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1.1 Il museo nella storia
1.1.1 Il museo nei secoli
Il termine museo deriva dal latino museum, mutuato dal greco mouseion, che
indicava in origine un tempio dedicato alle nove muse. In epoca rinascimentale il
vocabolo venne utilizzato per definire una collezione d'oggetti d'arte o di pregio, e
deriva dalla passione del collezionista Giovio per l'antichità, che lo spinse a dedicare
le varie stanze della sua casa di Borgo Vico, allestita nel 1543, alle divinità romane.
Il museo moderno deve essere considerato come l’esito del collezionismo.
Inizialmente il mercato delle opere d'arte era, infatti, riservato ad un pubblico di
studiosi.
Già il primo mouseion, fondato nel 290 a.C. circa ad Alessandria, in Egitto, da
Tolomeo I Sotere, fu formato da una comunità di studiosi, a disposizione dei quali il
sovrano aveva messo strutture residenziali, una sala per banchetti, una sala di
lettura, un chiostro, un giardino botanico, un giardino zoologico, un osservatorio
astronomico e una biblioteca. In questi edifici erano conservati e usati a scopo
didattico oggetti di vario tipo, come strumenti chirurgici, strumenti astronomici, pelli di
animale, zanne d'elefante, statue e busti. Il museo e la maggior parte dei volumi della
biblioteca d'Alessandria andarono distrutti nel 272 d.C.
Nei templi della Grecia antica si conservava un gran numero di statue, vasi, dipinti,
ornamenti di bronzo, d'oro e d'argento, dedicati alle divinità. Alcuni di questi pezzi
erano esposti all'ammirazione dei cittadini.
Anche nei templi della Roma antica erano raccolti molti oggetti d'arte, e altri
ornavano i fori, i giardini, le terme e i teatri. Capolavori d'arte e oggetti di ogni tipo
razziati in guerra erano esposti nelle residenze di condottieri e senatori per
soddisfare il senso estetico dei proprietari. L'imperatore Adriano ordinò addirittura di
ricostruire nella sua residenza di campagna alcuni monumenti che aveva ammirato in
Grecia e in Egitto, e la sua villa, a Tivoli, presso Roma, può essere considerata il
primo museo all'aperto.
Nel Medioevo chiese e monasteri d'Europa divennero centro di raccolta di gioielli,
statue, manoscritti, sacre reliquie, esposti al pubblico nelle grandi festività o dati in
pegno in caso di necessità. Nobili, principi e sovrani costituivano, insieme alla
Chiesa, i principali committenti di opere d'arte.
Nel corso del XVI secolo si diffuse l'uso di esporre sculture e dipinti nei lunghi
corridoi, o gallerie, dei palazzi e delle residenze nobiliari; così il termine galleria
venne a indicare il luogo dove venivano esposte le opere d'arte. Le raccolte di piccoli
oggetti d'arte o di curiosità naturali venivano invece esposte in un gabinetto (tedesco
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Kabinett), termine usato per indicare dapprima il mobile dove venivano riposti oggetti
preziosi e in seguito la stanza destinata a custodirli. Così, se le collezioni del primo
Rinascimento erano quasi sempre luoghi privati, con il passare del tempo si fece più
pressante l'esigenza di rendere partecipi della conoscenza anche altre persone
capaci di apprezzare i raffinati oggetti esposti.
L'esempio dei cataloghi dei collezionisti esprimeva la volontà di mostrare le proprie
meraviglie accompagnate da descrizioni esagerate, di visioni di oggetti sorprendenti
e di orribili stranezze. Gli stessi allestimenti non miravano alla completezza ed alla
meticolosità, ma a suscitare stupore nei visitatori. La creazione di un salotto delle
curiosità era, per i ricchi collezionisti, il modo per creare un ambiente in cui
meditazione e contemplazione venivano facilitate dalle meraviglie esposte.
I primi gabinetti si formarono in Italia; poi, il gusto del collezionismo si diffuse in tutta
Europa, a partire dal XVII secolo. Nel Seicento anche la tipologia dei collezionisti
mutò e si aprì alla borghesia. Nacque in questo periodo la figura dell'amatore, ricco
professionista della medicina o della legge che si affiancava ai dotti, ai principi e ai
sovrani. Inoltre, se prima l'interesse dei ricchi appassionati si orientava verso gli
artisti ormai defunti, ora l'attenzione si spostava sugli artisti viventi, le cui opere
divennero oggetto di acquisti e d'interesse.
Le raccolte aristocratiche, mostrate inizialmente ai visitatori e agli ospiti, vennero
aperte al pubblico a partire dal XVIII secolo.
La spinta che cambiò la società nel Settecento fu data dall'ascesa della borghesia,
che riuscì a smembrare l'ormai inadeguato sistema economico feudale con il cambio
dell’orizzonte di pensiero dovuto all’avvento dell’Illuminismo. Bisogna anche tenere
presente come il concetto di pubblico che si affermò in quest’epoca è decisamente
diverso da quello che noi conosciamo: nella prima fase del Settecento l'apertura dei
musei si rivolgeva a un pubblico di conoscitori sempre più ampio (in ogni modo, assai
limitato rispetto alle masse che attualmente visitano i musei). In questo periodo il
museo perse per sempre la sua connotazione di collezione privata, riservata ad un
pubblico ristretto e selezionato e divenne nell'ottica illuministica un luogo di raccolte
organizzate d’oggetti selezionati. In un panorama composto da collezionisti sempre
più agguerriti, e una grande quantità di ricchi borghesi, sempre alla ricerca di nuove
opere con cui arricchire le proprie collezioni, i papi incrementarono le loro imprese
museografiche volte alla ricerca di reperti; lo stato pontificio in questo periodo aprì a
Roma i Musei Capitolini, dando vita al primo vero prototipo di museo pubblico; il
museo poteva contare su opere provenienti da una donazione di Sisto IV che, nel
1464 aveva donato al popolo romano dei bronzi antichi.
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Nel corso della seconda metà del Settecento in tutta l'Europa, le collezioni dei
principi in pratica divennero il fondamento da cui nasceranno i musei pubblici;
l'elettore di Baviera, alla fine del 1700, donò la sua collezione di quadri che divennero
parte di un museo aperto tutti i giorni al pubblico; anche gli Uffizi e il Belvedere di
Vienna, aprirono al pubblico le loro sale. Il museo era diventato pubblico e
cominciava ad apparire come lo strumento per l'educazione del popolo.
Seguendo l'esempio degli Asburgo a Vienna e dei Borbone a Napoli, nel 1743 i
granduchi di Toscana resero accessibile a tutti la pinacoteca degli Uffizi; nel 1750 a
Parigi si decise di ammettere il pubblico, in prevalenza artisti e studiosi, a Palazzo
Luxembourg due volte alla settimana per ammirare una collezione di un centinaio di
dipinti, in seguito trasferita al Louvre.
Il Louvre, dove erano state radunate opere d'arte fin dal tempo di Francesco I,
divenne nel 1793, con la Rivoluzione francese, Musée de la République, e quindi,
con Napoleone, Musée Central des Arts.
Il British Museum di Londra fu aperto al pubblico nel 1753, ma i visitatori dovevano
chiedere per iscritto l'autorizzazione all'ingresso, e fino al XIX secolo erano spesso
costretti ad attendere anche due settimane prima di poter avere il biglietto; venivano
poi ammessi solo in piccoli gruppi e potevano sostare nel museo due ore al
massimo.
Tra i musei aperti nel corso del XVIII secolo si possono ricordare il Museo nazionale
di Napoli (1738); il Museo Sacro (1756) e il Museo Pio Clementino (1770-1774),
entrambi parte dei Musei Vaticani; il Museo nazionale della scienza di Madrid (1771).
Il pubblico fu ammesso a visitare le collezioni imperiali di Vienna nel 1700, quelle
reali di Dresda nel 1746 e quelle degli zar all'Ermitage di San Pietroburgo nel 1765.
Nelle colonie americane i primi musei furono creati da privati, come nel caso del
Charleston Museum, a Charleston, South Carolina (1773), dedicato alla storia
naturale della regione.
Alcuni, malgrado il successo di pubblico, ebbero vita breve, altri invece sono ancora
in funzione oggi, come quello della Massachusetts Historical Society di Boston
fondato nel 1791 o la Smithsonian Institution di Washington aperta nel 1846. La
necessità di conservare raccolte particolari ha portato alla fondazione di musei di
vario genere.
Il primo museo legato a un'università fu quello di Basilea, in Svizzera, fondato nel
1671. L'Ashmolean Museum (1683), annesso all'Università di Oxford, fu la prima
istituzione occidentale a chiamarsi museo. Il Fitzwilliam Museum, fondato nel 1816,
raccoglie le collezioni d'arte, antiquariato e numismatica dell'Università di Cambridge,
in Gran Bretagna.
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Negli Stati Uniti d'America, l'Harvard College aprì una sala di 'curiosità' nel 1750,
trasformata poi nel nucleo dell'University Museum.
La fine del XVIII secolo segnò, in tutta l'Europa, un netto cambiamento verso il
patrimonio artistico e culturale, le istanze portate avanti dalla Rivoluzione Francese
provocarono diversi cambiamenti nel modo d'intendere i musei. La Rivoluzione aprì i
musei a tutti i cittadini, con il duplice scopo di far crescere in loro l'orgoglio nazionale
e di mostrare, così come accadrà nei regimi totalitari del XX secolo, l'inevitabile
decadimento dell'antico regime e l'altrettanto necessaria presa di potere da parte del
popolo.
Con la rivoluzione si assistette, dunque, ad un deciso spostamento del carattere
stesso dei musei, non più riservati a pochi visitatori selezionati, ma per la prima volta
furono visti come un patrimonio comune di tutti i cittadini.
La trasformazione del museo, nella sua storia fino al XX secolo, avviene
principalmente lungo tre direttrici
1
:
1. I destinatari delle raccolte: il museo da luogo di incontro avente una
connotazione inizialmente personale ed intimistica, vede poi prevalere la
sua dimensione sociale, aprendosi ad una fruizione di tipo collettivo.
2. Il contenuto delle collezioni: inizialmente selezionate sulla base del loro
potere evocativo e spirituale, poi prescelte in maniera frammentaria e
caotica per la capacità delle opere di destare sentimenti di rispetto,
ammirazione e meraviglia, quindi per la valenza e il significato estetico delle
opere d’arte contenute.
3. Il museo come simbolo: inizialmente nasce per soddisfare le esigenze di
matrice personalistica (un principe, un sovrano o la classe politica
dominante) e col tempo si fa portavoce di molteplici istanze di
comunicazione (prestigio e potere, prima, democrazia e libertà, poi) che è in
grado di veicolare attraverso le sue opere.
Anche se in chiave non preordinata, già nelle sue connotazioni embrionali il
museo sembra quindi rispondere ad istanze di tipo diverso, che ne
determinano la nascita e la sopravvivenza nel tempo.
Si dovrà attendere ancora molto tempo perché il museo assuma le caratteristiche
odierne, con una dimensione progettuale definita ed esplicita: alla prioritaria
1
Solima L., I Livelli Multipli di Intersezione tra Ambito Economico e Sfera Culturale. Alcuni Spunti di
Riflessione Offerti dall’Analisi del Settore Mussale, in Commercio, n. 57, 1996
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preoccupazione di salvaguardare la conservazione di un patrimonio che costituisce
la memoria storica delle civiltà di un passato più o meno recente si affianca la
valenza formativa e divulgativa della sua funzione.
1.1.2 Il museo nel XX secolo
Procedendo nel XX secolo non è più possibile parlare di dimensione collettiva o
culturale separatamente: il museo comprende entrambe nell’interazione diffusa che
caratterizza l’incontro tra domanda e offerta di beni culturali: “il concetto di “museo di
massa” si è andato progressivamente imponendo sia sommergendo i principi del
“museo attivo”, luogo di produzione e discussione predicato dalle avanguardie, sia
contrastando la tradizione ottocentesca rispondente a precisi principi di
sacralizzazione dall’arte visiva”
2
.
Questa diversa consapevolezza determina cambiamenti rilevanti anche nella stessa
progettazione degli spazi delle strutture museali, che inizia ad essere guidata da
funzionalità multiple. Quello che era innanzitutto luogo di osservazione, cultura e
contemplazione per un pubblico borghese selezionato, costituisce oggi un elemento
di istruzione e di divertimento di massa.
Dovendo contemperare ad esigenze conservative, espositive e aggregative, il grande
museo del XX secolo va comprendendo, oltre alle sale espositive tradizionali, anche
sale per le esposizioni temporanee, auditori, librerie e biblioteche, mediateche, bar e
ristoranti, nonché i punti vendita del museo stesso. A ciò si può aggiungere un
grande ingresso pubblico che deve adempiere ad una funzione simile a quella di un
foyer di un teatro, con la capacità di accogliere le persone che affluiscono al museo,
offrendogli un’occasione di socializzazione e comunicazione mentre si orientano di
fronte a quello che l’istituzione offre.
La stessa struttura architettonica dello spazio museale viene infatti filtrata
progressivamente secondo una prospettiva di osservazione diversa, in cui vengono
considerati non più solo gli oggetti in essa contenuti ma anche i destinatari finali
dell’offerta culturale, i visitatori. Secondo la moderna concezione museologica, infatti,
le opere d’arte devono essere sempre più accessibili, moltiplicando i problemi della
loro conservazione. Può risultare necessario allora, per soddisfare il pubblico,
modificare gallerie esistenti introducendo nuove strutture, come nel caso della
piramide di cristallo dell’architetto J. Ming Pei al Louvre di Parigi, oppure creando
2
D’Ambrosi, M. e Giannattasio M., Un assetto innovativo, p. 16, 1998
10
sistemazioni ausiliari ma indispensabili come la Sainsbury Wing dell’architetto
Venturi alla National Gallery di Londra.
In questo senso, la considerazione dei fabbisogni e delle aspettative del pubblico non
si traduce unicamente nella predisposizione di un’offerta integrata, attraverso
l’erogazione di servizi ausiliari in grado di migliorare la qualità della visita, ma
influenza la stessa composizione volumetrica della struttura, la quale viene
progettata tenendo conto della sua funzione ricettiva per diventare essa stessa
elemento di attrazione turistica e culturale.
Si può ricordare l’esperienza del Centre Pompidou e della sua nuova e diversa
concezione degli spazi e del loro rapporto con il contesto sociale di appartenenza. La
polifunzionalità è stata un elemento centrale nella fase di progettazione del centro al
cui interno coesistono alcuni dipartimenti autonomi: la BPI (Biblioteca di informazione
pubblica), il MNAM (Museo nazionale di arte moderna), il CCI (Centro di creazione
industriale) e diverse altre strutture, quali il reparto audiovisivi, il laboratorio per
bambini, la cinématèque, etc. Tale assetto ha come riflesso una forte
differenziazione nella percezione della struttura: “c’è chi lo vede come una grossa
biblioteca a due piani con sopra un bar, mentre altri pensano che sia un’enorme
galleria d’arte che espone oggetti di ogni genere: libri, quadri, manifesti, etc.. Altri
infine, che non si sono mai avventurati sulle scale mobili che portano ai piani
superiori, lo vedono come un salone grande, pieno di gente, dove si può trascorrere
il tempo senza essere importunati da nessuno
3
.
Nelle sue forme più moderne, il museo ridefinisce dunque la demarcazione tra lo
spazio interno e quello esterno, spostando il confine della struttura museale verso il
tessuto sociale circostante, in modo da aumentare il grado di capacità attrattiva nei
confronti del pubblico cittadino. Inoltre nello spazio accessorio del museo
generalmente rimangono visibili ed espliciti i rimandi ed i richiami ai contenuti delle
collezioni permanenti o delle esposizioni temporanee, recuperando forse
inconsapevolmente una filosofia di comunicazione già diffusa in epoche antichissime.
Nella civiltà egiziana la comunicazione non era affidata unicamente al tesoro
conservato all’interno dell'edificio le cui pareti, interne ed esterne, come pure le
superfici delle colonne e degli obelischi, erano fittamente coperte di statuarie, dalla
scala gigantesca alla più minuta, dense di scritture geroglifiche scolpite a basso
3
Heinich N., L’Industria del Museo. Nuovi Contenuti, ed. Costa & Nolan, 1989
11
rilievo. “Tutta la città, tutto il tempio, tutte le sculture e i manufatti, erano le grandi
pagine di pietra di un’infinita enciclopedia, un museo permanente offerto
esternamente all’osservazione”
4
.
Proprio per questo nuovo modo di rapportarlo con lo spazio che ha intorno, il museo
comincia ad essere visto come luogo alternativo di incontro dal pubblico, che finisce
per intensificare i momenti di contatto e interazione reciproca. Il museo non è più
soltanto un edificio al cui interno vengono ad essere collocate le opere di una
collezione, ma acquista sempre più un significato che trascende la sua dimensione
fisica, per diventare metafora sociale, cioè “un mezzo attraverso il quale la società
rappresenta il suo rapporto con la propria storia e con quelle di altre culture”.
La struttura museale in sé, ovvero all’interno di un più ampio disegno che può
concorrere a definire un vero e proprio sistema museale, finisce quindi per
rappresentare al tempo stesso un potente e visibile strumento di comunicazione
nonché un possibile polo d’attrazione culturale dal forte potere simbolico, attorno al
quale un “paese”, inteso come un territorio di qualsiasi dimensione, può costruire la
propria identità o una sua parte e rappresentarla in maniera chiara verso l’esterno,
tanto nei confronti della popolazione nazionale che nei confronti dei visitatori
stranieri.
Può capitare allora che il museo stesso diventi il protagonista di una mostra come nel
caso de “Il Museo come Musa” allestita presso il Museum of Modern Art (MoMA) di
New York nel 1999. Riunendo 188 fra dipinti, sculture, fotografie, disegni, stampe,
video, incisioni sonore e installazioni, prodotti da 66 artisti, ci invita il visitatore a
riflettere sull'evoluzione del concetto stesso di Museo e sulle relazioni che esistono
fra contenuto e contenitore. La mostra si articola in vari temi: Fotografia e Museo in
Uso, Collezionisti e Musei personali, Collezioni di Storia Naturale, Pratiche e Politica
museali e Museo trasformato. Tutta la prima parte della mostra è dedicata al museo
come spazio pubblico che incoraggia l'esperienza individuale e in questa sezione
hanno un ruolo dominante maestri della fotografia come Thomas Struth, EveArnold,
Henry Cartier Bresson, Garry Winoigrand o David Seymour che rappresentano
soprattutto uomini e donne che guardano opere d'arte o partecipano ad altri riti e
ritrovi museali. Fra le immagini più memorabili ci sono quella di Bernard Berenson
alla Galleria Borghese, le folle che ammirano Pollock al Moma e la visione
panoramica della sala maggiore nella galleria dell'Accademia di Venezia, e un ballo
4
Vercelloni V., Museo e Comunicazione Culturale, ed. Jaka Book, 1994
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al Guggenheim Museum. Fra le molte opere esposte possono citarsi un modellino
del Moma impacchettato come un oggetto fragile di Christo del 1968, anticipatore
quasi dell’immenso programma di smantellamento e ricostruzione attualmente in
corso nel museo, e il “Mouse Museum” che Claus Oldenburg aveva creato fra il 1965
e il 1977 riunendo 385 fra minuscoli oggetti trovati e versioni miniaturizzate di sue
composizioni che talvolta sono alte vari piani.
Nel suo complesso l'iniziativa mette bene in risalto come nel corso del XX secolo il
museo d'arte è diventato progressivamente più il soggetto che l'oggetto; non è più
tanto la residenza della Musa, quanto la Musa stessa; non è tanto lo spazio dove si
conservano e si rendono accessibili l'eredità artistiche e culturali, ma è di volta in
volta il luogo della contemplazione, del riposo spirituale, della illuminazione e della
creatività
5
.
1.2 Il museo in Italia
Mentre nel resto dei paesi occidentali del dopo guerra, il ruolo del museo assumeva
forme gestionali privatistiche e volte a un maggiore coinvolgimento del pubblico,
l’Italia, nonostante la ricchezza del suo patrimonio artistico, storico e monumentale,
è rimasta ai margini di questo dibattito e del susseguente processo di innovazione
organizzativa dei musei, restando ancorata ad una concezione fondamentalmente
didascalica della funzione del museo: si è comunemente ritenuto che i musei, e le
istituzioni culturali in genere avessero una sorta di “missione educativa” da compiere,
impostando il rapporto fra operatori culturali e pubblico secondo una relazione fra
élite e massa, nella quale il pericolo maggiore era un’eccessiva volgarizzazione della
cultura.
La conseguenza di questo atteggiamento è stata che i mezzi e il linguaggio
impiegati nella gestione dei beni culturali non hanno certo favorito l’incremento
dell’attrazione dei musei presso il grande pubblico italiano. Eppure il successo di
avvenimenti culturali speciali, quali le grandi mostre, lascia a intendere che vi siano
ampi spazi sia di approfondimento culturale che di mercato, per favorire una larga
diffusione della cultura come prodotto.
5
Calamandrei M., E adesso il MoMA riflette su se stesso da Il Sole 24 Ore del 18/4/1999
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1.2.1 L’offerta museale
Secondo un’indagine
6
i musei italiani, inclusi quelli non operanti o non fruibili dal
pubblico ed esclusi i siti archeologici, sono 3.437 (al 1990); la cifra scende a 3.335
se si escludono le istituzioni che presentano specie viventi (giardini zoologici e
botanici, acquari, etc.).
Le dimensioni attraverso cui analizzare la composizione del sistema di offerta
museale possono essere sostanzialmente quattro:
a) giuridica: essendo differente il sistema di garanzie che l’ordinamento statale pone
a tutela dei beni artistici a seconda dell’assetto proprietario dell’istituzione che li
custodisce, la prima distinzione da fare riguarda proprio i proprietari dei musei. Circa
il 70% dei musei è di proprietà pubblica, il 13% appartiene alla Chiesa e il 16% ai
privati;
b) territoriale: la distribuzione geografica risulta essere prevalentemente concentrata
nel nord e centro Italia, dove si trova l’81% dei musei italiani;
c) tipologica: la dinamica dei contenuti delle collezioni sembra evidenziare la
prevalenza di una specializzazione tematica, con strutture differenziate destinate ad
ospitare manufatti ed opere per ciascuno dei diversi rami del sapere (arte, storia,
scienza); circa il 50% sono musei d’arte e archeologia (nota su incrocio
proprietà/tipologia).
d) funzionalità: la fruibilità dei musei italiani potrebbe essere uno dei fattori
penalizzanti l’immagine dei musei italiani con forti ripercussioni sul numero dei
visitatori delle nostre raccolte. Dall’indagine risulta che solo il 52% circa dei musei è
aperto al pubblico e il 29% è aperto su richiesta. Riguardo i dati riportati, possono
sorgere preoccupanti dubbi se “apertura su richiesta” sia un sinonimo di “chiusi”
oppure se il restauro non esprima una condizione quasi permanente della struttura
impedendone la visita.
Nello specifico, i musei non sono tutti dotati degli stessi servizi. La libreria, ad
esempio è il servizio più presente: 51 musei su 54 hanno un punto vendita per libri e
oggettistica (94%). Anche la biglietteria e la prenotazione sono stati appaltati
6
Primicerio D., L’Italia dei Musei, Electa, 1991
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nell’89% dei casi in esame. All’opposto il ristorante è il servizio meno diffuso: soltanto
la Galleria d’Arte Moderna di Roma, infatti, ne possiede uno. Il settore dei servizi
Food è largamente minoritario nei musei, giacché esistono appena otto punti di
ristoro (pari al 15%).
Complessivamente sono state attivate 150 unità erogatrici di servizi nell’arco di
quattro anni. Le librerie rappresentano il 34% di tutti i servizi attualmente operativi,
seguite dalle biglietterie (32%), dalle visite guidate (20%), dalle audioguide (8%), dai
bar (5%) e dal ristorante (1%).
Il numero dei servizi è sensibilmente aumentato dall’apertura della prima Libreria
(Galleria d’Arte Moderna di Roma, 1996). Circa l’80% dei servizi è in funzione da
meno di due anni, più di un terzo è entrato in attività soltanto nel corso del 1999.
Le diverse classi di servizi danno risultati economici molto diversi. Nel valutare il
contributo che ciascuna categoria offre in termini di reddito complessivo, si deve
rammentare che il loro grado di diffusione è molto differenziato: le librerie/negozio
sono presenti in quasi tutti i musei, mentre esiste un solo ristorante.
Nessun Museo offre tutte le sei possibili categorie di servizi aggiuntivi. La Galleria
degli Uffizi e la Galleria Borghese sono provviste di cinque tipi di servizi (è escluso il
ristorante), mentre alla Galleria d'Arte Moderna di Roma sono in funzione quattro
servizi (con l'eccezione delle audioguide e delle visite guidate), come nella Galleria
Palatina di Firenze (nella quale non esiste il ristorante e non sono disponibili le
audioguide).
Soltanto 4 Musei su 54 (7%) hanno perciò attivato almeno quattro servizi sui sei
possibili. Più del 90% dei Musei offre ai visitatori, al meglio, tre tipi di servizio
(prevalentemente libreria, biglietteria e visite guidate). Il tipo ed il numero di servizi
per ciascun Istituto è definito dal capitolato d'appalto messo a punto per ogni gara
dalla Soprintendenza competente per territorio.
Infine è importante sottolineare che larga parte delle strutture museali nazionali non
dispongono di una superficie espositiva sufficiente a mostrare per intero la
collezione, di cui finisce per essere esposta solo una parte mentre un’altra porzione
viene custodita nei depositi dei musei, determinando così un rilevante
depotenziamento dell’offerta.