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INTRODUZIONE
Grappoli di vene piu’ o meno evidenti sulle gambe, caviglie gonfie e
doloranti, un senso di pesantezza che si attenua solo con il riposo. Non si puo’
dire che le vene varicose siano poco fastidiose né che l’estetica ci guadagni: ed è
proprio per eliminare capillari e varici bluastre che moltissimi pazienti si
rivolgono al medico, nella speranza di cancellare i segni visibili del disturbo.
Le opzioni fra cui scegliere sono oggi numerose e piu’ o meno invasive. In
particolare, nei casi non troppo complessi si ha una guarigione completa sia che
si prediligano le moderne tecniche di trattamento con laser o radiofrequenza, sia
che si opti per gli interventi chirurgici piu’ classici di legatura o “stripping”. Su
quali basi, allora, si puo’ decidere se e come intervenire per togliere di mezzo le
brutte varici? Molto dipende dallo stadio di insufficienza venosa cronica in cui si
trova il paziente. In una fase iniziale, quando non si hanno varici, ma soltanto
capillari o piccole vene reticolate, terapia medica e prevenzione la fanno da
padrone, eventualmente in associazione.
La terapia medica consiste nell’ assunzione di antocianosidi e flavonoidi del
mirtillo, utili per la prevenzione dell’ insufficienza venosa e per la cura dei primi
segni del disturbo: oltre a migliorare l’aspetto della pelle, infatti, riducono il
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senso di pesantezza alle gambe e il gonfiore delle caviglie. Accanto a questo, nei
casi lievi, è opportuno mettere in atto una strategia preventiva: dalle modifiche
dello stile di vita (perdere peso e abbandonare la vita sedentaria), all’ uso delle
calze elastiche, efficaci nel ridurre la stasi venosa e consigliabili soprattutto ai
pazienti che per motivi di lavoro stanno a lungo in piedi, magari in ambienti
caldi e umidi.
L’elastocompressione della gamba, con calze specifiche, è una vera cura: il
tessuto, infatti, è tale da consentire una compressione graduata, piu’ intensa alla
caviglia e piu’ leggera alla coscia, che facilita il ritorno venoso e stimola la
circolazione. Tutto cio’, pero’, non serve se le vene varicose sono ormai ben
evidenti. La scelta della tecnica di intervento, allora, dipende dalla gravità del
caso. Se il problema si trascina da anni e le varici sono molte, dilatate e tortuose,
sarà piu’ efficace la chirurgia ablativa. Se le varici sono dritte e non troppo
estese possono bastare approcci meno drastici come il laser, le radiofrequenze o
la terapia sclerosante. Nessuna di queste tecniche garantisce al 100% di risolvere
il disturbo e, soprattutto, intervenire con successo non significa aver cancellato il
problema per sempre. Le vene varicose sono, infatti, una malattia cronica che
tende ad evolvere, ovvero a ripresentarsi se non si modificano lo stile di vita e le
condizioni che ne hanno favorito la comparsa.
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Muoversi di piu’ , evitare di stare nella stessa posizione troppo lungo, rimanere
il meno possibile in luoghi caldi e umidi, tenere d’occhio il sovrappeso, sono
tutte regole che è importante seguire se non si vuole veder tornare le varici.
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capitolo 1
LA STORIA
E’ ben nota l’elevata incidenza della patologia varicosa degli arti inferiori
nelle società industriali. Hobbs, su 4000 lavoratori dell’industria metalmeccanica
studiati in Inghilterra, riscontro’ un’incidenza totale di ogni tipo e grado di varici
nel 57% degli uomini e nel 68% delle donne; l’associazione di varici e segni di
insufficienza venosa cronica nel 19% degli uomini e nel 25% delle donne; le
complicanze trofiche nell’ 1,1 e 1,4%.
Altrettanto nota è la lunghezza della lista delle tecniche impiegate nel corso dei
secoli per contrastare gli effetti patologici e il disagio estetico delle vene
varicose. Nel V sec. a.c. Ippocrate intui’ negli “umori malevoli” prodotti dal
ristagno venoso in una varice la causa di un’ulcerazione malleolare di una sua
paziente e propose la prima tecnica di eliminazione del vaso varicoso mediante
l’applicazione del calore. Brucio’ la vena con un ferro incandescente. L’ustione
procuro’ serie conseguenze ma sembra che l’ulcera guari’.
Nel II sec. a.c. Plutarco descrisse nelle “Vitae Parallelae” la prima operazione di
escissione di una vena varicosa: l’illustre paziente era il 7 volte console di Roma
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Caio Mario affetto da voluminose e fastidiose varici bilaterali. Sembra che, in
seguito, il prode generale disse che:“..il gioco non vale la candela..” e rifiuto’
l’intervento all’altra gamba.
Nel I sec. d.c. Cornelio Celso descrisse la prima flebectomia ambulatoriale.
Nel VII sec. d.c. Paolo Arginata decise di asportare anche la safena di coscia.
Nel 1881 Trendelemburg eseguì la prima legatura della safena interna alla
giunzione safeno-femorale. Nei successivi 20 anni si osservo’ un’incidenza di
recidive tra il 22 e 72%.
Nel 1905 Keller eseguì il primo stripping della safena mediante filo
endoluminale.
Nel 1906 Mayo e Babcock misero a punto uno stripper extravasale.
Negli anni 20 Homans eseguì la prima safenectomia per stripping endoluminale
associata a legatura della giunzione safeno-femorale.
Nel 1951 Muller mise a punto la tecnica della flebectomia ambulatoriale per
mini incisioni.
Negli anni 60 Sigg propose il metodo della scleroterapia.
Negli anni 60 e 70 viene descritta e si impone la crossectomia con legatura e
sezione delle collaterali al golfo associata a stripping corto o lungo della safena,
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che con varie modifiche e perfezionamenti è oggi considerata la procedura
chirurgica di riferimento.
In seguito sono state proposte varie tecniche per la terapia delle varici che in
vario modo hanno cercato di combattere il reflusso e la stasi venosa. Tra quelle
che hanno superato il vaglio del tempo vanno ricordate:
- la safenectomia radicale o parziale interna e/o esterna
- le flebectomie multiple secondo Muller
- la S.E.P.S. (subfascial endoscopic perforators section)
- la termoablazione endoluminale laser assistita della safena interna e/o
esterna
- la valvuloplastica esterna con banding
- la C.H.I.V.A.
- la scleroterapia eco-mousse della safena e delle collaterali ectasiche
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capitolo 2
LE VARICI DEGLI ARTI INFERIORI
La malattia varicosa, anche all’inizio del terzo millennio, continua a
rappresentare una delle patologie piu’ diffuse tra la popolazione italiana,
interessando prevalentemente il sesso femminile, per motivi costituzionali e per
stile di vita.
La donna, infatti è esposta fin dall’ adolescenza, e per alcuni decenni della sua
vita, all’azione degli ormoni sessuali (estrogeni e progesterone), che hanno
ripercussioni negative sulle pareti venose.
In un soggetto costituzionalmente predisposto, soprattutto per ragioni familiari,
tali ormoni sono in grado di accelerare la comparsa di vene varicose. La
gravidanza, inoltre, rappresenta un momento predisponente primario per
l’insorgenza di tale patologia, associando alla citata azione ormonale sulla parete
venosa l’incremento di peso legato a tale condizione e l’aumento di volume del
sangue circolante.
I disturbi provocati dalla presenza delle vene varicose sono molteplici: si va dal
senso di peso e di stanchezza degli arti inferiori ai crampi notturni, dal gonfiore
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delle caviglie al senso di bruciore ed al prurito delle gambe.
Anche in assenza di tali sintomi, tuttavia, la donna, di qualsiasi età, si rivolge
allo specialista perché, a differenza di quanto avveniva in passato, è sempre piu’
sentita l’esigenza di eliminare l’evidente problema estetico rappresentato sia dai
“capillari” che dalle dilatazioni venose che alterano la silhouette delle gambe
(fig. 10).
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2.1 La valutazione flebolinfologica
Nell’ambito della visita di medicina estetica, nell’esame obiettivo, un
momento molto importante è rappresentato dalla valutazione flebolinfologica. In
questa fase si effettua uno studio del sistema venoso e linfatico degli arti
inferiori. Un’alterazione di questo, infatti, è la causa non solo di patologie
specifiche, ma anche di inestetismi. Il filtrato dal capillare arteriolare terminale
passa negli spazi extracellulari ed è riassorbito per 9/10 a livello del capillare
terminale venulare e per 1/10 a livello del capillare terminale linfatico. Questa
funzione è possibile perché le pareti dei capillari terminali arteriolari e venulari
sono delle membrane semipermeabili e rispondono a diversi gradienti di
pressione (fig. 1). I capillari linfatici, iniziano a fondo cieco, hanno un calibro
iniziale di
circa 20-60 µ, sono costituiti da cellule embricate, non hanno né una tunica
muscolare né una tunica avventizia, per cui sono facilmente traumatizzabili.
Se tale membrana basale fosse continua non ci sarebbe la possibilità di
comunicazione diretta tra il lume del capillare linfatico e lo spazio interstiziale e
verrebbe impedito il processo di riassorbimento operato dai capillari linfatici. Le
cellule endoteliali sono ancorate al connettivo perivascolare da filamenti di
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ancoraggio. Si stabilisce un meccanismo “a botola”, per cui il filtrato puo’
entrare nel capillare terminale linfatico ma non puo’ uscirne. Il filtrato che dal
capillare terminale passa nello spazio interstiziale è regolato da:
1) pressione idrostatica del capillare arteriolare che spinge il filtrato fuori il
vaso (25 mmHG);
2) pressione idrostatica interstiziale che risucchia il filtrato nello spazio
interstiziale (- 7 mmHG);
3) pressione colloido-osmotica interstiziale che risucchia il filtrato
all’esterno, nello spazio interstiziale (4,4 mmHG);
4) pressione colloido osmotica del capillare arteriolare che risucchia il
filtrato all’interno del vaso (28 mmHG);
La forza che spinge il filtrato all’esterno del vaso è, quindi, di 8,5 mmHG.
Il filtrato che dallo spazio interstiziale passa nel capillare terminale venulare è
regolato da diversi fattori:
1) pressione idrostatica del capillare venulare (5 mmHG). La piu’ bassa
pressione idrostatica nel capillare venulare rispetto a quello arteriolare è
espressione della vis a fronte, che determina una forza aspirativa sul
sistema venoso;
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2) pressione idrostatica dello spazio interstiziale (- 7 mmHg);
3) pressione colloido osmotica del capillare venulare (28 mmHg);
4) pressione colloido osmotica interstiziale (4,5 mmHg);
La pressione che spinge il filtrato verso l’interno (28 mmHg) è maggiore di
quella che vi si oppone (20,5 mmHg) per cui la pressione di riassorbimento è di
7,5 mmHg.
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2.2 Anatomia del sistema venoso dell’arto inferiore.
A livello degli arti inferiori si distingue un sistema venoso superficiale e uno
profondo (fig. 1). Il sistema venoso profondo è satellite del sistema arterioso e il
rapporto arterie/vene è 1:2 per le vene di piccolo e medio calibro e 1:1 per le
grandi vene. Si hanno, cosi, due vene tibiali, due peroniere, due pedidie una
poplitea, una femorale, una iliaca. Il sistema venoso profondo, come il
superficiale, è provvisto di un sistema valvolare che è sempre meno
rappresentato numericamente in senso centripeto. Le valvole consentono, per il
loro orientamento (nidi di rondine con concavità rivolta verso l’alto), un flusso
dalla periferia verso il centro e, inoltre, interrompono la colonna idrostatica del
sistema venoso, segmentandola dall’alluce all’inguine, che altrimenti graverebbe
sul piede (fig. 2). Queste valvole sono poche nella femorale comune, nelle
iliache e nella vena cava inferiore. Il sistema venoso degli arti inferiori si divide
in superficiale (sovra aponeurotico) e profondo (sotto fasciale) che comunicano
attraverso i vasi perforanti. Le vene superficiali originano dalle vene digitali
(due plantari e due dorsali) che unendosi danno origine alle vene metatarsali, che
confluiscono nell’ arcata venosa anteriore e continuano nelle vene marginali,
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laterale e mediale del piede. Le vene plantari digitali costituiscono l’arcata
venosa plantare cutanea a livello del solco che separa le falangi dai cuscinetti
adiposi e confluiscono in una ricca rete anastomotica, la suola venosa plantare di
Lejars (fig. 3).
Fig. 1
Circolo venoso superficiale dell’arto inferiore
La vena grande safena, soprafasciale e sottocutanea inizia davanti il malleolo
interno (per confluenza della vena marginale mediale e della vena interna del
malleolo), risale lungo la faccia mediale della tibia e all’altezza del ginocchio
descrive una curva a concavità anteriore e passando dietro il condilo femorale si
porta nella faccia antero mediale della coscia, lungo il margine mediale del
muscolo sartorio e al triangolo di Scarpa. Alla fossetta ovale sbocca nella vena
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femorale formando un arco che si chiama “crosse”. Qui confluiscono nella vena
grande safena altre cinque vene: le femoro cutanee laterale e mediale, la
pudenda esterna superficiale, l’epigastrica superficiale e l’iliaca circonflessa.
Alla gamba la vena grande safena riceve la branca safenica anteriore e posteriore
(vena di Leonardo), importante per i collegamenti con il circolo profondo
attraverso le perforanti di Cockett. La vena di Leonardo ha una parete piu’ sottile
di quella della grande safena rappresentando, quindi, un locus minoris
resistentiae quando per insufficienza valvolare si inverte il flusso attraverso le
perforanti di Cockett. Alla coscia la grande safena riceve le vene antero laterale
e la safena posteriore accessoria di Cruveilhier, si anastomizza con la piccola
safena attraverso numerosi vasi dei quali il piu’ voluminoso è il ramo
anastomotico superiore o vena di Giacobini che risale dal cavo popliteo nella
faccia mediale della coscia dove raggiunge la safena interna a vari livelli e
soprattutto al terzo inferiore.