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1. INTRODUZIONE
1.1 INQUINAMENTO ATMOSFERICO E RISCHIO BIOLOGICO
Il rischio biologico viene ampiamente affrontato in maniera organizzata a livello normativo
nel D. Lgs 626/94. Il campo di applicazione del titolo VIII di tale decreto si riferisce alle
attività che possono comportare rischio di esposizione ad agenti biologici, distinguendole
tra attività con uso deliberato di microrganismi ed attività a rischio potenziale di
esposizione ad essi.
Nel D. Lgs 626/94 i diversi agenti biologici sono stati classificati in diversi gruppi in base
alla loro pericolosità.
L’azione patogena svolta dai microrganismi è principalmente di tre tipi:
o azione infettiva, svolta da batteri, protozoi, virus, muffe e lieviti (ad es. Legionella
pneumophila, Aspergillus fumigatus ecc);
o azione allergizzante, principalmente dovuta ad actinomiceti termofili, da microfunghi
(Aspergillus, Alternaria, Penicillium, Aureobasidium, ecc), protozoi (Naegleria
gruberi, Acanthamoeba ecc) o metaboliti microbici. In questo caso i soggetti esposti
manifestano riniti, sinusiti, asma, alveoliti o febbri, conseguenti all’inalazione di
metaboliti, descritte come Organic Dust Toxic Syndrome (ODTS);
o azione tossica, svolta da metaboliti quali endotossine, micotossine, 1-3 β-D-glucani.
Le endotossine sono costituenti della parete cellulare dei batteri gram negativi, la cui
principale azione è collegata all’induzione di febbre e alla necrosi tissutale. Le
micotossine hanno un effetto citotossico e sono sintetizzate da alcune specie di funghi,
in determinate condizioni di temperatura, umidità o di substrato. Altri metaboliti, quali
i 1-3 β-D-glucani (costituenti delle spore fungine) possono dar luogo a risposte
infiammatorie e immunologiche.
Per gli agenti biologici, la difficoltà di valutare l’entità dell’esposizione (come avviene,
invece, per le sostanze chimiche) rende la misura della contaminazione ambientale un
elemento portante per la valutazione dell’esistenza del rischio biologico. Gli agenti
microbiologici presenti negli ambienti di vita e di lavoro, vengono aerotrasportati dai
movimenti convettivi dell’aria sotto forma di bioaerosol, legandosi a polvere, particelle
liquide o altri contaminanti naturalmente presenti (emulsioni oleose, polvere di legno,
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ecc.), con conseguente rischio per la salute umana dovuto ad esposizione per via inalatoria,
per contatto con superfici od oggetti contaminati o per ingestione (INAIL, 2005).
Le endotossine batteriche sono inquinanti atmosferici di origine primaria naturali
caratterizzati da un’azione tossica per l’uomo accertata in ambienti lavorativi ed a rischio.
L’inquinamento atmosferico è definito dalla normativa italiana (PDR/1988): “Ogni
modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla
presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità o con caratteristiche tali da alterare
le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria; da costituire pericolo ovvero
pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo; da compromettere le attività
ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente; alterare le risorse biologiche gli ecosistemi
ed i beni materiali pubblici e privati”.
L’inquinamento dell’aria può essere di origine naturale (ad es. dovuto alle eruzioni
vulcaniche o agli incendi boschivi) oppure provocato dalle attività umane (origine
antropica). Gli inquinanti immessi nell’atmosfera si possono a loro volta classificare in:
o macroiquinanti: sostanze le cui concentrazioni in atmosfera sono dell’ordine dei
mg/m3 come ad es., CO, CO2, NO, NO2, SO2, O3, particolato;
o microinquinanti: sostanze le cui concentrazioni in atmosfera sono dell’ordine dei
μg/m3- ng/m3 come gli idrocarburi policiclici aromatici e le diossine.
Le endotossine sono consideratate in ambiente generalmente microinquinanti (ordine di
ng).
Gli inquinanti possono essere anche classificati in base alla loro pericolosità sull’uomo,
valutata dal punto di vista tossicologico, ed in base alla loro aggressività nei confronti
dell’ambiente naturale o dei beni materiali. Lo studio degli effetti degli inquinanti sulla
salute della popolazione e dell’ecosistema in generale ha portato alla definizione di limiti
di concentrazione che, se frequentemente superati, possono arrecare danni alla salute della
popolazione e dell’ambiente.
L’inquinamento atmosferico può provocare effetti sia a breve che a lungo termine. Le
polveri penetrano nelle vie respiratorie giungendo, quando il loro diametro lo permette,
direttamente agli alveoli polmonari. Le particelle di dimensioni maggiori provocano effetti
di irritazione e infiammazione del tratto superiore delle vie aeree, quelle invece di
dimensioni minori (inferiori a 5-6 micron) possono provocare ed aggravare malattie
respiratorie e indurre formazioni neoplastiche. Tuttavia le diverse persone possono reagire
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in modo diverso all’inquinamento ed alcune possono non manifestare disturbi. Le persone
affette da malattie di cuore o dei polmoni possono essere molto sensibili all’esposizione
all’aria inquinata e possono manifestare sintomi prima degli altri mentre i bambini sono
sensibili a livelli di inquinamento atmosferico inferiori rispetto agli adulti e soffrire più
frequentemente di malattie come bronchite ed asma nelle zone dove l’aria è più inquinata
rispetto a quelle in cui è più pulita (ARPAT, 2007).
E’ necessario pertanto monitorare accuratamente le sostanze inquinanti presenti nell’aria al
fine di salvaguardare la salute pubblica prevenendo i possibili effetti avversi sulla
popolazione.
1.2 IL PARTICOLATO ATMOSFERICO
Con il termine materiale particolato (particulate matter, PM) si fa riferimento ad una
miscela eterogenea di sostanze presenti nell’aria sia allo stato solido che liquido. Le loro
dimensioni fisiche, la loro morfologia e la loro composizione chimica sono molto
eterogenee e variabili da un luogo all’altro e dipendono dalle caratteristiche delle
molteplici fonti di produzione e dalle condizioni fisico-chimiche dell’ambiente in cui si
formano. Esse possono rimanere sospese nell’aria per un lungo periodo di tempo ed essere
trasportate a grande distanza rispetto ai luoghi in cui vengono prodotte.
Le polveri possono essere di origine naturale oppure antropica, cioè prodotte dall'attività
umana. Il principale processo di formazione è quello di combustione, sia da fonti naturali
(vulcani, incendi di boschi) che da industrie, centrali termoelettriche, riscaldamento di
abitazioni. Nei centri urbani le polveri sono originate soprattutto dal traffico veicolare.
Altri processi di formazione sono rappresentati dall'erosione del pavimento stradale,
dall'usura di pneumatici e freni, dalla frantumazione di rocce e metalli durante la
lavorazione, dalle tempeste di sabbia. A queste fonti si aggiungono poi con varie cadenze
stagionali quelle biogeniche principalmente pollini e spore). Oltre che in maniera diretta,
poi, le polveri possono formarsi anche indirettamente: in questo caso vengono definite
particelle secondarie. Esse vengono prodotte attraverso reazioni chimico-fisiche tra i gas di
scarico, i raggi solari e il vapore acqueo. Gli ossidi di azoto, il biossido di zolfo e i
composti organici reagiscono con l'ozono ed altre molecole reattive (inclusi i radicali
liberi) per formare nitrati, solfati e altre particelle.
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Le particelle presenti in atmosfera non sono perfettamente sferiche, ma hanno in generale
forme irregolari, e sono quindi descritte dal diametro aerodinamico (Da) che è il diametro
di una particella sferica avente lo stesso tempo di sedimentazione della particella
considerata, ovvero la stessa velocità di caduta libera. La velocità di deposizione delle
particelle in atmosfera, e quindi il loro tempo di permanenza nell’ambiente, è direttamente
proporzionale al loro diametro aerodinamico; anche la deposizione è legata a questo
parametro. Le particelle che costituiscono le polveri atmosferiche hanno un diametro
aerodinamico che spazia approssimativamente da 0,005 µm a 100 µm.
Le particelle con un diametro superiore a 1-3 µm sono dette coarse-mode (particelle
grossolane), e hanno generalmente un'origine meccanica, ad esempio per erosione del
suolo. Quelle con un diametro inferiore a 1-3 µm sono dette fine-mode (particelle fini), e
sono prodotte in prevalenza dai processi di combustione. A loro volta le particelle fini si
distinguono in due gruppi che prendono il nome dai principali meccanismi di formazione
coinvolti: la componente nuclei-mode con un diametro al di sotto di 0,1µm (spesso
definita dagli epidemiologi e tossicologi con il termine di ultrafine), e la componente
accumulation-mode, costituita da particelle con diametro tra 0,1 e 1-3 µm. Le particelle
ultrafini si formano mediante meccanismo di nucleazione di sostanze in fase gassosa. Le
singole particelle ultrafini non restano a lungo in atmosfera, ma tendono a trasformarsi in
particelle fini attraverso meccanismi di coagulazione (due particelle più piccole si fondono
in una più grande) e di condensazione (molecole gassose si condensano sulle particelle già
formate). Esse però sono comunque sempre presenti nell'atmosfera, perché generate in
maniera continua dai processi di combustione.
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Fig. 1. Meccanismi di formazione delle particelle da traffico , loro volume e diametro
aerodinamico.
1.3 IL PM10 QUALE VEICOLO DI COMPOSTI TOSSICI
Il PM10 viene definito dalla normativa italiana come “la frazione di materiale particolato
sospeso in aria ambiente che passa attraverso un sistema di separazione in grado di
selezionare il materiale particolato di diametro aerodinamico di 10 μm con una efficienza
di campionamento pari al 50%” (Decreto ministeriale 2 aprile 2002, n. 60). Tale decreto
stabilisce anche, per una serie di agenti inquinanti, i valori limite e le soglie di allarme; per
il PM10 il valore limite è di 50 µg/m3 da non superare più di 35 volte per anno civile.
Il PM10 può essere suddiviso sulla base della misura in course (PM10 – PM2.5) e fine (PM2.5
– PM0.1) e ultrafine (<PM0.1). La frazione grezza è principalmente costituita da sorgenti
naturali (materiale geogenico: polvere transitoria e risospesa; materiale biologico: polline,
batteri), mentre la frazione fine è costituita da emissioni antropogeniche.
La dimensione delle particelle determina anche quale tratto dell'albero respiratorio è più
probabile possa essere raggiunto. Le particelle con un diametro aerodinamico maggiore di
10 µm si depositano quasi esclusivamente a livello di naso e gola, mentre le particelle fini
ed ultrafini con un diametro aerodinamico < 2,5µm sono in grado di penetrare più in
profondità fino a raggiungere gli alveoli dove avvengono gli scambi gassosi con il circolo
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sanguigno e, tramite questo, possono anche essere trasportate in organi distanti. Le
particelle fini ed ultrafini inoltre, a parità di massa, hanno una superficie molto più grande
di quella delle particelle di maggior diametro e possono fungere da vettori di una notevole
quantità di sostanze tossiche verso le parti più profonde dei nostri polmoni. Per questo
alcuni ricercatori ritengono che le particelle ultrafini siano più tossiche. Quindi, più in
profondità le particelle riescono ad arrivare e minori sono le possibilità che il nostro
organismo riesca ad eliminarle, mentre aumentano le probabilità che si inneschino
fenomeni di tossicità diretta e/o indiretta che danno luogo ad infiammazioni sia nei
polmoni che in altri organi ( Dipartimento Sanità Pubblica AUSL Modena, 2007)
Fig. 2. Livello di deposizione delle particelle nelle vie dell'albero respiratorio.
In base alla capacità di penetrazione nell’apparato respiratorio, il particolato viene
classificato in :
• frazione inalabile, quella che entra nelle vie respiratorie superiori (Inalable PM, IPM);
• frazione toracica, che raggiunge i polmoni (Toracic PM, TPM);
• frazione respirabile, quella che va più in profondità, raggiungendo gli alveoli
(Respirable PM, RPM).
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A prescindere dalla loro natura, le particelle che possono produrre degli effetti indesiderati
sull’uomo sono sostanzialmente quelle di dimensioni più ridotte; infatti durante la
respirazione le particelle con dimensioni maggiori di 15 μm vengono generalmente rimosse
dal naso. Il particolato che si deposita nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (le
cavità nasali, la faringe e la laringe) può generare vari effetti irritativi come
l’infiammazione e la secchezza del naso e della gola; tutti questi fenomeni sono molto più
gravi se le particelle hanno assorbito sostanze acide (come il biossido di zolfo, gli ossidi di
azoto, ecc.). Per la particolare struttura della superficie, le particelle possono anche
adsorbire dall’aria sostanze chimiche cancerogene, trascinandole nei tratti respiratori e
prolungandone i tempi di residenza, ne accentuano così gli effetti (in sostanza il particolato
agisce anche da vettore). Le particelle più piccole penetrano nel sistema respiratorio a varie
profondità e possono trascorrere lunghi periodi di tempo prima che vengano rimosse, per
questo sono le più pericolose. Queste polveri aggravano le malattie respiratorie croniche
come l’asma, la bronchite e l’enfisema. Le persone più vulnerabili sono gli anziani, gli
asmatici, i bambini e chi svolge un’intensa attività fisica, sia di tipo lavorativo che
sportivo.
Nei luoghi di lavoro più soggetti all’inquinamento da particolato, l’inalazione prolungata di
queste particelle può provocare reazioni fibrose croniche e necrosi dei tessuti che
comportano una broncopolmonite cronica accompagnata spesso da enfisema polmonare
(WHO, 2000).
La composizione delle particelle di polvere è molto variabile, e dipende da molti fattori tra
cui la fonte di origine, il clima e la topografia del luogo. Anche nello stesso luogo la
composizione può variare tra un anno e l'altro, tra una stagione e l'altra, tra un giorno e
l'altro. Le particelle di polvere possono contenere ioni, gas reattivi, composti metallici,
carbonio elementare (che spesso rappresenta la parte centrale della particella), composti
organici, acqua. Questa miscela - soprattutto la frazione organica - è molto complessa, e
può contenere anche centinaia di composti. Le particelle secondarie sono fatte soprattutto
di solfato d'ammonio, nitrato di ammonio e composti organici secondari derivanti da
reazioni chimiche che si producono in atmosfera tra alcuni gas e composti organici reattivi
(Dipartimento Sanità Pubblica AUSL Modena, 2007).
In base ad alcuni studi tossicologici, lo stato grezzo non è ritenuto importante, nel mediare
gli effetti nocivi; mentre gli stati fine e ultrafine sono generalmente considerati i
responsabili più probabili degli effetti avversi. Gli effetti cellulari delle particelle ultrafini
si manifestano sui canali del Ca++ presenti sulla membrana; l’aumento del. Ca++ nelle
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cellule esposte a particelle ultrafini può portare alla trascrizione di geni chiave pro-
infiammatori come IL-8 (Donaldson et al., 2001).
Tab 1. Componenti chimiche delle polveri e loro effetti biologici.
Componente Principali sottocomponenti Effetti biologici
Metalli
Ferro, vanadio, nickel, rame, platino e
altri.
Possono innescare processi infiammatori,
causare danni al DNA e alterare la
permeabilità delle pareti cellulari attraverso la
produzione di composti reattivi dell'ossigeno
(soprattutto radicali liberi idrossilici) nei tessuti.
Composti organici
Possono essere adsorbiti sulla
superficie delle particelle; alcuni
composti organici volatili o semivolatili
possono formare particelle essi stessi.
Possono causare mutazioni al DNA, cancro;
altri sono irritanti e possono indurre reazioni
allergiche.
Origine biologica
Virus, batteri e loro endotossine
(lipopolisaccaridi), frammenti di origine
animale o vegetale (ad esempio i
frammenti di polline), spore fungine.
I pollini possono scatenare risposte allergiche
nelle vie respiratorie dei soggetti sensibili; i
virus ed i batteri possono provocare risposte
immunitarie a difesa delle vie respiratorie.
Ioni
Solfati (1) (di solito sotto forma di
ammonio solfato), nitrati (2) (di solito
sotto forma di nitrato di ammonio o di
sodio), ioni idrogeno (H+).
L'acido solforico può, a concentrazioni
relativamente alte, danneggiare la clearance
mucociliare e aumentare le resistenze delle vie
respiratorie nei soggetti con asma; gli ioni
idrogeno possono modificare la solubilità (e la
biodisponibilità) dei metalli e degli altri
composti adsorbiti sulle particelle.
Gas reattivi Ozono, perossidi, aldeidi.
Possono adsorbirsi sulle particelle ed essere
trasportate nelle basse vie respiratorie
causando lesioni ai tessuti.
Parte centrale della
particella
Materiale carbonioso.
Il carbone causa irritazione dei tessuti
polmonari, proliferazione delle cellule epiteliali
e, per esposizioni croniche, fibrosi
1) Formati per neutralizzazione del vapore di acido solforico, generato dall'ossidazione del biossido di zolfo emesso
dalla combustione di carburanti contenente zolfo, come ad esempio quelli usati nella autotrazione e nelle centrali
termiche a olio o a carbone
(2) Formatisi dal vapore di acido nitrico, che si genera in atmosfera nelle reazioni degli ossidi di azoto.
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Tra i componenti responsabili dell’azione infiammatoria del PM10 sono i metalli di
transizione e le endotossine.
Metalli di transizione
Una certa evidenza dà rilievo al contenuto metallico di transizione di PM10 come causa
primaria di danno polmonare in cui lo stress ossidativo si manifesta come il risultato di
radicali liberi derivati dalla reazione di Fenton (Donaldson et al., 2001). Il ferro,
insieme ad altri metalli di transizione come Cu e Vn, sono responsabili dell’attivazione
di fattori di trascrizione pro-infiammatori come NF-κB nelle cellule epiteliali; si può
così legare direttamente il concetto di metallo di transizione all’infiammazione (Schins
et al., 2001).
Effetti simili sono stati attribuiti alle particelle stesse per mezzo di un meccanismo
ossidativo che provoca la generazione di radicali direttamente sulle superfici
particellari. Ciò è attribuibile specialmente alle particelle ultrafini (diametro inferiore a
100 nm) che possiedono un numero e una superficie maggiore per unità di massa e che
sono intrinsecamente più tossiche delle altre di misura maggiore (Donaldson et al.,
2001).
Endotossina
L’endotossina, la parte lipopolisaccaride (LPS) della membrana esterna dei batteri
Gram-negativi, è ben nota come causa di infiammazione delle vie respiratorie ed è stato
mostrato come agisca come agente di innesco per l’infiammazione indotta da particelle
(Donaldson et al., 2000).
Quindi le endotossine sono potenti pro-infiammatori che causano l’espressione di geni
pro-infiammatori, rilascio di ROS e mediatori lipididici; inoltre si è scoperto che esse
sono coinvolte nell’attivazione dei macrofagi e monociti. Nell’analizzare gli eventi
potenzialmente coinvolti si è scoperto che il LPS innesca i macrofagi a rispondere
eccessivamente alle particelle, si possono pertanto verificare interazioni complesse tra
macrofagi e cellule epiteliali che portano ad una reazione intensificata (Shins et al.,
2004).
La natura della tossicità PM10 risulta in modo tipico in una reazione infiammatoria che
coinvolge l’afflusso di neutrofili nei polmoni e sovraregolazione di citochine
infiammatorie comprendenti interleuchina IL-8, IL-6 e tumor necrosis factor α (TNFα)
(Shins et al., 2004).