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er iniziare il discorso sulla parodia cinematografica credo sia d’obbligo fare
almeno alcuni accenni alla storia della parodia e delle sue discussioni teoriche,
citando le maggiori correnti di pensiero e i maggiori studiosi che se ne sono occupati,
sia dal punto di vista letterale che, in seguito, in ambito cinematografico.
La Parodia è infatti un processo artistico che percorre gran parte della storia della
civiltà e che comprende tutte le maggiori forme d’arte, dalla pittura alla musica, dalla
letteratura al teatro per finire con il cinema.
E’ comunque alla letteratura greca antica che dobbiamo il termine Parodia che
deriva dalla congiunzione tra Parà (simile) e Odè (canto).
Già dal nome, quindi, traspare l’idea di un canto, o meglio un controcanto, che
procede al fianco di quello ufficiale.
Questa pratica antica si trasforma metaforicamente nel concetto di parodia come
opera artistica tesa a costruire un commento ironico e sovversivo rispetto all’opera
‚ufficiale‛.
Il termine è presente già nella Poetica di Aristotele dove il filosofo greco distingue
due diversi modi di rappresentazione: quello narrativo e quello drammatico che a
loro volta vengono divisi a seconda che trattino di materia alta o bassa: le
rappresentazioni drammatiche erano la tragedia (materia alta) e la commedia
(materia bassa), alle quali corrispondevano rispettivamente le forme narrative
dell’epopea e della parodia, appunto.
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Dal riscontro con altri autori antichi, si arriva alla conclusione che il termine usato
all’epoca denoterebbe un testo narrativo non lungo, in versi e stile epico, ma applicati
ad un soggetto frivolo, satirico o eroicomico.
Genette successivamente distinguerà, inoltre, due diversi tipi di parodia antica: il
travestimento burlesco, come l’Eneide travestita, che tratta con uno stile basso un
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A. Barbaro “Frankenstein, un mostro di celluloide tra horror e parodia”; costa&nolan editori, 2006, p. 108
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argomento nobile, e il poema eroicomico, come la Betrachomyomachia, che opera il
procedimento inverso, usando uno stile epico per un argomento basso e ridicolo.
1
Alla terminologia retorico-grammaticale si deve poi l’estensione dell’uso del termine
e dei suoi derivati verbali oltre i limiti del genere epico ma nello stesso tempo la sua
restrizione al senso di citazione, ripresa letterale o allusione letteraria, in cui l’effetto
comico, ove presente, sarebbe indotto da una lieve trasformazione dell’originale.
Ma occorre arrivare al XVI secolo per trovare una trattazione esauriente e, con essa, i
principi di gran parte della moderna discussione sulla parodia.
Da una prima definizione di parodia come di una Rapsodia Inversa, ovvero un testo
che, con modificazioni verbali, produce un senso comico, ad una datata 1557 di
Estienne nel suo “Primo trattato specifico e sistematico sulla parodia”, dove compare
l’idea che la parodia distolga un testo preesistente dal suo significato originario e lo
rivolga ad altro o altri significati, operando mediante modifiche, il più minute
possibili, della lettera originaria.
Da queste prime definizioni si notano già alcune caratteristiche tipiche della parodia
ovvero: la dialettica di conservazione e trasformazione del modello, l’idea del
rovesciamento del piano semantico originale, la comicità e la variabilità delle
dimensioni del bersaglio.
E’ però risalente al XIX secolo un giudizio alquanto negativo, che si è protratto negli
anni, su questa forma letteraria considerata come qualcosa di livello basso,
espressione di un gusto plebeo che gode ad avvilire tutto ciò che è nobile ed elevato.
(Goethe). Questo giudizio verrà rivisto soltanto nel ’900 in quanto la parodia appare
ora come una forma di imitazione critica, che esagera le debolezze del proprio
modello contribuendo ad abbattere opere fino a quel momento venerate, per far
spazio a nuove espressioni letterarie, in quel procedimento dialettico con cui il
presente si libera del passato.
Vengono inoltre in questo periodo sottolineate le funzioni di critica e di
smascheramento comico delle strutture del potere, oltre a quella che Massimo
Bonafin definisce Temporalità, ovvero la corrispondenza peculiare della parodia con
una determinata fase storica.
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Alcuni critici hanno, infatti, messo in evidenza come nella storia letterale e culturale,
l’avvicendamento di ideologie, valori e generi sia segnato da puntuali crisi in cui gli
elementi che hanno raggiunto l’apice del loro dominio vengono detronizzati, ovvero,
nel momento in cui un genere elevato ha raggiunto e superato il suo culmine storico,
si produce la sua parodia.
Massimo Bonafin inoltre fa derivare la parodia alla tradizione carnevalesca in cui
vige in modo particolare il principio del riso, grazie al quale sono legittimate la
parodia in tutte le sue forme, la trasgressione delle norme, l’abolizione dei ruoli e
delle gerarchie ufficiali. I rituali carnevaleschi fanno della contestazione dell’autorità
una pratica costante realizzata con l’impegno preferenziale della parodia che col suo
linguaggio dai contenuti irriverenti o triviali infrange i normali tabù del discorso,
nell’ottica di un’iniziativa di rinnovamento e di ri-creazione che mette in scena
ritualmente i rapporti sociali fondamentali, anche nella loro complementarietà
antagonistica.
Nel XX secolo, inoltre, viene elaborato il concetto di bersaglio/modello della parodia,
il ruolo determinante del lettore/ricevente e la funzione di critica letteraria e culturale
che essa svolge.
La parodia, ad ogni modo, viene generalmente definita come un genere letterario di
secondo grado, che presuppone altri enunciati, ai quali reagisce in modo peculiare:
vale a dire, incorporandoli criticamente, cosi da mantenere, reale e percettibile, una
distanza fra il modello e la sua deformazione comica.
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Ma a questo proposito è bene concentrarsi maggiormente sugli studi di Michail
Bachtin e di Gerard Genette e di tutti quegli studiosi che hanno seguito e
approfondito il loro lavoro, contribuendo ad ampliare il concetto di parodia
osservandolo dal profondo in tutti i suoi numerosi aspetti.
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M. Bonafin “Contesti della parodia”, utet editore;2001, p.10-17.
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l filosofo e critico letterario russo Michail Bachtin si deve, infatti, l’intuizione
che già a livello di parola, esista un’irriducibile presenza di interdiscorsività, ovvero
che non ci troviamo mai di fronte ad una lingua neutra, bensì ad una lingua già
‚parlata‛ da milioni di altri parlanti.
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“Tra la parola e l’oggetto, tra la parola e il parlante, c’è il mezzo elastico, spesso difficilmente
penetrabile, delle altre parole, delle parole altrui sullo stesso soggetto, sullo stesso tema”.
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La parola che si dirige verso l’oggetto, non può evitare di attraversare questo spazio
già linguisticamente affollato e deve situarsi rispetto alle altre parole, assumere una
posizione di fronte a loro, insomma dialogare, replicare, accettarle, contraddirle,
modificarle ecc.
Questo fatto induce a riflettere sulla necessità che il testo letterario intrattenga
sempre un rapporto di primo grado col mondo della vita e della prassi, se vuole
avere un valore conoscitivo e artistico; sopra questo rapporto se ne instaura poi un
altro, di secondo grado, con gli altri testi contemporanei e anteriori, che può
declinarsi nelle forme dell’emulazione o del conflitto, o della parodia.
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Da ciò deriva il concetto di intertestualità elaborato da Julia Kristeva, secondo la
quale Bachtin ha scoperto che la parola non è un punto, un insieme statico, ma un
incrocio di superfici testuali, un dialogo tra parecchie scritture. Il termine
intertestualità esprime questa dinamica: l’incontro tra testi che avviene in un testo; il
processo di trasformazione e rielaborazione attraverso cui la parola altrui si rinnova e
diventa propria.
6
Tra le molte possibilità di riaccentuazione della parola altrui, la parodia è,
probabilmente, la più dialogica.
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R. Menarini “La strana copia”, Campanotto editore,2004, p.11
4
M. Bachtin, “Estetica e Romanzo”, Einaudi, Torino, 1979, p.84
5
M. Bonafin “Contesti della Parodia”,cit., p.41
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Nella ripetizione degli enunciati altrui, con un’intonazione ironica, o meglio nella
loro decontestualizzazione, affiora la proprietà caratteristica della parodia, ovvero la
riproduzione di un testo precedente mutandone gli accenti, in modo da essergli nel
medesimo tempo quanto più uguale e diversa possibile.
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el rapporto tra un testo e un altro testo, o tra un testo e un gruppo di testi, se ne è
poi occupato Gerard Genette che nel suo Palinsesti offre uno schema dei rapporti
transtestuali, indicando in particolare cinque tipi di rapporti:
- Intertestualità: ovvero l’effettiva compresenza di due testi;
- Paratestualità: ovvero i rapporti fra testi e paratesti;
- Metatestualità: cioè il rapporto critico tra un testo e l’altro;
- Architestualità: ovvero il ricorso a tassonomie di genere, attraverso la volontà o la
riluttanza di un testo a farsi classificare;
- Ipertestualità: cioè la relazione diretta fra un testo A (ipertesto) e un testo B
antecedente (ipotesto).
Più in specifico, posiamo definire la paratestualità come tutto ciò che opera ai
margini del testo ufficiale (come Titoli, prefazioni, epigrafi, illustrazioni, commenti o
alcuni passaggi dell’opera) ma che non si esaurisce in quello che Menarini definisce
peritesto, mentre la metatestualità viene posta da Genette come una ‚relazione, più
comunemente detta di commento, che unisce un testo ad un altro testo di cui esso parla, senza
necessariamente citarlo. […] Ovvero è, per eccellenza, la relazione critica.”
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L’architestualità, invece, funziona in modo simile per quasi tutti i prodotti culturali
bisognosi di definirsi attraverso un ricorso ai generi o, altrimenti, di affermare la
propria originalità attraverso un lavoro di smarcamento. In questo le pratiche
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R. Menarini “La strana copia”, cit., p.20-21.
7
M. Bonafin “Contesti della Parodia”, cit., p.42
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architestuali sembrano quindi particolarmente produttive perciò che concerne la
parodia anche se quest’ultima viene posta da Genette nella quinta e ultima categoria,
quella dell’ipertestualità, nella quale sono coinvolti i processi di confronto esplicito
fra un testo A ed un testo antecedente B.
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Dan Harries
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invece, concentrandosi maggiormente sull’analisi della parodia,
riscontra degli aspetti parodici in ognuna delle cinque categorie genettiane che nel
libro di Alvise Barbaro vengono riprese con riferimento particolare al cinema: A
cominciare dalla paratestualità che, andando a toccare gli elementi extratestuali, può
riguardare, all’interno di una pellicola parodistica, tutti gli elementi atti a creare un
legame con la pellicola d’origine (nel cinema questi elementi possono essere
individuati nelle locandine, nei trailer e nel merchandise).
Un altro aspetto particolarmente importante della parodia Harries lo riscontra nella
metatestualità, ovvero nell’autoreferenzialità del cinema, cioè nella riscrittura critica
dei cannoni e dei linguaggi cinematografici che porta il cinema a ‚parlare di cinema‛
e, nel caso di un film parodico, a riderci sopra.
L’architestualità, in quanto si riferisce ad un genere, è facilmente riscontrabile nella
parodia che sovente non si sofferma su un unico soggetto filmico in particolare ma
ironizza sui canoni e gli stilemi di un genere intero.
Infine l’ipertestualità, associata alla parodia dallo stesso Genette, e la prima categoria,
l’intertestualità, che ho volutamente lasciato per ultima in quanto consente di parlare
di due elementi importanti concerni alla parodia, ovvero la citazione e l’allusione.
Gerard Genette pone la citazione come un ‚estratto‛ diretto da un’altra fonte, sia essa
esterna o interna
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( nella parodia filmica è per esempio frequente la citazione delle
fonti d’origine attraverso l’esatta ricreazione degli ambienti scenografici o l’utilizzo
degli stessi attori, come vedremo successivamente nel capitolo dedicato all’analisi del
film) ma, come nota Bonafin, se è vero che la citazione può svolgere un ruolo
8
G. Genette, “ Palinsesti, la letteratura di secondo grado” . Einaudi, To, 1997
9
R. Menarini “La Strana copia”, ciy., p.33.
10
D. Harries, “Film parody”, Bfi, Londra, 2000.
11
R. Menarini, “La strana copia”, cit., p.38.
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parodico, sovente acquista una funzione prevalentemente orientata a conservare e a
trasmettere un’informazione, comunque salvaguardandone l’identità.
L’allusione, invece, appartiene per Genette al terreno del richiamo, del rapporto con
un altro testo, è, cioè, un riferimento indiretto che richiede una competenza elevata
per essere correttamente decodificata.
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E’ quindi necessaria, in questo caso l’attività
dello spettatore in assenza della quale non esiste allusione. Ma non solo, in assenza
di una decodifica, la stessa parodia perderebbe la sua valenza, in quanto la presenza
di un modello (filmico o testuale che sia) è apparentemente decisiva ed irrinunciabile
per lo spettatore.
a parodia, infatti, allude per tutta la sua durata a uno o più testi, e pretende che lo
spettatore ne sia a conoscenza per godere appieno dell’effetto comico. Non è sempre
detto che lo spettatore sia obbligato a conoscere direttamente il testo parodiato, ma
ad averne una cognizione o un sapere indiretto, questo si.
Ogni tipo di ‚parola a due voci‛ richiede, infatti, la conoscenza, o almeno la
supposizione, del contesto discorsivo altrui per essere interpretata nel modo giusto.
Come afferma Bachtin
“se noi non conosciamo l’esistenza di questo secondo contesto del discorso altrui e
cominciamo a percepire la parodia come si percepisce il discorso solito – diretto solo sul
proprio oggetto - noi non comprendiamo questi fenomeni nella loro realtà: la stilizzazione
sarà da noi percepita come stile e la parodia semplicemente come opera non riuscita”.
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12
R. Menarini, “La strana copia”, cit, p.38.
13
M. Bonafin, “Contesti della Parodia”, cit., p.59.