18
2.2 Il suicidio in base alla posizione giuridica
Per cercare di inquadrare il fenomeno del suicidio nelle carceri la letteratura presente in materia
ha cercato di interpretare e studiare il problema anche rispetto ai cambiamenti della condizione
giuridica del detenuto, cioè seguendo l‟iter processuale che prevende come prima fase la custodia
cautelare, poi il processo e infine l‟esecuzione della condanna. In ciascuna fase il gesto suicidario
(ma anche quello autolesivo) può nascondere particolari motivazioni
46
, inoltre è bene ricordare che
un tentativo di suicidio o comportamenti autolesivi che sottendono fini “ricattatori” o
“rivendicativi” sono spesso valutati negativamente dai giudici durante la fase di esecuzione ai fini
della concessione dei “benefici”.
Dalla ricerca di Manconi
47
relativa al tasso dei suicidi nelle carceri nel biennio 2002-2003 risulta
che la certezza di dover scontare una condanna pesa meno nel determinare una scelta estrema come
quella del suicidio rispetto a quanto pesi l‟incertezza sulla propria condizione giuridica. Per chi
deve essere ancora giudicato, la possibilità di essere riconosciuto innocente non è sufficiente a
46
Baccaro L., Morelli F., op. cit.
47
Manconi L., “Così si muore in galera. Suicidi e atti di autolesionismo nei luoghi di pena”, in Politica del diritto n.2, Il
Mulino, Bologna, 2002
19
scongiurare l‟idea di togliersi la vita. L‟autore afferma però che è necessario comparare la
condizione giuridica con altri fattori quali, ad esempio, il tempo di permanenza in un istituto
penitenziario e l‟età del soggetto in questione. I dati di questo studio mostrano che nel 2003 il 51%
dei suicidi nelle carceri rispondeva al seguente identikit: detenuto giovane, o relativamente giovane,
ancora in attesa di giudizio o di sentenza definitiva, che si trova in carcere da poco tempo. L‟autore
sottolinea come si debbano tenere particolarmente in considerazione i dati relativi ai suicidi
all‟interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e afferma che, nonostante i detenuti internati
in queste strutture rappresentino solo il 2% della popolazione carceraria, tra loro si registra una
percentuale molto alta rispetto al totale dei suicidi pari al 7,3% e 6,1% (dati ottenuti rispettivamente
nel 2002 e 2003). Se da un lato questi numeri non sorprendono in quanto gli Opg ospitano persone
con disturbi psichiatrici importanti, dall‟altro destano preoccupazione. Infatti, per questi soggetti
sono, o dovrebbero essere, previste cure mediche e misure di tutela e sostegno particolari e più
assidue di quelle riservate al resto della popolazione ristretta.
Altre caratteristiche comuni tra i detenuti suicida riguardano l‟essere ultraquarantenne, l‟essere
senza fissa dimora, avere una storia di tossicodipendenza alle spalle, avere una precedente
detenzione in particolare per reati violenti.
Nel 2007 il Department of Mental Health and Substance Abuse dell‟O.M.S. (WHO)
48
ha
elaborato due profili suicidari per cercare di ridurre il numero di suicidi tra i detenuti, con
l‟obiettivo di identificare situazioni e/o gruppi ad alto rischio. A seguire vengono esposti entrambi i
profili.
Profilo 1: detenuti in attesa di giudizio – I detenuti in attesa di giudizio che commettono il
suicidio in carcere sono generalmente maschi, giovani (20-25 anni), non sposati, alla prima
esperienza detentiva, arrestati per crimini minori spesso connessi all‟abuso di sostanze. Al momento
dell‟arresto sono spesso sotto l‟effetto di stupefacenti e commettono il suicidio nelle prime ore
proprio a causa dell‟improvviso isolamento, dello shock dell‟incarcerazione, della mancanza di
informazioni e delle preoccupazioni per il futuro.
Secondo l‟O.M.S. è opportuno che le istituzioni carcerarie riducano il rischio di suicidio
prestando attenzione all‟accoglienza, alle procedure della prima notte e dell‟Ufficio Matricola e ai
livelli di cura dei detenuti. Anche le ore precedenti un‟udienza in tribunale sono momenti difficili
per i detenuti in attesa di giudizio, soprattutto quando si rischia di ricevere giudizi di colpevolezza e
sentenze dure, infatti, molti suicidi nelle carceri avvengono nei tre giorni che precedono un‟udienza
cruciale. Inoltre, dopo 60 giorni di reclusione in molti detenuti si è riscontrata una forma di
esaurimento psicologico chiamato burnout.
48
O.M.S., op. cit.
20
Profilo 2: detenuti condannati – I detenuti condannati che commettono il suicidio in carcere sono
generalmente più vecchi rispetto a quelli in attesa di giudizio (30-35 anni), sono colpevoli di reati
violenti e decidono di togliersi la vita dopo un periodo di 4 o 5 anni vissuto in prigione. Questi
suicidi possono essere preceduti da conflitti con altri detenuti o con il personale penitenziario, da liti
in famiglia, separazioni o questioni legali come un‟udienza persa o la negazione di una misura
alternativa.
L‟O.M.S. ribadisce che il carcere è un luogo restrittivo che rappresenta la massima perdita di
libertà, ma non solo: con l‟ingresso in un istituto penitenziario il detenuto perde anche la famiglia, il
supporto sociale e la paura di subire violenze psichiche e/o fisiche è sempre presente, come lo sono
anche il timore e l‟incertezza per il proprio futuro; tutto ciò è accompagnato anche dal disagio
psichico e dal senso di colpa per il crimine commesso, oltre che dallo stress legato alle cattive
condizioni ambientali. A lungo andare l‟incarcerazione aumenta lo stress psichico, psicologico e
talvolta fisico del detenuto fino a portarlo all‟esaurimento fisico e nervoso. Oltre a ciò si
aggiungono anche conflitti con l‟istituzione, vittimizzazione e frustrazioni legali. Di conseguenza, il
tasso di suicidio tra i detenuti a lungo termine sembra crescere con la durata della pena. Gli
ergastolani, in particolare, sembrano presentare un rischio molto elevato.
Dalla ricerca di Baccaro e Morelli
49
, che copre gli anni dal 1990 al 2007, si registra una maggior
frequenza di suicidi tra gli internati (22,9 su 10000), quasi il doppio della frequenza tra gli imputati
(11,9 su 10000) e quasi il triplo di quella tra i condannati (8,4 su 10000).
Manconi e Boraschi invece affermano “Ci si suicida non quando è troppo tardi, ma quando è
troppo presto”
50
; con questa frase quasi agghiacciante vogliono dimostrare che nelle carceri italiane
esiste un rapporto inversamente proporzionale tra la speranza di libertà e la tendenza a togliersi la
vita, infatti coloro che arrivano al gesto estremo sono soprattutto detenuti che, per età e posizione
giuridica, potrebbero sperare in una detenzione breve e in un ritorno alla società libera. Questo
accade principalmente perché per un giovane, soprattutto se alla prima esperienza detentiva,
l‟impatto con un ambiente estraneo e sconosciuto come il carcere provoca uno shock tale da
spingerlo al gesto autosopressivo. Inoltre, anche l‟essere privi di speranze e temere per il proprio
futuro rappresentano due fattori importanti che possono indurre a tale scelta. Non solo i nuovi giunti
ma anche i detenuti prossimi al fine pena soffrono spesso di grande incertezza per quanto riguarda il
loro futuro infatti, in entrambi i gruppi, il tasso di suicidio è molto elevato.
Baccaro e Morelli
51
ritengono che, senza dubbio, i primi giorni di carcerazione sono il momento
a più elevato rischio suicidario soprattutto per soggetti che si trovano alla prima esperienza di
49
Baccaro L., Morelli F., op. cit.
50
Boraschi A., Manconi L., op. cit., pag. 3
51
Baccaro L., Morelli F., op. cit.
21
detenzione, tossicodipendenti o persone accusate di reati infamanti come quello di pedofilia o di
omicidi familiari. Spiegano che, a volte, anche una sola notizia dolorosa dall‟esterno come, per
esempio, l‟abbandono da parte del partner, può turbare il loro equilibrio senz‟altro già
compromesso e destabilizzato dalla situazione detentiva, fino a giungere alla decisione di uccidersi.
Altra situazione molto difficile è quando l‟indagato proclama la sua innocenza senza ottenere
risultati; in questi casi, di fronte a risposte negative da parte dei giudici alle sue istanze, il soggetto è
portato a mettere in scena una strategia alternativa per ottenere la scarcerazione e il tentativo di
suicidio risponde esattamente al suo scopo.
Gli stessi autori proseguono spiegando che, generalmente, il suicidio di un imputato nel periodo
che precede lo svolgimento del processo è un evento abbastanza raro, ad eccezione dei casi di rei
confessi per reati molto gravi come omicidi in famiglia, nei quali la condanna all‟ergastolo o una
pena detentiva lunghissima appaiono scontati
52
. A volte “La sentenza ha anche l‟effetto di uccidere
la speranza”
53
di quell‟imputato che attende il confronto in Tribunale per dimostrare la propria
innocenza o almeno una responsabilità minore rispetto a quanto sostenuto dall‟accusa; il momento
successivo ad un processo conclusosi con una condanna diventa particolarmente critico per il
detenuto e quindi ad alto rischio suicidario o comunque autolesivo.
Gli autori sottolineano la rilevanza del cambio di status giuridico a seguito di una condanna
definitiva
54
: quando da imputato il soggetto passa allo status di condannato il trattamento
rieducativo, che durante il periodo di custodia cautelare è facoltativo a scelta del detenuto, diventa
obbligatorio ed essenzialmente si realizza mediante la richiesta di partecipazione alle attività
trattamentali e l‟osservazione scientifica della personalità. Una volta iniziato il trattamento
rieducativo previsto a seguito della sentenza di condanna e dell‟entrata in carcere, gli operatori
dell‟area pedagogica si riuniscono periodicamente in equipe per redigere un “rapporto di sintesi”,
ovvero un bilancio del comportamento del soggetto, da inviare al Magistrato di sorveglianza. I
tentativi di suicidio riportati in questi documenti costituiscono dei nei negativi nel curriculum
detentivo del soggetto a tal punto da compromette l‟opportunità di ottenere misure alternative alla
detenzione.
È importante sottolineare che, mentre un tentativo di suicidio durante il periodo di custodia
cautelare nella maggior parte dei casi assume una valenza “dimostrativa” per impressionare il
giudice o sperare di ottenere uno sconto di pena, lo stesso gesto compiuto all‟interno dell‟istituto
carcerario durante il periodo dell‟esecuzione della pena, nella maggior parte dei casi rappresenta un
segnale di insofferenza al regime carcerario e un segno di disperazione; in questa prospettiva la
52
Baccaro L., Morelli F., ivi
53
Baccaro L., Morelli F., ivi, pag. 87
54
Baccaro L., Morelli F., ivi
22
persona viene considerata incapace di accettare la condanna e di vivere serenamente la sua
carcerazione.
Il 5% dei suicidi si verifica a seguito della scarcerazione, nell‟arco di pochi giorni da quello che
dovrebbe essere un evento positivo per il detenuto che, finalmente, dopo aver finito di scontare la
propria pena può tornare a far parte della società libera. La motivazione principale di questi suicidi
è la paura di non farcela fuori dal carcere, luogo a volte vissuto come una sorta di rifugio di fronte
ad un mondo e a una realtà complicati e ostili
55
.
2.3 Il suicidio in rapporto ai fattori di rischio
Dalla Ricerca di Baccaro e Morelli
56
emerge che all‟interno degli istituti di pena il tasso dei
comportamenti suicidari è ben 20 volte maggiore rispetto a quello relativo alla popolazione libera.
Per cercare di identificare le cause che determinano questo divario è necessario non tralasciare
elementi sociali e istituzionali per non sminuire l‟importanza dell‟evento della carcerazione
focalizzandosi maggiormente sul background medico e psicologico dei detenuti; in tal modo, infatti,
si rischierebbe di valutare il fenomeno solo attraverso un‟impostazione individualistica e patologica.
A favore di quanto appena detto Baccaro e Morelli ritengono che, sebbene alcune persone siano
comunque a rischio, “La detenzione è comunque un‟esperienza estremamente stressante per i
detenuti „sani‟ ma è assolutamente distruttiva per chi ha già un equilibrio psicologico precario”
57
.
Un fattore solitamente ritenuto concausa del maggior numero di suicidi o tentativi di suicidio
nelle carceri è il sovraffollamento delle strutture detentive e il disagio psicofisico che ne deriva
proprio a causa degli spazi ridotti e della mancanza di intimità; il sovraffollamento, sottolineano
Manconi e Boraschi
58
, è uno tra i principali problemi delle carceri (non solo italiane), che comporta
condizioni ambientali e di vita spesso pessime, carenza di personale, di servizi e di attività
rieducative per molti reclusi. Nonostante ciò, però, non si riscontra un rapporto diretto tra il
sovraffollamento degli istituti e la dimensione numerica del fenomeno in questione; a tal proposito
Baccaro e Morelli affermano che “L‟essere in tanti non aiuta a conoscersi, ma neppure sembra
aumentare il rischio di suicidi: le cause sono più complesse e, sicuramente, molteplici”
59
.
L‟aumento dei casi verificatesi nel corso degli anni viene in parte attribuito anche al
cambiamento della composizione della popolazione ristretta: negli ultimi anni sta crescendo la
presenza di “soggetti fragili” come tossicodipendenti e stranieri.
55
Baccaro L., Morelli F., ivi
56
Baccaro L., Morelli F., ivi
57
Baccaro L., Morelli F., ivi, pag. 89
58
Boraschi A., Manconi L., op. cit.
59
Baccaro L., Morelli F., op. cit., pag. 91
23
Oltre alla posizione giuridica e a elementi situazionali come il sovraffollamento carcerario, tra i
fattori di rischio suicidario si segnalano anche lo stato di tossicodipendenza, la presenza di disturbi
psichici, l‟isolamento o la collocazione in cella singola, la sieropositività, la mancanza di una
valutazione oggettiva del rischio suicidario e le festività. Baccaro e Morelli
60
ci tengono a
sottolineare come i periodi festivi siano momenti particolarmente difficili e a rischio per i detenuti
perché durante le festività dell‟anno l‟abbandono e la distanza dalla propria famiglia e dagli affetti
si fanno sentire maggiormente e di conseguenza emerge un sentimento di diversità dovuto alla
condizione di carcerato; inoltre, durante questi periodi dell‟anno la solitudine dei ristretti è marcata
ulteriormente a causa della diminuzione delle attività trattamentali.
Sulla base del documento “La prevenzione del suicidio nelle carceri”
61
dell‟O.M.S., si
individuano alcuni fattori di rischio comuni sia ai detenuti già condannati sia a quelli rinviati a
giudizio che, nel caso in cui fossero presenti in combinazione, potrebbero innalzare maggiormente
il rischio suicidario; tale documento riporta fattori di rischio ambientali e situazionali e fattori
psicosociali. Baccaro e Morelli
62
ampliano la lista di caratteristiche comuni inserendo anche fattori
di rischio individuali, fattori di rischio psichici, fattori di istituzionalizzazione e, infine, il fattore del
trauma da ingresso. A seguito vengono spiegati gli indicatori di rischio sulla base delle
considerazioni esposte nell‟opera degli autori sopra citati.
Per quanto riguarda i fattori di rischio individuali, è utile determinare i gruppi di quei soggetti
considerati “vulnerabili” al rischio suicidario; si tratta di persone che hanno commesso reati ad alto
indice di violenza, persone che durante la detenzione (o anche prima di essa) seguono un
trattamento psicofarmacologico, persone segnate da precedenti intenti suicidari, persone
tossicodipendenti, soggetti che soffrono di disturbi mentali e persone socialmente isolate. Altri
elementi di vulnerabilità a livello individuale possono essere stati di umore negativi, incapacità di
gestire lo stress psicologico, basso livello socio-culturale, scarsa capacità di coping per affrontare
situazioni difficili. Anche il background affettivo rappresenta un elemento importate: la capacità di
reagire a eventi negativi e traumatici, in particolare quelli che minacciano la stabilità della rete dei
rapporti interpersonali, è tanto minore quanto più il soggetto nel corso della sua vita abbia
sperimentato eventi traumatici e altamente stressanti e vissuto processi di vittimizzazione.
Per valutare il rischio auto-soppressivo in un nuovo giunto, vengono molto spesso considerati
più significativi i classici fattori psicopatologici tralasciando elementi peculiari come lo stato
emotivo del momento, lo shock dell‟impatto con il carcere, le capacità soggettive di affrontare i
vissuti causati dalla nuova situazione che, invece, sono spesso i fattori determinanti e quindi quelli a
60
Baccaro L., Morelli F., ivi
61
O.M.S., op. cit.
62
Baccaro L., Morelli F., op. cit.
24
cui dovrebbe essere posta maggior considerazione. Bassi livelli di autostima, alti livelli di ansia,
difficoltà nel controllare gli impulsi, scarsa capacità di gestire le emozioni, alternanza tra stati di
euforia e disperazione e l‟incapacità di elaborare esperienze traumatiche sono elementi
fondamentali da valutare nell‟ambito dei fattori ad alto rischio.
Per quanto riguarda i fattori di rischio psichici, tra i quali vengono annoverate la depressione e
altre patologie mentali come psicosi e nevrosi, oltre che malattie neurologiche, la depressione è
senza dubbio la patologia più presente tra i soggetti reclusi, sebbene la metà della popolazione
depressa soffra di forme non gravi di questo disturbo e pochi sono i portatori di patologie che
compromettono gravemente la qualità della vita all‟interno degli istituti. Tuttavia, il fenomeno dei
disturbi psichiatrici è molto presente presso la popolazione detenuta.
Con il termine “fattori psicosociali”, invece, s‟intende l‟interazione tra aspetti soggettivi
dell‟individuo come, ad esempio, comportamenti suicidari precedenti alla detenzione e/o malattie
psichiatriche e/o problematiche di natura emotiva, e aspetti di ambito sociale come la scarsa
presenza se non addirittura l‟assenza totale del sostegno famigliare e sociale. Inoltre, tra i detenuti
suicidi che soffrono di queste problematiche, si riscontrano spesso persone che sono state vittime di
bullismo o che hanno avuto recenti liti con qualche compagno, o che sono stati oggetto di sanzioni
disciplinari. Altri fattori di stress o vulnerabilità che possono spingere la persona al gesto estremo di
farla finita possono derivare da eventi come il trasferimento verso un altro carcere
63
o l‟annuncio di
una risposta negativa a una richiesta al magistrato, la revoca di una misura alternativa o la notizia di
essere stati lasciati dal partner. Il sentimento di disperazione scaturito da determinati eventi o
situazioni lascia intravedere al soggetto recluso il suicidio come unica via d‟uscita da una
condizione apparentemente priva di qualsiasi altra soluzione.
Per quanto riguarda i fattori di istituzionalizzazione è importante soffermarsi sull‟azione agita
dalle istituzioni totali sugli individui una volta entrati in carcere: i reclusi sono sottoposti ad un
processo di spoliazione del sé, vengono separati dal loro ambiente abituale e dalla loro stessa
identità. In primo luogo, l‟ingresso in carcere determina la perdita della libertà individuale quindi,
in altre parole, il soggetto non può più gestire in modo autonomo la propria vita, programmandone
le attività e i tempi di gestione. All‟interno dell‟istituto di pena tempo e spazio sono gestiti da regole
imposte dall‟istituzione, indipendentemente dalla volontà, dai desideri o dai bisogni dei detenuti e
questo meccanismo, al quale l‟individuo fatica ad abituarsi, può portare a sentimenti di
spersonalizzazione e crisi di identità. Oltre a ciò, l‟ingresso in carcere può modificare e screditare
l‟immagine sociale del soggetto, facendole assumere un carattere negativo che spesso permane
63
La mobilità viene considerata da Manconi e Boraschi un aspetto importante da tenere in considerazione per prevenire
il disagio e il tentativo suicida dei soggetti reclusi. Gli autori affermano che il trasferimento verso altre carceri può
portare alla rottura delle relazioni interne e diventare, di conseguenza, un elemento di aggravamento dell‟equilibrio
personale