CAPITOLO 1
Informazione e comunicazione
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1]
nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di
violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento
dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di
polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia
all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro
s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di
finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al
buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
(articolo 21 della Costituzione)
Si tende molto spesso a scambiare l'informazione con la comunicazione. Quest'ultima è ciò che
i politici devono fare per far sapere ai cittadini ciò che hanno fatto e stanno facendo (o quello
che promettono di fare e faranno). Fin qui tutto a posto. L'importante è che non ci sia solo
comunicazione. Quando un politico racconta quello che sta facendo in fin dei conti è un bene
perchè i cittadini hanno il diritto di sapere cosa sta facendo chi li governa o chi li amministra.
Ma l'informazione non ha certo il compito di mettere un microfono sotto il naso di un politico
e fagli dire ciò che vuole (per quanto bravo e onesto sia). Per fare ciò bastano i loro addetti
stampa. Le TV e i giornali non dovrebbero fare da pura cassa di risonanza a politici ed aziende
(a parte nel momento in cui fanno pubblicità chiaramente) ma il loro compito è andare a
cercare cosa un politica non comunica e perchè (ma soprattutto se è vero cosa comunica). Ciò
che essi fanno di buono è compito del politico stesso comunicarlo. Il giornalismo (cioè
l'informazione) dovrebbe fare da controprova. Alcuni giornalisti sembra impossibile ma pur
essendo iscritti all'ordine da 30 anni non hanno mai fatto un solo minuto di informazione.
Hanno infatti a loro insaputa fatto gli addetti stampa. Bisognerebbe impedire a politici,
banchieri, costruttori, palazzinari di essere editori per una semplice ragione: questi giornali
faranno molta comunicazione a vantaggio dei propri editori ma poca informazione. Gli
interessi di chi ha un giornale spesso sono in conflitto con chi legge quel giornale. Ovviamente
se il proprietario del giornale ha un'attività di pasticceria ci si può anche passare sopra. Ma se
l'editore produce automobili le cose cambiano. Come faccio a fidarmi di ciò che scrive quel
giornale sulle automobili se quel giornale ha un editore che possiede una casa
automobilistica? Come minimo un giornalista non può attaccare il proprio editore sul suo
3
giornale. Quando si parla di TV bisogna tenere conto che essa è molto più influente di giornali
e web. E bisogna tenerne atto. L'Italia è purtroppo l'unico Paese del mondo in cui molte TV
hanno un direttore che ha interesse a mandare trasmissioni che ha lo 0,1% di share e non di
mandare in onda trasmissioni che farebbero il 30%. Sembra impossibile. Ma nel momento in
cui chi controlla una TV è lo stesso che controlla anche le TV concorrenti è ovvio che inserirà
in una delle due (quella a cui ha più interesse a fare ascolti) programmi più interessanti e
nell'altra programmi scadenti in modo che non si facciano guerra di share fra loro e una sola
avrà il “comando”. Per esempio le trasmissioni-pollaio in cui i politici parlano uno sopra l'altro
e non arrivano notizie da quelle discussioni se non “non mi interrompa!” “stia zitto” “lei ha
parlato di più, adesso devo recuperare!”. Sono trasmissioni che ovviamente non lasciano nulla.
Zero si sapeva prima e zero si sapeva dopo che le averle viste. Quindi una trasmissione
d'informazione si misura dal numero di informazioni che da e soprattutto dalla qualità di esse.
I giochi di parole sui titoli sono poi il massimo esempio di disinformazione: quando si trattò di
diminuire la durata dei processi in Italia tutti i giornali titolarono “ Arriva il processo breve!”. E
chi non vorrebbe un processo breve? Ma il problema è che non si accorciavano i tempi dei
processi ma essi morivano prima. Ma tutta Italia pensò non che i processi si prescrivessero
prima ma che durassero meno. Quando manca la libertà di informazione diventa un alibi
perchè se impediscono a un giornalista di dire qualcosa esso può semplicemente dire “vorrei
informare, ma non posso”. La libertà d'informazione in Italia non c'è. E' una frase pesante ma è
così. Quasi tutti sanno perchè le TV e molti giornali non sono liberi. Forse è meno chiaro il
perchè molti giornali non di proprietà di politici non sono liberi. Dietro a molte testate italiane
ci sono aziende. Va dato atto al Fatto di non avere un editore dietro la sua proprietà. Non c'è
motivo al mondo sul perchè lo Stato poi debba finanziare l'editoria. Se un giornale (che deve
essere considerata un'azienda a tutti gli effetti) non è letto da nessuno non ha senso stia in
piedi con i soldi dei cittadini che pagano un giornale che non leggono. Poi ovviamente c'è un
altro aspetto: se lo Stato da soldi a un giornale vuole in cambio un favore o più favori. Ma il
problema è che non c'è niente di male a voler far profitto dai giornali... se agli editori
interessasse fare profitto. Eh si. A molti editori non interessa affatto fare profitto con il proprio
giornale. Sembra un ossimoro. Se c'è un settore dell'opinione pubblica che non è soddisfatto
dei giornali che ci sono ne nasce uno nuovo che va ad occupare quel settore. Il pluralismo è
avere tanti giornali che raccontano dal loro punto di vista quello che succede. Lo scopo degli
editori è vendere i loro prodotti attraverso i loro giornali, non fare profitto con la vendita dei
giornali. Ma non ci si riferisce alla pubblicità essa può essere un condizionamento. Chi produce
inceneritori non farà di sicuro pubblicità su giornali che scrivono che gli inceneritori fanno
venire il cancro. Molti editori però hanno interesse a vendere addirittura se stessi per fare
affari con settori che nulla hanno a che vedere con l'informazione. Un giornale che ha come
editore una banca difficilmente sarà credibile quando spiega ai suoi lettori come investire i
loro soldi, se un giornale ha come editore un'assicurazione difficilmente andrò su quel
giornale consigli su quale assicurazione fare. Il conflitto d'interessi è chiedere all'oste se il vino
è buono. In Italia i giornali non hanno editori puri cioè non hanno persone che fanno solo gli
editori. I giornali quindi servono non a dare notizie ma spesso a tenere sotto scacco i politici
per ottenere favori che altrimenti non si otterrebbe mai. “Mi pare evidente che Mani Pulite era
un'operazione della CIA per mandare al governo i comunisti” disse Vittorio Feltri. Al di la del
credo politico questa frase fece ridere il mondo intero (dato che dopo Mani Pulite andò al
governo Silvio Berlusconi). Ma dire una bugia è molto facile: smontare una bugia è molto
difficile. Richiede argomenti noiosi, complicati, tecnici.
Negli Stati Uniti si può addirittura dare del “cretino” al Presidente se si giustifica il perchè.
Forse è eccessivo? Può darsi. Ma la verità negli altri paesi è sacra e può addirittura non avere
limiti nemmeno nelle parole. I giornalisti che fanno la giudiziaria vengono querelati dalle
4
persone appena le nominano. Essi di solito hanno centinaia di cause tra civile e penale e
qualche condanna capita. Ma un giornalista che non ha mai ricevuto querele non può essere
considerato un giornalista (se ovviamente le querele sono frutto di errori e non di
diffamazioni volute). Le querele sono come gli incidenti per gli autisti, le cadute per i ciclisti. E
quale ciclista non è mai caduto?
Ci sono giornalisti che si vantano di non essere mai stati querelati. Ma non essere mai stati
querelati a mio parere non è un vanto, ma un segnale che quel giornalista non ha mai “toccato
tasti dolenti”. Un giornalista mai querelato non significa che è per forza bravo. E'
semplicemente un ciclista che ha sempre fatto strade pulite, asciutte, senza alcun ostacolo
contro cui andare a scontrarsi. E' anche vero però che le strade scomode portano a verità più
interessanti per i lettori anche se ci si scontra con qualche ostacolo, quelle più comode
(argomenti “innocui” come cucina, giardinaggio, tecnologia) portano meno interesse ai lettori
o comunque non reggono molto la concorrenza. La querela in Italia è vista come una nuvola
nera che cala sulla testa del direttore del giornale. Questo deriva anche da una vecchia
abitudine della stampa italiana che è sempre stata sensibile al potere. Quando un giornalista
scrisse che un incidente automobilistico era avvenuto con una Fiat il direttore gli disse “c'è un
errore nel tuo articolo: hai scritto Fiat. Ricordati che quando non si tratta di qualcosa di brutto
devi scrivere Fiat, quando invece si tratta di incidente devi scrivere “utilitaria””. Negli incidenti
non si poteva fare il nome della marca dell'auto perchè la Fiat si sarebbe risentita. Questa
tradizione poco onorevole del giornalismo italiano è poi quella che ha provocato i “furbetti”.
Tanti giornalisti eroi hanno perso la vita per questo mestiere (come in Libia, in Afghanistan).
E' un mondo strano il nostro, dove c'è eroismo e dove c'è cialtroneria. Si dovrebbe guardare
agli esempi migliori ma anche rompere un muro di omertà. Nessun giornale è il primo della
classe mentre gli altri sono accucciati al potere. Il sistema dell'informazione è veramente un
ecosistema complesso in cui ogni cosa è influenzata da un'altra e la fortuna che hanno alcuni
giornali (pochi) italiani liberi è quella di essere in una posizione aziendale che rende più facile
fare più domande, di non avere il cono d'ombra di una proprietà. Poi anche i giornali
cosiddetti liberi hanno una forte pressione lo stesso: i lettori. Non esiste la libertà assoluta.
Esiste il compromesso che ogni giorno si deve fare con le condizioni date, “se scrivo questa
cosa i lettori si arrabbieranno?”. Magari la pressione dei lettori è più bella, più pulita, più
nobile di quella di un'azionista. C'è poi un altro elemento positivo dei giornali senza editori:
scrivono cose che molti non dicono e molti altri giornali, per evitare la troppa concorrenza,
dicono “se non do questa notizia faccio brutta figura perchè sicuramente quell'altro la darà.
Forse è meglio che la scriva” e c'è quindi un condizionamento positivo e un possibile
miglioramento anche dei giornali cosiddetti “non liberi”. Poi ci sono ovviamente le mancanze
di rispetto a cui il lavoro del giornalista va inevitabilmente incontro. Esempio:
Giornalista: Scusi onorevole una domanda...
Politico: Con voi del giornale xyz non parlo!
Questo è l'emblema della non risposta. E chi ha paura delle domande è perchè ha paura di
rispondere. Ma in fondo il mestiere dell'informazione è fare domande. La domanda è il sale, il
sapore dell'informazione. Eppure le domande servirebbero anche ai politici per dimostrare
quando non c'entrano con alcune questioni, a chiarire, a farsi conoscere meglio. Spesso un
giornale non fa domande con l'intento di mettere in difficoltà la gente ma per fare in modo che
possano discolparsi e chiarire. Il giornalista dovrebbe anche fare da contraddittorio in molti
casi. Per questo che molti leader non frequentano certe trasmissioni, perchè hanno paura del
giornalista che fa contraddittorio. Si limitano a monologhi, video messaggi, comunicati
stampa. Ma questa non è informazione. E' auto promozione. Ma il potere in Italia non è solo la
5
politica. Ci sono banche, industrie. Le grandi società di calcio indicano i loro cronisti di
riferimento sui giornali sportivi. Il giornalista che esprime perplessità su una società di calcio
comincia a non essere più invitato alle conferenze stampa, gli vengono tagliate le notizie e le
telefonate e il direttore è costretto a sostituirlo con un giornalista più “docile” . L'unico modo
per fare questo mestiere è tenere la schiena dritta anche tra mille difficoltà. Ma forse un giorno
le cose cambieranno. Ci sono giornalisti che quando escono di casa devono guardarsi le spalle,
ricevono minacce, eppure non rinunciano a dire le cose come stanno.
Negli anni di Mani Pulite è come se nell'informazione italiana si fosse aperta una finestra in cui
per un paio d'anni si è potuta guardare la realtà. Poi quella finestra si è chiusa e non è stata più
aperta. Come mai? Credo per una serie di cause che si sono venute a trovare forse casualmente
incidenti: la debolezza della politica, la forza di un'indagine che ha imposto i fatti al di la delle
singole volontà dei singoli direttori, l'interessamento del grande pubblico che ha imposto i
temi della grande inchiesta che stava per rinnovare la politica italiana. La politica non riusciva
a reagire, a porre delle barriere, a bloccare questa massa di informazioni che arrivavano dal
Paese che i giornalisti prendevano e raccontavano in TV e sui giornali. Prima di Mani Pulite
erano i giornalisti che rincorrevano il direttore perchè i loro pezzi venissero pubblicati.
Quando si aprì quella finestra era il contrario: erano i direttori che pregavano i giornalisti di
portare certe notizie. Questa festa dell'informazione italiana si chiuse dopo un paio d'anni e si
tornò alla normalità. E questa normalità si è stratificata all'oggi in una maniera pesantissima
perchè oggi la politica è tornata forte ma senza avere la forza che avevano i partiti allora. Ne
facevano di tutti i colori ma avevano collegamenti reali con il loro Paese, discutevano, avevano
valori da esprimere, litigavano. Oggi no. Di fronte a questo l'informazione funziona come un
sottosistema della politica.
6