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La pubblicità si è sempre sostenuta ad altri settori e discipline, dalla
stampa alla psicologia, dalla televisione al cinema, dalla semiotica alla
radio, senza dimenticare lo stretto legame con l’arte. Appare evidente la sua
ecletticità e la sua pervasività, così come appaiono naturali le critiche
mosse già negli anni sessanta del novecento. Giudizi, opinioni, accuse ed
esaltazioni risultano naturali, se non altro perché è un fenomeno che
attraversa la società dall’economia alla cultura, da un Paese all’altro,
diventando la forma di comunicazione più complessa, nonché fenomeno
sociale e culturale.
In questo capitolo vengono presi in esame il linguaggio e le principali
tecniche utilizzate dalla pubblicità. In teoria la strategia più logica dovrebbe
essere l’esclusività dell’argomentazione di vendita, in grado di evidenziare
i benefici offerti al consumatore. Nella situazione attuale la comunicazione
pubblicitaria, più che un tono informativo, adopera l’arte della persuasione
e della presupposizione. Così il più delle volte diventano essenziali gli
elementi tesi a creare attenzione e coinvolgimento emotivo, sono messe in
scena le caratteristiche del supposto consumatore, anzichè quelle del
prodotto.
Il capitolo pertanto si conclude con una rassegna dei modelli di uomo e di
donna presentati negli spot televisivi e con una conseguente analisi della
percezione che il pubblico ha di essi. Si evince che il modello più presente
nella pubblicità è quello femminile, che però non rispecchia quello reale.
L’ideale pubblicitario femminile incarna la perfezione fisica e caratteriale.
La questione allarmante è che questo stereotipo di donna sembra essere
l’unico proposto dagli spot e quindi o risulta, per la maggior parte del
pubblico, l’unico esistente a cui aspirare, o, per una minoranza,
inappropriato e banale.
Nel secondo capitolo viene esaminata la “Campagna per la bellezza
autentica” del marchio Dove, esplicando motivazioni e principi della
promozione. E’ stata presa in considerazione questa operazione
commerciale in quanto il progetto e i modelli presentati dalla
multinazionale sono svincolati dalla pubblicità convenzionale.
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Attraverso una ricerca condotta a livello mondiale per conto della Dove, è
apparso chiaro che la grande maggioranza del pubblico femminile non si
rispecchia nell’immagine prodotta dalla pubblicità e ne chiede una più
reale. Di conseguenza la multinazionale in questione ha introdotto nella
nuova campagna pubblicitaria visi e corpi di donne comuni, che hanno
attirato naturalmente l’attenzione di un vasto bacino d’utenza, oltre che di
riviste e quotidiani.
Nel terzo capitolo vengono analizzati gli effetti socio-psicologici prodotti
dalla pubblicità. Per inquadrare meglio il concetto di bellezza, è stato fatto
un excursus sulle principali tappe dell’evoluzione di questo concetto. Nel
secondo paragrafo si dimostra l’importanza della novità, che nella
situazione attuale si può identificare paradossalmente con la normalità,
poiché ormai nella comunicazione mediatica si ha l’impressione che sia
stato detto e mostrato tutto. Fondamentalmente credo ci sia una sorta di
stagnazione del settore, alla quale si deve categoricamente reagire, per non
scadere nella globalizzazione dei contenuti.
Quindi si è posta attenzione sulla globalizzazione della bellezza, nata come
conseguenza alla globalizzazione mediatica, e di come perciò siano validi
nella maggioranza dei Paesi gli stessi canoni estetici. Il capitolo si conclude
con la messa in evidenza della responsabilità sociale di questo tipo di
comunicazione, che sembra aver prodotto fobie di emulazione in un
pubblico a volte ingenuo e superficiale.
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Capitolo I
CHE COS’E’ LA PUBBLICITA’
1.1 Breve storia della pubblicità
Con il termine “pubblicità” si intende una forma di comunicazione
attraverso cui si rende pubblico e si da notorietà a un prodotto; la pubblicità
è un insieme di tecniche per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica
e degli acquirenti su una azienda e sui suoi prodotti/servizi.
Difficile è datare con certezza il momento della sua nascita, perché essa ha
preso forma progressivamente. Già nell'antichità le numerose insegne
utilizzate dai commercianti per attirare i clienti rappresentavano un tipo di
comunicazione vicino alla pubblicità contemporanea. Fu soprattutto nel
Rinascimento, grazie all’incremento del traffico commerciale
internazionale, che si avvertì l’esigenza di valorizzare le virtù di un
prodotto. In epoca moderna, con l'invenzione della stampa a caratteri
mobili di Gutenberg e le successive evoluzioni, si registra la comparsa dei
primi manifesti stampati, da poter affiggere nelle strade, e delle prime
rèclame sui giornali.
Tra arte e pubblicità ci sono da sempre stati stretti legami, già verso la fine
dell’Ottocento il mondo pubblicitario entra a far parte della pittura e della
poesia, così come, viceversa, gli artisti si mettono alla prova in questa
nuova forma di comunicazione. Nei manifesti più significativi di inizio
Novecento, è presente l’eco di importanti movimenti artistici dell’epoca.
D’Annunzio si lasciò tentare dal lavoro di pubblicitario, Picasso realizzò un
collage utilizzando ritagli di marchi commerciali e di manifesti, Marinetti
compose poemi “industriali”. Davide Campari, proprietario di una nota
impresa di bevande alcoliche, si appellò a numerosi artisti nella speranza di
realizzare insolite e creative pubblicità. Commissionò a Depero una lunga
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serie di lavori, una opera delle più significative fu “Squisito al selz”
realizzata dall’artista nel 1926 come omaggio al suo committente. (fig. 1)
Dall’inizio del ventesimo secolo, il mondo della pubblicità fu fortemente
influenzato anche dai nuovi studi sulla psicologia umana. I manifesti si
fecero sempre più sofisticati, cercando di colpire le componenti istintive ed
emozionali dell’individuo, secondo strategie di marketing che portarono a
un cambiamento nella concezione del manifesto pubblicitario. Il messaggio
divenne meno immediato, più articolato e completo e quindi maggiormente
efficace nell’indurre all’acquisto.
Negli anni Trenta nacquero, in Italia, numerosi studi di grafica che
producevano pubblicità basate a metà strada tra l’intuizione artistica e
quella artigianale. Studi che, nel secondo dopoguerra, si trasformarono in
agenzie che non riuscivano comunque a staccarsi dalla figura di botteghe
artigianali ruotanti attorno al carisma del titolare per seguire l’esempio
americano. Le agenzie americane rispecchiavano, infatti, più
professionalità, sia nella distinzione dei ruoli all’interno di esse che nel
privilegiare i concetti di marketing e di ricerche di mercato.
La vera rivoluzione nel mondo pubblicitario avvenne con la nascita della
televisione, ma anche su questo versante l’Italia preferì non seguire il
modello americano. Negli Stati Uniti, già alla fine degli anni Cinquanta, si
impose lo spot, cioè un breve messaggio pubblicitario da inserire nel corso
dei programmi televisivi. In Italia era invece possibile trasmettere
pubblicità solo all’interno della trasmissione Carosello, con la quale iniziò
l’epoca dei cortometraggi televisivi, che ebbe grande successo. Gli italiani
erano affascinati da questo mondo fiabesco, pregno di felicità e benessere,
luogo onirico ideale per una popolazione che aveva appena superato un
lungo periodo di povertà e disagi. Ma mentre gli italiani si divertivano con
le scenette di Carosello all’estero il mondo della pubblicità si sviluppava
continuamente. Nel 1954 si inaugurò il Festival Internazionale del Film
Pubblicitario, che si teneva in anni alterni a Cannes e a Venezia. Tutti i
Paesi presentavano filmati brevi, spesso a colori e impeccabili sul piano
formale, al contrario l’Italia proponeva lunghi filmati in bianco e nero,
divertenti solo per gli stessi italiani, gli unici che comprendevano questa
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particolare comicità. Dopo gli anni del boom economico il mondo della
pubblicità attraversò una crisi, sia economica che culturale. I pubblicitari
furono oggetto di critiche da parte degli intellettuali e dei giovani aderenti
ad ideologie marxiste, infatti la prima accusa che venne loro mossa fu
quella di creare bisogni di consumo falsi e superflui.
Per rispondere a questa situazione i pubblicitari modificarono le loro
strategie cercando di avvicinarsi al nuovo clima culturale. I giovani furono
negli anni Sessanta e Settanta gli utenti privilegiati della pubblicità che
iniziò ad usare un linguaggio libero e con allusioni sessuali. Si fece largo
uso di donne ammiccanti e aggressive, con espliciti richiami all’altro sesso;
rimangono nella storia della pubblicità la ragazza sexy dai riccioli rossi che
nella campagna della benzina BP viene affiancata all’invito “Scappa con
Superissima” e la bionda tedesca della birra Peroni che proclamava:
“Chiamami Peroni, sarò la tua birra” (fig. 2).
Negli anni Ottanta si sviluppa un particolare processo di
internazionalizzazione, al quale partecipa anche l’Italia collaborando con
network multinazionali. Questo processo porta la società a riconoscere un
nuovo ruolo alla pubblicità: nascono riviste specializzate, libri, rubriche sui
quotidiani nazionali. Significativi furoro i contatti col cinema: registi come
Ridley Scott, Scorsese, Lynch, Woody Allen si lasciarono tentare dal
fascino degli spot. Anche Fellini, dichiaratosi più volte contrario alla
pubblicità, nel 1984 realizzò spot per la Campari e per la Barilla (fig. 3).
Nel corso del Novecento la pubblicità ha assunto la natura di un vero e
proprio sistema industriale e di comunicazione, produttrice di valori e
modelli di comportamento, contribuendo in maniera determinante alla
creazione di una cultura di massa. La nascente società dei consumi si serve
di diversi strumenti, dalle vetrine dei negozi alle esposizioni universali,
dalla stampa alla tv, ed in particolare dei nuovi mezzi di comunicazioni di
massa che vanno affermandosi.