Introduzione
I comportamenti violenti degli adolescenti sono una grande fonte di
preoccupazione per genitori, insegnanti, educatori, assistenti sociali e operatori
giudiziari. Gli adulti rispondono alla violenza giovanile con allarme e
angoscia, talvolta con pregiudizi ed una forte tentazione di azioni repressive.
Le recenti ricerche sulla personalità antisociale e psicopatica, soprattutto in
ambito evolutivo, consentono una nuova comprensione dei fattori di rischio,
individuali, familiari e sociali, che sono alla base dei disturbi del
comportamento. Grazie all'individuazione precoce di questi fattori, è possibile
avviare interventi efficaci in grado di donare nuove speranze rispetto agli
scorsi decenni.
Alla base dello studio di questa tesi vi è l'analisi del comportamento
aggressivo e violento degli adolescenti alla luce delle più importanti teorie
dello sviluppo infantile, con un focus particolare sulle dinamiche familiari e
sulle modalità comunicative e interattive che caratterizzano alcuni tipi di
famiglie. Inoltre, è stata approfondita la questione della violenza contro i
genitori, cercando di spiegare i vissuti interiori del giovane e il ruolo dei
genitori nella genesi di azioni che vanno ben oltre l'aggressione fisica e
verbale, come il parricidio.
L'analisi svolta da Laing e Watzlawick sulle modalità interattive familiari
patologiche, ha rappresentato la base su cui si sono avviate le ricerche. Più
recentemente lo studio di Pamela Alexander sul tema della trasmissione
intergenerazionale degli affetti, ha confermato come le dinamiche relazionali
familiari e i vissuti interiori dei giovani, si ripresentino in modo ciclico
portando all'esplosione rabbiosa di emozioni negative represse o non
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adeguatamente processate.
L'obiettivo di questa tesi di laurea è quello di comprendere le cause
sottostanti la manifestazione di comportamenti violenti eterodiretti.
La tesi è articolata in sei capitoli: nel primo capitolo viene fornito un
inquadramento del fenomeno della violenza giovanile con un focus particolare
sui fattori di rischio. Nel secondo capitolo ci si occupa dell'aggressività nello
sviluppo infantile, facendo una breve disquisizione di alcune tra le più
importanti teorie quali la psicoanalisi, la teoria dell'attaccamento, la psicologia
del male di Zimbardo e la neurobiologia. Il terzo capitolo approfondisce il
tema della famiglia e delle modalità comunicative disfunzionali ritenute
responsabili della genesi di vissuti di rabbia e acting-out violenti. Il quarto
capitolo fornisce una spiegazione globale delle forme di violenza e
aggressività agite dai ragazzi e le possibili motivazioni; nel quinto capitolo si
approfondisce il fenomeno della vittimizzazione dei genitori e nell'ultimo
capitolo sono state descritte le modalità di valutazione e intervento nei casi di
comportamenti violenti e per estensione di tutte quelle azioni ritenute
antisociali.
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1.
Giovani e violenza: inquadramento del fenomeno e fattori di rischio
Non voglio che vedano la mia disperazione, non voglio che
lancino nemmeno un'occhiata nelle ferite che mi hanno
inferte; non sopporterei la loro compassione né la bonaria
derisione, e griderei ancora di più. Ognuno mi trova leziosa
se parlo, maliziosa se ho un'idea, pigra se sono stanca, egoista
se mangio un boccone di più, stupida, vile, calcolatrice
eccetera eccetera....
Anna Frank, Diario
1.1 Chi sono i giovani“problematici”?
L'adolescenza è un concetto relativamente giovane. Fu introdotto per la
prima volta nel 1904 da Stanley Hall, il quale la definì una “seconda nascita”.
Secondo la WHO (World Health Organization), gli adolescenti rientrano nella
fascia 15-19 anni e sono inclusi in quella più ampia della “gioventù”, che ha
inizio intorno ai 10 anni e culmina all'età di 24 anni (Blum, 2011).
Gli adolescenti sono naturalmente trasgressivi e ribelli ed è difficile
distinguere quelle situazioni in cui l'aggressività e la disubbidienza sono al
servizio della crescita oppure espressione di un'inclinazione antisociale o
criminale. Vi sono varie forme di trasgressione tipiche di questa fase della vita;
tra i 12 e i 14 anni sono più frequenti gli atti di vandalismo e le aggressioni,
mentre tra i 15 e i 17 aumentano atti criminosi come furti, fughe da casa,
consumo e spaccio di droghe. Più rari sono le violenze fisiche e gli omicidi.
Secondo Novelletto, le trasgressioni e gli atti violenti sono “fantasie di
recupero maturative: un modo immaginario, attraverso un gesto appropriato e
violento, di compensare un blocco e un ritardo nel processo di maturazione”
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(Maggiolini, 2014, p. 16). L'adolescenza è una fase della vita particolarmente
delicata: i cambiamenti fisiologici in seguito all'arrivo della pubertà
determinano cambiamenti anche nella sfera affettivo-relazionale, dove centrale
è il ruolo del corpo quale mezzo di comunicazione e testimone dei propri
vissuti interiori. La sessualità adesso è reale perché al servizio della
riproduzione, e proprio per questo desta sentimenti di angoscia difficili da
gestire. L'immagine del corpo dell'adolescente è strettamente collegata alla
valutazione di sé come persona, alla propria identità, al fascino o al disgusto
che si può suscitare nel gruppo dei pari. Anche i genitori risvegliano antichi
conflitti interiori mai risolti relativi alla propria infanzia e adolescenza, ed è
per questo che molte famiglie rivelano tutta la loro fragilità proprio in questa
fase del ciclo di vita. Alla domanda “chi sono gli adolescenti problematici?”,
potremmo rispondere “tutti”, se guardiamo all'adolescenza come la fase della
“crisi”, della metamorfosi, del passaggio doloroso dall'infanzia all'età adulta,
oppure “alcuni”, cioè coloro che in seguito ad esperienze traumatiche e
relazioni familiari disfunzionali hanno sviluppato una personalità violenta e
criminale. Come vedremo nel capitolo sulla prevenzione e il trattamento, la
questione dell'intenzionalità dell'atto gioca un ruolo centrale nel processo di
valutazione della condotta dell'adolescente.
1.2 Aggressività e violenza giovanile: considerazioni attuali
L'aggressività si configura come una reazione a vere o presunte
ingiustizie subite, oppure la si può usare per affermare la propria personalità o
ancora come reazione alla frustrazione. La violenza, in ambito psicologico, è
considerata una figura dell'aggressività: quando è agita sul corpo di qualcuno
ha uno scopo distruttivo, oppure può assumere la valenza di violenza morale
quando è attuata mediante manipolazione, controllo, imposizione, umiliazione
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e così via. Per Freud, la violenza ( e quindi l'aggressività) si iscrive tra le
figure della pulsione di morte, quindi volge necessariamente alla sofferenza e
al dolore. In ambito giuridico, il termine “violenza” sta per “impiego
dell'energia fisica contro una persona” e ancora “causa di un vizio di volontà”
che conduce inevitabilmente ad un danno fisico o morale
1
. Attualmente, agli
occhi di molti adulti, i giovani sembrano non avere punti di riferimento, valori,
progettualità, regole e limiti; si perdono nella ricerca di forti emozioni, non
calcolano il rischio (Blum 2011), si annoiano, sono indisponenti e irrazionali.
L'opinione pubblica è allarmata perché percepisce un aumento della violenza e
dell'aggressività, sia verso i coetanei (ad esempio, bullismo e cyberbullismo)
che in famiglia. Ma le cose stanno proprio così? Secondo un rapporto
dell'UFG (Ufficio Federale di Giustizia), non ci sono statistiche ufficiali in
merito alla reale portata della violenza giovanile; queste si rifanno alle reali
denunce e condanne eseguite nei confronti di soggetti criminali, non tenendo
quindi conto di altri casi di violenza rimasti nel silenzio
2
. Secondo Muratori
(2005) il fenomeno della violenza giovanile non è in aumento, sarebbe
piuttosto l'esito dell'atteggiamento critico delle generazioni più vecchie, che
affonda le radici lontano nella storia. Se gli adolescenti aggressivi diventano il
rifugio delle angosce degli adulti, si potrebbe perdere, secondo lo studioso, la
possibilità di comprendere le vicissitudini interiori di ogni singolo ragazzo.
Questo è ciò che si propone di fare la presente tesi. Gli esperti in tema di
salute mentale e di disturbi dell'infanzia e dell'adolescenza, sono ormai
concordi sulle cause (fattori) che possono condurre o predire i comportamenti
aggressivi e violenti, e sulla possibilità di mettere in atto misure di
prevenzione, educazione e sicurezza proprio grazie all'individuazione delle
condizioni di vita passate e presenti del ragazzo.
1 www.simone.it/newdiz/newdiz.php?id=1779&action=view&dizionario=1
2 Consultabile nel sito www.bj.admin.ch/bj/it/home.html
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1.3 Fattori di rischio nello sviluppo di una personalità violenta o antisociale
Natura e cultura hanno un ruolo nel determinare la tendenza
dell'adolescente alla ribellione. Per quanto riguarda la componente naturale, è
possibile individuare una certa vulnerabilità genetica al disturbo antisociale di
personalità, a causa di caratteristiche temperamentali quali emotività negativa,
impulsività e disregolazione affettiva (Gennaro 2007, Maggiolini 2015).
Tuttavia la maggiore espressione di questi tratti avviene quando l'ambiente
infantile (la famiglia, ma anche la scuola ecc) si è rivelato carico di
antagonismo. Molti adolescenti aggressivi e violenti manifestano problemi di
condotta a partire dalla pubertà (adolescence limited) oppure già nell'infanzia
(life persistent). Infatti il contesto relazionale è centrale nello sviluppo di stili
di attaccamento insicuri, ambivalenti o disorganizzati, in seguito a modalità
interattive disfunzionali tra genitori e figli, a partire dalla diade madre-
bambino. Con l'ingresso nell'adolescenza, si innescano i conflitti tra genitori e
figli a causa delle nuove esigenze di indipendenza di questi ultimi; sembra che
l'uso della violenza o di comportamenti antisociali in genere sia la soluzione
migliore per dimostrare il proprio valore e la propria identità in un mondo
sentito come ostile, pericoloso, ricco di opportunità.
La probabilità che un ragazzo sviluppi un quadro patologico e un altro no,
dipende dalla psicologia personale ma anche dall'interazione di molteplici
fattori; la premessa è che nessun fattore di rischio preso singolarmente è
sufficiente a determinare un comportamento o una personalità disturbata, ma
più fattori, che rientrano in un più ampio quadro eziopatogenetico (Muratori
2005). Accanto ai fattori di rischio, importante è il ruolo dei fattori protettivi o
di resilienza, che possono bloccare o quantomeno ridurre gli effetti nocivi dei
fattori di rischio.
I fattori di rischio sono quindi “caratteristiche del comportamento
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personale, dello stile di vita, dell'esposizione ambientale e genetica che, se
presente in un soggetto esente da manifestazioni cliniche di una malattia, ne
predice la probabilità di insorgenza in un certo periodo di tempo”.
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Essi
condividono alcune caratteristiche comuni: devono essere presenti prima
dell'esordio del disturbo; rendono più probabile l'evoluzione di un disturbo;
sono intesi come probabili cause e non svolgono un ruolo causativo certo;
interagiscono sempre con altri fattori di rischio come l'età, il genere, la cultura;
sono rafforzati o indeboliti in base alla presenza di fattori protettivi
(“cuscinetti”). Inoltre è stato dimostrato che i disturbi dello sviluppo, tra cui
quello della condotta, sono caratterizzati da un rapporto di causalità inversa
non lineare in cui il comportamento anomalo è sia conseguenza di una serie di
fattori, sia un rinforzo di tale comportamento (Muratori 2005).
I fattori di rischio più comuni per lo sviluppo di una personalità
antisociale o violenta sono classificabili in:
temperamentali: reattività emozionale, scarsa tolleranza alla
frustrazione, impulsività, affettività negativa, disregolazione
emozionale, ricerca di novità (Gennaro 2007, Mastronardi e Palermo
2005, Maggiolini 2014);
ambientali: condizioni di deprivazione fisica e affettiva, stile educativo
rigido e punitivo oppure troppo permissivo, esposizione alla violenza,
appartenenza ad un gruppo di pari delinquenti, scarsa verbalizzazione
dei vissuti interiori, frequenti cambi di caregiver;
genetici: familiarità per i disturbi della condotta, genitori antisociali,
disturbi psichiatrici;
fisiologici: anomalie del sistema limbico, della corteccia prefrontale,
squilibrio di ormoni e neurotrasmettitori (Kring 2013).
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di condotte antisociali e/o violente, vi
3 www.cuore.iss.it/strumenti/glossario.asp
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