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mascolinità, la reazione verso l’incertezza, l’accettazione delle differenze di potere e 
l’orientamento al lungo termine) e sono state ricavate dagli studi di Geert Hofstede, un noto 
ricercatore che ha dedicato gran parte della sua vita nello studio delle caratteristiche culturali 
dei diversi stati con particolar riferimento all’influenza di queste sulle problematiche relative 
al posto di lavoro e più in generale all’economia. Altre quattro variabili sono connesse alla 
situazione politica e economica dei vari paesi (la sicurezza di credito, la competitività globale, 
la libertà economica e la costrizione politica), i loro valori sono stati presi da fonti autorevoli 
(delle quali si parlerà nel cap III) e tradotti in una scala numerica coerente agli obbiettivi della 
tesi che li rende in una chiave di lettura esaustiva e di rapida comprensione. Comode cluster 
gerarchiche permettono di comprendere le caratteristiche e le somiglianze dei paesi  (dei quali 
le imprese estere sono originarie), sia a livello culturale, che politico, che economico. 
É stata anche considerata la distanza chilometrica, essendo la prima delle due imprese 
interagenti sempre italiana: la distanza è stata calcolata fra Roma e le altre capitali dei paesi, 
perché la distanza geografica è una determinante importante relativamente alle scelte 
impresariali, come verrà dimostrato nel corso del lavoro. 
Analizzando direttamente la struttura del lavoro, il primo capitolo riguarda la parte di teoria 
economica, questa introduce i principali concetti necessari per la comprensione del testo, il 
primo di questi è l’internazionalizzazione e il nuovo profilo di mercato che si sta delineando, 
segue l’introduzione dei modelli di joint venture e alleanza che verranno analizzati a fondo 
nei capitoli III e IV. 
Il secondo capitolo riguarda  la parte teorica dei modelli statistici applicati nell’elaborazione 
dei dati, vi si trovano fra gli altri le definizioni di regressione logistica, regressione lineare e di 
cluster. 
Il terzo capitolo è applicativo invece, si apre con la presentazione del database e delle variabili 
aggiunte, da quelle ricodificate a quelle culturali. In riferimento particolare a queste ultime 
cita le  fonti, i loro significati e le motivazioni per le quali sono state inserite; poi, le traduce 
in mappe geografiche costruite con il programma di analisi statistica e metodologica SPSS 
attraverso l’elaborazione di un geoset che permette di tradurre i dati direttamente sulle 
piantine cartografiche. Attraverso questa funzione è possibile colorare i diversi paesi secondo 
una scala di sfumature di colore che riflette quella numerica reale di una variabile, o di 
introdurre per ogni singolo Stato o aree geografica un qualsiasi tipo di grafico. Segue l’analisi 
esplorativa dei dati che li presenta nella loro forma più generale, affiancandogli un supporto 
visivo costituito principalmente da  grafici a torta interattivi, questo per semplificare la lettura 
dei dati.  
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Successivamente vengono proposti modelli di regressione lineare, prima sul database unico e 
poi relativamente alle singole aree settoriali e geografiche, e un analisi temporale per rilevare 
cosa è cambiato dal 2000 al 2005. 
L’ultimo capitolo approfondisce due argomenti principali: quello relativo alle iterazioni delle 
imprese italiane con quelle cinesi e quello che riguarda le dipendenze di tutte le variabili 
originarie del database con quelle riguardanti le caratteristiche culturali, economiche e 
politiche. 
Il primo dei due approfondimenti è stato scelto perché la Cina presenta caratteristiche proprie 
peculiari e molto diverse da quelle delle altre aree geografiche e dispone di una base dati 
sufficientemente grande per considerare l’analisi significativa; il secondo, per fornire un 
analisi multi disciplinare che presentasse il problema di internazionalizzazione non solo 
valutando le caratteristiche intrinseche delle singole imprese, ma valutando il contesto nel 
quale si trovano a operare in tutti i suoi aspetti e l’influenza che esercita sulle scelte. L’analisi 
si conclude con le conclusione e i futuri sviluppi che il lavoro potrà assumere. 
É stato particolarmente motivante condurre il lavoro per una serie di fattori congiunti, innanzi 
tutto la possibilità di svilupparlo su più livelli, da quello più generale, considerando i dati nel 
loro insieme, fino a scindere le osservazioni a seconda del loro settore di appartenenza, 
dell’area geografica o delle caratteristiche culturali dei paesi di riferimento. É stato possibile 
anche seguire un analisi temporale e rilevare come alcuni fattori stiano cambiando, ad 
esempio come le imprese tendano sempre più ad abbandonare i mercati di sbocco tradizionali 
come i paesi dell’Europa Occidentale e dell’USA a favore di quello Cinese, Indiano e dei 
paesi emergenti dell’Asia Orientale. 
Le prime difficoltà nel lavoro sono state di recuperare materiali teorici che fossero coerenti 
con quelli del database, in modo da aver una base teorica sufficientemente ampia per poter 
interpretare correttamente gli output. Successivamente la pulizia del database, la messa in 
ordine delle osservazioni e inserimento delle nuove variabili ha richiesto molto tempo, anche 
perché una serie di operazioni sono state rifatte per cercare di dare maggior coerenza possibile 
al lavoro, soprattutto quando si è presentata la necessità di ricodificare alcune variabili o di 
costruire scale di valori per dati non numerici, come nel caso della sicurezza di credito. É 
stato necessario analizzare i vari modelli statistici al fine di utilizzare quelli che erano più 
coerenti con i dati e che potevano offrire output esplicativi. Il problema costante per tutto il 
corso dell’analisi è stato quello della numerosità delle osservazioni, che il taluni casi, non 
permetteva di fornire output con una significatività accettabile, problema che potrebbe essere 
superato in un analisi futura con l’aggiornamento del database e l’introduzione di nuovi dati. 
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L’analisi si colloca in una posizione di anticipazione e riferimento per quelle successive; da 
un punto di visto metodologico per aver considerato tutto il contesto che grava sui dati 
originari del database, dimostrando che un analisi statistica può considerare 
contemporaneamente dati e fonti provenienti da altri ambiti e raggiungere conclusioni 
significative non altrimenti ricavabili; da quello analitico, per la scelta di modelli statistici 
appropriati al problema e per l’intenzione ostinata di renderli chiari e di facile comprensione 
anche per chi non è avvezzo alla lettura di dati e alla loro interpretazione. 
 
Matteo Mazzocchi 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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1.1. L’internazionalizzazione 
 
La progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali e della circolazione dei capitali e 
delle persone, la rapida evoluzione e diffusione dei servizi reali e finanziari, dalla logistica 
alle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni hanno segnato l’avvio di quel 
nuovo stadio di evoluzione al quale correntemente si riferisce il concetto di globalizzazione. 
Le imprese produttrici di beni, di fonti di energia e di servizi hanno adottato  strategie di 
internazionalizzazione, sotto la spinta di quel fattore endogeno che è l’innovazione 
tecnologica. Il costo crescente della ricerca di base, della ricerca applicata, dello sviluppo e 
l’elevato rischio di rapida obsolescenza delle tecnologie e dei prodotti innovativi, costringono 
le imprese a vendere i risultati dell’innovazione nel tempo più rapido possibile, nel mercato 
più ampio possibile.  
Simmetricamente perdono peso le imprese che operano in nicchie locali di mercato, al riparo 
della competizione internazionale e a scarsa propensione di investimento nell’innovazione. 
Storicamente le strategie degli IDE sono state avviate dalle imprese Nord Americane ed 
Europee per assicurarsi il controllo nel rifornimento di materie prime e di derrate alimentari, 
per le quali le imprese dei paesi industrializzati non potevano basarsi soltanto sull’offerta 
nazionale. Ora si sono diffuse a tutti i settori commerciali.  
Le politiche protezionistiche dei mercati nazionali hanno stimolato gli IDE; ad esempio, di 
fronte alle barriere di confine erette nei paesi produttori di auto in Europa negli anni Trenta, 
GM e Ford hanno reagito con gli IDE, attraverso acquisizioni e investimenti greenfield in 
Europa.  
Nella seconda metà di questo secolo, in presenza della crescente liberalizzazione degli scambi 
e del sistema dei cambi fissi, durato quasi trenta anni, sono esplose le strategie di 
I Concetti Economici 
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multinazionalizzazione delle imprese che operano in numerosi settori industriali e nella 
produzione dei servizi. 
L’internazionalizzazione in questo senso è dovuta a una serie di fattori:  
• alla ricerca di consolidamento ed espansione; 
•  alla ricerca di disponibilità di risorse umane con capacità, culture, attitudini differenti;  
• a strategie rivolte all’estensione dei vantaggi proprietari , attraverso 
l’internazionalizzazione di capacità tecnologiche, disponibilità di consulenza e fusione 
di capacità complementari;  
• a strategie rivolte al funzionamento delle imperfezioni del mercato locale, dovute a 
barriere oligopolistiche e alle barriere di confine, erette dai governi su pressione delle 
imprese locali; 
• a opportunità di acquisizioni e di fusioni, di bassi costi di protezione ambientale, 
incentivi finanziari e fiscali allo sviluppo industriale locale; 
• all’acquisizione di vantaggi competitivi all’interno di settori a consolidata strategia 
mondiale; 
• all’acquisizione di vantaggi proprietari attraverso il radicamento produttivo in contesti 
territoriali specializzati come i distretti industriali e simmetricamente l’esplosione 
della capacità di multinazionalizzazione delle imprese che operano in questi contesti 
territoriali. 
 
Per la comprensione dell’analisi statistica successiva si introducono ora i concetti di alleanza 
e di joint venture, due differenti canali che le imprese possono percorrere per 
internazionalizzarsi. 
 
1.2. Le Alleanze 
Il fenomeno delle alleanze fra le aziende si è sviluppato a livello mondiale dal 1960 
direttamente connesso alla globalizzazione dell’economia. 
Da imprese con un sistema decisionale ben definito, ci si muove verso un tipo di 
organizzazione dai connotati non perfettamente delineati, in un economia di mercato che 
fonde competizione e collaborazione: la direzione è quella di un nuovo capitalismo detto 
“alliance capitalism”, capitalismo delle alleanze. 
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Il capitalismo delle alleanze non è il solo fattore che influisce sulle imprese, ma è una 
componente fondamentale nel nuovo sistema socio-economico. 
Le alleanze strategiche sono un’utile strategia al fine di attivare sinergie ed giungere a un 
livello di valore aggiunto altrimenti inarrivabile per le singole imprese. 
Per formare un’alleanza sono necessari tre requisiti: 
• obiettivi comuni; 
• la consapevolezza del dover dividere i benefici equamente; 
• il continuo impegno e lavoro nelle aree strategiche per l’alleanza. 
 
Il futuro è terribilmente esigente e le imprese devono costantemente rinnovare i loro vantaggi 
competitivi, essere innovative, anticipare le evoluzioni del mercato: sfruttare congiuntamente 
competenze e culture diverse può risultare una soluzione particolarmente adeguata. 
Le alleanze, oltre a essere fondamentali per l’innovazione, sono un modo per ridurre 
l’incertezza, per entrare su nuovi mercati dei quali non si conoscono bene le caratteristiche, 
soprattutto per quelle imprese che si trovano per la prima volta a operare fuori dal proprio 
mercato. 
In particolare i primi vantaggi che emergono da un’alleanza strategica sono: 
1. l’impiego di economie di scale o scopo; 
2. l’apprendimento dai partners; 
3. la gestione del rischio e la condivisione dei costi; 
4. la semplificazione dei processi per collusioni tacite; 
5. la semplificazione dell’entrata in nuovi mercati; 
6. l’entrata in nuovi settori o segmenti di mercato a bassi costi; 
7. la gestione dell’incertezza; 
8. la gestione della tempistica; 
9. la garanzia di maggior flessibilità. 
 
Le caratteristiche strutturali e comportamentali delle imprese coinvolte sono particolarmente 
rilevanti per un corretto processo di apprendimento appropriazione e utilizzo delle 
competenze, sinergie e conoscenze, in particolare quando le conoscenze tacite hanno una 
rilevanza importante. 
Le conoscenze tacite infatti sono: 
• spesso sottovalutate; 
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• di più difficile assimilazione; 
• più difficili da insegnare; 
• non direttamente visibili. 
 
É anche vero però che, se le conoscenze e le risorse tacite sono più difficili da comprendere e 
insegnare, una volta assimilate, sono un punto di forza notevole in quanto sono più difficili da 
imitare. 
 
Per considerare l’economia attuale bisogna sempre tener presente il concetto di network. 
Questo concetto è direttamente collegato con quello di sistema, dove per sistema si intende  
un gruppo di elementi correlati all’interno del quale ogni modifica apportata a un elemento si 
ripercuote anche negli altri. 
La struttura di mercato è diventata più complessa a causa delle correlazioni su diversi livelli 
di reti e inoltre gli obiettivi e le variabili in gioco in ogni singola rete sono più numerosi, più 
difficili da identificare e in stretta dipendenza l’uno dall’altro. 
Perché un’alleanza abbia successo è necessario che le imprese siano disposte a cambiare 
anche il sistema con il quale prendono le decisioni e  i metodi di controllo, perché quasi 
sempre i risultati ottenuti differiscono da quelli avuti e ciò che si scopre non sempre è quello 
che si ricerca. 
La logica di adattamento viene sostituita dalla logica dell’anticipazione, ovvero la capacità di 
modificare l’ambiente creando nuovi mercati e nuove esigenze nei consumatori. 
Le industrie una volta formate, nel caso in cui siano in grado di interpretare correttamente il 
business, possono crescere velocemente. La crescita tuttavia è destinata a fermarsi, perché 
ogni impresa raggiunge, prima o poi, la fase di maturità: a questo punto è necessaria una 
riconfigurazione, ovvero cercare nuove competenze, nuovi sbocchi, investire in risorse umane 
e ricerca & sviluppo; per questo motivo le alleanze e le joint ventures, nella nuova economia , 
sembrano strategie vincenti. 
Nel database, sotto la dizione alleanza, rientrano anche gli accordi minori che le imprese 
hanno stretto fra loro e le partecipazioni di quote societarie. Le acquisizioni del totale della 
proprietà non vengono considerate, in quanto, a seguito dell’acquisto, non c’è nessuna 
iterazione diretta con l’impresa estera. 
 
 
 
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1.3. Le Joint ventures 
L’espressione joint venture è molto attuale, in quanto costituisce un importante strumento di 
collaborazione fra le imprese, utilizzabile sia nel campo produttivo, commerciale che nella 
ricerca. La joint venture (JV) è un istituto che nasce nella “ Common Law” , dove tale 
espressione viene utilizzata per indicare forme assai eterogenee di collaborazione temporanea 
fra due o più imprese, volte alla realizzazione di un obiettivo comune. La joint venture si è 
quindi trasformata successivamente in uno strumento sempre più frequentemente utilizzato in 
ambito internazionale, al fine di sviluppare forme complesse di collaborazione fra imprese 
appartenenti a paesi diversi. 
L’integrazione europea, che negli ultimi anni ha visto una notevole accelerazione, ha fornito 
un notevole supporto a quel processo di ristrutturazione industriale che ha modificato 
profondamente l’economia degli stessi stati dell’Unione. 
Il progressivo abbattimento delle barriere economiche e giuridiche che separavano gli stati 
membri, ha favorito la creazione di un mercato e di regole europee con le quali le imprese 
nazionali sono chiamate a confrontarsi non solo tra di loro, ma soprattutto, con la sempre più 
aggressiva concorrenza internazionale. 
Sono stati di conseguenza avviati processi di razionalizzazione industriale che trovano nelle 
concentrazione e condivisione di competenze uno strumento fondamentale. In Europa, dove la 
nuova figura contrattuale è stata immediatamente recepita, dando talvolta vita ad istituti del 
tutto particolari, quali ad esempio “Association Momentanè” (belga), o l’ 
“Arbeitsgemeinschaft” (tedesca), il termine viene oggi utilizzato in un’accezione assai ampia, 
riferendola a qualsiasi iniziativa congiunta da parte di più imprese. 
In Italia sebbene la joint venture sia una scelta adottata di frequente, non esiste una forma 
giuridica che ne esprima a pieno la forma, le modalità e i contenuti. La realizzazione di tali 
iniziative congiunte viene perseguita tradizionalmente attraverso forme giuridiche diverse, fra 
le quali, oltre ai consorzi, si annoverano istituti più recenti, quali le A.T.I. ( Associazioni 
Temporanee di Imprese ) ed i GEIE ( Gruppo Europeo di Interesse Economico). 
Il termine joint venture indica una forma di associazione temporanea tra imprese finalizzata 
alla realizzazione di un investimento  o di un’ opera in un settore d’interesse comune: esso 
designa cioè l’accordo fra due o più imprese mirato alla creazione di complessi sistemi 
industriali, di appalti, ovvero alla comune ricerca tecnologica od allo sviluppo di reti 
commerciali. 
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Nella legislazione italiana il termine impresa comune è comparso la prima volta nel 1990 
all’articolo 5 comma 1° della legge n.287, il quale testualmente recita: “ l’operazione di 
concentrazione si realizza (…) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione 
di una nuova società, alla costituzione di un’impresa comune”. 
La definizione del legislatore italiano differisce, sul piano linguistico, da quella accolta in 
sede comunitaria, ove le joint ventures vengono qualificate come “ imprese controllate 
congiuntamente da varie altre imprese, società fondatrici”. Occorre però ricordare che, ai 
sensi della disciplina comunitaria, si considera l’imprese come  “un insieme organizzato di 
risorse umane e materiali volto a perseguire su base stabile uno scopo economico definito” 
ponendo quindi in evidenza il dato economico, indipendentemente dalla  forma giuridica 
adottata. Si tratta di una fattispecie che presenta generalmente problemi al momento della 
definizione tipicamente non è chiara e condivisa nei paesi aderenti. In ambito giuridico si 
sottolinea sempre la differenza fra joint venture e partnership, infatti solo nella joint venture è 
possibile la partecipazione di persone giuridiche. 
Storicamente le radici delle joint ventures sono da ricercarsi nei sistemi di common law, in 
particolar modo negli Stati Uniti, tale tipologia di accordo può essere considerata quale 
biglietto da visita al fine di accedere a quei settori dell’economia e della finanza normalmente 
preclusi alle singole imprese, a causa degli ingenti capitali necessari, degli alti rischi connessi 
o semplicemente della complessità dell’opera da realizzare. 
Ci sono due forme principali di joint venture: contractual e incorporated joint venture. 
Per quanto riguarda le contractual joint ventures si parla di unincorporated joint venture, 
riferendosi al caso in cui non venga costituito un ente autonomo distinto e separato rispetto ai 
partecipanti co-ventures, ma gli stessi perseguono il fine congiunto attraverso un contratto, o 
meglio una rete contrattuale. 
Si parla invece di incorporated joint venture come di società di capitali con responsabilità 
limitata, aventi per oggetto l’esercizio di un’attività congiunta fra i co-ventures, i quali 
decidono di costituire un’ apposita società per azioni dal punto di vista economico perché in 
un rapporto di questo genere non si può dimenticare di far riferimento anche ai legami di tipo 
fiduciario e personale che si vengono a instaurare tra i co-ventures. 
Indipendentemente dalla forma giuridiche che sarà scelta per la joint venture essa avrà come 
scopo la realizzazione di uno specifico progetto o di una singola operazione. I co-ventures 
parteciperanno a questa joint venture con l’apporto di know-how, materiale e denaro: 
parteciperanno ai benefici comuni e divideranno le eventuali perdite. 
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Una joint venture permette di suddividere i costi, acquisire know how ed entrare in mercati 
nuovi o rischiosi facendo leva non soltanto sulle proprie forze, ma anche su quelle del co-
venturer con l’obiettivo comune di creare sinergie positive. 
Le joint venutres contrattuali, mancando di personalità giuridica, si configurano come 
inadeguate nel gestire attività che devono essere organizzate nel medio-lungo  periodo con 
ovvie limitazioni nell’ambito di responsabilità dei co-ventures. Una joint venture contrattuale, 
mancando di un soggetto giuridico nuovo, autonomo e dotato di responsabilità limitata, per 
quanto completa ed esaustiva, spesso non è sufficiente a governare i rapporti dei co-ventures. 
Sarà necessario conoscere approfonditamente la normativa societaria del Paese in cui la JV 
verrà costituita con l’intento di valutare se le esigenze delle imprese partecipanti possono 
essere soddisfatte. 
I rapporti che si verranno a costituire saranno disciplinati da un accordo che prende il nome di 
“JV Agreement” o “Main Agreement” e di norma comprende: 
1. gli obiettivi prefissi dalle parti; 
2. i rispettivi apporti e le relative modalità; 
3. la forma giuridica del nuovo soggetto; 
4. la modalità di trasferimento delle azioni; 
5. la struttura gestionale, che sarà corroborata da patti parasociali a tutela delle parti; 
6. la modalità di ripartizione di profitti e perdite; 
7. le ipotesi di scioglimento della joint venture. 
Le clausole statutarie saranno le prime a prevalere nella volontà delle parti. 
Queste vengono spesso ampliate con l’inserimento di  patti parasociali che, seppur non 
trasfusi nello statuto, incidono sui comportamenti di chi vi opera in qualità di socio o 
amministratore. 
La disciplina sancita dagli accordi parasociali interviene solamente sul differente piano dei 
rapporti tra i singoli soci, tali accordi non assumono pertanto il rigore di regolamenti interni 
alla società: essi producono solo effetti obbligatori nei confronti di coloro che vi hanno 
aderito, e non effetti reali erga omnes. 
Una joint venture è destinata al successo unicamente quando entrambe le parti non solo ne 
traggono un beneficio, ma ritengono che lo stesso sia equo e proporzionato al loro contributo. 
Diviene fondamentale, nella redazione di un contratto di joint venture, non solo tutelare i  
interessi propri della parte che si rappresenta, ma altresì considerare il modo in cui l’altra 
parte recepirà, al momento della negoziazione, anche negli anni a venire, una determinata 
situazione che si intende regolamentare contrattualmente.