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INTRODUZIONE
La seguente tesi, relativa alla gestione delle diversità fra persone in ambito
aziendale, si colloca nel filone di studi sulla gestione del personale e sulle politiche e
pratiche adottate nelle aziende per far fronte a tali problematiche.
L’obiettivo di questo lavoro è analizzare i modelli rintracciabili in letteratura al fine
di giungere ad uno unico, il best of breed, che nasce dalle caratteristiche migliori di
tutti i modelli considerati. L’obiettivo finale della mappatura è quello di realizzare
uno studio applicativo di gestione delle diversità all’interno di una organizzazione.
La metodologia di ricerca seguita si è articolata in diversi passi. Innanzitutto si è
proceduto alla ricerca bibliografica su varie fonti (siti Internet, banche dati, riviste
elettroniche, riviste in formato cartaceo, testi in possesso dell’Università degli Studi
di Udine, testi in prestito da altre biblioteche o libri personali) grazie alle quale ho
reperito materiale riguardo alle diversità in generale sul luogo di lavoro, con gli
effetti che questa produce, al Diversity Management e ai modelli di gestione.
A partire dal materiale trovato si è proceduto alla sua analisi, classificazione e
raggruppamento in macro classi di argomenti e sotto argomenti. Si è poi passati alla
mappatura e classificazione dei modelli rintracciati nella letteratura, giungendo infine
alla formulazione del best of breed. Tale sintesi è stata infine applicata ad un caso
pratico: lo studio e l’applicazione del modello risultante all’analisi del clima fra gli
afferenti al Laboratorio di Ingegneria Gestionale, con lo scopo di individuare
eventuali problematiche presenti e suggerire possibili soluzioni per risolvere le
situazioni critiche.
La tesi risulta quindi essere così strutturata. Il primo capitolo, tratto dalla tesi di
Pevere Desireé, affronta il tema della cultura e delle differenze culturali,
contestualizzando tali tematiche in ambito aziendale, con la definizione delle
tipologie di culture aziendali predominanti.
Il secondo capitolo definisce invece la diversità in ambito umano, con lo scopo di
passare poi alla descrizione generale del Diversity Management: in quale ambito si
colloca, con quali modalità può essere applicato e cosa mira a gestire.
Il terzo capitolo descrive in dettaglio i modelli per la gestione delle diversità in
azienda mappati. La prima parte del capitolo descrive brevemente i modelli per i
quali non si è trovato sufficiente materiale per un’esposizione completa, mentre la
seconda parte passa a esporre in modo più approfondito i modelli con
documentazione più ampia.
Il quarto capitolo si occupa della mappatura dei modelli descritti nel capitolo
precedente, ovvero della comparazione degli stessi attraverso l’individuazione di
alcune variabili o oggetti di confronto e l’attribuzione di un punteggio da 1 a 5 per le
variabili o oggetti trattati nel modello.
Nel quinto capitolo si presenta il best of breed dei modelli, con la descrizione della
metodologia adottata per ottenerlo.
Il sesto ed ultimo capitolo, infine, si occupa di un case study, ovvero l’applicazione
pratica del best of breed ad un caso applicativo: l’analisi della situazione attuale nel
Laboratorio di Ingegneria Gestionale con la costruzione di questionari da
somministrare agli afferenti, l’analisi di questi e la proposta di alcune soluzioni per le
problematiche emerse.
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CAPITOLO 1. LA CULTURA
Il capitolo seguente è tratto dalla tesi di Pevere Desirè “Teoria della diversità
nelle scienze biologiche, economiche e manageriali”, A.A. 2004/2005.
1.1 Definizione di cultura
La definizione di cultura riportata nel dizionario Il nuovo Zingarelli, la definisce
come “un complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici, tipi di
comportamento trasmessi e usati sistematicamente, caratteristico di un dato gruppo
sociale, o di un popolo, o di un gruppo di popoli, o dell’intera umanità”. In realtà, da
sempre, la cultura è stata definita in molti modi. Per cercare di comprendere il suo
significato, in questo paragrafo ne vengono prese in considerazione alcune
definizioni, proposte da vari ricercatori. Una nota definizione antropologica è quella
fornita da Kluckhohn (Kluckhohn; 1951; p. 86):
“Culture consists in patterned ways of thinking, feeling and reacting,
acquired and transmitted mainly by symbols, constituting the distinctive
achievements of human groups, including their embodiments in artefacts;
the essential core of culture consists of traditional (i.e. historically derived
and selected) ideas and especially their attached values.”
Già da questa prima definizione emerge il concetto che la cultura è formata da più
componenti, alcuni dei quali sono evidenti, ad esempio modi di pensare e reagire,
mentre altri, la vera essenza di una cultura, cioè i valori, non sono immediatamente
visibili. Aspetto comune risiede nel fatto che entrambi vengono tramandati, cioè
perdurano nel tempo: a questo proposito Kluckhohn utilizza il termine transmitted
per i simboli e traditional per i valori. Kroeber e Parsons (1958) hanno optato per
una definizione di cultura interdisciplinare (Kroeber e Parsons; 1958 ; p. 583):
“transmitted and created content and patterns of values, ideas, and other
symbolic-meaningful systems as factors in the shaping of human behaviour
and the artefacts produced through behaviour.”
Si può notare come questa definizione sia simile alla precedente. Prende infatti in
considerazione gli aspetti più profondi della cultura, come pure le espressioni
esplicite della stessa. Triandis (1972) distingue quella che definisce cultura
“soggettiva” da un “artefatto oggettivo”, indicando la prima come (Triandis; 1972; p.
4):
“a cultural group’s characteristic way of perceiving the man-made part of its
environment.”
Geert Hofstede sottolinea che la cultura è un “fenomeno collettivo”, in quanto essa
viene condivisa, almeno in parte, con persone che vivono, o hanno vissuto,
all’interno dello stesso ambiente sociale (Hofstede; 2001; p. 9):
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“the collective programming of the mind that distinguishes the members of
one group or category of people from another.”
Secondo Hofstede questa non è altro che una semplificazione della definizione più
estensiva di Kluckhohn citata in precedenza. Il termine “mind”, infatti, comprende
l’insieme di testa, cuore e mani, cioè pensare, sentire, ed agire. Ciò provoca
conseguenze nei riguardi delle credenze, delle attitudini e delle abilità. Come afferma
Kluckhohn, la cultura così definita comprende i valori: sistemi e valori rappresentano
gli elementi chiave della cultura. La cultura si manifesta innanzitutto negli elementi
visibili, mentre i valori rimangono invisibili finché non diventano evidenti nel
comportamento. Tra i molti termini utilizzati per descrivere le manifestazioni visibili
della cultura, assieme ai valori Hofstede mette altri tre elementi, che ne completano il
concetto: simboli, eroi, e rituali. Hofstede precisa che la cultura viene appresa, non
ereditata (Hofstede; 1991; p. 5):
“It derives from one’s social environment, not from one’s genes.”
La cultura, per la collettività umana, rappresenta ciò che per un individuo è la
personalità. Guilford (1959) ha definito la personalità come (Guilford; 1959; p. 13):
“the interactive aggregate of personal characteristics that influence the
individual’s response to the environment.”
La cultura consiste quindi nel complesso di azioni reciproche con caratteristiche
comuni che influenzano la risposta di un gruppo di persone all’ambiente circostante.
La cultura determina l’unicità di un gruppo umano allo stesso modo in cui la
personalità determina l’unicità di un individuo. Anche i tratti culturali, quindi, alle
volte, possono essere misurati per mezzo di test sulla personalità. Pur essendo
generalmente utilizzato per le società (nazioni o gruppi regionali o etnici all’interno o
tra nazioni), il termine “cultura” può essere applicato a una qualsiasi collettività o
categoria di persone: un’organizzazione, una professione, una fascia di età, un’intera
categoria sessuale, o una famiglia. Le società meritano una particolare attenzione
nello studio delle culture perché esse rappresentano i gruppi umani più “completi”;
una società è, infatti, un sistema sociale (Hofstede; 2001; p. 10):
“characterized by the highest level of self-sufficiency in relation to its
environments.”
Il livello di omogeneità culturale della società varia da nazione a nazione, e può
essere particolarmente basso per le nazioni più recenti (Hofstede; 2001). Anche nei
casi in cui una società contiene al suo interno differenti gruppi culturali (ispanici,
asiatici e caucasici negli Stati Uniti). Essi generalmente condividono dei tratti
culturali che rendono i loro membri riconoscibili agli stranieri come appartenenti a
quella determinata società. Per definire la cultura, Trompenaars e Hampden-Turner,
utilizzano una metafora: paragonano il valore della cultura per l’uomo a quello che
l’acqua rappresenta per i pesci, cioè la considerano l’essenza vitale, l’elemento senza
il quale è impossibile vivere (Trompenaars, Hampden-Turner; 1997; p. 20):
“A fish only discovers its need for water when it is no longer in it. Our own
culture is like water to a fish. It sustains us. We live and breath through it.”
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Ciò che viene considerato essenziale per una cultura può non essere di così vitale
importanza per un’altra. La cultura, inoltre, è consapevolezza, nel senso che nessuno
si preoccupa di verbalizzarla, ma costituisce le radici di tutte le azioni umane. La
cultura viene originata da alcuni uomini, confermata da altri, resa convenzionale e
tramandata per i giovani o per i nuovi arrivati. Essa offre un contesto significativo
nel quale incontrarsi, riflettere, ed affrontare il mondo esterno. Fernandez definisce la
cultura umana come il prodotto dell’apprendimento, soprattutto quello che deriva
dalle esperienze con persone ed istituzioni. Egli sostiene che le società determinano
le proprie culture sviluppando particolari soluzioni ai problemi di sopravvivenza nei
loro ambienti nativi. Per esempio (Fernandez; 1993; p. 27):
“A society’s culture- its family patterns, social strata, religion(s), political
system, clothing, music and laws- is determined by geography, climate,
language, history, and neighbouring cultures. Within cultural groups,
individuals develop values; values held by the majority of the group are
called norms.”
1.1.1 Cultura e interazione sociale
La cultura è fondamentale per l’esistenza dell’interazione sociale e della
comunicazione. Affinché le persone comunichino e siano in grado di interagire, sono
infatti necessari (Trompenaars, Hampden-Turner; 1997; p. 20):
“common ways of processing information among the people interacting.”
Trompenaars e Hampden-Turner sostengono che questi aspetti hanno conseguenze
sia nel modo di fare business, che negli scambi tra popoli e culture diverse. Ma come
si creano i valori culturali e qual è la loro influenza sulle interazioni tra i membri di
un’organizzazione? Una condizione assoluta per l’interazione significativa nel
business e nel management è l’esistenza di aspettative mutue. Per comprendere
meglio cosa siano le “aspettative mutue”, Trompernaars propone una situazione
accadutagli in una fredda notte invernale ad Amsterdam, durante la quale vide un
uomo entrare in un negozio (Trompernaars, Hampden-Turner; 1997; p. 20):
“…his Burberry coat and horn spectacles reveal him to be well off. He
buys a pack of cigarettes and takes a box of matches. He then visits the
newspaper stand, purchases a Dutch newspaper and quickly walks to a
wind-free corner near the shopping gallery. I approach him and ask if I can
smoke a cigarette with him and whether he would mind if I read the second
section of his paper. He looks at me unbelievingly and says, “I need this
corner to light my paper”. He throws me the pack of cigarettes because he
does not smoke. When I stand back, I see that he lights the newspaper and
holds his hands above the flames. He turns out to be homeless, searching
for warmth and too shy to purchase a single box of matches without the
cigarettes.”
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Trompernaars spiega come in questa situazione le sue aspettative non siano state
incontrate dalla persona osservata. Esse piuttosto si sono dimostrate essere la
manifestazione di ciò che è la sua persona. Le aspettative si sviluppano su molti
livelli differenti, da quelli concreti, espliciti, a quelli impliciti e subcoscienti. Egli è
stato portato fuori strada dai vestiti e dalle sembianze dell’uomo, ma anche dal
semplice livello del giornale e delle sigarette. Quando infatti osserviamo tali simboli,
essi inducono determinate aspettative. Quando le aspettative della persona con la
quale stiamo comunicando incontrano le nostre, allora c’è reciprocità di significato.
Pur non essendo la prima cosa che viene in mente quando si pensa alla cultura,
l’esistenza di credenze comuni è importante per la comunicazione, di conseguenza
per l’interazione, all’interno dei gruppi culturali. Nel tempo, le interazioni abituali
all’interno delle comunità assumono forme e strutture familiari, che Trompenaars e
Hampden-Turner chiamano the organization of meaning. Tali interazioni non sono
determinate dalle situazioni di per sé, ma sono espressione delle manifestazioni
culturali della collettività. Per spiegare questo, Trompernaars e Hampden-Turner
portano l’esempio dello sbattere le palpebre (Trompenaars; Hampden-Turner; 1997;
p. 24):
“Is it a physical reflex from dust in the eye? Or an invitation to a
prospective date? Or could it be someone making fun of you to others?
Perhaps a nervous tick?”
Tale movimento può avere molteplici significati, dal riflesso fisico, all’invito, ad un
tick nervoso, ma una cosa è ciò che vuol fare intendere chi lo fa, e un’altra quello che
suscita in chi lo osserva.
“The wink itself is real, but its meaning is attributed to it by observers. The
attributed meaning may or may not coincide with the intended meaning of
the wink.”
Per avere un’interazione sociale efficace è necessaria la coincidenza tra significato
attribuito e significato voluto. La distinzione tra culture diverse può quindi essere
valutata in base alle loro differenze nei significati condivisi. La cultura, infatti, non è
un oggetto, una sostanza, con una sua realtà fisica. Essa è fatta di persone che
interagiscono, e che allo stesso tempo determinano un’ulteriore interazione.
1.1.2 Cultura e identità
Bisogna precisare che cultura non significa identità: i due concetti non indicano la
stessa cosa. Come dice Hofstede, le identità infatti non sono altro che la risposta alla
domanda (Hofstede; 2001; p. 10):
“Where do I belong?”
Le identità si basano su concetti reciproci e stereotipi collegati alle parti più esterne
ed evidenti di una cultura, quindi non ai valori, ma, come si vedrà in seguito, a ciò
che Hofstede chiama simboli, eroi, e rituali, mentre Trompenaars e Hampden-Turner
definiscono come prodotti espliciti della cultura. Le popolazioni che sono in conflitto
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in base alle differenze di identità che sentono di avere, possono in realtà condividere
gli stessi valori. Esempi di ciò sono le regioni linguistiche del Belgio, le religioni
nell’Irlanda del Nord, e le comunità tribali in Africa. Hofstede però pensa che
l’identità condivisa dipenda anche dal contesto, assumendo in situazioni diverse
livelli diversi di specificità (Hofstede; 2001; p. 10):
“A shared identity needs a shared Other: At home, I feel Dutch and very
different from other Europeans, such as Belgians and Germans; in Asia or
the United States, we all feel like Europeans.”
1.1.3 Cultura come “distribuzione normale”
Nonostante, come già detto, la cultura sia un’espressione collettiva, legata ad
una comunità, le persone che ne fanno parte non necessariamente possiedono lo
stesso insieme di artefatti, norme, valori ed assunzioni. Trompernaars e Hampden-
Turner sostengono, infatti, che all’interno di ogni cultura esista un ampio flusso di
artefatti, norme, valori ed assunzioni. I loro studi mostrano che questo flusso può
essere ricondotto ad una distribuzione attorno ad una media (Trompernaars,
Hampden - Turner; 1997; p. 24):
“the variation around the norm can be seen as a normal distribution.”
La distinzione tra una cultura ed un’altra dipende dalla scelta degli estremi della
distribuzione. Come si vede dalle figure 1-1 e 1-2, ogni cultura comprende la
variazione totale dei suoi componenti umani. Così, dall’esempio grafico portato da
Trompernaars e Hampden-Turner, si nota che, nonostante Stati Uniti e Francia
abbiano grandi differenze, che risiedono nelle parti chiare di figura 1-1 (cioè quelle
che non coincidono), essi hanno anche molte similitudini (parte annerita sempre della
stessa figura). Il comportamento “medio”, o “più probabile”, come mostrato dalla
figura 1-1 per questi due Paesi è molto diverso.