5
magistralmente decorata e tempestata di pietre preziose, gli uccelli allietano
il salotto di una dama, con il canto ne esaltano la bellezza, competono con
quella in grazia e leggiadria, restandone sovente sconfitti. Altrove, liberi di
volare in un giardino incantato sono al tempo stesso reclusi nella
macchinosa architettura del verso, galeotti su di un isola di natura artefatta.
A tali ingegnose speculazioni gli uccelli si prestano in maniera
ineccepibile proprio perché dotati di una doppia natura, al tempo stesso
terrena e celeste. L’eleganza e la magnificenza dei loro colori e la musicalità
del loro canto trovano la massima consacrazione nel sensualismo barocco,
ma per quanto reale appaia la grazia di queste creature tanto più essa si fa
inafferrabile. Il volo degli uccelli, secondo una concezione che affonda le
sue radici nella filosofia platonica, rappresenta l’ascensione dello spirito al
cielo. Liberi di spostarsi nell’aria essi si inoltrano nelle regioni eteree fino a
giungere al cospetto dello stesso Dio, divenendone il tramite con la Terra e
con gli uomini. Avvolti del simbolismo assegnatogli dal misticismo
cristiano di derivazione neoplatonica, nella poesia metafisica gli uccelli
perdono ogni residuo della loro essenza terrena; tutto ciò che resta di loro
sono le ali con cui si levano al cielo e il canto, per mezzo del quale
celebrano la gloria del Signore, caratteri che condividono con gli angeli,
anch’essi creature celesti, e con l’anima tendente a Dio.
Naturalismo, sensualismo, spiritualità: è difficile non mettere in
relazione la triplice natura che gli uccelli e la complessa simbologia ad essi
correlata assumono nelle diverse correnti della letteratura barocca con lo
schema platonico della triplex vita su cui meditava il Ficino e del quale
scriveva, secoli prima di lui, Fulgenzio, che nel definire i tre poli
dell’attività umana distingue tra vita «contemplativa», «activa» e
«voluptaria»
1
. Nell’illustrare i motivi ornitologici che figurano nella
letteratura barocca polacca è sembrato dunque lecito lasciarsi ispirare dalla
tripartizione neoplatonica e percorrere il tragitto che dal terreno porta al
1
M. Calvesi, Il mito dell’Egitto nel Rinascimento, Art Dossier n. 24. Firenze, 1988,
pag. 14.
6
divino, partecipando appieno del senso estetico dell’epoca e prendendo atto
di ognuna delle dimensioni e delle convenzioni attorno alle quali si
sviluppano, nei diversi generi letterari, le tematiche e la simbologia legate
agli uccelli, pur tuttavia ricordando che il presente lavoro, lungi dal
costituire un’analisi esauriente di ognuno dei generi facenti capo alla
letteratura barocca, si riserva piuttosto di prenderne in esame gli aspetti più
interessanti e significativi.
SCENE DI CACCIA E BANCHETTI IN POESIA E PROSA
Mężczyźni najwięcej bawili się polowaniem, które wszędzie każdemu
po cudzych kniejach tak wolne było jak po swoich własnych…
1
scrive
Jędrzej Kitowicz, nobile ecclesiastico dalla passata carriera militare, nella
sua Descrizione dei costumi sotto il regno di Augusto III. L’enorme
popolarità di cui quest’attività godeva tra i nobili polacchi affondava le
proprie radici nel rapporto tra lo szlachcic-ziemianin e la terra. A partire dal
XV secolo “la caccia era stata giuridicamente vincolata alla proprietà
fondiaria”
2
. Era un privilegio nobiliare e occupava una posizione
preminente tra le attività economiche della tenuta in quanto principale fonte
di sostentamento. “In altre parole se il nobile non era egli stesso un
cacciatore, il che costituiva piuttosto un’eccezione, doveva comunque
condurre nei propri possedimenti un’attività economica basata sulla
caccia”
3
. Appare eloquente in tal senso il suggerimento di Anzelm
Gostomski, autore del primo trattato di economia agricola scritto in Polonia,
Ekonomia abo gospodarstwo ziemiańskie (1588), in cui si legge: Pan który
chce dobrze żyć, ma mieć myśliwca na kuropatwę, cietrzewia, żurawia, gęś i
na inszego ptaka ku żywności należącego, bo tego rzadko na targu kupi.
4
Nulla di strano dunque che la letteratura dell’epoca riservasse ampio
spazio ad una pratica così rilevante non solo per le sue implicazioni
economiche, ma anche in quanto principale forma di divertimento della
classe nobiliare. Un divertimento che rispondeva a delle regole ben precise,
ispirate ad una sorta di codice cavalleresco che, attraverso l’esaltazione di
virtù quali l’astuzia, la forza, il coraggio, lo poneva sul piano ideologico al
medesimo livello della guerra, anch’essa una forma di predazione rivolta
1
J. Kitowicz, Opis obyczajów za panowania Augusta III. Warszawa, 1985 pag. 295.
2
W. Dynak, Łowy, łowcy i zwierzyna w przysłowiach polskich. Wrocław, 1993 pag. 217.
3
Ibid.
4
A. Gostomski, Ekonomia abo gospodarstwo ziemiańskie dla porządnego sprawowania
ludziom politycznym dziwnie pożyteczne, a cura di S. Inglot. Wrocław, 1959, pag. 108.
8
però alla cattura dell’«animale uomo»
5
. Si puntava perciò soprattutto alla
selvaggina di grossa taglia, perché il cacciatore potesse misurare le proprie
qualità in un duello che ne dimostrasse il valore in combattimento; si
cacciava a cavallo, con la muta di cani e, fatto che c’interessa più da vicino,
con i falchi. La caccia per mezzo di reti, trappole e altre insidie – dunque
anche l’uccellagione, che di siffatti accessori faceva ampio uso – era
considerata «sleale» e perciò lasciata ai giovani o alla servitù, come
sottolineano questi versi di Andrzej Zbylitowski:
Jarząbek, który w sidle na drzewie zostanie,
Kuropatwa nie jedna, co w sak dziany wnidzie:
Rzadko bez tego chłopek mój więc przyjdzie.
6
Jan Ostroróg, voivoda di Poznań, autore del trattato Myślistwo z
ogary, pubblicato nel 1618 e in seguito più volte ristampato, scrive a tal
proposito che …między innymi znaki wolności szlachty polskiej jest ten
jeden nie mniejszy, że szlachcicowi polskiemu myślistwa zażywać wsędzie,
gdzie chce, wolno; uczciwego jednak, nie zyskownego; ze psy i ptaki, nie z
sieciami i z sidłami, wyjąwszy puszcze i ostępy zwierza wielkiego.
7
La
visione qui proposta di una caccia “onesta e nobile” non è un’invenzione di
Ostroróg, né fa la sua comparsa per la prima volta nella Polonia del XVII
secolo. Al contrario essa è il riflesso di precise norme culturali e ideologiche
comuni alla classe nobiliare in ogni civiltà ed epoca, rispondenti ad un
modello eroico di cui troviamo già traccia nella letteratura della Grecia
antica: le Leggi platoniche ad esempio vietavano la caccia con reti e altre
insidie nelle ore notturne; la stessa uccellagione era interdetta, oltre che di
5
Cfr. Aristotele, Politica, a cura di R. Laurenti. Roma, Bari, 1993, pag. 16, fram. 1256a,
35 s.
6
A. Zbylitowski, Żywot szlachcica we wsi [in] Poezja i łowy. Antologia, a cura di W.
Dynak. Wrocław, 1994, pag. 77.
7
J. Ostroróg, Myślistwo z ogary, 1618 [cit. in] J. S. Bystroń, Dzieje obyczajów w dawnej
Polsce. Wiek XVI – XVII. Warszawa, 1976, vol. II, pag. 232.
9
notte, anche sui terreni coltivati, mentre nessuna restrizione era posta alla
caccia ai mammiferi praticata con l’ausilio di cani e cavalli
8
. Allo stesso
modo appare significativo che nel Cinegetico, celebre trattato sulla caccia
attribuito a Senofonte, non sia fatto alcun cenno all’uccellagione, che pure
già all’epoca costituiva un’attività “di rilievo tutt’altro che marginale, anche
sotto il profilo economico”
9
.
Di questi due modi di concepire la caccia, vale a dire come attività
ora ricreativa, ora produttiva, il primo era dunque considerato fin
dall’antichità il più nobile e il più «onesto», se non altro perché, negando al
cacciatore il vantaggio apportato dall’uso di reti e trappole, concedeva alla
preda una pur minima possibilità di difendersi. Non mancava tuttavia tra gli
esponenti della szlachta chi si dimostrava di tutt’altro avviso, dedicandosi
con passione a quelle pratiche venatorie tanto malviste da Ostroróg e dai
suoi più illustri predecessori. Tra queste, non ultima era proprio la caccia ai
volatili, un genere di occupazione che non solo era estremamente lucrosa,
ma che agli occhi di qualcuno poteva altresì rivelarsi un divertimento
altrettanto piacevole e altrettanto «onesto» che la caccia grossa. Di
quest’idea era ad esempio Stanisław Słupski, che nel poema Zabawy
orackie, una sorta di trattato in versi anch’esso dedicato alle attività
economiche della piccola nobiltà di campagna, indicava tra le attività da lui
considerate uczciwe, ucieszne i pożyteczne
10
anche la caccia agli uccelli
praticata con reti, con esche o alla pania, una sostanza appiccicosa ricavata
dalle bacche del vischio:
Kaczkę, kukułkę i grzywacza w lesie,
Też i wiewiórkę postrzeliwszy niesie.
Ptaszęta drobne siatkami przykryje,
8
Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale. Milano, 2000, pag. 1624. Leggi, 824A.
9
Senofonte, La caccia, a cura di A. Tessier e O. Longo. Venezia, 1991, pag. 10.
10
St. Słupski, Zabawy orackie [in] Staropolska poezja ziemiańska. Antologia, a cura di J. S.
Gruchała e St. Grzeszczuk. Warszawa, 1988, pag. 193.
10
Gdy hufcem lecą, czasem też pobije
Na lep, na sówkę abo gdzie u wody,
Gdy upragnione szukają ochłody.
11
Perfino un raffinato cortigiano come Jan Andrzej Morsztyn era in
grado di avvertire quella profonda attrazione che la terra esercitava su ogni
nobile polacco. Nella lirica Wiejski Żywot il poeta, messi da parte gli intrighi
diplomatici, il lusso della corte, la confusione della capitale, prende per
mano la sua Jaga per condurla in campagna, luogo in cui l’artificio letterario
di una remota e idillica età dell’oro si fonde con un’autentica descrizione
della vita rurale e delle occupazioni che ne scandiscono il ritmo, tra le quali
non ultima è la caccia agli uccelli:
Ten tłuste tłucze kobusem przepiorki,
Ten na lep albo w powikłane motki
Łowi czeczotki;
12
Come non ricordare poi Matheusz Cygański, il cui trattato Myślistwo
ptasze si conclude con un appello rivolto ai lettori in cui si dice
dell’uccellagione che …to są zawsze uczciwe zabawy.
13
Pubblicato per la prima volta a Cracovia nel 1584 per i tipi di Jakob
Siebeneicher e apparso successivamente a Raków in edizione anonima
attorno alla metà del secolo successivo, Myślistwo ptasze godette a lungo di
una vasta notorietà, non certo dovuta alle doti letterarie del suo autore, il
quale del resto confessa apertamente ai lettori di non possedere una buona
istruzione (Ja nie umiem pisma żadnego
14
, scrive), quanto alla duplice
natura dell’opera, a un tempo manuale di uccellagione e trattato di
11
Ibid.
12
J. A. Morsztyn, Wybór poezji, a cura di W. Weintraub. Wrocław, 1988, pag. 17.
13
M. Cygański, Myślistwo ptasze [in] O myślistwie, koniach i psach łowczych książek
pięcioro z lat 1584 – 1690, a cura di J. Rostafiński. Kraków, 1914, pag. 338.
14
Ibid., pag. 337.
11
ornitologia. Sono qui elencate infatti, per la prima volta nella storia della
letteratura polacca, tutte le specie allora conosciute di uccelli nidificanti,
svernanti o semplicemente di passo nel territorio della Rzeczpospolita
Obojga Narodów. Nel capitoletto in appendice al trattato, che prende il
titolo di Opisanie narodów ptaszych i jakiego który pióra trovano posto ben
centoquarantaquattro specie di uccelli – se si escludono le tre specie di
pipistrelli annoverate tra questi – elencate in ordine alfabetico e descritte in
base alla colorazione del piumaggio. Non si tratta però di una vera e propria
classificazione sistematica delle specie nel senso moderno del termine, bensì
di un ordinamento basato su criteri di carattere pratico. Né Cygański sembra
volersi avvalere dell’autorità di Aristotele o di Plinio, che pure avevano
compiuto un tentativo in tal senso nei loro trattati di storia naturale (si veda
ad esempio la classificazione proposta da Plinio nella Naturalis Historia
basata su forma e funzione delle zampe e del becco
15
). Tutto ciò non
stupisce affatto se si guardano le cose dal punto di vista di Cygański, non un
naturalista bensì un cacciatore, per il quale il regno animale si divide
esclusivamente in predatori e prede. L’unico tentativo di classificare le
specie enumerate in Myślistwo ptasze può essere individuato esclusivamente
in tale contesto. E’ significativo a tal proposito il fatto che l’ordine dei
falconiformi costituisca un gruppo a sé stante, una scelta che appare
condizionata dal ruolo svolto da questi uccelli nell’ambito delle attività
venatorie in quanto strumento e non oggetto di caccia; una scelta in cui è
inoltre possibile cogliere senza difficoltà una sfumatura di carattere
ideologico: non a caso, infatti, la trattazione si apre con l’aquila, re degli
uccelli, nonché stemma della Rzeczpospolita e simbolo della corona
polacca, seguita dalla sua piccola «corte» costituita dai quattro falchi più
nobili (ossia i più apprezzati in falconeria), sistemati secondo una scala
gerarchica che va dal più grande al più piccolo. Essi sono il sacro (raróg), il
15
Plinio Gaio Secondo, Storia naturale (Plinii Naturalis Historia) vol. II, Pisa, 1985,
pag. 394, X, 13.
12
pellegrino (sokół), l’astore (jastrząb), e lo sparviero (krogulec). Cygański
applica un criterio simile anche alle prede, di cui sceglie quattro specie tra le
più difficili da cacciare, come nel caso del gallo cedrone – definito zakonnik
leśny
16
a causa delle sue abitudini riservate – e dell’otarda
17
, o tra quelle il
cui commercio era più redditizio, come la gru e il cigno. Quattro predatori e
quattro prede tra cui Cygański instaura una corrispondenza perfettamente
simmetrica. Simmetria che però è speculare, poiché per gli uccelli fatti
oggetto di caccia la scala gerarchica procede in senso inverso, dal più
piccolo al più grande. Tutte le altre specie di cui si parla in Myślistwo ptasze
sono disposte in ordine alfabetico. Ognuna è introdotta da un breve
componimento in versi che ne illustra le principali caratteristiche fisiche e
comportamentali, cui fa seguito la trattazione vera e propria, scritta in prosa,
in cui sia l’uccellatore esperto, sia il neofita potevano trovare utili e pratici
consigli su quale fosse il miglior sistema per catturare la specie in questione
e quali profitti se ne potessero trarre. L’uccellagione non era dunque
un’attività finalizzata esclusivamente all’acquisizione di cibo. Molti piccoli
uccelli ad esempio venivano catturati vivi per poi finire in gabbia, sia che
fossero destinati a servire da esca nella caccia ai rapaci, sia che fossero
tenuti in casa perché allietassero i suoi abitanti con il canto. A tal riguardo
nessun altro uccello godeva di tanta considerazione quanto l’usignolo.
Perché questi uccelli sviluppassero al meglio le proprie virtù canore era
preferibile catturarli prima che iniziasse la stagione riproduttiva, vale a dire
prima che cominciassero a cantare. Tali metodi erano già noti fin
dall’antichità. Nel De natura animalium di Claudio Eliano si legge ad
esempio che “L’usignolo a quanto sembra ama fortemente la libertà e per
questo motivo, quando un soggetto già adulto viene catturato e rinchiuso in
una gabbia, si astiene dal cantare e si vendica col silenzio della prigionia che
gli ha imposto l’uccellatore. Perciò gli uomini esperti lasciano liberi gli
16
M. Cygański, Op. cit., pag. 337.
17
Così Cygański a proposito dell’otarda: “Trudne myślistwo koło tego ptaka” (Ibid.
pag. 215).
13
usignoli già vecchi e cercano di catturare quelli giovani”
18
. Ecco invece cosa
consiglia Cygański: Dostaniesz go też i kiedy śpiewa: ale już to nie tak
dobry, jako ten, co jeszcze nie śpiewa. […] a masz go zaszyć w klatce,
chceśli, żeby śpiewał.
19
Un’ulteriore fonte di guadagno per l’uccellatore era costituita dalle
piume, uno degli ornamenti più apprezzati dalla szlachta. “Detto tra
parentesi – scrive S. Kłosiewicz – l’abito del nobile polacco con
l’ornitologia aveva molto in comune…”
20
: penne e piume di uccelli rapaci,
di gru e di ogni specie di airone facevano bella mostra di sé sui copricapi dei
nobili. Il pragmatico Cygański non si lascia sfuggire l’occasione per
ricordare quanto potesse essere redditizia da questo punto di vista la caccia
agli aironi bianchi: Spytasz mię, co mi po niej? a to weźmiesz za pierze, gdy
starej dostaniesz, dwa talery albo więcej, a mięso sam zjedz, bo się im nie
strujesz.
21
Anche la gru, a quel tempo comunissima e addirittura allevata nei
possedimenti dei nobili più ricchi, forniva in abbondanza pierze za czapkę, a
mięso do stołu.
22
Al contrario allevare un’aquila non era di certo una delle
attività più comuni, ma l’autore di Myślistwo ptasze assicura invece che ne
vale la pena: Zgodzi się też chować go w koszu dla pierza, bo wypędzi dwoje
albo troje pierze do roku
23
, penne che a detta di Cygański potevano rivelarsi
utilissime …strzelnikom do strzał albo usarzowi do konia albo do tarczy.
24
E’ infatti cosa risaputa che gli ussari polacchi usassero adornare sé stessi e i
propri cavalli con penne d’aquila, di cicogna, di gru e perfino di tacchino.
Queste venivano montate su un’intelaiatura in legno fissata alla schiena dei
cavalieri, i quali si ritrovavano muniti di vere e proprie ali che dovevano dar
loro un aspetto impressionante agli occhi del nemico, trasformandoli in un
18
Claudio Eliano, La natura degli animali, introduz., traduz. e note di F. Maspero. Milano,
1998, pag. 205, III, 40.
19
M. Cygański, Op. cit., pag. 317.
20
S. Kłosiewicz, Ptaki święte, przeklęte i inne. Warszawa, 1998, pag. 20.
21
M. Cygański, Op. cit., pag. 221.
22
Ibid., pag. 216.
23
Ibid., pag. 210.
24
Ibid.
14
esercito di angeli levatisi a difesa della fede cristiana, un particolare di non
poco conto considerata l’importanza assunta dalle forze polacche nel corso
della guerra contro l’espansionismo ottomano in Europa.
In tale contesto non sorprende il fatto che l’uccellagione e più in
generale la caccia come attività produttiva fossero tenute in gran
considerazione dalla piccola nobiltà di campagna, per la quale queste
occupazioni erano imprescindibili dai benefici economici che ne
derivavano. Il passatempo preferito della nobiltà polacca nell’ambito delle
attività venatorie era ad ogni modo la falconeria. Questa tecnica di caccia è
antichissima e ha probabilmente origini asiatiche. Claudio Eliano ne attesta
l’uso presso i Traci, come si legge in De natura animalium: “Mi viene
riferito che nella Tracia essi [i falchi] collaborano con l’uomo nella caccia
agli animali di palude. Ecco in che modo. Dopo che gli uomini hanno
dispiegato le reti se ne stanno calmi in attesa; allora i falchi si levano a volo
sopra gli uccelli, li spaventano e li cacciano nelle maglie delle reti”
25
. In
Europa tuttavia, questa pratica giunse soltanto in età feudale, diffusa dagli
arabi e dai mongoli. Impressionante è la descrizione delle cacce del Gran
Khan Khubilai lasciataci da Marco Polo nel Milione: “E mena con seco
bene diecimila falconieri, e porta bene cinquecento girfalchi e falconi
pellegrini e falconi sagri in grande abondanza; ancora porta grande quantità
d’astori per uccellare in riviera. E non crediate che tutti gli tenga insieme;
ma l’uno istà qua e l’altro là, a cento e a dugento, e a più e a meno: e questi
uccellano, e la maggiore parte ch’egli prendono danno al Signore”
26
. Con
molta probabilità la falconeria giunse in Polonia proprio attraverso le
popolazioni mongoliche attorno al secolo X o XI, diffondendosi
rapidamente a corte e nelle tenute nobiliari. Tuttavia anche tra i nobili erano
pochi coloro che potevano permettersi di possedere un falcone, a causa
dell’elevato costo di questi animali. La szlachta dalle più modeste
25
Claudio Eliano, Op. cit., pag. 151, III, 42.
26
Marco Polo, Il Milione, a cura di E. Camesasca. Novara, 1965, pag. 171.
15
possibilità finanziarie preferiva piuttosto allevare l’astore, con il quale
poteva cacciare quaglie, allodole, starne e francolini. Soltanto i magnati e i
sovrani potevano dedicarsi alla caccia con i falchi più grandi e ricercati,
come il girfalco e il sacro, adatti a catturare prede di maggiori dimensioni
come le gru. I monarchi polacchi delle dinastie dei Piast e degli Jagielloni,
nonché i sovrani elettivi, usavano lanciare il falco contro gli aironi. Questa
pratica offriva ai cacciatori l’indimenticabile spettacolo di un duello nel
cielo tra predatore e preda, che però non di rado si concludeva malamente
per il primo, in quanto l’airone si girava sul dorso e si difendeva dagli
attacchi del falco cercando di colpirlo con il lungo e affilato becco. Si
trattava dunque di un abitudine estremamente costosa, impensabile per gli
esponenti della piccola e media nobiltà, i quali preferivano impiegare i
falchi nella più sicura e redditizia caccia a quaglie e pernici.
Le battute di caccia fornivano gran parte del cibo consumato nei
fastosi banchetti che si tenevano in ogni abitazione signorile. I giorni in cui
non vi erano ospiti a pranzo erano rari, si consumava perciò un’enorme
quantità e varietà di selvaggina, di cui gli uccelli costituivano una parte
cospicua. Un resoconto di come questi banchetti si svolgevano si trova in
Opis obyczajów za panowania Augusta III del già citato Jędrzej Kitowicz.
In tavola venivano serviti …kury, kurczęta, gęsi rumiano, indyki, kapłony,
bażanty, […] przepiórki, kuropatwy, kaczki dzikie, ciećwierze, ptaszki
drobne, pasztety, pardwy na Rusi…
27
preparati na sucho całkowicie albo też
jakim sosem podlane.
28
Molto apprezzate erano le carni del francolino, che
Cygański definisce pański ptak […] rozkoszny każdemu
29
, e della
pavoncella, il cui sapore era giudicato tanto dilettevole al gusto da trovare
posto nel proverbio Kto nie jadł czajczyny, ten nie jadł zwierzyny. L’arte
culinaria per nulla si discostava dallo spirito dell’epoca e da
quell’onnipresente regola, propria del gusto barocco, di voler stupire ad ogni
27
J. Kitowicz, Op. cit., pag. 227.
28
Ibid.
29
M. Cygański, Op. cit., pag. 242.
16
costo. Ed ecco che al centro della tavola trovavano posto enormi vassoi
contenenti …indyki, gęsi, kapłony, kurczęta, kuropatwy, bekasy; im wyżej
tym coraz mniejsze ptastwo
30
, sovrapposti uno sull’altro, dal più grande al
più piccolo, a formare enormi piramidi composte delle carni più disparate,
quasi a voler contendere agli «alberi della cuccagna» che nello stesso
periodo venivano eretti nelle piazze di tutta Europa in occasione di feste e
celebrazioni, il primato del sorprendente e dell’effimero; ecco che le ali, le
zampe, le penne, si univano insieme a formare creature fantastiche do
stworzenia boskiego niepodobne
31
; si servivano uccelli svuotati delle
interiora e poi imbottiti lasciandone intatte la pelle e le piume in modo che
sembrassero vivi, come testimoniano questi versi di W. Kochowski:
Tu bażant, choć zabity, swe rozpościera
Skrzydła i na nich umiera.
32
Con il passare del tempo la cucina si fa ancora più raffinata: si
chiamano cuochi francesi, si importano nuovi cibi dalla Francia e dall’Italia;
è una vera e propria rivoluzione delle forme e dei sapori, radicale a tal punto
che Zbigniew Morsztyn, accanito difensore delle antiche tradizioni, ironizza
così sulle nuove portate che tanto vanno di moda:
Kuropatwa pod wiechcie, wroni nos z powidłem,
Sroczy ogon z bocianim przypiekany skrzydłem,
Niedoperze duszone i sowie frykasy,
Krecie sadło spuszczone pięknie dla okrasy.
Wróble jajca pieczone, chrząszcze do podlewy,
Z octem, z pieprzem, z cebulą krążane cholewy
30
J. Kitowicz, Op. cit., pag. 227.
31
Ibid.
32
W. Kochowski, Utwory poetyckie, a cura di M. Eustakiewicz. Wrocław, 1991, pag. 136.
17
[…]
Wilcze zęby na wety, jastrzębie pazury
I gołębiego mleka tureckie farfury.
33
D’ altronde non è questa l’unica occasione in cui Z. Morsztyn
manifesta la propria avversione per le novità. In Dobra myśl ochotnego
gospodarza afferma chiaramente di preferire …kurcząt, gęsi dosyć i
kapłonów
34
alle specialità importate dall’Italia: Jam nie Włoch, – scrive –
zatym mało o kapary stoję, / Limonijej nie pragnę, oliwek się boję.
35
Tutto
ciò sta ancora una volta a sottolineare quanto forte fosse il legame che univa
lo szlachcic alla terra, alle tradizioni della propria casa, a quello stato di
tranquillità interiore che egli ritrovava solo nella propria tenuta in
campagna, lontano dai tumulti della città e della corte.
Non manca, a dire il vero, chi cerca di trovare un equilibrio tra il
passato e il presente, tra la tradizione e l’innovazione: è il caso del binomio
«gioventù – vecchiaia» che ritroviamo nell’opera poetica di Wespazjan
Kochowski, nel suo tentativo di riconoscere alla nobile gioventù polacca il
diritto di divertirsi, pur non venendo meno agli obblighi previsti dalla
propria posizione sociale. Eppure l’esperienza e il buon senso gli
suggeriscono che non è lecito oltrepassare certi limiti, perché mentre la
szlachta cede ai fasti e agli ozii di un tenore di vita sempre più raffinato, la
Polonia va in rovina e si prepara a subire una serie di disfatte che di lì a un
secolo la porteranno all’annientamento e alla cancellazione dalla carta
d’Europa. Così, in quel calderone di forme poetiche che vanno dal canto
all’epigramma e alla fraszka che prende il titolo di Niepróżnujące
próżnowanie (l’ozio non ozioso), Kochowski si scaglia contro l’ozio
improduttivo, fine a se stesso, che distoglie lo szlachcic dai suoi doveri
33
Z. Morsztyn, Wybór wierszy, a cura di J. Pelc. Kraków, 1975, pag. 268.
34
Z. Morsztyn, Dobra myśl ochotnego gospodarza [in] Staropolska poezja ziemiańska.
Op. cit., pag. 232.
35
Ibid.
18
verso il re e la patria. Non più la lotta e il fragore delle armi, bensì le danze
e i banchetti regolavano la vita del nobile nella sua tenuta. E quanto onerosi
dovevano essere i costi di tali svaghi se nella poesia Na nieporównany
zbytek bańkietów polskich Kochowski poteva affermare che …Polski nie
gubi nic jak bańkiety.
36
Lo szlachcic non si accontenta più della selvaggina
che si procura con le battute di caccia, né gli bastano più i frutti della terra.
Al loro posto subentrano pietanze sempre più raffinate e, com’è ovvio,
costose, nel cui novero troviamo ad esempio il fagiano:
By rozmarnować zbiorów dziadowskich fanty,
Niech przecię będą bażanty.
37
Detto tra parentesi è cosa a dir poco curiosa che quest’uccello,
introdotto in Europa già tra il II e il III secolo d.C. per scopi venatori, fosse
preda così rara e ambita proprio in quella Polonia che il noto poeta
rinascimentale francese Regnard aveva definito le plus beau pays de chasse
qui J’ai jamais vu.
38
A volerne poi sottolineare maggiormente la novità ecco
ancora questi versi scaturiti dalla penna di Z. Morsztyn:
Proszę i na dziczyznę, nowina w tym kraju
Taki bażant, wiem, że się nie lęże w tym gaju.
39
Per la stessa ragione Cygański non ne fa menzione in Myślistwo
ptasze, se non nell’elenco delle specie in appendice al trattato.
E’ contro tali raffinatezze che si scaglia il moralista Kochowski,
contro un’ostentazione di ricchezza che spingeva lo szlachcic a vivere al di
sopra dei propri mezzi e che si manifestava soprattutto in quei częste
36
W. Kochowski, Op. cit., pag. 135.
37
Ibid.
38
J. S. Bystroń, Op. cit., vol. II, pag. 231.
39
Z. Morsztyn, Op. cit., pag. 232.