cucinava aggiungendoci una buona dose di peperoncino
rosso. Dal pentolone si prendeva ogni volta ciò che si voleva mangiare,
lasciando il restante a "dormire" per poi cucinarlo nuovamente il giorno
3
Fernando Ortíz, discorso di apertura del Primer Congreso Nacional de Historia, 8 ottobre
1942, l'Avana. Pubblicato nella rivista Bimestre Cubana, 1942, e raccolto nel volume
Estudios etnosociológicos, La Habana, Editorial de Ciencias Sociales, 1991.
6 1 - LA MUSICA CUBANA ED IL SON
seguente, insieme a nuove verdure, legumi, animaletti e peperoncino.
Così, giorno dopo giorno, senza mai pulire la pentola dal suo fondo
brodoso, l'ajiaco è arrivato fino ad oggi, con nuovi ingredienti e nuove
tecniche di cottura.
La metafora parte dal pentolone aperto che rappresenta l'isola di
Cuba, posta al fuoco dei tropici e nella quale convergono la razza
indigena (mais, patata, malanga, yuca, boniato, carne di iguana,
coccodrillo, tartaruga, oltre a ratti e molluschi), quella spagnola, la
quale tolse dal calderone i cibi degli indigeni per mettervi i propri
(zucche e rape, carne bovina e suina, ecc...), l'insieme delle razze
africane, le quali introdussero anch'esse nuovi cibi (banane, piante
varie, ecc...) e diverse tecniche di cottura ed ancora, gli asiatici, i
francesi e, da ultimi, gli angloamericani.
…con sus mecánicas domésticas que simplificaron la cocina y
quieren metalizar y convertir en caldera de su standard el
cacharro de tierra que nos fue dado por la naturaleza, junto con
el fogaje del trópico para calientarlo, el agua de sus cielos para
el caldo y el agua de sus mares para la salpicadura del salero.
4
Con tutto questo si è ottenuto l'ajiaco cubano.
Lo stufato, continua Ortíz, ha continuato a bollire, a fuoco lento
o vivace, nella pentola pulita o sporca. Cambiavano gli ingredienti che
l'epoca storica portava e la pentola cubana si rinnovava sempre, la sua
composizione ed il suo sapore cambiavano a seconda se si assaggiava in
superficie, dove stanno le piante appena gettate, oppure in profondità,
dove il brodo è più denso.
Tra le culture indigene (potremmo definirle protocubane),
presenti nell'isola all'arrivo di Colombo il 27 ottobre del 1492, le più
arcaiche erano quelle dei ciboneyes, dei guanajabibes, limitati alla
regione occidentale e dei cayos, che vivevano nelle isole attorno a
Cuba. Era la nostra età della pietra, paleolitica, infatti ciba (da cui
4
F. Ortíz, La africanía de la música folklórica de Cuba, op. cit.
1.1 - EL AJÍACO CUBANO 7
proviene il nome Cuba, inizialmente riferito solo alla parte centrale
dell'isola, abitata dai ciboneyes), significa pietra
5
.
Sebbene nessuna traccia sia rimasta di queste culture primitive,
ciò che di indigeno si è conservato, sia fisicamente che nella coscienza
popolare, appartiene alla seconda ondata di abitanti autoctoni, i taínos.
Discendevano dagli aruacas del Sud America, giunsero da Haiti e da
Portorico e occuparono la parte orientale dell'isola. Erano di cultura
avanzata (neolitica), da nomadi marinai si erano stabilizzati, avevano
imparato l'agricoltura, possedevano una certa organizzazione sociale,
con nobiltà e schiavitù. Nella cultura cubana odierna persistono
elementi di origine taina: alcuni vocaboli, soprattutto in botanica e in
geografia, alcuni alimenti, qualche costume (Colombo riferisce del rito
sacro dei tainos di fumar tabaco), vari ornamenti costruiti con
conchiglie e pietre, alcuni oggetti di artigianato in ceramica o per la
lavorazione della pietra e altri, tra cui, come sostengono alcuni storici,
l'amaca
6
.
Della religione, la cosmogonia, il folclore e soprattutto la
musica, non è rimasta traccia alcuna. Alcuni conquistatori e religiosi,
tra i quali Pedro Mártir de Anglería, Fray Ramón Pané, Fernando
Colón, Fray Bartolomé de las Casas, Fernandez de Oviedo e Francisco
López de Gómara fecero riferimento a strumenti musicali, danze e canti
degli indigeni insulari, soprattutto della vicina isola di Hispaniola (le
attuali Haiti e Rep. Dominicana), ad esempio riguardo gli aréitos
antillani, tra cui il più conosciuto Aréito de Anacaona. Molto si è
fantasticato riguardo tale musica, ad esempio sembra del tutto infondato
il riferimento di alcuni a pratiche antropofagiche, così come altre
fantasie romantiche formulate in Europa.
Gli strumenti che usavano, con molta probabilità, non
producevano suoni definiti che potessero stabilire una scala; non c'era
notazione musicale, né ci è giunto alcun documento che possa
permetterci un confronto o stabilire eredità con la musica cubana.
5
F. Ortíz, Nuevo Catauro de cubanismos, La Habana, Ed. de Ciencias Sociales, 1985.
6
F. Ortíz, La africanía de la música folklórica de Cuba, op. cit.
8 1 - LA MUSICA CUBANA ED IL SON
Una terza categoria di indiani è rappresentata dai caribes,
provenienti anch'essi dall'America del Sud. Dopo aver conquistato e
sottomesso numerose isole delle Antille, depredarono alcune coste di
Cuba, senza tuttavia mai stabilirvisi. A parte il loro carattere bellicoso e
un certo barbarismo, evidenziato da molte cronache del tempo, in
contrasto con i più pacifici ed evoluti tainos, poco si conosce della loro
cultura, anche perché spesso la denominazione caribe venne usata da
conquistatori e indocubani senza precisione etnografica. É comunque
esclusa una qualsiasi eredità anche di questo popolo nella cultura
cubana.
Secondo il governatore di Cuba, Rojas, nel 1534, dopo soli
vent'anni di schiavitù, gli indios erano pressoché estinti
7
.
Escluso l'apporto indigeno, restano due grandi matrici che
concorrono, per lo meno nei primi due secoli di popolamento dell'isola,
a definire ciò che di musicale si produceva a Cuba: la matrice spagnola
dei conquistadores e quella africana degli schiavi. Citando le parole di
F. Ortiz: música blanca, de arriba y música negra, de abajo
8
.
La distribuzione della popolazione che man mano arrivava e si
spostava nell'isola era determinata da un processo socioeconomico.
L'industria dello zucchero e, più tardi, quella del tabacco, oltre alla
necessità di sfruttamento delle altre risorse del suolo, convogliavano i
latifondisti e i commercianti, con il loro seguito di schiavi, in regioni
prolifiche e produttive, ora attuando un processo di ruralizzazione, ora
agglomerandosi in centri urbani o nelle periferie. Non solo ad ogni
livello di popolazione, bensì ad ogni ambiente, corrispose da subito un
tipo di musica, determinato dal tipo di lavoro, dal rapporto padrone-
schiavo (i diversi gradi di sfruttamento e le condizioni, ad esempio, del
lavoro nelle piantagioni, nei porti o in città, concedevano al negro
possibilità differenziate di fare musica), dalla collettività più o meno
numerosa, dagli strumenti reperibili, ecc.
7
Giovanna Salvioni, L' Africa nera a Cuba, tradizione popolare e poesia di libertà di
Nicolás Guillén, Milano, Vita e pensiero, 1974.
8
F. Ortíz, La africanía de la música folklórica de Cuba, op. cit.
1.1 - EL AJÍACO CUBANO 9
La musica che conosciamo noi oggi è frutto di un lungo processo
di elaborazione e di trasformazioni, attraverso una serie di stili, mode,
tendenze ed influenze che caratterizzano un genere o un epoca.
La storia di Cuba sta nel fumo del suo tabacco e nella dolcezza del suo
zucchero, e anche nel sandungueo della sua musica. E nel tabacco,
nello zucchero e nella musica stanno insieme bianchi e negri nello
stesso affanno creativo, dal XVI secolo fino ai nostri tempi. Bianco,
zucchero e chitarra; negro, tabacco e tamburo. Oggi giorno, fusione
mulatta, caffèlatte e bongó. Storia vissuta in contradanza e tango,
habanera e danzón, rumba e bembé, son che ti culla e son che ti
strema
9
.
9
F. Ortíz, La africanía de la música folklórica de Cuba, op. cit.
10 1 - LA MUSICA CUBANA ED IL SON
MATRICE EUROPEA: LA DISCENDENZA
SPAGNOLA E LA MUSICA GUAJIRA
Vari tipi di zapateados provenienti dalla Spagna si riscontrarono
a Cuba, Portorico, Santo Domingo, Messico, Argentina, Cile e
Venezuela. Erano balli spesso di corteggiamento nei quali la donna e,
più spesso, l'uomo eseguivano dei passi a ritmo di musica durante feste
o ritrovi. Se ne contano numerosissimi, a seconda della zona e della
peculiarità di chi li faceva propri, e tra questi lo zapateo, la
zamacuecas, lo joropo, il jarabes. L'elemento ispanico forse più
importante nello sviluppo della musica cubana è la chitarra: la sonorità
delle corde di questo strumento e dei suoi derivati rimane un punto
fermo nella storia musicale del paese. Vi sono tracce dell'utilizzo di tale
strumento sin dai primi nuclei di popolazione e, sin dall'inizio, si
ritrova in mano sia a bianchi che a negri.
L'insieme di cantiche, ritornelli e melodie che giunsero a Cuba
con gli spagnoli erano una sintesi di vecchie maniere mediterranee di
cantare e di un modo di parlare in versi al quale, non da ultimo, l'arabo
aveva dato il suo contributo. Si trattava di strofe che rispondevano alle
esigenze e alle circostanze della vita quotidiana spagnola, dalle feste da
ballo ai funerali, dalle orazioni alle ninnananne.
Trasportate sul suolo americano esse dovettero adattarsi alla
situazione locale e fu così che i bianchi degli strati più sfruttati, seguiti
dai negri che si trovavano nelle stesse condizioni, cominciarono a
versificare, alla luce delle nuove condizioni e relazioni sociali.
Un tratto evidente dell'eredità spagnola è l'uso della decima
come forma di improvvisazione da parte dei campesinos, quello che
venne chiamato punto guajiro. Persino i negri, quelli liberti che
vivevano nei centri urbani, la adottarono, insieme alla quartina, che era
loro più familiare, incorporandola ai cori di clave y guaguancó (vedi
1.2 - MATRICE EUROPEA 11
cap 1.4), dove i solisti che improvvisavano erano addirittura chiamati
decimistas.
zapateo cubano
L'esistenza della decima e il carattere descrittivo delle liriche
campagnole lasciano supporre che già all'inizio del XVIII secolo si
ballassero forme di zapateado, accompagnati da strumenti a corda. Con
il processo di ruralizzazione da parte delle prime generazioni di grandi
e piccoli proprietari cubani, le forme di ballo e di versificazione del
campesino prendono ulteriormente le distanze da ciò che esse erano
state in origine in Spagna: gli elementi culturali che avevano fatto presa
negli ambienti urbani dell'isola, la decima, la chitarra, la bandurria
(piccola chitarra a dodici corde), il punteado, ora si isolano e si
evolvono autonomamente, in base alle molteplici situazioni locali.
All'inizio del XIX secolo già si imitavano alcuni balli tipici provenienti
dalle campagne, come l'atajaprimo, mentre alcuni cronisti
menzionavano un zapateo cubano ed un canto peculiare delle zone
interne, a volte riconoscibile dal tipico incipit ¡Ay! o ¡Ey!
10
.
Con lo sviluppo dell'industria dello zucchero e la conseguente
ondata migratoria verso le coste e le piccole città sorte, il contadino ed
10
Argeliers León, Del canto y el tiempo, La Habana, Ed. Pueblo y Educación, 1974.
12 1 - LA MUSICA CUBANA ED IL SON
il negro di città improvvisavano decime e ballavano lo zapateo nei porti
e per le strada delle città:
…en el cajon del quitrín el calesero llevaba el melancólico tiple
para acompañarse su zapateo y el punto cubano a cuyo son
bailaban los demás caleseros reunidos en una misma cuadra,
mientras sus amos permanecian de visita
11
.
Ad inizio secolo, nei primi anni della Repubblica, gli statunitensi
promossero una nuova iniezione a Cuba di gente spagnola, per tenere
più facilmente sotto controllo la situazione sull'isola, dove si stavano
moltiplicando le spinte insurrezioniste ed il malcontento delle classi più
povere. Come conseguenza più immediata e logica, la
"spagnolizzazione" assunse nelle città tinte pittoresche, da clichè, quasi
fosse un immagine di etichetta. In breve l'elemento guajiro diventò
quasi di moda, ed ebbe la pretesa di definire un prototipo di "cubano",
che altrimenti rischiava di inquinarsi nell’immagine del negro. Così,
gruppi di bianchi, negri e mulatti, nelle città e nella capitale, imitarono i
canti dei campesinos, si vestirono di guayabera, cappello, stivali e
machete, montarono capanne improvvisate e passeggiarono per le strade
attirando la gente, cantando decime accompagnati da un laud (liuto) o
una chitarra
12
.
I testi di queste musiche guajiras e criollas cantavano le bellezze
della campagna, gli uccelli, le palme, le belle ragazzotte. Rendevano un
quadro idillico della vita in realtà misera del contadino, si
immaginavano un guajiro felice nel suo campo e nella sua povertà,
situazione quanto mai ipocrita in quegli anni di difficoltà, tanto più
dopo l'avvento della Repubblica. Il guajirismo, tanto caro alla classe
dominante, offuscò per un momento la reale condizione delle genti del
campo, e con essa la loro musica venne storpiata.
8
Ildefonso Estrada y Zenea: El quitrín, costumbre cubanas.
12
Maria Teresa Linares, La música y el pueblo; La Habana, Ed. Pueblo y Educación, 1974.