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1 1. . I IN NT TR RO OD DU UZ ZI IO ON NE E
La definizione delle strategie di intervento per la protezione idraulica dei territori
potenzialmente soggetti ad allagamenti provocati dal fiume Po, specie lungo il
suo tratto medio-inferiore, costituisce da sempre un problema complesso, di
grande interesse tecnico e scientifico.
Parte di detto interesse è dovuto alla particolare importanza socio-economica
delle aree di pianura potenzialmente allagabili che, proprio in virtù della loro
vicinanza al corso d’acqua, sono da sempre caratterizzate da condizioni
favorevoli allo sviluppo economico ed antropico. Nel corso degli ultimi due
secoli si è assistito ad un progressivo sviluppo dei sistemi arginali a difesa di tali
aree, sia in senso verticale (altezza dei rilevati) che in senso longitudinale
(lunghezza delle arginature). Questi interventi hanno quasi sempre seguito le
principali piene della storia, fra cui particolarmente significative sono quelle del
1951, del 1994 e del 2000. Il progressivo innalzamento della quota sommitale
delle arginature ha portato al raggiungimento, su gran parte dell’asta medio-
inferiore del Po, di condizioni strutturali limite, tali per cui le quote attuali dei
rilevati non appaiono più significativamente aumentabili.
Il lavoro compiuto e descritto nella presente dissertazione si colloca proprio
all’interno delle nuove linee strategiche di intervento identificate dall’Autorità di
bacino del fiume Po (AdB-Po), orientate non più solo a limitare la probabilità dei
fenomeni di allagamento ma anche, per quanto possibile, alla gestione e
mitigazione degli eventi di piena la cui intensità superi gli scenari di riferimento
per il sistema arginale.
Il prolungamento e il consolidamento della cintura arginale lungo l’asta del Po
vengono infatti inquadrati in quelle che sono definite ―strategie di resistenza‖. In
quest’ambito bisogna intendere come resistenza di un sistema la capacità di
mantenere inalterate le sue caratteristiche quando sottoposto a differenti
sollecitazioni. Le strategie tradizionali (o appunto ―di resistenza‖) sono dunque
quelle che si prefiggono come obiettivo la riduzione del rischio idraulico (la cui
definizione verrà riportata nel capitolo 3), prevenendo gli allagamenti mediante
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l’aumento del numero o, più semplicemente, delle dimensioni strutturali dei
rilevati posti a difesa delle aree prese in considerazione.
Studi compiuti nel corso degli ultimi anni hanno però identificato nuove
politiche di gestione del suddetto rischio, individuando una diversa tipologia di
strategie di intervento, denominata ―strategie di resilienza‖. Col termine
resilienza si intende in questo ambito la capacità di un sistema di ritornare a uno
stato simile a quello iniziale in seguito ad una perturbazione subita, dovuta a
eventi naturali e/o antropici (Hashimoto et al., 1982).
De Bruijn e Klijn (2001) hanno poi inserito tale definizione nel contesto della
gestione del rischio alluvionale. Le strategie di mitigazione del rischio idraulico
che fanno riferimento al concetto di resilienza si concentrano sulla riduzione
degli impatti provocati dagli allagamenti mediante linee di intervento alternative
alle strategie tradizionali. Tra queste, la strategia ―resiliente‖ approfondita
nell’ambito del presente lavoro di tesi prevede l’esondazione controllata (durante
l’evento di piena preso a riferimento) di volumi di piena in comparti idraulici
adiacenti alle arginature maestre, opportunamente identificati sulla base di criteri
quali la minimizzazione del rischio idraulico e il rapporto costi/benefici. Alla
presenza di detti comparti di potenziale esondazione è riconducibile la capacità
del corso d’acqua di laminare (ovvero di ridurre) i colmi di portata in occasione
dei fenomeni di piena.
L’accumulo di volumi di piena nelle zone di espansione laterale, infatti, ritarda e
diluisce nel tempo il fenomeno di propagazione dell’onda di piena che,
spostandosi da monte verso valle, si allunga e riduce il valore di portata al
colmo. Tale strategia è stata recentemente riconosciuta (assieme alle altre linee
d’intervento per la difesa idraulica del territorio alternative al continuo e
sistematico rialzo delle quote di sommità degli argini) quale linea strategica
d’intervento per i principali corsi d’acqua europei anche dalla Direttiva Europea
sui rischi di esondazione (Direttiva 2007/60/CE del Parlamento Europeo ―Flood
Directive‖).
Passando da un livello di scala internazionale a uno interregionale, l’Autorità di
bacino del fiume Po (AdBPo), anche per ottemperare agli obiettivi contenuti
nella suddetta direttiva, ha intrapreso una sistematica attività di studio volta alla
definizione di specifiche linee progettuali strategiche per il miglioramento delle
condizioni di sicurezza dei territori di pianura lungo l’asta medio-inferiore del
7
Po. Gli studi svolti dall’AdBPo evidenziano la necessità di definire strategie per
la mitigazione del rischio residuale, intendendosi come tale quella porzione di
rischio che permane anche in presenza dell’opera di difesa. L’esistenza di un
rischio residuale è relazionata in primo luogo alla possibilità di verificarsi di
eventi di piena più intensi di quello assunto a riferimento per la progettazione del
sistema di difesa arginale (solitamente l’onda sintetica duecentennale) e che
quindi non sono contenibili all’interno dello stesso, in secondo luogo alla
possibilità che, anche in un sistema arginale ben monitorato e mantenuto nel
tempo quale è quello del Po, non possano essere esclusi eventi di rottura
arginale. Tale rischio, definito residuale in quanto connesso a scenari di mancata
efficacia di un’opera idraulica, interessa un territorio potenzialmente assai ampio
(diverse migliaia di chilometri quadrati) e fortemente antropizzato. Esso deve
essere dunque preso attentamente in considerazione, valutato e gestito con
opportuni interventi di mitigazione.
Nello specifico le linee strategiche di intervento previste dall’AdBPo prevedono:
il miglioramento della capacità di laminazione all’interno delle arginature
maestre degli eventi di piena aventi tempo di ritorno,
, pari a 200 anni;
la valutazione e la gestione del rischio residuale nelle porzioni di territorio al
di fuori delle arginature maestre, che possono essere interessate da
inondazione al verificarsi di eventi di piena sensibilmente più gravosi di
quello duecentennale, assunto come riferimento per la progettazione del
sistema difensivo arginale (le cosiddette piene al limite della prevedibilità,
secondo la definizione di Majone, 2006);
lo studio delle possibilità di laminazione controllata delle piene al limite
della prevedibilità all’esterno delle arginature maestre.
Il presente lavoro, partendo dalla consapevolezza che l’attuale sistema di
arginature maestre del Po non possa garantire un livello di sicurezza idraulica
assoluto dei territori di pianura prospicienti il corso d’acqua nei confronti di
qualsiasi scenario di piena, si concentra su un evento con tempo di ritorno pari a
500 anni e, avvalendosi dei risultati sperimentali ottenuti attraverso un modello
matematico idraulico di tipo quasi-bidimensionale, muove i primi passi nella
direzione del controllo e gestione delle piene al limite della prevedibilità al fine
di minimizzare il rischio idraulico.
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Nella pratica, le analisi condotte per il controllo e la gestione del rischio
idraulico si sono tradotte nell’individuazione, mediante il supporto di
modellistica numerico-idraulica (HEC-RAS), delle aree maggiormente soggette
ad allagamento, mettendo a confronto l’attuale configurazione del sistema
arginale con una configurazione ipotetica, in cui gli argini siano stati
completamente consolidati, al fine di prevenire locali fenomeni erosivi durante i
fenomeni di tracimazione.
Il presente lavoro costituisce l’approfondimento e la naturale evoluzione degli
studi effettuati in precedenti tesi specialistiche (v. ad es. D’Andrea, 2010 e
Pagliccia, 2010), apportando, rispetto a questi ultimi, importanti modifiche che
rendono più realistico lo scenario analizzato. Nello specifico, il modello quasi-
bidimensionale del tratto medio-inferiore del Fiume Po è stato potenziato
introducendo le schematizzazioni dei principali affluenti del Po (Adda, Taro,
Parma, Enza, Secchia e Panaro), al fine di migliorare la riproduzione dei
fenomeni di rigurgito indotti dal passaggio dell’onda di piena in corrispondenza
delle confluenze e di rappresentare con precisione più elevata le dinamiche di
allagamento delle aree esterne alle arginature maestre dovute alle esondazioni
degli affluenti, elemento fondamentale per una corretta gestione politica a scala
di bacino.
Successivamente, utilizzando le mappe dell’uso del suolo fornite a livello
europeo dal programma Corine Land Cover, sono state identificate le aree
esterne alle arginature meno ―sensibili‖, ovvero le aree a minore densità
antropica ed industriale, e dunque maggiormente adatte ad accogliere i volumi
esondati in occasione di quegli eventi di piena incompatibili con i presidi
idraulici preesistenti.
La presente dissertazione, che descrive il lavoro svolto, si articola in nove
capitoli.
Nel secondo capitolo sono raggruppate informazioni di carattere
geomorfologico, storico e legislativo sull’area del bacino del Po; in esso sono
descritti inoltre gli strumenti adottati per l’analisi dei dati georeferenziati e le
informazioni topografiche utilizzate nel presente studio.
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Nel terzo capitolo vengono riportate la definizione del rischio idraulico adottata
dall’AdBPo e la classificazione delle zone territoriali che delimitano il corso
fluviale del Po.
Il quarto capitolo fornisce una breve descrizione del programma di calcolo
utilizzato per condurre l’analisi e del modello numerico quasi-bidimensionale
per il corso medio-inferiore del fiume Po sviluppato dal DISTART e aggiornato
nel corso dei precedenti lavori di tesi, punto di partenza dello studio svolto; vi
vengono illustrate inoltre le modifiche apportate nel presente studio riguardanti
la schematizzazione numerica dei maggiori affluenti.
Nel quinto capitolo viene invece presentato il procedimento utilizzato per
individuare l’evento di piena al limite della prevedibilità, definito in questo
contesto come quello associabile a un tempo di ritorno pari a 500 anni su tutto il
corso medio-inferiore del fiume Po e sugli affluenti considerati, a partire da
idrogrammi sintetici cinquecentennali costruiti per le maggiori sezioni
idrometriche di Po.
Una volta messo a punto il modello, è stata dunque lanciata una serie di
simulazioni con riferimento a due distinti scenari: I) scenario attuale con argini
maestri erodibili e dunque suscettibili di essere interessati da fenomeni di rotta
arginale in caso di sormonto (sesto capitolo); II) scenario ipotetico con argini
maestri tracimabili, ma inerodibili (settimo capitolo). Tale secondo scenario
ipotetico corrisponde a un caso limite, nel quale l’intervento di mitigazione del
rischio alluvionale comporti il rivestimento e il consolidamento di tutti i tratti
arginali critici, al fine di evitare fenomeni di rottura arginale. Esso costituisce un
caso più teorico che pratico, vista l’impossibilità di consolidare arginature di
lunghezza così vasta.
I risultati delle simulazioni illustrate nei capitoli sesto e settimo sono stati messi
a confronto e discussi nell’ottavo capitolo, ottenendo indicazioni utili alla
valutazione dei volumi di esondazione controllata all’esterno delle arginature
maestre e delle superfici complessivamente allagate.
Nel nono e ultimo capitolo (fatta eccezione per le conclusioni) è illustrata una
valutazione semplificata dei danni attesi per l’allagamento dei comparti esterni
alle arginature in seguito al passaggio dell’onda di piena cinquecentennale. Tale
valutazione è stata effettuata servendosi delle mappe di copertura del suolo
10
messe a disposizione dal programma Corine Land Cover, descritto nel suddetto
capitolo a livello europeo, nazionale e a scala di bacino.
11
2 2. . C CA AS SO O D DI I S ST TU UD DI IO O, , D DA AT TI I E E S ST TR RU UM ME EN NT TI I
U UT TI IL LI IZ ZZ ZA AT TI I
2.1. Il fiume Po
Figura 1: Bacino idrografico del fiume Po
Il Po è per molte ragioni il più importante fiume d’Italia. La sua lunghezza, pari
a 652 km, lo rende il più lungo corso d’acqua interamente compreso nel territorio
italiano; ha inoltre la massima portata alla foce (pari a ben 10300 m
3
/s in
occasione della piena che ha portato all’alluvione del 14 novembre 1951 del
territorio del Polesine, la zona di pianura situata tra il basso corso dei fiumi
Adige e Po fino al Mar Adriatico) e il bacino più esteso, secondo la definizione
di ―bacino‖ data dalla legge 183/89: ―il territorio dal quale le acque pluviali o di
fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un
determinato corso d’acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonché il
territorio che può essere allagato dalle acque del medesimo corso d’acqua, ivi
compresi i suoi rami terminali con le foci in mare e il litorale marittimo
prospiciente‖ (art. 1). La sua superficie infatti, considerando anche il sottobacino
12
di Burana-Po di Volano, che non fornisce contributi ai deflussi di piena, e il
Delta, è di ben 74000 km
2
. Di questi, una piccola parte ricade nei territori
francese e svizzero, mentre circa 70000 si trovano in territorio italiano,
interessando 3200 comuni e sei regioni (v. Figura 1): Piemonte, Valle d’Aosta,
Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna e la Provincia Autonoma di
Trento, di cui due terzi sono costituiti da terreni di collina e di montagna e un
terzo da terreni pianeggianti. Le regioni a sinistra del Po (ovvero quelle
settentrionali) occupano una superficie di circa 43000 km
2
, di cui 16000 km
2
sono regolati dai grandi laghi lombardi i cui specchi d’acqua occupano una
superficie di 890 km
2
. Le regioni a destra occupano una superficie di circa 27000
km
2
. Le superfici alpine coperte dai ghiacci perenni occupano circa 600 km
2
.
La mutevolezza del suo aspetto è il tratto saliente di questo fiume e del
paesaggio che lo accompagna. Nel corso degli ultimi millenni si è radicalmente
trasformato per l’azione di molteplici fattori. I confini tra l’emerso e il sommerso
sono mutati e il territorio è stato letteralmente costruito assumendo una relativa
stabilità.
L’origine del fiume Po è in Piemonte, in provincia
di Cuneo. Attraversa poi da ovest verso est gran
parte dell’Italia settentrionale, percorrendo tutta la
Pianura Padana, bagnando quattro capoluoghi di
provincia (nell’ordine Torino, Piacenza, Cremona
e Ferrara) e infine sfocia nel Mare Adriatico in
un vasto delta con cinque rami.
La sorgente del Po è situata in Piemonte, più precisamente nel pianoro
denominato Piana del Re ai piedi del Monviso, sulle Alpi Cozie in provincia di
Cuneo a una quota di 2020 m slm.
Arricchendosi notevolmente dell’apporto di altre innumerevoli sorgenti, prende a
scorrere nell’omonima valle. Da qui sbocca in pianura dopo appena una ventina
di chilometri, poco più a valle di Sanfront, lambendo i territori della città di
Saluzzo. In questo tratto vari affluenti arricchiscono la portata del Fiume, che
entra poi nella provincia di Torino attraversandone la città capoluogo. A Torino
il fiume, nonostante abbia percorso solo un centinaio di chilometri dalle sorgenti,
Figura 2: Sorgente del Po
13
è già un considerevole corso d’acqua, con un letto ampio circa 200 m e una
portata media già prossima ai 100 m
3
/s.
Con andamento verso est, costeggia poi le estreme propaggini del Monferrato
giungendo nella piana del Vercellese, dove si arricchisce dell’apporto di
importanti affluenti quali la Dora Baltea e il Sesia.
Piegando poi verso sud, continua a lambire in sponda destra il Monferrato in
provincia di Alessandria, bagnando le città di Casale Monferrato e Valenza. Qui
il corso funge anche da confine regionale tra Piemonte e Lombardia,
cominciando ad assumere dimensioni maestose.
Presso Bassignana, il Fiume punta definitivamente verso est grazie anche alla
forte azione del Tanaro, suo principale tributario di destra, e assume una
connotazione prevalentemente artificiale a causa delle opere di difesa e
sistemazione realizzate sulla sua asta e su quelle dei suoi affluenti. Dopo questa
confluenza il Po, ormai notevole nella portata (in media oltre i 500 m
3
/s), entra in
territorio lombardo, scorrendo in provincia di Pavia. Pochi chilometri a sud del
capoluogo pavese il Fiume riceve il contributo essenziale del Ticino, suo
principale tributario per volume d’acqua, che ne trasforma il regime da
torrentizio a fluviale, compensando gli stati di magra e di morbida, riducendone
la pendenza (da circa 0.35 ‰ a circa 0.18 ‰) e rendendolo così navigabile anche
da grosse imbarcazioni sino alla foce.
Dopo questa confluenza il Fiume prende a scorrere per parecchi chilometri nella
zona di confine tra Lombardia ed Emilia Romagna con andamento dapprima
sub-rettilineo, poi caratterizzato da meandri e infine sinuoso, bagnando città
importanti come Piacenza e Cremona e ricevendo contributi notevoli dagli
affluenti alpini e appenninici.
Nel primo tratto l’alveo si presenta moderatamente pluricursale e dà origine a
diverse isole fluviali, la più grande delle quali (escludendo naturalmente quelle
presenti alla foce) è Isola Serafini, situata poco più a monte della foce dell’Adda;
le arginature maestre sono inizialmente discontinue e distanziate (mediamente
1.7 km con un massimo di 4 km), per farsi poi più continue e ravvicinate
(passando a una luce di 1.4 km) dopo la confluenza del Trebbia.
Nel secondo tratto, a valle della confluenza con l’Adda, le arginature diventano
continue e distanziate (circa 2.6 km) e creano una grande area per la laminazione
14
delle piene, che perciò presentano di solito la loro portata al colmo in
corrispondenza di Piacenza o Cremona e vengono poi modulate; a causa delle
opere longitudinali volte a favorirne la navigazione l’alveo diventa monocursale,
caratteristica che mantiene sino alla foce.
Procedendo verso valle il Po riceve i contributi di Oglio, Mincio e Secchia e
presenta argini ravvicinati (mediamente 900 m, con punte minime di 500 m) e
alveo spesso canalizzato, soprattutto dopo la confluenza dell’ultimo fiume, il
Panaro.
Giunto infine nella zona di Ferrara il Po scorre pensile sul confine tra Veneto
(provincia di Rovigo) ed Emilia Romagna, nella regione storica del Polesine.
Qui il fiume inizia il suo ampio delta (380 km
2
), dividendosi in cinque rami
principali (Po di Maestra, Po della Pila, Po delle Tolle, Po di Gnocca e Po di
Goro) e quattordici bocche; un ulteriore ramo secondario (il Po di Volano), che
attraversa la città di Ferrara, è ora inattivo.
Il Grande Fiume sfocia quindi nel Mare Adriatico, attraversando territori
appartenenti al comune di Porto Tolle e Porto Viro.
Fin dall’antichità questo corso d’acqua è stato scenario di eventi storici, sociali
ed economici; segno del riconoscimento della sua rilevanza è il nome a esso
attribuito dagli antichi Greci, Εριδανόσ, nome di uno dei fiumi mitologici del
regno dell’Ade, cantato anche dal poeta Virgilio nel libro VI dell’Eneide: nel suo
nome è contenuta l’antica radice ρδν ossia ―rdn‖, comune ad altri importanti
fiumi del territorio europeo (Reno, Rodano e Danubio). Presso gli antichi Liguri
era invece chiamato Bodinco. Con la conquista dell’Italia settentrionale da parte
dei Galli, infine, assunse il nome Padus, da cui l’aggettivo ―padano‖, derivante
dal nome di una resina prodotta da una qualità di pini selvatici particolarmente
abbondante presso le sue sorgenti.
Secondo lo storico Plinio il Vecchio furono gli Etruschi i primi a tentare di
regolamentare il fiume per favorire la navigazione e distribuire le acque durante
le piene; lo sfruttamento del Po come via di comunicazione e la realizzazione
d’interventi volti a favorirne l’utilizzo si sono intensificati in epoca romana,
come testimoniato da alcuni geografi (ad es. Strabone) e storici (Polibio e lo
stesso Plinio il Vecchio nella sua opera Naturalis Historia), al punto che nel I
secolo d.C. le fosse Augusta, Clodia, Filistina, Messanicia e Neronia
15
permettevano di navigare da Ravenna fino ad Aquileia rimanendo sempre
all’interno di lagune e percorrendo canali artificiali e tratti di fiumi.
Nel 476 d.C., con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, vennero meno i
principali lavori di manutenzione, ma il decadimento del sistema viario da essi
creato rese ancora più importante come via di comunicazione il Po, il cui alveo è
stato continuamente navigato e reso oggetto di contese e accordi.
Fu intorno all’anno 1000 che si riprese a costruire argini, che erano però isolati, e
solamente nel 1479 le operazioni di arginatura furono completate e il corso del
Po fu ricondotto a un solo alveo.
Nonostante gli sforzi degli abitanti della Pianura Padana, nel tempo il Grande
Fiume ruppe ripetutamente gli argini. Le principali piene dell’ultimo secolo si
ebbero nel 1951 (con la terribile alluvione del Polesine), nel 1994 (quando a
finire sott’acqua furono ampie zone del Piemonte) e nel 2000 (quando il livello
del Fiume batté ogni record causando ingenti danni lungo tutto il suo corso).
L’insieme dei corsi d’acqua del bacino ha subito nel corso del tempo consistenti
interventi di trasformazione e di sistemazione idraulica che hanno condotto a un
livello di artificializzazione piuttosto intenso; un indicatore significativo di tale
situazione è rappresentato dalla consistenza del sistema delle arginature di 2
a
categoria lungo le aste del Po e degli affluenti nei tratti rigurgitati (Tabella 1).
CORSO D'ACQUA
ARGINATURE
IN SPONDA
DESTRA [km]
IN SPONDA
SINISTRA [km]
TOTALI [km]
Asta Po 418 446 864
Affluenti rigurgitati 924 350 1274
Totale Po 1342 796 2138
Delta 154
Totale Po + Delta 2292
Tabella 1: Lunghezza delle arginature del fiume Po
Oggi nelle aree limitrofe al corso d’acqua vivono circa 16 milioni di persone. In
Figura 3 è riportata la mappa di distribuzione della densità demografica: la
densità media sul bacino si attesta a circa 225 abitanti per km
2
, valore
sensibilmente superiore alla media italiana (188 abitanti per km
2
); all’alta densità
16
demografica corrisponde generalmente un notevole grado di concentrazione
insediativa, evidente non solo nelle aree metropolitane (Milano e Torino) e nelle
maggiori concentrazioni urbanistiche, ma diffusa in gran parte della Pianura
Padana e delle vallate principali
Nel bacino del Po sono concentrati inoltre il 55% del patrimonio zootecnico
italiano, il 35% della produzione agricola e il 37% delle industrie, le quali
sostengono il 46% dei posti di lavoro (fonte AdBPo). Per questi motivi il Po e il
suo bacino sono da considerare come zone nevralgiche per l’intera economia
italiana e una delle aree europee con la più alta concentrazione di popolazione,
industrie e attività commerciali. Dal punto di vista economico, l’area è strategica
per il Paese garantendo un PIL che copre il 40% di quello nazionale, grazie alla
presenza di grandi industrie e di una quota rilevante di piccole e medie imprese,
nonché di attività agricole e zootecniche diffuse. Sotto l’aspetto della risorsa
idrica, inoltre, il bilancio idrologico del bacino riguarda un volume d’acqua
complessivo pari a circa il 40% delle disponibilità dell’intero Paese.
Il Po è anche una grande attrazione per il turismo ambientale, sportivo e
culturale: la sua valenza naturalistica è data da oltre 60 parchi, riserve, aree
attrezzate e oasi naturali, tutti scenari ideali per percorsi in bicicletta o a cavallo
e per la navigazione fluviale. Estremamente ricca anche l’offerta di attività
indoor, grazie a oltre 30 musei, ville e centri di documentazione dedicati al fiume
e a eventi e personaggi a esso legati, da Don Camillo e Peppone a Giuseppe
Verdi.
Il delta del Po, per la sua grande valenza ambientale, è stato dichiarato
patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
17
2.1.1. Caratteristiche dei principali affluenti del Po
Figura 4: Principali affluenti del Po
Figura 3: Distribuzione della densità demografica nel bacino del Po
18
Figura 5: Delimitazione dei principali sottobacini idrografici
Da monte a valle, in sinistra idraulica:
la Dora Riparia (125 km) ha origine da due rami: la Dora di Cesana e la
Dora di Bardonecchia nella piana di Oulx e percorre la Valle di Susa fino
allo sbocco nella pianura torinese; dopo Susa la valle assume la caratteristica
forma a U e si sviluppa in modo rettilineo in direzione est-ovest;
la Dora Baltea (160 km) nasce dal Monte Bianco (Dora di Veny e Dora di
Ferret) e percorre la Valle d’Aosta prima in direzione ovest-est, poi in
direzione nordovest-sudest; confluisce nel Po all’altezza di Crescentino. Nel
tratto piemontese la sezione valliva si presenta ampia e delimitata dai
versanti morenici, a eccezione della stretta di Mazzé, con vaste aree
allagabili in destra e in sinistra, che nel tratto terminale si connettono a quelle
del Po;
il Sesia (138 km) ha origine dal Monte Rosa, scorre per il tratto montano
prima in direzione ovest-est (fino a Varallo) e poi verso sud; sbocca in
pianura a Romagnano; poco a monte di Vercelli, vi confluisce il torrente
Cervo, che con l’Elvo, raccoglie tutti i deflussi provenienti dalla zona pre-
alpina del Biellese. Dall’altezza di Vercelli è limitato da argini quasi continui
fino alla confluenza in Po, nei pressi di Breme;