SEZIONE PRIMA: 
L’oligopolio e la letteratura sull’argomento 
 
CAPITOLO 1: 
L’OLIGOPOLIO 
 
Tra le forme di mercato, quelle maggiormente riportate nei libri di testo sono senza dubbio la 
concorrenza perfetta e il monopolio. Queste due forme di mercato rappresentano situazioni 
estreme difficilmente riscontrabili nei mercati reali, sono più che altro modelli ideali, 
puramente teorici, che servono come termine di confronto per verificare se un mercato si 
avvicina di più all’uno o all’altro modello. La caratteristica essenziale che differenzia questi 
due casi estremi, concerne il ruolo che la singola impresa interpreta all’interno del mercato. Si 
potrebbe dire che in concorrenza perfetta la singola impresa ha un ruolo passivo e non è in 
grado, con le sue scelte, di influenzare il mercato in cui si trova ad operare. In monopolio 
l’impresa ha un ruolo molto più attivo, potendo decidere la quantità da produrre sapendo a 
quale prezzo il mercato sarà disposto ad assorbirla oppure, al contrario, potendo scegliere il 
prezzo che ritiene più opportuno per il proprio bene sapendo quale quantità di questo prodotto 
il mercato è disposto a consumare per quel determinato prezzo. Perché avviene questo? La 
risposta è legata al numero e alle dimensioni delle imprese che operano sul mercato. 
Procediamo con ordine. Innanzitutto, in ogni forma di mercato l’obiettivo dell’impresa è 
rendere massimo il proprio profitto, cioè la differenza tra il totale dei ricavi e il totale dei 
costi. Si definisce costo marginale (CMa) il costo che l’impresa deve sostenere per produrre 
un’unità aggiuntiva di bene, mentre per ricavo marginale (RMa) si intende il ricavo 
aggiuntivo che otterrebbe l’impresa vendendo, alle condizioni che impone il mercato, 
un’unità aggiuntiva di bene (Rodano e Saltari, 1998). In qualsiasi forma di mercato le imprese 
scelgono di produrre la quantità di bene che rende uguali il costo marginale e il ricavo 
marginale. Perché? Per rispondere a questa domanda procediamo eliminando le possibili 
risposte alternative. 
 
 Se l’impresa producesse una quantità di bene per cui il RMa è maggiore del CMa, 
questo significherebbe che producendo un’unità in più il ricavo totale aumenterebbe 
più del costo totale, ma allora il profitto aumenterebbe; perciò all’impresa converrebbe 
espandere la produzione andando avanti fino a quando il RMa resta maggiore del 
CMa; 
 Se l’impresa producesse una quantità di bene per cui il RMa è minore del CMa, questo 
significherebbe che producendo un’unità in più il ricavo totale aumenterebbe meno del 
costo totale; ma significherebbe pure che producendo un’unità in meno il ricavo totale 
diminuirebbe meno del costo totale, sicché il profitto aumenterebbe; perciò 
all’impresa converrebbe ridurre la produzione, e le conviene insistere in questo 
comportamento fino a quando il RMa resta minore del CMa. 
 
A questo punto l’unica risposta possibile è che la quantità che rende massimo il profitto 
dell’impresa è quella per cui il RMa è uguale al CMa (Rodano e Saltari, 1998).  La 
concorrenza perfetta  è per definizione quella forma di mercato in cui opera un elevato 
numero di imprese, tutte di piccola dimensione rispetto all’intero mercato. Un mercato del 
genere non può essere influenzato dalle decisioni prese da una singola impresa. La quantità 
complessiva prodotta da tutte le imprese è tale che la singola impresa può portare al mercato 
solo una quota trascurabile dell’offerta complessiva e la sua offerta non è in grado di 
influenzare il prezzo di mercato. Stando così le cose il RMa per la singola impresa è sempre 
uguale al prezzo di mercato. Se vogliamo raffigurare questa situazione usando una coppia di 
assi cartesiani con la quantità prodotta in ascissa e, in ordinata,  il RMa, otteniamo che il RMa  
 4
è una retta orizzontale che corrisponde ad un valore costante e pari al prezzo (P), come si vede 
in figura 1a. Il CMa si suole rappresentarlo come una parabola convessa (Vedi per es. Rodano 
e Saltari, 1998), per indicare come le economia di scala agiscano fino ad un certo livello di 
produzione, dopodiché il CMa torna a salire. Se mettiamo il CMa sempre in ordinata, come il 
RMa, siamo in grado di vedere dove la retta e la parabola si incontrano e quindi la quantità 
(q
c
) che l’impresa in concorrenza perfetta produce (Vedi sempre figura 1a). 
 
 
Fig. 1a 
 
Venendo invece al monopolio, la situazione cambia radicalmente. In questo caso tutto il 
mercato è servito da una sola impresa. Allora, la sua decisione su quanto produrre si traduce 
nel decidere quanto verrà prodotto complessivamente nell’intero mercato. L’unico vincolo per 
il monopolista è la curva di domanda del mercato, per cui se decide la quantità da produrre 
l’impresa monopolista sa già quale sarà il prezzo al quale il mercato sarà disposto ad assorbire 
la sua produzione. Il prezzo, allora, non è più indipendente dalle scelte dell’impresa come 
succede in concorrenza perfetta dove la quantità prodotta da una singola impresa, come 
abbiamo visto, è una quota minima della quantità complessivamente prodotta da tutte le 
imprese. Non essendo più un dato esogeno per l’impresa, il prezzo diventa dipendente dalla 
quantità prodotta (q
m
) e lo stesso dicasi per il RMa che dipende dal prezzo che il mercato è 
disposto a pagare un’unità aggiuntiva di bene. Allora possiamo dire: 
 
)D(qP
m
   
 
Maggiore è la quantità di bene che l’impresa produce e minore sarà il prezzo che le 
permetterà di riuscire a vendere l’intera produzione, infatti, con un prezzo più basso, saranno 
di più i consumatori che acquisteranno il bene. Questo significa che la curva di domanda è 
decrescente (Fig. 1b), in particolare si è soliti considerarla una retta (vedi per es. Rodano e 
Saltari, 1998), per cui la sua espressione algebrica sarà: 
 
m
bqaP      
 
da cui è possibile ricavare il ricavo totale (RT): 
 
2
mmm
bqaqPqRT        
 
 5
il cui grafico è una parabola concava. Il RMa, essendo la misura di quanto aumenta il ricavo 
totale all’aumentare di un’unità di bene venduta, si calcola derivando il ricavo totale rispetto 
alla quantità, ottenendo: 
 
m
2bqaRMa      
 
Come si vede nella figura 1b il RMa è dunque una retta con la stessa intercetta e pendenza 
doppia rispetto alla curva di domanda. Quindi non è più una retta orizzontale, indipendente 
dalla quantità venduta dalla singola impresa, come in concorrenza perfetta. Questo risultato è 
logico visto che, come abbiamo già detto, in monopolio la quantità prodotta dalla singola 
impresa corrisponde alla quantità complessivamente prodotta nel mercato e quindi condiziona 
il prezzo di mercato e di conseguenza il ricavo marginale. Più l’impresa vuole vendere più il 
prezzo si abbassa e per vendere un’unità aggiuntiva di bene il prezzo dovrà sempre diminuire. 
 
 
Fig. 1b 
 
La figura 1b mostra come il punto in cui s’incontrano il RMa e il CMa per un monopolista 
corrisponde ad una quantità prodotta più piccola di quello che avviene in concorrenza perfetta 
(q
m
<q
c
) dove il CMa è uguale al prezzo. Come conseguenza abbiamo che il prezzo di 
monopolio è più alto del prezzo di concorrenza (P
m
>P
c
), a vantaggio dell’impresa 
monopolista e a scapito dei consumatori.  
 
Abbiamo visto quindi la differenza tra le due forme di mercato e l’importanza dell’influenza 
che ha l’impresa sulla quantità complessivamente prodotta e sul prezzo di mercato. Abbiamo 
anche detto che queste forma di mercato sono più che altro ideali perché i mercati reali sono 
quasi sempre situazioni intermedie tra i due estremi appena visti. Molto spesso le imprese non 
sono così piccole o in grado di produrre così poco da non avere influenza a livello di 
produzione complessiva ma è altrettanto raro che un mercato sia servito da una sola impresa. 
Questa situazione intermedia va sotto il nome di oligopolio (Rodano e Saltari, 1998). La 
caratteristica fondamentale di questa forma di mercato è l’interdipendenza strategica tra le 
imprese. In monopolio non ci sono altre imprese al di fuori della monopolista; in concorrenza 
perfetta le singole imprese non si curano delle decisioni prese dalle altre, visto che non hanno 
rilevanza a livello globale. In oligopolio la situazione è decisamente diversa, poiché ogni 
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impresa ha la possibilità di influenzare le altre con le proprie decisioni. La singola impresa 
oligopolista non produce più una quota minimale della produzione complessiva e la sua 
decisione su quanto produrre influenza il prezzo di mercato e, di conseguenza, il profitto delle 
altre imprese. Prendiamo per esempio questo articolo del Wall Strett Journal del 16 Novembre 
1999: 
 
“Cambiando la sua strategia negli Stati Uniti e nel Canada, la Coca Cola sta […] per 
aumentare di circa il 5% il prezzo delle sue bevande […]. L’aumento del prezzo dovrebbe 
fare aumentare i profitti della Coca Cola […]. Un elemento importante del successo di questa 
strategia è il modo in cui la Pepsi Cola […] reagirà. Alcuni analisti ritengono che l’impresa 
numero due nel mercato delle bevande analcoliche gassate potrebbe decidere di sacrificare i 
suoi margini di profitto per conquistare quote di mercato a spese della Coca Cola.” 
                                                                                               (Fonte Cabral, 2002) 
 
L’articolo mostra con chiarezza come in oligopolio le scelte di un’impresa abbiano una 
ricaduta sulle altre imprese che devono quindi decidere se adottare una contromossa e quale. 
Questo rende l’oligopolio una forma di mercato decisamente più difficile da studiare delle 
altre. Per farlo, occorre essere in grado di capire il continuo alternarsi di azioni e reazioni da 
parte delle imprese e, in questo, ci vengono spesso in soccorso modelli matematici che 
consentono di prevedere a che situazione finale questo susseguirsi di mosse e contromosse 
porterà, se una soluzione finale c’è. A partire da Cournot, diversi economisti e/o matematici 
hanno elaborato modelli per studiare questa forma di mercato. Questi modelli si fondano su 
alcune domande fondamentali che userò per vedere le somiglianze e le differenze tra i lavori 
dei vari studiosi che esaminerò. Ecco quali sono queste domande: 
 
1 – Quante imprese ci sono esattamente nel mercato? 
 
Abbiamo detto che in un oligopolio c’è più di una impresa, ma quante di preciso? Questa è 
una domanda propria dell’oligopolio visto che in concorrenza perfetta il numero di imprese è 
talmente elevato da risultare inutile conoscerne il numero esatto, mentre in monopolio, per 
definizione, c’è sempre una sola impresa nel mercato. Per un’impresa che si trova in un 
mercato oligopolistico è importante conoscere quanti sono i propri concorrenti e quindi 
quante imprese saranno capaci di influenzarne il profitto. Per semplicità in tutti i modelli che 
esamineremo sarà preso in considerazione il caso di due sole imprese. Questo tipo particolare 
di oligopolio si definisce “duopolio”,  è più semplice da esaminare e i risultati ottenibili sono 
spesso facilmente estensibili al caso con N imprese.  
 
2 – Qual è la variabile di scelta delle imprese? 
 
Le imprese posso competere scegliendo le quantità da produrre e lasciando decidere al 
mercato a quale prezzo vendere, oppure, al contrario, possono decidere il prezzo di vendita 
lasciando che sia il mercato a decidere la quantità che è in grado di assorbire. A volte può 
anche capitare che un’impresa usi una variabile e una l’altra. La risposta a questa domanda 
dipende dal mercato in cui le imprese operano, e in particolare dalla variabile che le imprese 
possono cambiare con maggior facilità. In pratica, molti mercati sembrano corrispondere più 
da vicino al caso in cui è più difficile aggiustare la quantità da produrre, per cui la capacità 
produttiva diventa una variabile di lungo periodo mentre il prezzo una variabile di breve 
periodo. Questo è vero per industrie come quelle del cemento, dell’acciaio, delle automobili e 
dei computer. Il caso opposto è meno frequente ma pur sempre presente in alcuni mercati 
come quello dei software o dei servizi bancari o assicurativi (Cabral, 2002). Una risposta 
 7
diversa a questa domanda, anche a parità di risposte alle altre, può portare a conclusioni molto 
diverse come nel caso dei modelli di Cournot e Bertrand che esamineremo in seguito. 
 
3 - Quale forma assume la curva di domanda di mercato? 
 
La curva di domanda di mercato consente di associare ad ogni prezzo del bene prodotto, la 
quantità di quel bene che il mercato è in grado di assorbire. La risposta più immediata è che 
all’aumentare del prezzo i consumatori chiederanno una quantità sempre minore del prodotto. 
Anche se esistono categorie di beni per i quali questa affermazione non è vera (beni di Giffen; 
vedi Rodano e Saltari, 1998), possiamo tranquillamente considerare valida questa risposta 
intuitiva. Ma è comunque una risposta incompleta. Non basta sapere soltanto che la curva di 
domanda è decrescente, occorre anche conoscerne la forma esatta. La curva può decrescere 
sempre più velocemente all’aumentare del prezzo (in modo concavo); sempre più lentamente 
(in modo convesso); sempre alla stessa velocità (in modo rettilineo) o combinando alcune di 
queste possibilità. La risposta completa a questa domanda, allora, non è univoca ma dipende 
dalle ipotesi che di volta in volta gli studiosi pongono alla base dei loro modelli. In tutti i 
modelli che hanno per base il lavoro di Cournot (giochi di Cournot) ci tornerà utile conoscere 
l’inversa della funzione che definisce la curva di domanda, cioè sapere ad ogni quantità 
prodotta che prezzo corrisponde.  
 
4 – Come sono i beni prodotti dalle imprese? 
 
Le imprese posso produrre beni che sono esattamente identici agli occhi dei consumatori 
oppure beni più o meni diversi che portano il consumatore ad avere una preferenza, cioè a 
preferire il bene prodotto da una particolare impresa, a parità di prezzo con i beni delle altre 
imprese. Le imprese possono competere cercando di rivolgersi ad un target particolare, 
creandosi così una nicchia di mercato in cui agire praticamente da monopolista; oppure 
possono perfezionare il prodotto più dei concorrenti in modo che tutti i consumatori 
preferiscano il loro prodotto. Non sono solo le caratteristiche del prodotto a rendere due beni 
diversi agli occhi dei consumatori. Due beni identici pubblicizzati in modo diverso possono 
creare l’illusione di una diversità tra i beni; due beni identici venduti in luoghi diversi non 
sono indifferenti per il consumatore che dovrà spostarsi per acquistarli, preferendo il bene 
dell’impresa situata più vicino. Questi sono solo due esempi per comprendere come non siano 
solo le caratteristiche intrinseche dei beni a renderli diversi agli occhi dei consumatori. Se le 
imprese producono beni che i consumatori considerano identici (omogenei), allora dovranno 
fondare il loro tentativo di avere un maggior profitto su altri fattori (prezzo, minori costi, 
ecc…). 
 
5 – Da che variabili dipende il costo complessivo sostenuto dalle imprese? 
 
Innanzitutto occorre notare che il costo complessivamente sostenuto da un’impresa si può 
suddividere in: costo strettamente necessario alla produzione e altri costi. Il costo strettamente 
necessario alla produzione può essere formato da una componente fissa (impianti, macchinari, 
fabbricati…) e da una componente variabile con la quantità del bene che si desidera produrre. 
Ma i costi che un’impresa può potenzialmente sostenere sono molti altri e possono dipendere 
da altre variabili. L’impresa può sostenere un costo aggiuntivo per ottenere brevetti o, in 
generale, per evitare fuoriuscite di conoscenze; al contrario, possono essere sostenute spese 
per sottrarre conoscenze agli avversari ed avvantaggiarsene. Altre variabili che influenzano il 
costo complessivo possono essere allora: la quantità prodotta dalle altre imprese; il costo che 
le altre imprese sostengono per evitare fuoriuscite di conoscenze; l’ammontare delle spese in 
ricerca e sviluppo proprie e delle altre imprese. A questa domanda i modelli che esamineremo 
 8
rispondono in modo a volte molto diverso, e da questo, spesso, dipenderanno le diverse 
conseguenze che ne derivano. La funzione di costo esprime il variare del costo sostenuto 
dall’impresa in funzione della quantità di bene che produce, le altre variabili, se presenti, 
saranno considerate esogene. 
 
6 – In che successione temporale le imprese decidono le proprie azioni? 
 
Dopo aver visto su quali variabili l’impresa può agire con più facilità, è importante sapere in 
quale successione le imprese decidono la dimensione di questa variabile. Questo può avvenire 
in contemporanea oppure ci può essere un ordine per il quale alcune imprese decidono dopo 
aver già vista la scelta dei concorrenti. Non è tanto importante l’effettivo ordine temporale in 
cui avvengono le scelte: si considera contemporanea anche la scelta di un’impresa avvenuta 
un mese dopo la scelta della concorrente, purché non sappia cosa l’altra abbia deciso. Quindi 
la cosa davvero importante è se l’impresa conosce o meno la decisione presa dal o dai 
concorrenti per poter così agire di conseguenza, altrimenti dovrà scegliere soltanto sulla base 
delle informazioni raccolte nei precedenti periodi. 
 
7 – Come si formano le aspettative delle imprese riguardo le scelte delle altre? 
 
Se le imprese non possono conoscere con certezza le scelte delle altre imprese, allora 
dovranno fare delle ipotesi su quale sarà il comportamento delle concorrenti, in modo da 
effettuare la scelta che le porterà un maggior profitto. Questa domanda è fondamentale 
proprio per quella caratteristica che abbiamo visto essere propria di questa forma di mercato: 
l’interdipendenza tra le imprese. Se le imprese fossero perfettamente razionali, 
conoscerebbero tutti i parametri e le variabili delle altre imprese e individuerebbero con 
certezza le loro scelte. In realtà le imprese sono limitatamente razionali e quello che possono 
fare è cercare di formulare delle ipotesi che siano il più verosimili possibile in base alle 
informazioni in loro possesso. Le aspettative si possono formare in molti modi, più o meno 
complessi. Il modo più semplice è quello di pensare che l’impresa ripeterà la scelta fatta nel 
periodo precedente. Chiameremo questo tipo di aspettative “semplici”. Ci sono aspettative 
molto più complesse che coinvolgono gli errori di previsione dei precedenti periodi o il 
profitto marginale o altre variabili. Ne riparleremo quando esamineremo modelli che le 
contemplano. 
 
8 – Come è fatta la curva di reazione? 
 
Una volta vista la funzione di costo e la curva di domanda, ogni impresa potrà ricavare la 
funzione di profitto, che è quella che intende massimizzare. L’impresa effettuerà la scelta che 
le consente di ottenere il più alto profitto a seconda delle scelte delle altre imprese, che 
possono anche essere solo ipotizzate. A questo punto si è costruita una funzione che associa 
ad ogni scelta dei concorrenti la scelta ottimale per l’impresa in questione. Questa funzione 
viene chiamata curva di reazione. E’ importante sapere se le curve di reazione hanno un punto 
di intersezione, perché questo significherebbe che c’è almeno una situazione ottimale per tutte 
le imprese, raggiunta la quale nessuna ha interesse a modificare unilateralmente le proprie 
scelte. Le curve di reazione possono dar vita a situazioni particolarmente interessanti: più 
punti di incontro (allora bisognerà vedere quale verrà raggiunto), oppure un punto di incontro 
che esiste ma non viene raggiunto. Occorrerà tentare di dare una spiegazione economica a 
queste situazioni. Anche in questo caso, dei modelli matematici di simulazione ci 
consentiranno di sapere se e a quali condizioni una situazione di equilibrio può essere 
raggiunta. 
 9
 CAPITOLO 2: 
COURNOT 
 
Le origini della teoria matematica dell’oligopolio sono da attribuirsi al matematico francese 
Augustin Cournot, che nel 1838 pubblica le sue Recherces sur les Principes Mathematiques 
de la Teorie des Richesses. Gli studi di Cournot sono di enorme importanza perché saranno 
alla base di tutti gli studi successivi, che tenteranno di rendere sempre più completa la sua 
opera. Come dice il titolo, Cournot applica strumenti matematici e cerca leggi matematiche 
che siano alla base di questa forma di mercato. Col passare del tempo e il complicarsi delle 
teorie, l’ausilio di strumenti e principi matematici diventerà fondamentale per studiare 
l’oligopolio. Vediamo allora quali sono le risposte di Cournot alle domande viste in 
precedenza. 
 
1 – NUMERO DI IMPRESE: Duopolio. Cournot esamina il caso di un duopolio anche se poi 
le sue conclusioni si possono estendere al caso con più di due imprese. 
2 – VARIABILE DI SCELTA: Quantità da produrre. Sarà poi il mercato a stabilire il prezzo a 
cui queste quantità saranno vendute. 
3 – CURVA DI DOMANDA: Nel modello di Cournot il prezzo di mercato dipende dalla 
quantità complessivamente prodotta dalle due imprese: 
 
)q(qDP
21
1
    
  
 
 
In particolare l’inversa della funzione di domanda può assumere una forma lineare del tipo: 
 
)qb(qaP
21
       
 
Quindi il prezzo dipende dalla quantità prodotta da entrambe le imprese presenti nel mercato. 
4 – TIPOLOGIE DI BENI: Omogenei. Le imprese producono beni che sono identici agli 
occhi dei consumatori. 
5 – FUNZIONE DI COSTO: Lineare. Formata soltanto da una componente variabile con la 
produzione: 
ii
cq)C(q    
 
6 – SUCCESSIONE DELLE SCELTE: Le imprese effettuano le proprie scelte in simultanea, 
cioè non sanno in anticipo quale sarà la scelta dell’altra duoplista. 
7 – ASPETTATIVE: Semplici, cioè le imprese ipotizzano che le altre scelgano di produrre la 
stessa quantità prodotta nel periodo precedente. 
8 – CURVA DI REAZIONE: Per ottenere la curva di reazione delle imprese occorre prima 
conoscere la funzione che esprime la misura della variabile che intendono massimizzare, cioè 
il profitto. Come è noto, questo è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi sostenuti, cioè: 
 
iii
cqPqΠ                    con i = 1, 2 
 
Abbiamo visto come il prezzo dipenda dalle quantità prodotte da entrambe le imprese, per cui 
possiamo riscrivere così la funzione di profitto: 
 
 >  ≅
iijii
cqq)qb(qaΠ                       con ij  ζ 
 
 10
 Occorre ora vedere ad ogni impresa quale quantità di bene conviene produrre per ottenere il 
massimo profitto. Per farlo basta derivare la funzione di profitto rispetto alla variabile di 
scelta (q
i
) e vedere dove la derivata si annulla: 
 
0cbq2bqa
dq
dΠ
ji
i
i
           
 
da cui, esplicitando la variabile di scelta: 
 
2
q
2b
ca
)r(qq
j
ji
  
  
     
 
La curva di reazione dell’altra impresa si può ottenere facilmente invertendo gli indici “i” e 
“j”. Come si può notare, la curva di reazione ottenuta conferma che la scelta effettuata da ogni 
impresa dipende da quello che fa o ritiene che farà l’altra, a seconda che conosca o solo 
ipotizzi, come nel nostro caso, le decisioni del concorrente. La forma di queste curve di 
reazione si può osservare nella figura 2. 
 
 
Fig. 2 
 
RISULTATI DEL MODELLO 
Le curve di reazione si incontrano in un punto E che costituisce l’equilibrio del modello. Una 
volta raggiunta la situazione di equilibrio questa verrà conservata per sempre. Infatti il punto 
E si trova su entrambe le curve di reazione, quindi le imprese duopoliste non hanno alcun 
incentivo a cambiare in modo unilaterale quantità da produrre nei successivi periodi. Se le 
imprese fossero perfettamente razionali raggiungerebbero la situazione E al primo tentativo. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 11