1.2 INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI (IDE)
Il principale strumento attraverso cui operano le imprese multinazionali è quello dell’
Investimento Diretto Estero (IDE), ossia l'investimento in un'impresa estera di cui
l'investitore possiede almeno il 10% delle azioni ordinarie, con l'obiettivo di stabilire
un "interesse duraturo" nel paese, una relazione a lungo termine e una significativa
influenza nella gestione dell'impresa (definizioni FMI 1993, OCSE 1996). Per
creare, acquisire o espandere un'azienda estera controllata, le multinazionali
effettuano IDE. Gli IDE hanno le seguenti caratteristiche:
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ξ sono aumentati fortemente tra il 1985 e il 2000, superando di molto la
crescita del commercio internazionale e del reddito, per poi stabilizzarsi negli
anni successivi; oggi circa un terzo del commercio mondiale avviene
all'interno delle strutture delle multinazionali, tra filiali in paesi diversi o tra
filiali e casa madre;
ξ provengono prevalentemente dai paesi avanzati o emergenti (USA, UE, tigri
asiatiche);
ξ sono diretti principalmente nei paesi avanzati (circa il 66% nel 2002-04
secondo dati UNCTAD), anche se la quota diretta ai PVS è in crescita (34%).
I PVS non dispongono infatti di capitali nazionali sufficienti a finanziare i
propri investimenti;
ξ avvengono principalmente per fusioni e acquisizioni con aziende locali già
esistenti, soprattutto tra paesi sviluppati. Nei PVS, al contrario, le imprese
multinazionali procedono più spesso con la creazione di impianti e imprese
ex novo in loco (investimenti greenfield), poiché non esistono sul mercato
locale aziende target adatte all'acquisizione;
ξ la maggior parte degli IDE sono concentrati in settori ad alta intensità di
lavoro qualificato e di tecnologia: chimica, macchinari, mezzi di trasporto. Si
tratta di settori con forti investimenti in ricerca e sviluppo, alta professionalità
dei lavoratori e complessità tecnica o differenziazione dei beni prodotti, il che
genera economie di scala a livello di impresa.
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Navaretti G. B., Venables A. J., “Le multinazionali nell'economia mondiale”, Il Mulino, Bologna
2006.
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Gli IDE possono essere inoltre divisi in orizzontali e verticali. I primi hanno come
obiettivo principale la penetrazione dei mercati (market-seeking). Conseguono alla
scelta di produrre all'estero piuttosto che esportare, a causa di elevati costi
commerciali o di barriere alle importazioni. Conducono sostanzialmente alla
duplicazione all'estero delle attività di produzione. I secondi, invece, hanno come
obiettivo principale la limitazione dei costi di produzione (cost-saving). Conseguono
alla scelta di operare una frammentazione del processo produttivo, piuttosto che
svolgere una produzione integrata nel paese d'origine. Sono favoriti dal diverso costo
dei fattori produttivi nei diversi paesi e dalla diversa intensità dei fattori nelle varie
fasi produttive, ma sono sfavoriti dall'esistenza di alti costi commerciali. Conducono
alla frammentazione del processo produttivo in più fasi, svolte in paesi differenti, e
alla commercializzazione internazionale dei prodotti semilavorati.
1.3 EFFETTI SULL'ECONOMIA DEI PAESI DI DESTINAZIONE
L’ingresso di un’impresa multinazionale può produrre diversi effetti, che possono
essere visti sia dal lato del paese d’origine che dal lato del paese di destinazione. Tali
effetti, inoltre, potrebbero essere considerati su diversi aspetti, come il mercato del
lavoro, dei prodotti, il sistema economico locale oppure la politica economica
nazionale.
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Nel mercato dei prodotti l'ingresso di una multinazionale potrebbe avere come effetti
positivi l'aumento della concorrenza sul mercato, per l'erosione del potere di
monopolio delle imprese locali; in questo modo si stimola la competizione dato che
le risorse locali sono impiegate più efficientemente e i prezzi diminuiscono a favore
dei consumatori.
Tale spinta competitiva, inoltre, spingerebbe le imprese locali ad un
aumento della produttività. Infine si beneficerebbe della presenza di spillover, ossia
della ricaduta sulle imprese locali di tecnologie, know-how e metodi importati dalla
multinazionale, quando i divari tecnologici e di reddito tra i paesi non sono eccessivi.
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Navaretti G. B., Venables A. J., “Le multinazionali nell'economia mondiale”, Il Mulino, Bologna
2006.
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Infatti, se il paese ospite dispone di lavoro qualificato e tecnologia sufficiente per
interagire con le multinazionali, si possono sviluppare trasferimenti di tecnologia e
legami di interdipendenza produttiva. Come effetti negativi, invece, si potrebbe
registrare l'estromissione di imprese nazionali (crowding-out), perché le verrebbero
sottratte delle quote di mercato, soprattutto per quelle più inefficienti, nonché il
trasferimento all'estero dei profitti delle aziende.
Nel mercato del lavoro l'ingresso di una multinazionale potrebbe avere come effetto
positivo la creazione di posti di lavoro aggiuntivi, più qualificati e dotati di maggiori
salari; negativi, a causa di una maggiore volatilità dei nuovi posti di lavoro, con
conseguente incertezza e riduzione del livello di benessere. Oltretutto, si potrebbe
verificare di conseguenza la perdita di posti di lavoro, più evidente nei PVS, a causa
della volatilità degli investimenti delle multinazionali a shock esterni. Inoltre, le
multinazionali reagiscono più rapidamente a tali shock, in quanto hanno diversificato
geograficamente il rischio e godono di un maggiore livello di efficienza. In questo
modo possono fare fronte in modo migliore ad eventuali shock negativi, rispetto alle
imprese nazionali. Per quanto riguarda invece i PVS, molti IDE sono motivati dalla
ricerca di un minore costo del lavoro. Con l'aumento dei redditi nel tempo,
aumentano anche i salari, riducendo i margini di profitto delle multinazionali; il
paese di destinazione può così perdere la propria capacità di attrazione, a favore di
nuovi attori a minore costo del lavoro (ad es. le multinazionali USA si spostano oggi
dal Messico verso Oriente).
Sull'economia del paese d'origine, la trasformazione delle imprese in multinazionali
può avere come effetto un aumento della produzione complessiva e della produttività
dell'azienda, con aumento del livello di occupazione. La delocalizzazione, riducendo
il costo delle fasi produttive ad alta intensità di lavoro (es. assemblaggio),
consentente di aumentare la produzione allo stesso costo: cresce pertanto la domanda
per le fasi produttive complementari, ad alta intensità di capitale, rimaste nel paese
d'origine (es. produzione componenti), e quindi anche la domanda di lavoratori
qualificati nel paese d'origine. Si ha di conseguenza una riduzione dei costi di
produzione e una maggiore competitività delle imprese nazionali. Tra gli effetti
negativi si avrebbe quello sull'occupazione diretta nel breve periodo per la
delocalizzazione della produzione ad alta intensità di lavoro in paesi con un minor
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costo del lavoro, nonché l’ aumento del gap salariale tra lavoratori qualificati e non
qualificati. Per quanto riguarda gli effetti sulla politica economica nazionale, le
imprese multinazionali hanno la possibilità di aggirare le politiche nazionali di
tassazione delle imprese trasferendo le proprie attività in paesi con un livello di
tassazione notevolmente inferiore; possono essere meno responsabili (mancanza di
accountability) nei confronti delle regolamentazioni nazionali e rispetto a questioni
socio-culturali o ambientali; la grande dimensione, che caratterizza la maggioranza
delle multinazionali, dà loro un forte potere contrattuale nella contrattazione con le
autorità sia fiscali che politico-economiche. Alcune esperienze (casi Enron e
Parmalat) dimostrano, inoltre, che gli enti nazionali non sono spesso in grado e non
hanno l'autorità di sorvegliare le transazioni internazionali.
1.4 LA LOCALIZZAZIONE DELLE IMPRESE
MULTINAZIONALI
La concorrenza fra le grandi imprese ed i margini di profitto sempre più ridotti hanno
spinto le imprese con attività prevalentemente industriale, a dislocare una crescente
quota della propria attività, se non addirittura tutta, in paesi dove la "forza lavoro" ha
costi inferiori, vi siano vantaggi valutari e dove la pressione fiscale sia notevolmente
bassa. In tal senso, i PVS sono terra di conquista per le multinazionali in quanto,
oltre al già citato minor costo e tutela della manodopera indigena, è possibile
sfruttare e controllare legislazioni interne estremamente carenti o permissive, per
quanto concerne ad esempio l'inquinamento o la tutela dei lavoratori. Un modello di
questa strategia di ricollocazione prevede che la produzione avvenga
prevalentemente in paesi come Cina, Corea e Taiwan, mentre in casa rimangono le
attività direttive, amministrative e commerciali.
I principali fattori che determinano la scelta di localizzazione delle multinazionali
possono essere riassunti come:
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ξ l'ordinamento giuridico nazionale nei suoi punti di forza e di debolezza, ad
esempio per quanto riguarda la protezione dei diritti di proprietà degli
investitori esteri;
ξ l'accesso ai mercati esteri;
ξ la distanza geografica tra le diverse parti delle attività di un'impresa;
ξ la disponibilità di fattori di produzione a basso costo (materie prime e costo
del lavoro);
ξ risorse umane: qualità, produttività e costo del personale, modelli evoluti di
funzionamento del mercato del lavoro (flessibilità numerica e funzionale,
qualificazione delle competenze ecc.);
ξ potenziale di mercato (vicinanza, facilità e costi di accesso al maggior
numero di mercati rilevanti);
ξ infrastrutture di trasporto e public utilities (telecomunicazioni, siti, acqua,
gas, energia);
ξ sistemi di incentivi e regimi fiscali;
ξ ambiente economico (servizi alle imprese, credito, reti di fornitori, centri di
ricerca e università);
ξ potenziale locale di sviluppo economico (PIL pro–capite, mercato del lavoro,
disoccupazione ecc.);
ξ efficienza e grado di concorrenzialità dei mercati (barriere all’entrata,
processi di liberalizzazione e di privatizzazione ecc.);
ξ Pubblica Amministrazione (qualità dei servizi, iter burocratici, semplicità e
certezza del quadro normativo ecc.);
ξ qualità della vita (sicurezza personale e d’impresa, educazione e cultura,
servizi sociali, leasure time, ambiente e inquinamento, apertura
internazionale).
Le imprese straniere, come tutte le imprese, ricercano la localizzazione che consente
loro di massimizzare il profitto atteso. Le variabili rilevanti sono pertanto quelle che
condizionano il profitto connesso a ciascuna localizzazione. Dall’analisi degli IDE
nei paesi dell’UE si evince una notevole eterogeneità così come tra singole regioni.
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Appare quindi evidente come gli IDE siano scoraggiati o favoriti da fattori che
operano sia a livello regionale che nazionale.
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La dimensione del mercato è una delle principali determinanti delle scelte di
localizzazione delle attività produttive, soprattutto nelle aree sviluppate come l’UE,
dove le strategie di localizzazione delle imprese multinazionali sono prevalentemente
di tipo market-seeking (ricerca del mercato), piuttosto che cost-saving (riduzione del
costo). L’effetto dimensione del mercato è stato analizzato nei modelli di commercio
internazionale con economie di scala e concorrenza imperfetta. Grazie a questo
effetto, le imprese operanti in settori caratterizzati da concorrenza imperfetta hanno
un vantaggio nel concentrare la loro produzione nelle regioni in cui il mercato è più
grande e a esportare verso le regioni dove il mercato è più piccolo. In altri termini,
ciò fa sì che la distribuzione spaziale della domanda influenzi in maniera permanente
la distribuzione spaziale delle imprese. In generale, l’effetto della dimensione del
mercato viene considerato in relazione al peso che assumono i costi di trasporto. Se
l’investitore produce beni facilmente trasportabili, la domanda locale avrà una scarsa
influenza sulle sue decisioni di localizzazione.
Considerando l’intero continente europeo come mercato di sbocco, l’impresa
sceglierà la propria localizzazione sulla base di considerazioni di costo e disponibilità
dei fattori. D’altro canto, se i costi di trasporto del bene prodotto sono rilevanti, un
maggior numero di imprese stabilirà la propria attività produttiva nella regione con il
mercato più ampio per sfruttare le economie di scala e per ridurre il peso dei costi di
commercializzazione ed esporterà verso le altre regioni. In un contesto multi-
regionale, ovviamente non è la dimensione del solo mercato locale (cioè della
regione in cui l’impresa intende insediarsi) a essere rilevante nella decisione di
localizzazione dell’impresa, ma anche il mercato delle regioni limitrofe, cioè il
mercato potenziale. Mercati piccoli, ma in posizione centrale rispetto a una pluralità
di mercati di vaste dimensioni, possono quindi risultare più attraenti di mercati più
grandi ma periferici. Ovviamente, l’importanza relativa della dimensione del mercato
locale rispetto a quello potenziale dipende dai costi di trasporto. In particolare,
quanto sono minori i costi di trasporto tanto maggiore sarà l’importanza del mercato
potenziale rispetto a quello locale. Nonostante ciò, non si può non riconoscere
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www.confindustria.it
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l’esistenza di un potenziale effetto del costo dei fattori produttivi (il lavoro, ma anche
materie prime costose da trasportare) nel guidare le scelte di localizzazione di tali
imprese.
Concentrando l’attenzione sul fattore lavoro, è necessario considerare gli effetti del
costo medio del lavoro regionale, del tasso di sindacalizzazione, del tasso di
disoccupazione e del grado di istruzione dei lavoratori. Un costo del lavoro e un tasso
di sindacalizzazione più elevati tendono in genere a disincentivare la localizzazione
delle imprese industriali. Altrettanto non si può invece dire per quel che riguarda il
tasso di disoccupazione: infatti, un elevato tasso di disoccupazione può indicare sia
un’elevata disponibilità di manodopera a basso costo, che uno scarso livello di
esperienza lavorativa della forza lavoro residente nella regione. Anche un aumento
del grado di istruzione e formazione della forza lavoro può esercitare un duplice
effetto sull’attrazione di IDE in una regione. Il primo effetto, negativo e indiretto, si
manifesta attraverso un incremento del livello salariale; il secondo effetto, positivo e
diretto, si manifesta tramite una riduzione dei costi variabili come risultato di un
aumento di produttività.
Molto importante appare, inoltre, il ruolo delle economie esterne come potenziali
determinanti della localizzazione delle imprese straniere. In primo luogo, esse
tendono a localizzarsi dove altre imprese sono già presenti.
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I benefici di questa
forma di esternalità, connessa al numero di impianti manifatturieri e non solo
raggruppati in una specifica area geografica (economie di agglomerazione), sono ben
noti: spillover di conoscenza, accesso a mercati del lavoro più stabili, disponibilità di
beni intermedi, servizi alla produzione e manodopera specializzata, presenza di
infrastrutture. Occorre, tuttavia, ricordare che le economie di agglomerazione
tendono a raggiungere valori limite, superati i quali possono eventualmente
trasformarsi in diseconomie di agglomerazione. La maggiore concorrenza sia nel
mercato del prodotto che in quello dei fattori, generata dalla presenza di un numero
relativamente ampio di imprese operanti nello stesso settore, tende ad agire come
forza centrifuga, determinando così una maggiore dispersione dell’attività industriale
nello spazio geografico. Una volta che le forze centrifughe superano gli effetti delle
economie di agglomerazione in una regione, le imprese tenderanno a localizzarsi
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www.econ.univpm.it
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nelle regioni contigue dove i costi di produzione sono inferiori e allo stesso tempo
esiste ancora qualche vantaggio derivante dalle economie esterne, data la ridotta
distanza geografica. In tal senso, le economie di agglomerazione opererebbero a un
livello sovra-regionale.
Oltre ai fattori di localizzazione sopra descritti, esistono anche economie di
agglomerazione legate non al numero generico di impianti esistenti, ma al numero di
stabilimenti di proprietà straniera operanti nella stessa area geografica. L’esistenza di
queste economie di agglomerazione può essere spiegata in termini di asimmetrie
informative tra le imprese locali e le imprese straniere. La presenza di imprese
straniere già localizzate in una data regione funge per le altre da segnale che esistono
potenzialità di profitto in quella regione. Le imprese straniere, che hanno una minore
conoscenza del contesto regionale rispetto alle imprese locali, tendono pertanto a
imitare le scelte di localizzazione di altre imprese straniere, creando in tal modo
economie di agglomerazione specifiche alle imprese straniere.
Un altro potenziale fattore di localizzazione degli IDE è rappresentato dallo stock di
infrastrutture presenti nella regione. Le infrastrutture sono beni pubblici e in quanto
tali generano esternalità di offerta sufficienti a innalzare i livelli di produttività delle
imprese private presenti nella regione. In genere, gli studi che testano la rilevanza
delle infrastrutture pubbliche per lo sviluppo regionale e per il processo di
concentrazione geografica delle attività industriali mostrano che le regioni con una
dotazione relativamente bassa di infrastrutture hanno livelli relativamente bassi di
produttività e bassi rendimenti degli investimenti privati. Ciò può essere sufficiente a
scoraggiare la localizzazione delle imprese multinazionali nelle regioni con una
scarsa dotazione di infrastrutture.
Esistono inoltre fattori produttivi intangibili non rivali e solo parzialmente
escludibili, come l’attività di ricerca e sviluppo (R&S), sia pubblica sia privata, e
l’attività innovativa in generale effettuata all’interno della regione, che possono
generare importanti economie esterne e pertanto influenzare le decisioni di
localizzazione delle imprese multinazionali. Si noti tuttavia che l’output dell’attività
in R&S, specie quella pubblica, non rappresenta un bene immobile. Quando la nuova
conoscenza creata dalle istituzioni pubbliche di ricerca è completamente codificata,
essa può essere facilmente trasferita dal produttore a qualsiasi soggetto utilizzatore a
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un costo molto basso. In tal caso, gli spillover di conoscenza non sono localizzati e la
R&S pubblica non rappresenta più un fattore di localizzazione. D’altro canto, se
l’output della R&S consiste in conoscenza non codificata, la prossimità geografica
tra utilizzatore e produttore della conoscenza può diventare importante. I casi di
imprese estere attratte in una regione dalla presenza di centri di ricerca di eccellenza
(dipartimenti universitari operanti in specifici campi della scienza e della tecnologia)
non sono rari.
La letteratura tradizionale sulla localizzazione ha anche enfatizzato il ruolo degli
incentivi pubblici nel condizionare la funzione di costo delle imprese multinazionali
e quindi le loro decisioni di localizzazione. Gli incentivi pubblici possono assumere
diverse forme: incentivi finanziari (sussidi pubblici), de-tassazione dei redditi di
impresa, riduzioni sul costo del lavoro. Nell’ambito di una crescente attenzione ai
temi dello sviluppo locale e di un maggior decentramento decisionale, questi tipi di
interventi vengono sempre più spesso definiti da autorità regionali, nell’ambito di
orientamenti nazionali o sopranazionali.
Oltre alle caratteristiche dei mercati locali del lavoro, anche le istituzioni nazionali
che regolamentano il funzionamento stesso dei mercati del lavoro possono
influenzare le decisioni di localizzazione delle imprese multinazionali. In genere, si
concentra l’attenzione sul ruolo della legislazione per quanto riguarda la protezione
dei lavoratori, del livello di sindacalizzazione e del cuneo fiscale sui redditi da
lavoro, cioè la differenza tra quanto pagato dalle imprese e quanto percepito dai
lavoratori. I risultati di questi studi suggeriscono che una legislazione stringente e alti
livelli del cuneo fiscale tendono a scoraggiare gli IDE.
Nella maggior parte dei paesi europei la tassazione sui redditi di impresa non ha una
dimensione regionale, dato che le regole dell’UE considerano una differenziazione
regionale delle aliquote di tassazione come una distorsione della concorrenza. Il
sistema di tassazione dei redditi di impresa ha un’ovvia relazione teorica con gli IDE
in entrata nei paesi: tasse più elevate fanno aumentare i costi operativi e dovrebbero
pertanto scoraggiare la localizzazione delle imprese multinazionali. Non bisogna
tuttavia trascurare il fatto che le imprese multinazionali potrebbero accettare di
pagare tasse più elevate se a esse fossero associati migliori servizi pubblici e migliori
infrastrutture. Oltretutto, in quei paesi in cui vi è una componente sindacale forte e
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