6
che provoca nella pianta la resistenza ad alcuni insetti, senza essere dannoso per
l’uomo
3
.
Il primo prodotto geneticamente modificato è stato il tabacco, creato nei primi anni
’90 in Cina, ma la commercializzazione di OGM è iniziata nel 1994 negli Stati uniti
4
.
Nel 1999 erano coltivate 13 specie geneticamente modificate. Quattro prodotti
costituiscono ora la quasi totalità della produzione transgenica: la soia (63% della
superficie coltivata), il mais (19%), il cotone (13%) e la canola (5%)
5
; le restanti
coltivazioni occupano meno dell’1%
6
. Lo sviluppo delle produzioni transgeniche resta
concentrato in pochi paesi, in particolare negli Stati Uniti (68% di tutta la produzione
mondiale), in Argentina (22%), in Canada (6%); altri paesi (tra i quali Cina, Messico,
Uruguay, Sudafrica e Australia) si dividono il restante 1%.
Le modifiche genetiche sono realizzate per arricchire l’organismo di caratteristiche
ritenute utili: principalmente, la resistenza agli erbicidi o agli insetti o ad entrambi
7
;
sono possibili anche miglioramenti qualitativi, come l’aumento dei valori nutrizionali
del prodotto (ad esempio, l’aggiunta di vitamina A), la resistenza a virus e funghi, la
capacità di crescere in ambienti ostili e l’accrescimento della produzione per unità di
terra coltivata
8
. Le prospettive aperte dalla diffusione delle colture transgeniche sono
quindi interessanti
9
. Vi è la possibilità di ottenere maggiori quantità di cibo o una
qualità migliore e questo, secondo i fautori degli OGM, contribuisce ad alleviare il
problema mondiale della scarsità di cibo
10
. Il minore utilizzo di pesticidi durante la
3
FONTE M., OGM e nuova agricoltura all’alba del XXI secolo, Istituto Nazionale di Economia Agraria
(working paper 19/02), 2002, p. 4 (www.inea.it/prin/risultati/wp19.pdf).
4
PHILLIPS P., KERR W., Alternative paradigms – the WTO versus the biosafety protocol for trade in
genetically modified organisms, in JWT, 2000, p. 63 ss., p. 63.
5
La canola è una varietà di colza modificata, usata per ricavare congiuntamente olio commestibile e
farina proteica per l’alimentazione animale (FONTE M., op. cit., p. 4).
6
Ibidem, p. 3. I dati sono del 2001. V. anche www.isaaa.org - International Service for the Acquisition of
Agri-biotech Applications.
7
Queste tre categorie coprono il 99% della produzione di OGM, FONTE M., op. cit., p. 18; PHILLIPS P.,
KERR W., op. cit., p. 63.
8
V. NELSON G. (a cura di), Genetically Modified Organisms in Agriculture: Economics and politics,
San Diego, 2001 e www.bio.org, il sito web della Biotechnology Industry Organization.
9
V. UNDP, Human development report 2001: Making new technologies work for human development,
New York, 2001, disponibile al sito http://hdr.undp.org/reports/global/2001/en/.
10
V. http://www.bio.org/er/agriculture.asp; ZARRILLI S, International trade in genetically modifed
organisms and multilateral negotiations: a new dilemma for developing countries, in FRANCIONI F.,
Environment, human rights and international trade, Oxford, 2001, p. 39 ss, p. 42. Ad esempio, è stato
creata una particolare varietà di riso (Golden Rice) per combattere la mancanza di vitamina A, che
costituisce la principale causa di cecità al mondo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
7
coltivazione permette all’agricoltore di risparmiare nelle spese, con un notevole
vantaggio economico.
D’altra parte, è nota la resistenza dei consumatori (soprattutto in Europa) nei
confronti della coltivazione e dell’uso di organismi geneticamente modificati. Vengono
sollevati infatti gravi dubbi sugli effetti degli OGM sulla conservazione della
dell’ambiente e sulla salute umana e degli animali
11
. In particolare, si teme che sia in
pericolo la diversità biologica ( o biodiversità), la “variabilità degli organismi viventi di
qualsiasi fonte, inclusi, tra l’altro, gli ecosistemi terrestri, marini e gli altri ecosistemi
acquatici e i complessi ecologici dei quali fanno parte”, nonché “la diversità all’interno
di ogni specie, tra le specie e degli ecosistemi”
12
. Il rischio sul quale concentrano le
preoccupazioni maggiori è quello che riguarda il flusso non controllato dei geni
modificati:
“Il carattere artificialmente introdotto nella pianta transgenica può essere trasferito, al di
fuori dal controllo dell'uomo, per incrocio naturale e spontaneo con individui della stessa
specie o di specie affini. Il controllo del trasferimento non è facile, specialmente per piante
come il mais, il cui polline può essere trasportato dal vento a distanza considerevole. In tal
caso, la resistenza a patogeni o a diserbanti può portare alla diffusione di superinfestati,
difficili da eradicare con le lotte chimiche tradizionali. L'ecosistema potrebbe essere
modificato a favore delle piante affini a quelle transgeniche, in cui si fosse trasferito il
carattere di resistenza a patogeni o ad erbicidi specifici”
13
.
L'inquinamento genetico rischia quindi di erodere la biodiversità, a causa della
capacità di alterare l'habitat a favore delle piante modificate. Il trasferimento non
controllato del carattere innovativo potrebbe inoltre causare danni agli agricoltori
limitrofi, che avessero deciso di non adottare le piante transgeniche. Riguardo alla salute
umana, le preoccupazioni principali si volgono verso l’eventuale tossicità dei prodotti
transgenici o la capacità di far insorgere allergie nell’uomo. Ancora, sono discussi gravi
problemi di ordine sociale ed economico
14
. Esistono infatti poche imprese
multinazionali che detengono il mercato dei prodotti geneticamente modificati (c.d.
Gene giants)
15
: esse brevettano il nuovo organismo e impediscono all’agricoltore che
11
FONTE M., op. cit., p. 3; ZARRILLI S, op. cit., p. 43; PELT J., L’orto di Frankenstein: cibi e piante
transgenici, Milano, 2000.
12
Convenzione sulla biodiversità (United Nations Convention on biological diversity, Rio de Janeiro, 5
giugno 1992, 31 ILM 818, art. 2. V. infra, cap. 2 par. 4.
13
FONTE M., op. cit., p. 5.
14
V. COMMISSIONE DELLA COMUNITA’ EUROPEA, Economic impacts of genetically modified
crops on the agri-food sector: a first review, Working document, 2000, disponibile al sito
europa.eu.int/comm/agriculture/publi/gmo/full_en.pdf.
15
RUNGE C., JACKSON L., Labelling, trade and genetically modified organisms – a proposed solution,
in JWT, 2000, p. 111 ss., p. 112.
8
decide di adottare piante transgeniche la pratica agricola di ripiantare le sementi
conservate dal raccolto dell’anno precedente. Ogni anno, infatti, viene venduto al
coltivatore un nuovo seme, insieme al pesticida corrispondente. Date le gravi difficolà
di ritornare alla coltivazione tradizionale, poiché non sono del tutto noti il modo e la
misura attraverso i quali le piante transgeniche ‘contaminano’ il campo anno dopo anno,
l’agricoltore rimane legato alle ditte che detengono il monopolio mondiale della
produzione di semi transgenici. In sostanza, gli stretti vincoli imposti dalle industrie
biotecnologiche all’utilizzo delle sementi sembrano troppo onerosi per i piccoli
agricoltori, in particolare nei paesi in via di sviluppo
16
.
A causa di queste perplessità e di motivi economici, politici e culturali, la
circolazione di organismi geneticamente modificati ha visto una netta contrapposizione
tra Stati sostenitori, produttori e esportatori di OGM e Stati che pongono barriere di
diverso genere a questo commercio o lo costringono attraverso regolamentazioni più o
meno rigide.
Il 29 gennaio 2000, 103 Stati, parti della Convenzione sulla biodiversità, hanno
firmato a Montreal, in Canada, il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza
17
. Questo
accordo, entrato in vigore l’11 settembre 2003, disciplina il trasferimento, la
manipolazione e l’uso degli organismi viventi modificati (Living Modified Organisms,
LMOs) ottenuti con la moderna biotecnologia, con particolare attenzione verso i
movimenti transfrontalieri di questi prodotti. Il protocollo di Cartagena si occupa solo di
una definita categoria di organismi geneticamente modificati, quelli viventi, che
prendono il nome di Living Modified Organisms, LMOs
18
. Questi organismi sono
ancora in grado di trasferire e replicare materiale genetico e includono i semi delle
piante, importati per essere piantati e coltivati nel paese di destinazione (nel linguaggio
del protocollo, sono finalizzati all”emissione deliberata nell’ambiente”)
19
o essere
destinati all’alimentazione umana, animale o alla successiva lavorazione (ad esempio
soia, mais e frutta destinati al mercato alimentare). Non rientrano nella disciplina del
16
ZARRILLI S., op. cit., p. 44.
17
Cartagena protocol on biosafety to the Convention on biological diversity, PBS, Montreal, 29 gennaio
2000, 39 ILM 27.
18
V. infra, cap. 2 par. 7.
19
Protocollo di Cartagena, art. 7, v. infra, cap. 2 par. 9.
9
protocollo di Cartagena quindi i prodotti secondari, come l’olio di semi di mais
transgenico o il ketchup ottenuto da pomodori geneticamente modificati
20
.
Il protocollo di Cartagena, che rientra tra gli strumenti giuridici di diritto
internazionale dell’ambiente, fissa alcuni requisiti necessari affinché il trasferimento
degli LMOs possa considerarsi sicuro per la biodiversità, esso non riguarda che
marginalmente la salute dell’uomo. In particolare, esso dispone (ma solo per una
minima parte degli LMOs di cui si occupa) che lo Stato esportatore notifichi, prima del
movimento transfrontaliero, allo Stato importatore l’intenzione di procedere al
movimento stesso e che lo Stato attenda l’autorizzazione a procedere. La notifica è
accompagnata dalla valutazione del rischio per l’ambiente. Una volta autorizzata la loro
importazione nel paese, gli LMOs dovranno essere etichettati secondo le modalità
previste dal protocollo stesso, in modo che sia possibile risalire al produttore e che sia
indicato che si tratta di organismi geneticamente modificati. Fondamentale è il
riconoscimento da parte del protocollo di Cartagena del principio di precauzione, reso
operativo grazie ad una norma che permette allo Stato importatore di prendere adeguati
provvedimenti (fino al divieto di importazione) nel caso in cui manchi la certezza sul
piano scientifico riguardo agli effetti negativi sulla biodiversità dovuti all’organismo in
questione.
La disciplina prevista dal protocollo, descritta in dettaglio nel secondo capitolo, si
sovrappone a quella del più generale diritto del commercio internazionale, costituita
principalmente dagli accordi commerciali adottati nel quadro dell’organizzazione
mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO)
21
, ponendosi
potenzialmente in contrasto con essa. Gli accordi del WTO, infatti, tendono a
considerare i requisiti del genere richiesto dal protocollo un ostacolo al libero
commercio e, dunque, pongono severe regole per il loro utilizzo. In particolare, gli Stati
membri del WTO temono che le misure di tutela dell’ambiente possano celare misure
protezionistiche. Nel caso degli OGM, gli Stati produttori ed esportatori temono che
l’applicazione del protocollo di Cartagena, nonostante la sua natura di strumento di
tutela dell’ambiente, possa bloccare o ridurre le vendite di OGM, provocando loro un
grave danno economico. Inoltre, essi ritengono che la chiusura verso i prodotti
transgenici non sia altro che un modo per favorire le produzioni nazionali di prodotti
20
V. infra, cap. 2 par. 9.
21
V. infra, par. 3.
10
tradizionali. Dal punto di vista scientifico, i produttori di OGM ritengono i prodotti
della biotecnologia sostanzialmente equivalenti ai prodotti tradizionali e dunque non
dannosi per l’ambiente o per l’uomo.
Il Protocollo di Cartagena riflette in sostanza le preoccupazioni per l’ambiente,
rendendo possibile negare l’autorizzazione all’importazione di quegli OGM che non
offrono sufficienti garanzie di sicurezza per la biodiversità; gli accordi commerciali
servono invece a garantire un flusso di merci libero da volontà protezionistiche dei
singoli Stati ed, in questo quadro, la tutela dell’ambiente si può realizzare solo se
vengono rispettati i principi posti alla base della liberalizzazione degli scambi, quali la
non discriminazione nel trattamento commerciale degli Stati membri. Il problema nasce
proprio perché il protocollo di Cartagena impone o autorizza misure nazionali
potenzialmente discriminatorie tra differenti partners commerciali.
In definitiva, c’è la possibilità che in futuro si svolga una controversia commerciale,
sottoposta agli organi di risoluzione delle controversie del WTO, nella quale il
protocollo di Cartagena sia messo a confronto con la normativa del WTO, al fine di
stabilire se le due differenti discipline siano compatibili. Si rende necessario allora
indagare da vicino il contenuto degli accordi del WTO e metterlo a confronto con quello
del protocollo di Cartagena, per verificare la possibilità di coordinare i diritti e gli
obblighi nascenti dall’una e dall’altra, al fine di fornire un quadro giuridico lineare in
grado di soddisfare sia le esigenze di tutela dell’ambiente, sia quelle di un’economia
liberista.
11
2 Il diritto del commercio internazionale: Il General Agreement on
Tariffs and Trade (GATT)
Il diritto del commercio internazionale ha conosciuto, nel secolo scorso, cambiamenti
profondi. Nell’immediato dopoguerra la comunità internazionale sentiva il bisogno di
riorganizzare il quadro giuridico-economico esistente, dando vita a strutture
istituzionalizzate di cooperazione, in previsione della creazione di un ordine economico
internazionale d’ispirazione neo liberista
22
. Questo modello si differenzia da quello del
liberismo classico, che ha guidato il periodo tra la rivoluzione industriale e la prima
guerra mondiale, nel quale lo Stato, fiducioso delle capacità di autoregolamentazione
del mercato, riduce al minimo il proprio intervento nell’economia e lascia agire i privati
liberamente, limitandosi quasi esclusivamente all’imposizione di dazi doganali mirati a
proteggere la produzione interna e all’assunzione di scarsi obblighi internazionali
coinvolgenti gli scambi con altri paesi
23
. Nel disegno del liberismo classico manca,
inoltre, una autorità sovrastatale di controllo dell’economia. In secondo luogo, il
modello neo-liberista si discosta anche dal nazionalismo economico, che contrassegna il
periodo tra le due guerre mondiali e che è caratterizzato da una sempre maggiore
partecipazione dello Stato nella vita economica nazionale ed internazionale a sostegno
della produzione interna nella concorrenza con gli altri Stati: i provvedimenti statali
sono spesso intesi a limitare le importazioni, come le restrizioni quantitative o le tariffe
doganali molto elevate ed a aumentare le esportazioni, grazie ad aiuti alle imprese
nazionali
24
.
Il modello neo-liberista, dopo il protezionismo caratteristico del periodo tra le due
guerre mondiali, intende creare un mercato internazionale improntato ad un nuovo
liberismo, dove lo Stato è chiamato ad intervenire nel settore economico per garantire
un sistema di sviluppo equilibrato, non ottenibile con il semplice laissez faire praticato
nell’era del liberismo classico; in questo disegno si vuole assicurare il comportamento
degli Stati attraverso l’istituzione di nuove organizzazioni internazionali, i cui atti
contengono obblighi giuridici in materia di cooperazione commerciale, monetaria e
22
PICONE P., LIGUSTRO A., Diritto dell’organizzazione mondiale del commercio, Padova, 2002, p. 4.
23
Ibidem.
24
Ibidem.
12
finanziaria e che costituiscono il quadro giuridico entro il quale realizzare un sistema di
economia di mercato
25
.
A questo fine, nell’ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e
l’occupazione che si tenne a L’Avana dal 21 novembre 1947 al 26 marzo 1948, 56 Stati
parteciparono alla redazione dell’Accordo Istitutivo dell’Organizzazione Internazionale
del Commercio (International Trade Organization, ITO), noto anche come ‘Carta
dell’Avana’. L’ITO avrebbe dovuto affiancare e completare il progetto economico di
cui facevano parte le istituzioni monetarie e finanziarie varate nel 1944 alla Conferenza
di Bretton Woods: la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo
(International Bank for Reconstruction and Development, IBRD), detta Banca Mondiale
(World Bank) ed il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Found,
IMF)
26
. Al pari di queste due ultime istituzioni, L’ITO avrebbe costituito un istituto
specializzato delle Nazioni Unite
27
. Gli obiettivi previsti dalla Carta dell’Avana, che era
divisa in nove capitoli, prevedevano, oltre alla disciplina del commercio di beni,
disposizioni sull’occupazione, sullo sviluppo economico e sulla ricostruzione delle
economie distrutte dalla guerra e sugli investimenti internazionali
28
.
Vi furono divergenze molto ampie durante i negoziati per la firma della Carta
dell’Avana, soprattutto tra Stati Uniti e Gran Bretagna: i primi avrebbero voluto un
sistema che garantisse la libertà degli scambi attraverso un principio di non
discriminazione e abolizione delle restrizioni quantitative, mentre la Gran Bretagna,
maggiormente preoccupata per i problemi di occupazione e di bilancio interni al paese,
riteneva troppo drastiche le misure di apertura totale del mercato e desiderava
mantenere le cosiddette “preferenze imperiali” all’interno del Commonwealth, in deroga
25
COMBA A., Il neo liberismo internazionale: strutture giuridiche a dimensione mondiale dagli accordi
di Bretton Woods all'organizzazione mondiale del commercio, Milano, 1995, p. 30.
26
Su IBRD e IMF v. GIOVANOLI M. (a cura di), International monetary law, Oxford, 2000; COMBA
A., op. cit., p. 30 ss.
27
L’insieme delle tre istituzioni (ITO, IMF, IBRD) avrebbe integrato, sul piano economico, il ruolo
politico delle Nazioni Unite, nella convinzione che una pace duratura non sarebbe stata possibile senza un
intervento volto a migliorare le condizioni di vita esistenti negli Stati, v. PICONE P., LIGUSTRO A., op.
cit., p. 8; ADINOLFI G., L’organizzazione mondiale del commercio. Profili istituzionali e normativi,
Padova, 2001, p. 9.
28
Il capitolo più innovativo disciplinava le pratiche commerciali restrittive della concorrenza, imponendo
agli Stati di impedire alle imprese i comportamenti scorretti che, per la prima volta in un trattato
internazionale, erano elencati nel testo dell’accordo, v. COMBA A., op. cit., p. 40.
13
ai principi accolti dalla Carta dell’Avana, in particolare alla ‘clausola della Nazione più
favorita’
29
. A causa di queste divergenze la Carta dell’Avana non fu mai ratificata.
Mentre era ancora in corso la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e
l’occupazione, 23 degli Stati coinvolti nella negoziazione della Carta dell’Avana,
ritenendo che per dare un nuovo slancio all’economia post-bellica fosse necessario
sollecitare il processo di liberalizzazione degli scambi, decisero di ‘stralciare’ la parte
IV della Carta dell’Avana, concernente la politica commerciale internazionale e
renderla subito applicabile
30
. Il 30 ottobre 1947 a Ginevra venne firmato l’Accordo
Generale sulle tariffe doganali e sul Commercio (General Agreement on tariffs and
Trade, GATT)
31
. Il GATT nasceva dunque con obiettivi e competenze più delimitati
rispetto alla Carta dell’Avana ed era concepito come uno strumento solo temporaneo,
per favorire l’immediata rimozione degli ostacoli commerciali introdotti nel periodo
bellico e post-bellico, in attesa della ratifica della Carta stessa. Gli Stati firmatari del
GATT negoziarono parallelamente reciproche diminuzioni dei dazi doganali sulle merci
importate ed esportate tra loro. Il GATT operò dal 1 gennaio 1948 grazie ad un
Protocollo di applicazione provvisoria
32
e non entrò mai formalmente definitivamente in
vigore; le sue disposizioni hanno continuato ad essere eseguite, fino alla istituzione
della Organizzazione Mondiale del Commercio
33
, sulla base del Protocollo per le parti
originariamente contraenti e sulla base di analoghi protocolli di adesione per gli Stati
che vi hanno aderito successivamente
34
. Il GATT fu l’unico strumento multilaterale a
governare dal 1948 al 1994 il commercio mondiale; in quanto divenuto autonomo dal
resto della Carta dell’Avana, l’accordo non affrontava i problemi economici e sociali
trattati da questa, lasciando agli Stati piena libertà d’azione, né si raccordava con la
disciplina dei movimenti internazionali di capitali e con la questione monetaria, come
originariamente previsto per l’ITO.
29
V. infra, par. 4.
30
COMBA A., op. cit., p. 43.
31
General Agreement on tariffs and Trade, Ginevra, 30 ottobre 1947, 55 UNTS 194.
32
Protocol of Provisional Application, Ginevra, 30 ottobre 1947, 55 UNTS 308.
33
V. infra, par. 2.
34
Il GATT sarebbe dovuto entrare in vigore definitivamente dopo la ratifica da parte degli Stati
rappresentanti l’85% del commercio esterno dei Paesi firmatari, ma vi furono solo 2 ratifiche di scarso
peso economico, v. ADINOLFI G., op. cit., p. 15.
14
Poiché inizialmente il GATT doveva essere solo temporaneo, esso era privo di una
vera struttura organizzativa in grado di fare fronte alla complessità dei compiti da
svolgere. Fin dall’inizio gli Stati aderenti al GATT si riunirono periodicamente
nell’unico organo originariamente previsto dall’Accordo, designato semplicemente con
l’espressione “le Parti Contraenti”, per decidere sulle questioni che richiedessero
un’azione comune
35
. La prassi, già dal 1950, portò questo organo a decidere in base al
metodo del consensus. Tale metodo prevede che una risoluzione si intende approvata,
senza votazione formale, se non vi è il parere contrario di alcuno Stato partecipante alla
riunione; basta tuttavia un solo parere negativo per bloccarla.
Accanto a questo, a partire dal 1960 furono creati ulteriori organi: il Consiglio,
formato dai rappresentanti degli Stati membri, si riuniva tra una sessione e l’altra delle
riunioni delle Parti Contraenti e decideva anch’esso per consensus. Tra i due organi,
tuttavia, non si attuava alcuna divisione dei poteri come quella esistente tra un organo
deliberativo ed uno, più ristretto, esecutivo: il Consiglio era composto virtualmente
dagli stessi componenti delle Parti Contraenti, poiché era aperto a tutte le parti ma, in
pratica, vi partecipavano solo gli Stati che mantenevano una delegazione permanente a
Ginevra. Con il tempo il Consiglio acquisì tutte le funzioni esercitate dalle Parti
Contraenti, divenendo l’organo centrale del GATT
36
. Fu istituito un Segretariato, con
sede a Ginevra, composto dal Direttore Generale e dalla direzione amministrativa e
numerosi comitati, gruppi di lavoro e di esperti, con l’incarico di esaminare e
sorvegliare particolari aspetti del commercio internazionale.
Nel 1955, quando fu chiaro che la Carta dell’Avana non sarebbe mai entrata in
vigore, s’introdusse nel GATT l’articolo XXVIII-bis che attribuì alle Parti Contraenti il
compito di organizzare negoziati (rounds) per ridurre il livello dei dazi doganali
37
e
delle altre tasse di effetto equivalente
38
, tributi che rappresentavano allora i maggiori
35
GATT, art. XXV.
36
PICONE P., LIGUSTRO A., op. cit., p. 21.
37
I dazi doganali sono tributi imposti da un paese al momento dell’importazione o esportazione di una
merce, al fine di procurare mezzi all’erario (dazi fiscali) o di influire deliberatamente sul volume e sulla
composizione delle correnti di scambio (dazi economici), v. VENTURINI G., L’organizzazione mondiale
del commercio e la disciplina degli scambi internazionali di merci, in VENTURINI G. (a cura di),
L’organizzazione mondiale del commercio, Milano, 2000, p. 11.
38
Sono tasse di effetto equivalente ai dazi doganali tutti quegli oneri pecuniari di varia denominazione e
struttura che, direttamente o indirettamente, sono collegati all’attività di importazione o esportazione e cui
conseguono effetti di protezione commerciale, v. VENTURINI G., op. cit., p. 12.
15
ostacoli alla liberalizzazione del commercio
39
. La discussione nell’ambito dei primi 5
rounds
40
fu diretta quasi esclusivamente alla diminuzione generale dei dazi doganali
41
,
mentre successivamente iniziarono ad essere messe sotto esame le cosiddette ‘barriere
non tariffarie al commercio’, vale a dire le misure commerciali che, pur non consistendo
in una tassa diretta all’importazione o all’esportazione in senso stretto, erano (e sono
tuttora) considerate pericolose per la libertà degli scambi e necessitavano di una chiara
ed uniforme regolamentazione. Nel Kennedy Round, che si svolse a Ginevra dal 1964 al
1967, oltre alle riduzioni tariffarie tra il 30% ed il 40%, furono disciplinate le misure
anti-dumping
42
attraverso un Accordo, chiamato informalmente “Codice” (code), anti-
dumping. A conclusione del Tokyo Round (1973-1979) furono aggiunti altri Codici, in
particolare un nuovo Codice anti-dumping, uno riguardante le sovvenzioni statali alle
esportazioni industriali ed uno riguardante gli ostacoli tecnici al commercio (Technical
barriers to Trade, TBT), chiamato Standards code. Questi accordi plurilaterali
integravano la disciplina del commercio internazionale sulle materie non-tariffarie e su
particolari settori ed obbligavano solo gli Stati che vi aderivano espressamente
43
.
Il sistema multilaterale del GATT e la sua debole struttura istituzionale, creati
pensando alla situazione economica del dopo guerra, dovettero affrontare i cambiamenti
che intervennero nei quasi 50 anni in cui l’Accordo operò. Nel corso degli anni’60, con
la creazione della Comunità Economica Europea e di altre organizzazioni economiche
regionali si era sviluppato il fenomeno del regionalismo economico
44
, per il quale alcuni
Stati istituivano un’aera di libero scambio, volta alla realizzazione di una profonda
integrazione economica tra loro e prevedevano interventi statali volti a correggere gli
39
L’art. XXVIII-bis chiarisce bene l’importanza di questi negoziati: “Le parti contraenti riconoscono che
i dazi doganali costituiscono spesso dei seri ostacoli al commercio; è questo il motivo per cui i negoziati
volti, su una base di reciprocità e di mutui vantaggi, alla riduzione sostanziale del livello generale dei
dazi doganali e di altre imposizioni percepite all’importazione e all’esportazione, in particolare alla
riduzione di dazi elevati che ostacolino le importazioni di merci anche in quantità minima, presentano,
quando sono condotti tenendo dovuto conto degli obiettivi del presente Accordo e delle differenti
necessità di ogni parte contraente, una grande importanza per l’espansione del commercio
internazionale. Di conseguenza, le PARTI CONTRAENTI possono negoziare periodicamente tali negoziati”
(enfasi aggiunta).
40
I Rounds del GATT furono 8 e si svolsero negli anni 1947, 1949-1951, 1950-1951, 1955-1996, 1961-
1962 (Dillon Round), 1964-1967 (Kennedy Round), 1973-1979 (Tokyo Round), 1986-1994 (Uruguay
Round).
41
COMBA A., op. cit., p. 46.
42
Il dumping è l’introduzione dei prodotti di un paese sul mercato di un altro paese ad un prezzo inferiore
al loro valore normale (GATT, art. VI), v. infra, par. 6.
43
VENTURINI G., op. cit., p. 11.
44
COMBA A., op. cit., p. 47; ADINOLFI G., op. cit., p. 29.
16
equilibri economici e sociali. Queste aree implicavano spesso l’adozione di politiche
economiche protezionistiche verso l’esterno dell’area e quindi deroganti agli obblighi
assunti dai singoli Stati aderenti al GATT. Un altro fattore mutato rispetto al passato era
l’importanza crescente dei Paesi in via di Sviluppo (PVS) nelle relazioni economiche
internazionali. Il testo originale del GATT non prendeva infatti in considerazione che
l’arretratezza economica esistente nelle parti contraenti meno avanzate rendeva
necessario un trattamento diverso e meno rigido per queste ultime rispetto agli Stati più
avanzati. Sotto la spinta dei paesi in via di sviluppo venne quindi adottata nel 1964 la
Parte IV del GATT, che riconosceva il principio di non-reciprocità nelle concessioni
tariffarie ed altri vantaggi commerciali nelle relazioni tra paesi avanzati e paesi in via di
sviluppo e, durante il Tokyo Round, fu stabilito il principio del trattamento
preferenziale. Infine, diveniva sempre più rilevante il peso economico del commercio
internazionale di servizi e della circolazione dei diritti di proprietà intellettuale, che
tuttavia non godevano di una disciplina adeguata poiché erano esclusi dall’ambito di
competenza del GATT.
17
3 (segue) L’Uruguay round e la creazione dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio
Nel settembre 1986 iniziò a Punta del Este, in Uruguay, l’ultimo e più lungo round
(Uruguay round), durato fino al 1994
45
. I rappresentanti degli Stati convocati
compilarono un’agenda di discussione che copriva temi molto diversi tra loro: tra
questi, la parziale revisione del testo del GATT, la riforma di settori essenziali come
l’agricoltura ed i tessili e l’estensione del sistema a nuove aree quali i servizi e la
proprietà intellettuale. Fu stabilito inoltre un periodo di 4 anni per completare le
negoziazioni, a cui parteciparono 125 paesi.
I primi risultati ottenuti a metà di questo periodo furono presentati durante la
riunione di Montreal (Mid-Term Review Conference of the Uruguay Round) nel 1988,
che rese applicabili già dal maggio 1989 alcune riforme già concordate. Nel dicembre
del 1990 gli Stati, convocati a Bruxelles per porre fine ai negoziati, non trovarono
l’accordo sulla riforma del settore agricolo, sul quale Stati Uniti ed Unione Europea
avevano profonde divergenze. Affinché fosse trovata un’intesa su tutti temi in
discussione fu necessario negoziare ancora tre anni; peraltro, il ritardo permise di
introdurre nell’agenda materie non previste inizialmente. Tra queste, la principale è la
costituzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o World Trade
organization o WTO) nella sua forma attuale. Il 15 dicembre 1993 fu messo a punto
L’”Atto finale che incorpora i risultati dei negoziati commerciali multilaterali
dell’Uruguay Round”
46
, che fu firmato il 15 aprile 1994, durante la Conferenza
Ministeriale di Marrakesh (Marocco), da 111 degli Stati partecipanti alle negoziazioni e
che entrò in vigore il 1° gennaio 1995. Con questo documento è stata attuata la più
ampia opera di regolamentazione del commercio tra Stati mai realizzata
47
, intesa a
liberalizzare gli scambi anche nei settori dell’agricoltura, dei tessili, dei servizi e della
proprietà intellettuale.
45
CROOME J., Reshaping the world trading system: a history of the Uruguay round, Geneva, 1995.
46
Final Act Embodying the Results of the Uruguay Round of Multilateral Trade Negotiations, Marrakesh,
15 aprile 1994, in WTO, The legal texts: The results of the Uruguay round of Multilateral Trade
Negotiations, Geneva, 1999, di seguito ‘Atto Finale’. Tutti gli accordi in esame si possono consultare sul
sito www.wto.org.
47
PICONE P., LIGUSTRO A., op. cit., p. 24.
18
L’Atto Finale comprende una lunga serie di strumenti normativi
48
. Il primo è
l’accordo di Marrakesh istitutivo del WTO
49
, che comprende le norme che delineano la
struttura e regolano il funzionamento del WTO; seguono le “Decisioni e Dichiarazioni
dei Ministri”. Completano il testo sei allegati, che contengono discipline specifiche nei
singoli settori del commercio internazionale. Gli Accordi commerciali Multilaterali
50
sono vincolanti per tutti i membri dell’organizzazione
51
e sono contenuti nei primi
cinque allegati, dei quali i primi tre divisi per competenza tra scambi di merci (allegato
1A), di servizi (allegato 1B) e sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al
commercio (allegato 1C). Nei seguenti due allegati sono contenuti l’”Intesa sulle norme
e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie”
52
(allegato 2) ed il
“meccanismo di esame delle politiche commerciali”
53
(allegato 3). Infine, nell’allegato
4 sono presenti quattro Accordi commerciali plurilaterali, vincolanti solo per i membri
che li hanno accettati espressamente
54
.
48
WORLD TRADE ORGANIZATION, The WTO agreements series 1: Agreement establishing the
WTO, Geneva, 1998.
49
Agreement establishing the World Trade Organization, in WTO, The legal texts cit. (di seguito
‘Accordo istitutivo’).
50
Di seguito ‘Accordi WTO’.
51
L’art. II.2 dell’Accordo istitutivo prevede che “gli Accordi e gli strumenti giuridici ad essi attinenti di
cui agli allegati 1, 2, e 3 (in appresso denominati <<accordi commerciali multilaterali>>) costituiscono
parte integrante del presente accordo” (enfasi aggiunta). Gli accordi commerciali plurilaterali, contenuti
nell’allegato 4 fanno parte dell’Accordo di Marrakesh per i membri che li hanno accettati, ma non
comportano né obblighi né diritti per i membri che non li hanno accettati.
52
Understanding on rules and procedures governing the settlement of disputes, in WTO, The legal texts
cit. (di seguito ‘DSU’).
53
Trade policy review mechanism, in WTO, The legal texts cit.
54
Il Consiglio ha successivamente estinto 2 dei 4 accordi plurilaterali, al fine di integrare le materie da
essi disciplinate nella normativa generale prevista per il settore agricolo.