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1 1. .  I IN NT TR RO OD DU UZ ZI IO ON NE E  
 
 
La definizione delle strategie di intervento per la protezione idraulica dei territori 
potenzialmente soggetti ad allagamenti provocati dal fiume Po, specie lungo il 
suo tratto medio-inferiore, costituisce da sempre un problema complesso, di 
grande interesse tecnico e scientifico. 
Parte di detto interesse è dovuto alla particolare importanza socio-economica 
delle aree di pianura potenzialmente allagabili che, proprio in virtù della loro 
vicinanza al corso d’acqua, sono da sempre caratterizzate da condizioni 
favorevoli allo sviluppo economico ed antropico. Nel corso degli ultimi due 
secoli si è assistito ad un progressivo sviluppo dei sistemi arginali a difesa di tali 
aree, sia in senso verticale (altezza dei rilevati) che in senso longitudinale 
(lunghezza delle arginature). Questi interventi hanno quasi sempre seguito le 
principali piene della storia, fra cui particolarmente significative sono quelle del 
1951, del 1994 e del 2000. Il progressivo innalzamento della quota sommitale 
delle arginature ha portato al raggiungimento, su gran parte dell’asta medio-
inferiore del Po, di condizioni strutturali limite, tali per cui le quote attuali dei 
rilevati non appaiono più significativamente aumentabili. 
Il lavoro compiuto e descritto nella presente dissertazione si colloca proprio 
all’interno delle nuove linee strategiche di intervento identificate dall’Autorità di 
bacino del fiume Po (AdB-Po), orientate non più solo a limitare la probabilità dei 
fenomeni di allagamento ma anche, per quanto possibile, alla gestione e 
mitigazione degli eventi di piena la cui intensità superi gli scenari di riferimento 
per il sistema arginale. 
Il prolungamento e il consolidamento della cintura arginale lungo l’asta del Po 
vengono infatti inquadrati in quelle che sono definite ―strategie di resistenza‖. In 
quest’ambito bisogna intendere come resistenza di un sistema la capacità di 
mantenere inalterate le sue caratteristiche quando sottoposto a differenti 
sollecitazioni. Le strategie tradizionali (o appunto ―di resistenza‖) sono dunque 
quelle che si prefiggono come obiettivo la riduzione del rischio idraulico (la cui 
definizione verrà riportata nel capitolo 3), prevenendo gli allagamenti mediante
6 
l’aumento del numero o, più semplicemente, delle dimensioni strutturali dei 
rilevati posti a difesa delle aree prese in considerazione. 
Studi compiuti nel corso degli ultimi anni hanno però identificato nuove 
politiche di gestione del suddetto rischio, individuando una diversa tipologia di 
strategie di intervento, denominata ―strategie di resilienza‖. Col termine 
resilienza si intende in questo ambito la capacità di un sistema di ritornare a uno 
stato simile a quello iniziale in seguito ad una perturbazione subita, dovuta a 
eventi naturali e/o antropici (Hashimoto et al., 1982). 
De Bruijn e Klijn (2001) hanno poi inserito tale definizione nel contesto della 
gestione del rischio alluvionale. Le strategie di mitigazione del rischio idraulico 
che fanno riferimento al concetto di resilienza si concentrano sulla riduzione 
degli impatti provocati dagli allagamenti mediante linee di intervento alternative 
alle strategie tradizionali. Tra queste, la strategia ―resiliente‖ approfondita 
nell’ambito del presente lavoro di tesi prevede l’esondazione controllata (durante 
l’evento di piena preso a riferimento) di volumi di piena in comparti idraulici 
adiacenti alle arginature maestre, opportunamente identificati sulla base di criteri 
quali la minimizzazione del rischio idraulico e il rapporto costi/benefici. Alla 
presenza di detti comparti di potenziale esondazione è riconducibile la capacità 
del corso d’acqua di laminare (ovvero di ridurre) i colmi di portata in occasione 
dei fenomeni di piena. 
L’accumulo di volumi di piena nelle zone di espansione laterale, infatti, ritarda e 
diluisce nel tempo il fenomeno di propagazione dell’onda di piena che, 
spostandosi da monte verso valle, si allunga e riduce il valore di portata al 
colmo. Tale strategia è stata recentemente riconosciuta (assieme alle altre linee 
d’intervento per la difesa idraulica del territorio alternative al continuo e 
sistematico rialzo delle quote di sommità degli argini) quale linea strategica 
d’intervento per i principali corsi d’acqua europei anche dalla Direttiva Europea 
sui rischi di esondazione (Direttiva 2007/60/CE del Parlamento Europeo ―Flood 
Directive‖). 
Passando da un livello di scala internazionale a uno interregionale, l’Autorità di 
bacino del fiume Po (AdBPo), anche per ottemperare agli obiettivi contenuti 
nella suddetta direttiva, ha intrapreso una sistematica attività di studio volta alla 
definizione di specifiche linee progettuali strategiche per il miglioramento delle 
condizioni di sicurezza dei territori di pianura lungo l’asta medio-inferiore del
7 
Po. Gli studi svolti dall’AdBPo evidenziano la necessità di definire strategie per 
la mitigazione del rischio residuale, intendendosi come tale quella porzione di 
rischio che permane anche in presenza dell’opera di difesa. L’esistenza di un 
rischio residuale è relazionata in primo luogo alla possibilità di verificarsi di 
eventi di piena più intensi di quello assunto a riferimento per la progettazione del 
sistema di difesa arginale (solitamente l’onda sintetica duecentennale) e che 
quindi non sono contenibili all’interno dello stesso, in secondo luogo alla 
possibilità che, anche in un sistema arginale ben monitorato e mantenuto nel 
tempo quale è quello del Po, non possano essere esclusi eventi di rottura 
arginale. Tale rischio, definito residuale in quanto connesso a scenari di mancata 
efficacia di un’opera idraulica, interessa un territorio potenzialmente assai ampio 
(diverse migliaia di chilometri quadrati) e fortemente antropizzato. Esso deve 
essere dunque preso attentamente in considerazione, valutato e gestito con 
opportuni interventi di mitigazione. 
Nello specifico le linee strategiche di intervento previste dall’AdBPo prevedono: 
 il miglioramento della capacità di laminazione all’interno delle arginature 
maestre degli eventi di piena aventi tempo di ritorno,  
   
, pari a 200 anni; 
 la valutazione e la gestione del rischio residuale nelle porzioni di territorio al 
di fuori delle arginature maestre, che possono essere interessate da 
inondazione al verificarsi di eventi di piena sensibilmente più gravosi di 
quello duecentennale, assunto come riferimento per la progettazione del 
sistema difensivo arginale (le cosiddette piene al limite della prevedibilità, 
secondo la definizione di Majone, 2006); 
 lo studio delle possibilità di laminazione controllata delle piene al limite 
della prevedibilità all’esterno delle arginature maestre. 
Il presente lavoro, partendo dalla consapevolezza che l’attuale sistema di 
arginature maestre del Po non possa garantire un livello di sicurezza idraulica 
assoluto dei territori di pianura prospicienti il corso d’acqua nei confronti di 
qualsiasi scenario di piena, si concentra su un evento con tempo di ritorno pari a 
500 anni e, avvalendosi dei risultati sperimentali ottenuti attraverso un modello 
matematico idraulico di tipo quasi-bidimensionale, muove i primi passi nella 
direzione del controllo e gestione delle piene al limite della prevedibilità al fine 
di minimizzare il rischio idraulico.
8 
Nella pratica, le analisi condotte per il controllo e la gestione del rischio 
idraulico si sono tradotte nell’individuazione, mediante il supporto di 
modellistica numerico-idraulica (HEC-RAS), delle aree maggiormente soggette 
ad allagamento, mettendo a confronto l’attuale configurazione del sistema 
arginale con una configurazione ipotetica, in cui gli argini siano stati 
completamente consolidati, al fine di prevenire locali fenomeni erosivi durante i 
fenomeni di tracimazione. 
Il presente lavoro costituisce l’approfondimento e la naturale evoluzione degli 
studi effettuati in precedenti tesi specialistiche (v. ad es. D’Andrea, 2010 e 
Pagliccia, 2010), apportando, rispetto a questi ultimi, importanti modifiche che 
rendono più realistico lo scenario analizzato. Nello specifico, il modello quasi-
bidimensionale del tratto medio-inferiore del Fiume Po è stato potenziato 
introducendo le schematizzazioni dei principali affluenti del Po (Adda, Taro, 
Parma, Enza, Secchia e Panaro), al fine di migliorare la riproduzione dei 
fenomeni di rigurgito indotti dal passaggio dell’onda di piena in corrispondenza 
delle confluenze e di rappresentare con precisione più elevata le dinamiche di 
allagamento delle aree esterne alle arginature maestre dovute alle esondazioni 
degli affluenti, elemento fondamentale per una corretta gestione politica a scala 
di bacino. 
Successivamente, utilizzando le mappe dell’uso del suolo fornite a livello 
europeo dal programma Corine Land Cover, sono state identificate le aree 
esterne alle arginature meno ―sensibili‖, ovvero le aree a minore densità 
antropica ed industriale, e dunque maggiormente adatte ad accogliere i volumi 
esondati in occasione di quegli eventi di piena incompatibili con i presidi 
idraulici preesistenti. 
 
La presente dissertazione, che descrive il lavoro svolto, si articola in nove 
capitoli. 
Nel secondo capitolo sono raggruppate informazioni di carattere 
geomorfologico, storico e legislativo sull’area del bacino del Po; in esso sono 
descritti inoltre gli strumenti adottati per l’analisi dei dati georeferenziati e le 
informazioni topografiche utilizzate nel presente studio.
9 
Nel terzo capitolo vengono riportate la definizione del rischio idraulico adottata 
dall’AdBPo e la classificazione delle zone territoriali che delimitano il corso 
fluviale del Po. 
Il quarto capitolo fornisce una breve descrizione del programma di calcolo 
utilizzato per condurre l’analisi e del modello numerico quasi-bidimensionale 
per il corso medio-inferiore del fiume Po sviluppato dal DISTART e aggiornato 
nel corso dei precedenti lavori di tesi, punto di partenza dello studio svolto; vi 
vengono illustrate inoltre le modifiche apportate nel presente studio riguardanti 
la schematizzazione numerica dei maggiori affluenti. 
Nel quinto capitolo viene invece presentato il procedimento utilizzato per 
individuare l’evento di piena al limite della prevedibilità, definito in questo 
contesto come quello associabile a un tempo di ritorno pari a 500 anni su tutto il 
corso medio-inferiore del fiume Po e sugli affluenti considerati, a partire da 
idrogrammi sintetici cinquecentennali costruiti per le maggiori sezioni 
idrometriche di Po. 
Una volta messo a punto il modello, è stata dunque lanciata una serie di 
simulazioni con riferimento a due distinti scenari: I) scenario attuale con argini 
maestri erodibili e dunque suscettibili di essere interessati da fenomeni di rotta 
arginale in caso di sormonto (sesto capitolo); II) scenario ipotetico con argini 
maestri tracimabili, ma inerodibili (settimo capitolo). Tale secondo scenario 
ipotetico corrisponde a un caso limite, nel quale l’intervento di mitigazione del 
rischio alluvionale comporti il rivestimento e il consolidamento di tutti i tratti 
arginali critici, al fine di evitare fenomeni di rottura arginale. Esso costituisce un 
caso più teorico che pratico, vista l’impossibilità di consolidare arginature di 
lunghezza così vasta. 
I risultati delle simulazioni illustrate nei capitoli sesto e settimo sono stati messi 
a confronto e discussi nell’ottavo capitolo, ottenendo indicazioni utili alla 
valutazione dei volumi di esondazione controllata all’esterno delle arginature 
maestre e delle superfici complessivamente allagate. 
Nel nono e ultimo capitolo (fatta eccezione per le conclusioni) è illustrata una 
valutazione semplificata dei danni attesi per l’allagamento dei comparti esterni 
alle arginature in seguito al passaggio dell’onda di piena cinquecentennale. Tale 
valutazione è stata effettuata servendosi delle mappe di copertura del suolo
10 
messe a disposizione dal programma Corine Land Cover, descritto nel suddetto 
capitolo a livello europeo, nazionale e a scala di bacino.
11 
2 2. .  C CA AS SO O  D DI I  S ST TU UD DI IO O, ,  D DA AT TI I  E E  S ST TR RU UM ME EN NT TI I  
U UT TI IL LI IZ ZZ ZA AT TI I  
 
 
2.1. Il fiume Po 
 
 
Figura 1: Bacino idrografico del fiume Po 
 
Il Po è per molte ragioni il più importante fiume d’Italia. La sua lunghezza, pari 
a 652 km, lo rende il più lungo corso d’acqua interamente compreso nel territorio 
italiano; ha inoltre la massima portata alla foce (pari a ben 10300 m
3
/s in 
occasione della piena che ha portato all’alluvione del 14 novembre 1951 del 
territorio del Polesine, la zona di pianura situata tra il basso corso dei fiumi 
Adige e Po fino al Mar Adriatico) e il bacino più esteso, secondo la definizione 
di ―bacino‖ data dalla legge 183/89: ―il territorio dal quale le acque pluviali o di 
fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un 
determinato corso d’acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonché il 
territorio che può essere allagato dalle acque del medesimo corso d’acqua, ivi 
compresi i suoi rami terminali con le foci in mare e il litorale marittimo 
prospiciente‖ (art. 1). La sua superficie infatti, considerando anche il sottobacino
12 
di Burana-Po di Volano, che non fornisce contributi ai deflussi di piena, e il 
Delta, è di ben 74000 km
2
. Di questi, una piccola parte ricade nei territori 
francese e svizzero, mentre circa 70000 si trovano in territorio italiano, 
interessando 3200 comuni e sei regioni (v. Figura 1): Piemonte, Valle d’Aosta, 
Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna e la Provincia Autonoma di 
Trento, di cui due terzi sono costituiti da terreni di collina e di montagna e un 
terzo da terreni pianeggianti. Le regioni a sinistra del Po (ovvero quelle 
settentrionali) occupano una superficie di circa 43000 km
2
, di cui 16000 km
2
 
sono regolati dai grandi laghi lombardi i cui specchi d’acqua occupano una 
superficie di 890 km
2
. Le regioni a destra occupano una superficie di circa 27000 
km
2
. Le superfici alpine coperte dai ghiacci perenni occupano circa 600 km
2
. 
 
La mutevolezza del suo aspetto è il tratto saliente di questo fiume e del 
paesaggio che lo accompagna. Nel corso degli ultimi millenni si è radicalmente 
trasformato per l’azione di molteplici fattori. I confini tra l’emerso e il sommerso 
sono mutati e il territorio è stato letteralmente costruito assumendo una relativa 
stabilità. 
 
L’origine del fiume Po è in Piemonte, in provincia 
di Cuneo. Attraversa poi da ovest verso est gran 
parte dell’Italia settentrionale, percorrendo tutta la 
Pianura Padana, bagnando quattro capoluoghi di 
provincia (nell’ordine Torino, Piacenza, Cremona 
e Ferrara) e infine sfocia nel Mare Adriatico in 
un vasto delta con cinque rami. 
La sorgente del Po è situata in Piemonte, più precisamente nel pianoro 
denominato Piana del Re ai piedi del Monviso, sulle Alpi Cozie in provincia di 
Cuneo a una quota di 2020 m slm.  
Arricchendosi notevolmente dell’apporto di altre innumerevoli sorgenti, prende a 
scorrere nell’omonima valle. Da qui sbocca in pianura dopo appena una ventina 
di chilometri, poco più a valle di Sanfront, lambendo i territori della città di 
Saluzzo. In questo tratto vari affluenti arricchiscono la portata del Fiume, che 
entra poi nella provincia di Torino attraversandone la città capoluogo. A Torino 
il fiume, nonostante abbia percorso solo un centinaio di chilometri dalle sorgenti, 
Figura 2: Sorgente del Po
13 
è già un considerevole corso d’acqua, con un letto ampio circa 200 m e una 
portata media già prossima ai 100 m
3
/s.  
Con andamento verso est, costeggia poi le estreme propaggini del Monferrato 
giungendo nella piana del Vercellese, dove si arricchisce dell’apporto di 
importanti affluenti quali la Dora Baltea e il Sesia.  
Piegando poi verso sud, continua a lambire in sponda destra il Monferrato in 
provincia di Alessandria, bagnando le città di Casale Monferrato e Valenza. Qui 
il corso funge anche da confine regionale tra Piemonte e Lombardia, 
cominciando ad assumere dimensioni maestose. 
Presso Bassignana, il Fiume punta definitivamente verso est grazie anche alla 
forte azione del Tanaro, suo principale tributario di destra, e assume una 
connotazione prevalentemente artificiale a causa delle opere di difesa e 
sistemazione realizzate sulla sua asta e su quelle dei suoi affluenti. Dopo questa 
confluenza il Po, ormai notevole nella portata (in media oltre i 500 m
3
/s), entra in 
territorio lombardo, scorrendo in provincia di Pavia. Pochi chilometri a sud del 
capoluogo pavese il Fiume riceve il contributo essenziale del Ticino, suo 
principale tributario per volume d’acqua, che ne trasforma il regime da 
torrentizio a fluviale, compensando gli stati di magra e di morbida, riducendone 
la pendenza (da circa 0.35 ‰ a circa 0.18 ‰) e rendendolo così navigabile anche 
da grosse imbarcazioni sino alla foce.  
Dopo questa confluenza il Fiume prende a scorrere per parecchi chilometri nella 
zona di confine tra Lombardia ed Emilia Romagna con andamento dapprima 
sub-rettilineo, poi caratterizzato da meandri e infine sinuoso, bagnando città 
importanti come Piacenza e Cremona e ricevendo contributi notevoli dagli 
affluenti alpini e appenninici.  
Nel primo tratto l’alveo si presenta moderatamente pluricursale e dà origine a 
diverse isole fluviali, la più grande delle quali (escludendo naturalmente quelle 
presenti alla foce) è Isola Serafini, situata poco più a monte della foce dell’Adda; 
le arginature maestre sono inizialmente discontinue e distanziate (mediamente 
1.7 km con un massimo di 4 km), per farsi poi più continue e ravvicinate 
(passando a una luce di 1.4 km) dopo la confluenza del Trebbia.  
Nel secondo tratto, a valle della confluenza con l’Adda, le arginature diventano 
continue e distanziate (circa 2.6 km) e creano una grande area per la laminazione
14 
delle piene, che perciò presentano di solito la loro portata al colmo in 
corrispondenza di Piacenza o Cremona e vengono poi modulate; a causa delle 
opere longitudinali volte a favorirne la navigazione l’alveo diventa monocursale, 
caratteristica che mantiene sino alla foce.  
Procedendo verso valle il Po riceve i contributi di Oglio, Mincio e Secchia e 
presenta argini ravvicinati (mediamente 900 m, con punte minime di 500 m) e 
alveo spesso canalizzato, soprattutto dopo la confluenza dell’ultimo fiume, il 
Panaro. 
Giunto infine nella zona di Ferrara il Po scorre pensile sul confine tra Veneto 
(provincia di Rovigo) ed Emilia Romagna, nella regione storica del Polesine. 
Qui il fiume inizia il suo ampio delta (380 km
2
), dividendosi in cinque rami 
principali (Po di Maestra, Po della Pila, Po delle Tolle, Po di Gnocca e Po di 
Goro) e quattordici bocche; un ulteriore ramo secondario (il Po di Volano), che 
attraversa la città di Ferrara, è ora inattivo.  
Il Grande Fiume sfocia quindi nel Mare Adriatico, attraversando territori 
appartenenti al comune di Porto Tolle e Porto Viro. 
 
Fin dall’antichità questo corso d’acqua è stato scenario di eventi storici, sociali 
ed economici; segno del riconoscimento della sua rilevanza è il nome a esso 
attribuito dagli antichi Greci, Εριδανόσ, nome di uno dei fiumi mitologici del 
regno dell’Ade, cantato anche dal poeta Virgilio nel libro VI dell’Eneide: nel suo 
nome è contenuta l’antica radice ρδν ossia ―rdn‖, comune ad altri importanti 
fiumi del territorio europeo (Reno, Rodano e Danubio). Presso gli antichi Liguri 
era invece chiamato Bodinco. Con la conquista dell’Italia settentrionale da parte 
dei Galli, infine, assunse il nome Padus, da cui l’aggettivo ―padano‖, derivante 
dal nome di una resina prodotta da una qualità di pini selvatici particolarmente 
abbondante presso le sue sorgenti. 
Secondo lo storico Plinio il Vecchio furono gli Etruschi i primi a tentare di 
regolamentare il fiume per favorire la navigazione e distribuire le acque durante 
le piene; lo sfruttamento del Po come via di comunicazione e la realizzazione 
d’interventi volti a favorirne l’utilizzo si sono intensificati in epoca romana, 
come testimoniato da alcuni geografi (ad es. Strabone) e storici (Polibio e lo 
stesso Plinio il Vecchio nella sua opera Naturalis Historia), al punto che nel I 
secolo d.C. le fosse Augusta, Clodia, Filistina, Messanicia e Neronia
15 
permettevano di navigare da Ravenna fino ad Aquileia rimanendo sempre 
all’interno di lagune e percorrendo canali artificiali e tratti di fiumi.  
Nel 476 d.C., con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, vennero meno i 
principali lavori di manutenzione, ma il decadimento del sistema viario da essi 
creato rese ancora più importante come via di comunicazione il Po, il cui alveo è 
stato continuamente navigato e reso oggetto di contese e accordi. 
Fu intorno all’anno 1000 che si riprese a costruire argini, che erano però isolati, e 
solamente nel 1479 le operazioni di arginatura furono completate e il corso del 
Po fu ricondotto a un solo alveo. 
Nonostante gli sforzi degli abitanti della Pianura Padana, nel tempo il Grande 
Fiume ruppe ripetutamente gli argini. Le principali piene dell’ultimo secolo si 
ebbero nel 1951 (con la terribile alluvione del Polesine), nel 1994 (quando a 
finire sott’acqua furono ampie zone del Piemonte) e nel 2000 (quando il livello 
del Fiume batté ogni record causando ingenti danni lungo tutto il suo corso). 
 
L’insieme dei corsi d’acqua del bacino ha subito nel corso del tempo consistenti 
interventi di trasformazione e di sistemazione idraulica che hanno condotto a un 
livello di artificializzazione piuttosto intenso; un indicatore significativo di tale 
situazione è rappresentato dalla consistenza del sistema delle arginature di 2
a
 
categoria lungo le aste del Po e degli affluenti nei tratti rigurgitati (Tabella 1). 
 
CORSO D'ACQUA 
ARGINATURE 
IN SPONDA 
DESTRA [km] 
IN SPONDA 
SINISTRA [km] 
TOTALI [km] 
Asta Po 418 446 864 
Affluenti rigurgitati 924 350 1274 
Totale Po 1342 796 2138 
Delta     154 
Totale Po + Delta     2292 
 
Tabella 1: Lunghezza delle arginature del fiume Po 
 
Oggi nelle aree limitrofe al corso d’acqua vivono circa 16 milioni di persone. In 
Figura 3 è riportata la mappa di distribuzione della densità demografica: la 
densità media sul bacino si attesta a circa 225 abitanti per km
2
, valore 
sensibilmente superiore alla media italiana (188 abitanti per km
2
); all’alta densità
16 
demografica corrisponde generalmente un notevole grado di concentrazione 
insediativa, evidente non solo nelle aree metropolitane (Milano e Torino) e nelle 
maggiori concentrazioni urbanistiche, ma diffusa in gran parte della Pianura 
Padana e delle vallate principali 
 
Nel bacino del Po sono concentrati inoltre il 55% del patrimonio zootecnico 
italiano, il 35% della produzione agricola e il 37% delle industrie, le quali 
sostengono il 46% dei posti di lavoro (fonte AdBPo). Per questi motivi il Po e il 
suo bacino sono da considerare come zone nevralgiche per l’intera economia 
italiana e una delle aree europee con la più alta concentrazione di popolazione, 
industrie e attività commerciali. Dal punto di vista economico, l’area è strategica 
per il Paese garantendo un PIL che copre il 40% di quello nazionale, grazie alla 
presenza di grandi industrie e di una quota rilevante di piccole e medie imprese, 
nonché di attività agricole e zootecniche diffuse. Sotto l’aspetto della risorsa 
idrica, inoltre, il bilancio idrologico del bacino riguarda un volume d’acqua 
complessivo pari a circa il 40% delle disponibilità dell’intero Paese. 
 
Il Po è anche una grande attrazione per il turismo ambientale, sportivo e 
culturale: la sua valenza naturalistica è data da oltre 60 parchi, riserve, aree 
attrezzate e oasi naturali, tutti scenari ideali per percorsi in bicicletta o a cavallo 
e per la navigazione fluviale. Estremamente ricca anche l’offerta di attività 
indoor, grazie a oltre 30 musei, ville e centri di documentazione dedicati al fiume 
e a eventi e personaggi a esso legati, da Don Camillo e Peppone a Giuseppe 
Verdi.  
 
Il delta del Po, per la sua grande valenza ambientale, è stato dichiarato 
patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
17 
 
 
 
 
 
 
2.1.1. Caratteristiche dei principali affluenti del Po 
 
 
Figura 4: Principali affluenti del Po 
 
Figura 3: Distribuzione della densità demografica nel bacino del Po
18 
 
Figura 5: Delimitazione dei principali sottobacini idrografici 
 
Da monte a valle, in sinistra idraulica: 
 la Dora Riparia (125 km) ha origine da due rami: la Dora di Cesana e la 
Dora di Bardonecchia nella piana di Oulx e percorre la Valle di Susa fino 
allo sbocco nella pianura torinese; dopo Susa la valle assume la caratteristica 
forma a U e si sviluppa in modo rettilineo in direzione est-ovest; 
 la Dora Baltea (160 km) nasce dal Monte Bianco (Dora di Veny e Dora di 
Ferret) e percorre la Valle d’Aosta prima in direzione ovest-est, poi in 
direzione nordovest-sudest; confluisce nel Po all’altezza di Crescentino. Nel 
tratto piemontese la sezione valliva si presenta ampia e delimitata dai 
versanti morenici, a eccezione della stretta di Mazzé, con vaste aree 
allagabili in destra e in sinistra, che nel tratto terminale si connettono a quelle 
del Po; 
 il Sesia (138 km) ha origine dal Monte Rosa, scorre per il tratto montano 
prima in direzione ovest-est (fino a Varallo) e poi verso sud; sbocca in 
pianura a Romagnano; poco a monte di Vercelli, vi confluisce il torrente 
Cervo, che con l’Elvo, raccoglie tutti i deflussi provenienti dalla zona pre-
alpina del Biellese. Dall’altezza di Vercelli è limitato da argini quasi continui 
fino alla confluenza in Po, nei pressi di Breme;