Pagina | 2
È soprattutto il discorso legato allo sviluppo di questi strumenti
tecnologici, spesso esaltati per il loro valore simbolico, ad alimentare la
discussione legata al generale destino dei contenuti culturali nell’era
digitale. La transizione da “vecchi” a “nuovi” media viene spesso
descritta in termini sensazionalistici e, soprattutto in riferimento alla
musica, si è spesso parlato di come, la sua digitalizzazione, abbia fatto
piazza pulita di quello che c’era prima, segnando il tramonto di
un’epoca. In realtà, ciò che spaventa e fa parlare di “rivoluzione” è
soprattutto la velocità con cui l’evoluzione del sistema dei media
musicali sta trasformando il ruolo dell’industria musicale e di quelli che
sono i suoi attori principali (discografia, artisti, media e pubblico).
La musica digitalizzata, cioè trasformata o, potremmo dire, tradotta nel
linguaggio binario dei calcolatori, fa la sua prima comparsa negli anni
’80, con l’arrivo del cd, un nuovo formato di riproduzione musicale.
L’arrivo di Internet è stato accolto dalle case discografiche come un
nuovo medium, una vetrina in cui esporre i propri prodotti,
sottovalutandone pesantemente la multimedialità e l’interattività, ovvero
la possibilità di fruire di contenuti di natura e diversa e, cosa ancor più
importante, su richiesta. Quanto a Napster, uno dei primi sistemi di file
sharing, il suo avvento ha contribuito a rendere concreto quello che era
(ed è) forse l’incubo peggiore per la discografia: l’accessibilità gratuita
e senza il filtro delle case discografiche alla musica.
Pagina | 3
La musica digitalizzata diventa un contenuto che viaggia liberamente in
rete senza che gli aventi diritto, cioè musicisti e discografici che
investono per crearla, possano ricavarne qualcosa. Questo secondo quel
processo che Jones chiama “disintermediazione” (Jones, 2002).
La discografia, con il supporto di alcuni artisti, come ad esempio i
Metallica, ha cercato di combattere legalmente questi sistemi, fino a
causarne la chiusura. C’è voluto del tempo perché anche la discografia si
rendesse conto della risorsa che Internet avrebbe potuto rappresentare, in
quanto canale alternativo attraverso il quale vendere musica nel nuovo
formato, quello digitale, per l’appunto. Di qui l’arrivo sulla scena di
sistemi di vendita online della musica e l’incredibile e capillare
diffusione dei walkman digitali. Come già Bolter e Grusin, nella loro
analisi Remediation (1999), avevano predetto, anche in campo musicale
è avvenuta quella ri-mediazione per cui la musica viene riscritta, ri-
mediata, nel nuovo formato digitale del sistema della comunicazione.
La rete diventa così un nuovo spazio, una piazza virtuale in cui gli attori
e i media della musica si ritrovano per elaborare, insieme, nuove
possibilità di diffusione, rielaborando e, spesso, ibridando quelle
precedenti. Parlare di rivoluzione, nel caso della musica digitale, è una
semplificazione eccessiva. È certamente in atto un processo di
cambiamento del quale non possiamo non tenere conto ma è eccessivo
pensare che, di qui a qualche anno, quelli che sono gli attori industriali
tradizionali e i loro modelli di business, scompaiano. Possiamo definirlo
un processo di riconversione: con le nuove tecnologie, cambia il modo in
cui la musica viene prodotta, diffusa e consumata.
Pagina | 4
Non sostituzione dell’esistente, dunque, ma integrazione e ibridazione:
strumenti che prendono spunto dai precedenti, ma con nuove potenzialità
rese possibili dalla tecnologia.
Basti pensare all’iPod e, più in generale, ai lettori digitali che altro non
sono se non una versione aggiornata del walkman, lo strumento che, per
primo, introdusse il concetto di portabilità e ubiquità della musica.
Ovviamente l’iPod, rispetto al walkman, è molto più potente: non più
solo una cassettina e una radio, ma fino a 20.000 brani, con la possibilità
di visualizzare anche i video (tv e cinema), fotografie, videogiochi ecc.
Il digitale, dunque, ha democratizzato le forme di accesso alla
produzione musicale, ha avuto un forte impatto sui canali di
distribuzione, attraverso spazi virtuali che rimediano i precedenti,
riadattandone e rielaborandone forme linguistiche, tecnologia e modalità
di consumo e, infine, ha cambiato il modo in cui la musica viene
archiviata e consumata.
Pagina | 5
CAPITOLO I
In principio era il vinile
“Se le dicessi che oggi ho ascoltato la voce di una morta, che mi è
arrivata su un raggio di luce, lei mi direbbe che sono matto”. “Perché,
lei no?”. Neil sorride. “Oggi ho ascoltato un cd di Ella Fitzgerald. Una
cantante morta diversi anni fa. Le tracce di un cd vengono lette da un
raggio laser. Quindi ho appunto ascoltato la voce di una morta. Portata
da un raggio di luce. Tutto quello che viene considerato magia, prima o
poi entra a far parte di una tecnologia. La magia è solo tecnologia in
anticipo”.
T. Avoledo, Lo stato dell’unione, 2004.
1.1 La musica “di plastica”
Quando pensiamo al vinile, pensiamo alla storia di intere generazioni. Se
il 78 giri nacque poco prima del 1900, occorrerà attendere il 21 giugno
del 1948 per assistere alla nascita di quello che sarà il “long playing”
(per la durata delle tracce, di venticinque o trenta minuti circa, da cui
l’abbreviazione lp), il “disco di plastica nero” destinato a fare storia e a
diventare l’oggetto di culto che oggi noi tutti conosciamo.
Pagina | 6
Fu la Columbia Records a realizzare il primo 33 giri che subito si impose
come fenomeno di costume, per poi “massificarsi” negli anni Sessanta e
giungere fino alla rivoluzione digitale degli anni ’80. Un anno più tardi,
nel 1949, la RCA rispose dando alla luce il primo singolo a 45 giri.
Quasi paradossalmente, però, prima di questi ultimi due fu inventato il
"picture disc". Si trattava di una sorta di disco “illustrato”, con
un’immagine, foto o disegno su cui erano incisi i solchi. L’invenzione
del “picture disc” risale al 6 maggio 1946 ed è l’idea di un giovane
imprenditore 36enne di Detroit, Michigan (Usa), Tom Saffady, che
presentò per la prima volta al pubblico, sotto l'etichetta "Vogue", i primi
singoli a 78 giri in vinile con splendide illustrazioni a colori.
Inizialmente, i primi supporti di massa a 78 giri sono dischi in
gommalacca di durata limitata e di indubbia qualità (questi sostituivano i
cilindri cerati, prima forma di supporto musicale, e si imposero per la
loro facilità di trasporto e di stoccaggio). Furono il secondo conflitto
mondiale e la necessità di trasportare una quantità più elevata di
informazioni a stimolare la ricerca scientifica in questo campo.
Nacque il disco in vinile a 33 giri, (ed 1/3) a microsolchi, che soppiantò
il 78 giri. Il vinile fu preferito perché consentiva una lavorazione
differente che rendeva i solchi sul disco più piccoli ma di maggior
durata. Si passò, infatti, dai settantotto giri della gommalacca ai trentatré
e mezzo dei dischi in vinile che consentivano una durata d'ascolto pari a
circa mezzora per facciata. Forse non tutti sanno, infatti, che il disco in
vinile nasce per necessità belliche, per il trasporto di una maggiore
quantità di informazioni ed in ambito di spionaggio.
Pagina | 7
L'lp aveva due facciate, riconosciute e marcate sul disco stesso (dal
caratteristico colore nero) come Lato A e Lato B, ognuno dei quali
poteva contenere circa cinque o sette brani a seconda della loro durata. Il
45 giri fu inventato dalla RCA inizialmente come antagonista economico
del 33, puntando alla sua facile trasportabilità. Col tempo, ambedue i
formati trovarono il loro spazio, i giovani si "appropriarono" del poco
impegnativo 45, i musicofili del 33. Il 45 produsse il concetto ed il
mercato dei "singoli".
1.2 Il vinile oggi
I dischi in vinile sono ad oggi rilegati in un ambito vintage. Chi ebbe
modo di vivere la propria giovinezza tra gli anni ’60, ’70 e ’80 non
dimentica il proprio primo vinile acquistato ed il boom di diffusione che
questi strumenti ebbero proprio in quegli anni.
Pezzi di storia della cultura occidentale, rimasti impressi nella
filmografia di quegli anni, nelle locandine, nelle pubblicità ma
soprattutto nelle menti di tutti coloro che ne strinsero uno tra le proprie
mani e ne portano ancora il ricordo nel cuore. Ed oggi che i giovani a
malapena sanno cosa sia un giradischi, c'è chi volge il proprio sguardo al
passato e ripensa al suono e alle emozioni che regalava un vinile. C’è un
ambito nel quale il vinile continua ad essere utilizzato ed è quello dei
mixaggi dei disc jockey. I “piatti” in vinile consentono infatti al dj di
manipolare il disco, rallentandolo o velocizzandolo a seconda del caso e
realizzando particolari effetti sonori come lo scratch.
Pagina | 8
Parallelamente all'uso pratico nelle discoteche ad opera dei dj, vi è poi
una larga nicchia di cultori che preferiscono ascoltare la musica in vinile.
Alla base di questa scelta ci sono motivazioni acustiche, che hanno dato
origine negli anni ad un dibattito particolarmente sentito. Non sono
pochi coloro che sostengono una sostanziale perdita di qualità e
corposità del suono con l'avvento del cd e dei nuovi formati di
compressione musicale come l'mp3. Secondo gli amanti del vintage, il
tracciato su vinile e la riproduzione con giradischi restituiscono al suono
la propria natura. Tutte le imperfezioni e i graffi, che fanno saltare il
suono o lo sfumano, rappresentano un valore aggiunto che impreziosisce
e valorizza la musica su vinile. Sono ancora molti i cantanti che, con
particolare attenzione a questa fascia di consumatori, decidono di
mettere in vendita le loro ultime produzioni anche su dischi in vinile,
riconsegnando a questi “oggetti di culto” una posizione di rilievo sugli
scaffali dei negozi di musica.
1.3 … e poi arrivò la “luce”
A partire dagli anni ottanta, con la sempre maggiore digitalizzazione che
ha invaso anche il campo musicale, il giradischi, straordinariamente
sfruttato a cavallo tra i due secoli, è stato progressivamente soppiantato
dalle nuove tecnologie. Da quando il Compact Disc (cd) fu ideato, nel
1979, si dovettero attendere alcuni anni prima che fosse diffuso e
assorbito dai consumatori. Il nuovo supporto si presentava (e si presenta
tuttora) come un disco trasparente in policarbonato dal raggio di 6 cm.
Pagina | 9
A differenza del vinile, che contiene un’unica scanalatura a spirale, il cd
è caratterizzato da microscanalature “discrete” fatte di sequenze di bit,
che vengono lette da un raggio laser e, successivamente, ritrasdotte
nell’onda sonora. Il principio su cui, sia il cd che il vinile si basano, è lo
stesso: una sequenza di informazioni incise e decodificate tramite una
testina (la punta di diamante per il vinile, il laser per il cd).
Parallelamente allo sviluppo dei compact disc, la diffusione dei
computer ha reso la masterizzazione delle informazioni digitali
un'operazione accessibile a tutti. Il cd e il digitale hanno così ben presto
prima affiancato e poi sostituito l’analogico, facendo del vinile
quell’oggetto “per appassionati” di cui abbiamo già parlato. Si è persa
però, nei confronti del cd, quell’affezione che invece resta nei confronti
del vinile. Un oggetto da avere e da custodire, non replicabile e non
duplicabile con la stessa facilità con cui, invece, si masterizza un
compact disc: piccolo ed emotivamente freddo, ma d’altra parte capiente
(si arriva fino a 90 minuti di registrazione, contro i 45-50 del vinile, per
un totale di 800mb). Se negli anni ’80, data la capienza limitata del
vinile, la pubblicazione di un “album doppio” era più che altro
un’eccezione, l’avvento del cd ha portato alla produzione di dischi
sempre più lunghi. Inoltre, un supporto di archiviazione digitale, che
riduce l’informazione a catene di 1 e 0 del linguaggio binario, consente
l’archiviazione di più formati diversi: non più soltanto audio ma anche
immagini, parole e video. Di qui la cosiddetta convergenza dei contenuti
mediali verso un unico spazio e la multimedialità, sia in termini di
creazione che di distribuzione e consumo.
Pagina | 10
1.4 A volte… ritornano!
Il ricambio tecnologico è oggi talmente veloce da rendere difficilissimo
intuire quali saranno gli scenari da qui a pochissimi anni. Quel che è
certo è che il vinile è stato gravemente ferito, ma non è morto. Dopo un
periodo di lunga degenza, si trova ora a vivere un periodo di nuovo
interesse da parte del pubblico. Da un lato i vecchi estimatori, mai
totalmente rassegnati all’idea della sua scomparsa, dall’altra i suoi figli
biologici o spirituali: un pubblico che affolla fiere, negozi specializzati,
mercatini, siti internet dedicati, aste online e qualunque altro luogo in cui
sia possibile rintracciare quell’lp che non si è mai riusciti a comprare da
giovani, quello rotto o graffiato irrimediabilmente, quella particolare
edizione in vinile colorato (o con la cover riprodotta sopra) o
quell'edizione giapponese con un brano in più.
Tutto questo non sembra essere sfuggito all’occhio attento degli addetti
ai lavori: moltissimi artisti metal (e non) hanno deciso di immettere sul
mercato un numero di vinili nuovi abbastanza importante. Si tratta di una
scelta encomiabile e coraggiosa. In fondo è un po’ come decidere di
produrre un prodotto con la consapevolezza che resterà sugli scaffali dei
negozi. La tecnologia digitale è insostituibile, semplicemente necessaria
e presenta enormi vantaggi complessivi. Ma non possiamo negare che il
passaggio al nuovo ci abbia privato di qualcosa, di un modo di vivere la
musica più ingenuo, più genuino. Nostalgie e romanticherie a parte, alzi
però la mano chi non può fare a meno di provare un brivido di piacere
nell’ascoltare il fruscio di un disco su vinile.