4realizzato successi importanti, creando un’adeguata copertura ai principali rischi
sociali, raggiungendo un grado di utilizzo della forza lavoro molto prossima al pieno
impiego all’interno di un soddisfacente sistema di relazioni industriali.
Il clima politico e gli atteggiamenti sociali riguardo al welfare state hanno subito una
graduale ma evidente modificazione a partire dagli anni ’70. Un’influenza decisiva
hanno avuto, sul piano politico, l’avvento di governi conservatori e liberisti nel Regno
Unito e negli Stati Uniti e, sul piano delle idee, la critica da parte di economisti liberisti
dell’impostazione teorica dominante keynesiana, a cui viene spesso associato un
atteggiamento favorevole all’intervento pubblico e quindi anche all’allargamento della
spesa sociale. La riduzione della spesa sociale è stata infatti al centro dei programmi di
governi di impostazione liberista, che vedono nella crescita continua delle spese
dedicate a questi programmi una delle cause dell’espansione del settore pubblico e
della pressione tributaria.
Le ragioni a favore o contro il mantenimento dell’attuale assetto della spesa sociale
sono però complesse: accanto a domande di semplice riduzione del welfare state,
fondate su motivi puramente ideologici, si scorgono reali necessità di un suo
adattamento. Alcuni studiosi vedono nella crisi del welfare state le difficoltà delle
istituzioni esistenti a tenere il passo con l’evoluzione dell’organizzazione economica
della società. È opinione diffusa che a partire dalla fine degli anni ’70, si assista ad una
crisi del modello fordista e ad un’espansione poderosa del settore dei servizi, in cui
l’organizzazione del lavoro si fonda su maggiore flessibilità e frammentazione; la
domanda di lavoro è composta sia da segmenti totalmente dequalificati, sia da segmenti
ad elevatissima qualificazione: in una parola, sta emergendo una nuova società
“postindustriale”, in cui anche i rischi sociali si presentano sotto una diversa forma.
Negli ultimi decenni appare poi modificata l’interazione tra il mercato del lavoro e la
famiglia, in relazione alla tendenza all’espansione dell’offerta di lavoro femminile, che
solo in parte può essere ricondotta a ragioni economiche. Se in famiglia partecipano al
mercato del lavoro entrambi i coniugi, è chiaro che il ruolo familiare viene alterato e si
richiedono adattamenti anche in altri aspetti, in primis nel welfare state. L’accresciuta
5mobilità internazionale dei beni e dei fattori, la cosiddetta globalizzazione, ha
anch’essa un ruolo nella spiegazione della crisi dei sistemi di welfare tradizionali, nella
misura in cui condiziona e limita l’autonomia fiscale dei singoli paesi: i costi del lavoro
sono influenzati in modo decisivo dal peso dei contributi sociali, che costituiscono la
base principale del finanziamento dei principali istituti di welfare state. Le attività
produttive tendono a spostarsi là dove sono minori i costi e quindi i sistemi di tutela.
Ciò a sua volta stimola i paesi con più elevate coperture sociali a ridurre i propri
contributi
1
e l’effetto sarà una pressione molto forte a contenere la spesa sociale stessa.
Anche prescindendo dalle ragioni sopra accennate, è facilmente prevedibile che i
sistemi di welfare stiano diventando finanziariamente non sostenibili, nel senso che
comporteranno a parità di diritti garantiti un ammontare di spesa pubblica sempre
crescente rispetto al PIL e quindi una crescente pressione fiscale
2
. Anche da parte delle
forze politiche di ispirazione socialdemocratica, responsabili di Governo in quasi tutti i
paesi europei nella seconda metà degli anni ’90, accanto a una difesa delle funzioni
redistributive e di tutela dei più disagiati che il welfare state assolve, sta quindi
diventando sempre più netta la consapevolezza che questi sistemi devono essere
disegnati in modo da non ostacolare la crescita economica e in particolare l’offerta di
lavoro.
L’offerta di lavoro è infatti il campo della spesa pubblica in cui è più acuto il conflitto
tra obiettivo di distribuzione ed obiettivi di crescita. L’obiettivo finale che questa
relazione ricerca e proprio quello di cercare di risolvere tale conflitto, con la
consapevolezza che le riforme di welfare debbano sempre tener conto sia degli obiettivi
di efficienza economica sia di equità distributiva, collegando gli strumenti ai bisogni e
alle caratteristiche dei gruppi sociali e legando l’offerta lavorativa delle persone, in
particolar modo delle donne, alla presenza di strumenti di riconciliazione tra carichi
familiari e tempi di lavoro. Un modello di welfare state attivo non crea disincentivi al
1
Un fenomeno noto come “dumping sociale”.
2
Le ragioni sono evidenti soprattutto nei settori della sanità e delle pensioni e sono connesse all’invecchiamento della
popolazione, all’abbassamento dei tassi di fertilità e al progresso tecnico nel campo della medicina che prolunga il periodo
di pensionamento e consente trattamenti della malattia certamente apprezzabili e impensabili anche in tempi non lontani,
ma anche molto costosi.
6lavoro, al contrario stimola l’offerta e garantisce un’elevata protezione sociale e la
solidarietà. Il cardine del sistema è l’innalzamento del tasso di occupazione, sia
maschile che femminile, che consentirebbe di finanziare la crescita dei sistemi di
protezione sociale e agirebbe da stimolo sulla crescita economica. In questa prospettiva
si possono inquadrare i cosiddetti programmi di workfare, che associano o
sostituiscono ai modelli tradizionali di welfare forme di intervento che evitino la
propensione all’inoperosità del lavoratore. Le proposte di riforma più innovative,
tuttavia, sono costituite da nuove modalità di erogazione del sussidio, in cui si
sottolineano aspetti incentivanti del lavoro. L’esperienza americana dell’EITC (Earned
income tax credit), oggetto di analisi di questa relazione, è l’esempio più significativo
di questo nuovo tipo di proposte. L’idea, nella sua essenza, è molto semplice: anziché
dare un sussidio a chi è disoccupato, si offre un’integrazione del salario, per un periodo
di tempo limitato, sotto forma di un credito d’imposta rimborsabile, a chi ha un lavoro,
ma guadagna poco. Oltre un certo limite, generalmente fissato intorno alla soglia di
povertà, il sussidio comincia a declinare, sino ad esaurirsi. Gli effetti incentivanti di
questi schemi sono evidenti, tuttavia un giudizio conclusivo su queste riforme
richiederebbe di poter sciogliere il dubbio se esse siano, alla fine, in grado di creare
maggiori posti di lavoro a condizioni socialmente accettabili o non si traducano
esclusivamente in un mutamento dei rapporti di forza tra datori di lavoro e lavoratori
nella società: un aspetto, questo, che ha bisogno di essere confermato da ulteriori
evidenze prima di poter essere affermato con sicurezza.
7CAPITOLO 1. IL MODELLO BASE DI OFFERTA DI LAVORO
Nella prima parte di questa relazione, l’obiettivo è costruire un modello teorico di
riferimento che ci permetta di capire come le persone prendono decisioni in merito alla
scelta di lavorare oppure no, e, una volta entrati nel mercato del lavoro, quante ore
lavorare, per studiare l’impatto sull’offerta di lavoro di differenti politiche. L’effetto
delle politiche verrà studiato in un modello neoclassico di scelta fra tempo libero e
lavoro (neoclassical model of labour-leisure choice).
Una macro-distinzione delle politiche per il lavoro è fra politiche passive e politiche
attive, dove le prime hanno principalmente finalità di assicurazione sociale e income
maitenance, mentre le seconde tendono a stimolare l’inserimento lavorativo. In questa
prima e grezza distinzione si delineano già i problemi fondamentali che un policy
maker si trova ad affrontare nel disegnare concretamente una politica del lavoro:
risolvere il trade-off fra le ragioni dell’equità e le ragioni dell’efficienza.
Si studieranno, quindi, gli effetti sull’offerta di lavoro del passaggio (o
dell’affiancamento) da una politica di welfare tradizionale ad una di welfare-to-work,
nella convinzione che riformare il welfare state non significhi disconoscere gli intenti
di solidarietà sociale e lotta all’esclusione, ma ripensare le politiche con l’obiettivo di
aumentare il tasso di occupazione, ridurre la povertà e la dipendenza da welfare.
1.1 La decisione di offerta di lavoro
La cornice teorica di riferimento entro la quale analizzare le decisioni lavorative delle
persone è quella neoclassica di scelta fra lavoro e tempo libero. Si tratta di analisi di
livello microeconomico, nelle quali ciò che interessa è costruire una schema di
comportamento che evidenzi i fattori determinanti che le persone tengono in
considerazione nel prendere le loro decisioni lavorative: se entrare nel mercato del
lavoro e quante ore offrire. L’obiettivo è quindi di derivare una funzione di offerta di
lavoro che dipenda da certe variabili, grazie alla quale sia possibile studiare e prevedere