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Introduzione
L'idea di affrontare l'argomento della morte e dei rituali funebri nasce un paio di
anni fa in seguito ad un viaggio intrapreso con mio padre in Sardegna, sua terra di
origine. In quell'occasione, colloquiando con dei cugini, venni a conoscenza della
figura misteriosa e leggendaria della femmina accabadora, una donna che in ogni
paese della sardegna si occupava di porre fine alla vita delle persone sofferenti per le
quali non vi era più possibilità di guarigione praticando una sorta di eutanasia. In
quei giorni, incuriosito dall'argomento decisi di visitare il museo etnografico
“Galluras” presso il comune di Luras dove è esposto il martello che veniva usato
dall'accabadora. Questa spesso si sovrapponeva con la figura della levatrice. Donna
quindi che aiutava a nascere ed a morire.
Negli ultimi anni l'opinione pubblica si è divisa sul tema dell’eutanasia tra chi la
ritiene una soluzione dignitosa per porre fine alle sofferenze dei malati terminali e
chi invece la ritiene incivile ed immorale. La tendenza generale sembra andare verso
la legalizzazione dell’eutanasia perlomeno passiva e del suicidio assistito. Le
posizioni contrarie vengono sostenute in gran parte dai cosiddetti partiti conservatori
e questo può far sorridere se si pensa che probabilmente, già molti secoli fa, proprio
in Italia, in sardegna, l’eutanasia attiva era praticata, accettata e richiesta dalla gran
parte della popolazione. Certamente bisogna considerare che in quel periodo, in
quell’area geografica, in fondo, non c’erano molte altre alternative. Il lavoro
coinvolgeva tutti i membri della famiglia tutto il giorno e, ad esclusione delle
persone benestanti, non c’era la possibilità di accudire dei malati in casa, soprattutto
quando venivano considerati al termine della propria vita per motivi anagrafici o
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senza possibilità di guarigione. La società attuale tende a nascondere la morte. In
molti mi hanno chiesto, conoscendo l’argomento di questa tesi, “come mai hai
deciso proprio di parlare di morte e riti funebri?” Inizialmente devo ammettere
questa domanda mi procurava un po’ di disagio. Le persone che non mi
conoscevano soprattutto, mi scrutavano per cercare di capire se fossi una persona
normale oppure un maniaco. Io penso che in fondo la morte non è altro che una fase
della vita stessa. Certo può far paura, ma non è una malattia contagiosa che bisogna
cercare di evitare o nascondere.
L'obiettivo di questo lavoro è di analizzare come la morte viene affrontata dalle
varie comunità e la funzione sociale dei rituali funebri e del lutto. In particolar modo
mi sono soffermato sulla ricerca delle tradizioni popolari sarde al fine di riportare
alla luce pratiche e tradizioni ormai perdute ed in parte dimenticate. Non è stato
facile affrontare lo studio di quest'argomento per la carenza di informazioni e fonti
spesso contraddittorie ma, nonostante questo, l'interesse di alcuni amici mi ha spinto
ad approfondire con maggior cura ed attenzione il tema in questione. Molto utile è
stato il materiale fornito dal sito Sardegna DigitalLibrary, archivio digitale della
Regione Sardegna che accoglie video, immagini, interviste e testi rendendoli
liberamente consultabili.
Nel primo capitolo dopo un breve excursus storico sui vari rituali funebri
dall'antichità ad oggi, ho cercato di fornire gli strumenti per un analisi sociologica
dell'argomento interpellando i principali autori che si sono occupati del tema della
morte. I maggiori contributi teorici dai quali sono partito per quest'analisi sono
quelli dell'etno-sociologia francese che cercò di cogliere dietro i fenomeni sociali le
ragioni del loro accadere. Robert Hertz e Arnold Van Gennep furono tra i primi ad
analizzare i rituali funebri secondo l'ottica funzionalistica della coesione sociale e
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rimangono ancora oggi le principali fonti alle quali attingere per cercare di spiegare
la funzione di certe superstizioni e rituali nelle società antiche e moderne.
Il secondo capitolo contiene un accenno alla società dei vivi, ossia i rapporti sociali,
la struttura famigliare sarda e come queste influenzano e sono influenzate dalle altre
istituzioni con cui sono venute in contatto.
Il terzo e più voluminoso capitolo contiene le leggende, le tradizioni, le superstizioni
ed i rituali legati alla morte in Sardegna e si conclude con un capitolo sul tema del
suicidio rituale, dell'eutanasia e dell'accabadora. Lo scopo è stato quello di riordinare
le fonti sul tema per cercare di distinguere la realtà dalla leggenda e collocare la
questione in un preciso spazio temporale. Il quarto ed ultimo capitolo contiene
considerazioni di alcuni sociologi contemporanei e riflessioni personali sul tema
della deritualizzazione e il valore del rituale nella società moderna.
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1 - Morte, lutto e riti funebri
In tutte le società umane, quando una persona muore, famiglia e amici rispondono in
maniera strutturata alla morte. Gli orientamenti culturali determinano il trattamento
del corpo e prevedono un periodo di lutto per i parenti stretti. I rituali della morte,
come gran parte del comportamento umano, sono espressione della cultura acquisita,
di atteggiamenti, valori e ideali tramandati nei secoli, che un individuo apprende
come membro di una data società.
L'analisi delle pratiche mortuarie fornisce molti dati sul comportamento dei parenti e
della comunità; spiega la nozione di divinità, anima, streghe, spiriti e vita dopo la
morte, consente l'accesso al loro sistema di credenze e valori e alle loro concezioni
del mondo sociale e morale.
In questa introduzione verranno esaminate varie opere:
“I Riti di Passaggio” di Arnold Van Gennep
1
, e "Sulla Rappresentazione collettiva
della Morte", di Robert Hertz
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. Hertz descrive minuziosamente i rituali dei Dayak
del Borneo trovando una relazione tra il corpo e l’anima che da senso ai loro rituali
di morte. Van Gennep invece considera la morte come una delle crisi nel ciclo della
vita che richiedono l'osservanza di rituali. Il rituale funebre in questo caso può
essere visto come una transizione che inizia con la separazione del morto dal mondo
dei vivi e la sua incorporazione nel mondo dei morti.
Il rituale è un comportamento, è "religione in azione"
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. Può essere privato e
personale oppure sociale.
Un paziente che prega per avere la forza di sopportare la malattia e il soldato che
prega per salvarsi durante un bombardamento sono esempi di rituale solitario.
1 Van Gennep, Arnold. I riti di passaggio. Torino: Boringhieri, 1981
2 Hertz, Robert. Sulla rappresentazione collettiva della morte: con il saggio sulla preminenza della
mano destra. Roma: Savelli, 1978
3 Wallace, Anthony F.C. Religion: An Anthropological View. New York: Random House, 1966
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Il rito può inoltre includere simboli sacri o secolari.
Si tratta di "comunicazione stereotipata che… riduce l'ansia, prepara l'individuo ad
agire, e (nei rituali sociali) coordina la preparazione all'azione tra diversi
individui..."
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Per William Lessa, il rituale richiede in genere un soggetto sacro anche se il primo
requisito è che sia seguito da sentimenti, valori, e credenze che trascendono
l'utilitario. Il comportamento è ritualistico se è abituale, socialmente sanzionato,
simbolico e senza alcuna considerazione pratica.
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Max Gluckman sottolinea l'attributo sociale del rito e l'importanza della sanzione
soprannaturale nel far rispettare la conformità.
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1.1 - I primi rituali funebri
I primi rituali della morte risalgono al periodo Neanderthal, all’incirca 100.000 -
110.000 anni fa, ed esistono elementi rituali risalenti a quasi mezzo milione di anni
fa.
Wallace descrive la gestione rituale del corpo dei Neanderthal. Questi erano soliti
seppellire i loro morti nelle grotte, depositando il corpo nella terra con grande cura.
Le gambe solitamente erano piegate o contratte strettamente contro il busto, la testa
era spesso appoggiata sul braccio. Vari oggetti erano spesso seppelliti con il defunto.
Il corpo di un bambino era circondato da un cerchio di corna di stambecco; un
giovane fu sepolto con un'ascia, una selce, e varie ossa di animali, un vecchio fu
sepolto con la gamba intera di un bisonte, attrezzi, e zolle di colore rosso ocra. La
sepoltura con gli utensili era collegata con la convinzione che i morti ne avessero
4 Wallace, op. cit., pag. 6
5 Lessa, William A. “Death customs and rites” in Colliers Encyclopedia. Editorial Director, William
D. Halsey, Vol. vii of xxiv volumes, 1971
6 Gluckman, Max. Potere, diritto e rituale nelle società tribali. Torino: Boringhieri, 1977
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bisogno per il viaggio verso l'altro mondo. Il rosso ocra potrebbe aver simboleggiato
sangue, vita e rinascita.
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I reperti di un uomo rinvenuti da Solecki in Shanidar nei Monti Zagros nel nord
dell'Iraq furono scoperti nel terreno contenente polline fossile di fiori preistorici.
Forse i parenti avevano coperto l'uomo con i fiori come parte di una cerimonia
funebre. I fiori erano simbolo di rinascita, espressione di magia.
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L'uomo di Cro Magnon, successore del Neanderthal, occupò l' Europa meridionale e
il litorale mediterraneo tra i 40,000 e 10,000 anni fa. Seppellivano i loro morti nelle
bocche delle grotte in posizione flessa o di riposo con corredi e ornamenti personali.
I corpi erano stati pesantemente dipinti di rosso ocra. Ossa di animali e teschi trovati
nelle vicinanze di molte altre tombe suggeriscono la possibilità di banchetti funebri.
Wallace descrisse attrezzi fabbricati con ossa umane: coppe fatte da teschi, denti
come collane, incisi con disegni ornamentali.
Questi oggetti potevano essere stati usati in rituali magici "per controllare e
assicurarsi la benevolenza degli dei, o per acquisire le virtù dei defunti...
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7 Wallace, op. cit., pag. 6
8 Swartz, Marc J. e David K. Jordan. Anthropology: Perspectives on humanity. New York: John
Wiley and Sons Inc, 1976
9 Wallace, op. cit., pag. 6