propongono iniziative volte a motivare i collaboratori in tempi rapidi con tecniche
innovative (o presunte tali), meeting e consulenze “su misura” per incrementare
gli utili mediante il miglioramento della motivazione dei dipendenti e così via. La
maggior parte di queste attività ignora completamente che la psicologia si sta
occupando di motivazione in modo rigoroso fin dagli inizi del Novecento.
Quanto detto ci presenta una situazione particolare: da un lato vi è un forte
bisogno di intervenire sulla motivazione delle persone, espresso in particolare
dalle organizzazioni; dall'altro vi è invece una molteplicità di ricerche condotte
sulla tematica, che non sono purtroppo sufficientemente conosciute dai non
addetti ai lavori.
La struttura del presente elaborato è volutamente articolata in due parti che
seguono un'impostazione espositiva differente. Come il lettore avrà modo di
notare, nella prima sezione, di carattere introduttivo all'argomento, si cercherà di
compiere una panoramica per quanto possibile esaustiva delle teorie sulla
motivazione che si sono susseguite fino all'inizio del nuovo secolo. In quest'ottica
si esamineranno i principali orientamenti teorici cercando sempre di individuarne
gli aspetti che possono risultare più importanti nell'ambito della psicologia del
lavoro. In questo modo il lettore potrà operare un confronto diretto su quelli che
sono i punti di forza e di debolezza delle teorie analizzate senza dover
necessariamente uscire dall'ambito di pertinenza di questo lavoro.
Sempre in questa parte della tesi si approfondirà quello che, secondo l'autore, è
l'approccio più efficace che ad oggi possa essere sfruttato nell'ambito della
psicologia del lavoro e delle organizzazioni, ossia il metodo comportamentista. Ne
verranno considerati i punti di forza e di debolezza, le possibilità operative e la
complementarietà con altri tipi di intervento.
Nella seconda parte del lavoro si entrerà nello specifico degli interventi
applicati a realtà aziendali di diverso tipo. Pur mantenendo un livello espositivo di
tipo discorsivo, il lettore noterà un cambio di registro verso un tecnicismo più
marcato rispetto alla prima parte della tesi. Questo è, del resto, una conseguenza
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inevitabile per chiunque intenda approfondire un argomento che non è di
esclusiva competenza della Psicologia, bensì condivide buona parte del suo
impianto teorico con discipline di taglio decisamente più tecnico quali
l'Economia, la Gestione d'impresa e il Management aziendale. Non è un caso che
l'approccio comportamentista sia stato (ed è tuttora) considerato uno dei più
efficaci da queste discipline. Il rigore che propone nei propri protocolli, il
continuo rimando al metodo scientifico e l'assoluta trasparenza dei risultati
coincidono con le caratteristiche che qualsiasi manager oggi pretende per la
gestione efficace del proprio lavoro.
Infine verranno presentati dei dati tratti da alcuni casi reali e da pubblicazioni
di diverso genere. Con questi ci si pone lo scopo di offrire al lettore un'idea di
cosa significhi tradurre la mole di concetti teorici oggi a nostra disposizione in
interventi concreti nelle più differenti realtà organizzative. Tramite un attento
commento dell'autore si cercherà inoltre di far emergere i punti di forza e di
debolezza degli esempi riportati, per capire ciò che effettivamente può rivelarsi o
meno efficace.
Con le conclusioni si riassumerà quanto emerso nell'intero lavoro proponendo
spunti per possibili lavori futuri e spostando l'attenzione sull'etica che dovrebbe
stare alla base di ogni nostro intervento.
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2. La motivazione
2.1. Introduzione
Quante volte ci è capitato di affermare che una persona è molto motivata o, al
contrario, non lo è per nulla? Quante volte, svolgendo magari controvoglia una
certa attività, ci siamo posti degli interrogativi sulla nostra reale motivazione? E
ancora, quando tutto pare fluire in maniera assolutamente naturale e spontanea,
non ci poniamo forse la domanda se la riuscita sia il frutto del piacere nel
svolgerla oppure viceversa?
Risulta evidente che tutti si saranno spesso interrogati, nel corso del tempo,
sulla natura di ciò che l'individuo vive come una forza interiore che lo spinge a
preferire o a evitare, nella misura del possibile, alcune situazioni piuttosto che
altre.
Dai grandi pensatori greci fino a Kant la filosofia parla della motivazione come
appetito o volizione, ossia come fenomeno interno all'individuo; la psicologia di
inizio Novecento ha mantenuto pressoché la stessa impostazione, cercando però di
investigare la natura di tale forza con metodi più rigorosi di quelli fino a quel
momento utilizzati dalla filosofia. Il metodo consisteva nell'introspezione, ossia
nell'autoanalisi, da parte dell'individuo, dei fenomeni psicologici che lo vedono
protagonista. Tuttavia, già McDougall, che può essere considerato il primo autore
a proporre una teoria della motivazione degna di nota, non si limita a questo, ma
cerca di porre in relazione i risultati di questo procedimento con i comportamenti
poi messi in atto effettivamente dai soggetti, rilevati ad esempio mediante
l'osservazione. Da allora fino ai giorni attuali sono stati innumerevoli i tentativi di
spiegare, tramite teorie più o meno scientifiche, cosa sia la motivazione e come
poterla utilizzare negli ambiti più svariati.
Attualmente si è giunti a una definizione generalmente condivisa che definisce
la motivazione come:
“Insieme di fattori o motivi che stanno alla base del
comportamento, lo sollecitano e lo orientano in determinate
direzioni” (Palumbo, 1996).
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Volendo applicare questo concetto all'ambito di nostro interesse, ossia la
psicologia del lavoro e delle organizzazioni, possiamo ampliare la precedente
definizione arrivando a descrivere la motivazione come
“L'insieme di bisogni e di aspettative di un individuo che
sollecitano, guidano e selezionano i suoi comportamenti.
Permette la messa in moto, che trasforma un insieme di
capacità, esperienze finalizzate e conoscenze in competenze
applicate. Come processo di azione presiede al collegamento tra
l'ambiente e il nucleo soggettivo della persona, costituito
dall'immagine di sé ed espresso attraverso il processo di vita”
(Levati).
Sulla base di queste definizioni non è difficile notare come l'ambiente
lavorativo possa costituire forse il più importante ambito in cui una persona può
mettere efficacemente le proprie capacità in rapporto con il suo ambiente. Da ciò
si deduce come il lavoro possa quindi diventare l'interesse principale di una vita e
come tale centralità possa assumere una valenza positiva o negativa anche in base
ai fattori motivazionali che ne stanno alla base.
Da quanto espresso nella definizione di Levati, emerge anche come la
motivazione funga da catalizzatore nel passaggio cruciale tra capacità e
competenze. Senza volere entrare nell'analisi di quanto sia importante il concetto
di competenza per la psicologia del lavoro, è importante sottolineare come il
fattore motivazione non entri direttamente nella composizione delle stesse (a
livello di fattore costitutivo) ma tuttavia senza di esso la competenza non possa
comunque realizzarsi. Ne consegue che la motivazione non deve essere confusa
con un particolare tipo di attributo della persona, bensì costituisce l'elemento che
permette la messa in moto del meccanismo che trasforma tali attributi in
competenze.
Affermare il carattere costruttivo (e non costitutivo) della motivazione significa
innanzi tutto ricondurla all'ambito soggettivo dell'individuo. In quest'ottica,
quindi, la motivazione può essere considerata come una sorta di fattore della
personalità che può essere rilevato con opportuni strumenti, ma su cui non si può
sostanzialmente agire. Ne deriva che le persone o sono motivate per natura o non
è possibile motivarle, il che comporterebbe non irrilevanti problemi di gestione.
Questa affermazione, probabilmente, metterebbe in allarme qualsiasi responsabile
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delle risorse umane di un'azienda, ma se da un lato ciò è praticamente un dato di
fatto, dall'altro fortunatamente sappiamo che è comunque quasi sempre possibile
agire sull'ambiente di lavoro in modo che sia quest'ultimo a favorire e sostenere
una forte motivazione da parte degli individui che vi operano (ma questo
argomento sarà estesamente trattato nella seconda parte del lavoro).
Ora è il momento di fare un passo indietro e tracciare una panoramica delle
teorie che si sono susseguite fino ad oggi in materia di motivazione. Uno sguardo
allo sviluppo storico di tale concetto è senza dubbio necessario per poter
comprendere una serie di concetti che verranno esposti in seguito.
2.2. Dalle origini ad oggi
Nel corso dei secoli la motivazione è stata affrontata in modi e con significati
diversi dai vari autori che se ne sono occupati, ma una linea di demarcazione
balza agli occhi immediatamente. Essa coincide all'incirca con l'inizio del
Novecento, ossia con il momento in cui la psicologia si stacca dalla filosofia e
diviene scienza autonoma.
Prima di questa svolta il concetto di motivazione può essere ritrovato, sotto
forma di desiderio o impulso, già nell'antica filosofia greca; esso è presente ad
esempio nel mito dei due cavalli del Fedro di Platone, mentre Aristotele nel De
Anima definisce l'appetizione come il fattore che, assieme all'intelletto pratico, fa
muovere l'essere umano sulla base della percezione. Più tardi, nel Medioevo,
Agostino distingue tra volontà razionale e resistenza messa in atto dagli istinti.
“L'anima impartisce ordini al corpo, ed è obbedita seduta
stante. L'anima impartisce ordini a se stessa, e urta contro
resistenze. L'anima dà ordine alla mano di muoversi, e
l'operazione è tanto facile che a malapena si può distinguere
l'ordine dalla sua esecuzione. Eppure l'anima è l'anima, e la
mano è il corpo.” (Sant'Agostino, Confessioni, VIII, 9, 1996, p.
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Nel 1600 gli impulsi, intesi sia come desiderio che come sforzo, vengono citati
da Cartesio come i responsabili del comportamento. L'impulso ci fa avere certi
sentimenti e ci fa essere pronti a mettere in atto determinati comportamenti.
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