II
durante la lavorazione di questa tesi è intervenuta una importantissima
sentenza della Corte Costituzionale, la 204/2004, che ha in parte riscritto i
limiti inerenti la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
I grandi cambiamenti legislativi hanno portato ad una evoluzione del
sistema, anche se tale evoluzione non sempre è stata giudicata
positivamente, soprattutto in virtù della lentezza della nostra giustizia
amministrativa, in media ci vuole un anno per una sentenza di primo grado
e due anni per una sentenza del Consiglio di Stato, questa situazione va a
cozzare con il principio costituzionale di “ragionevole durata” di ogni
processo, enunciata nell’articolo 111 della Costituzione.
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CAPITOLO 1
EVOLUZIONE STORICA DELLA
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
1. PREMESSA
La giustizia amministrativa è quella parte fondamentale del Diritto
Amministrativo che, come formulato dal Sandulli, indica quel complesso di
mezzi (detti “garanzie giustiziali”) concessi dall’ordinamento giuridico ai
singoli per tutelare le posizioni giuridiche soggettive di cui risultino titolari
nei confronti della Pubblica amministrazione.
1
La prima cosa che colpisce analizzando questa particolare disciplina
è l'immensa varietà di leggi, non organizzate in un codice, che vanno dal
1865 ad oggi; ed alcune di queste norme sono tutt’ora vigenti.
Le origini remote del nostro sistema amministrativo si devono
cogliere nello Stato assoluto francese. In Francia la monarchia volle
sottrarre le liti con l'amministrazione (1600 circa) alla competenza dei
1
SANDULLI A. M., “Manuale di diritto amministrativo”, Jovene editore, Napoli, 1989, p. 1187.
2
Parlamenti (Parlamento nel senso di organo giudiziale all'epoca).
Il Re vietò ai Parlamenti, specie a quello di Parigi, il più
politicizzato, di giudicare questioni in cui era parte lo Stato.
Comincia così, con la sottrazione delle liti tra lo Stato e i sudditi ai
giudici "normali", la storia della giustizia amministrativa. Con l'Editto di
Saint Germain cominciò la "giustizia ritenuta", ritenuta dal sovrano, che
non è ancora giustizia amministrativa. Gli affari contenziosi vennero
deferiti agli Intendenti e al Consiglio del Re, che rispondevano al Re, il
quale decideva sui conflitti di competenza fra Intendenti e Consiglio.
Lo scopo di questi istituti non era quello di fornire tutela ai sudditi
ma difendere le prerogative regie dalle ingerenze della magistratura, e
salvaguardare il buon funzionamento dell'Amministrazione.
Solo indirettamente si tutelava l'interesse dei sudditi, nella misura in
cui coincidesse con l'interesse della monarchia.
Alla fine del XVIII secolo si realizzò il passaggio successivo. Sotto il
regno di Luigi XVI vennero creati dei comitati specializzati in distinte
materie (1789): si trattava di organi ad hoc (mentre Intendenti e Consiglio
del Re erano organi dell'Amministrazione del Regno di dubbia
indipendenza) e si verificò la separazione degli affari contenziosi (questi
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nuovi organi si occupavano solo del contenzioso) dagli altri puramente
amministrativi.
Con la rivoluzione Francese si affermò il principio della separazione
dei poteri che confermò la sottrazione ai tribunali ordinari della conoscenza
delle controversie con l'Amministrazione. Importante in questo passaggio
fu la legge dell'agosto 1790, in cui si sanciva che le funzioni giudiziarie
erano e rimanevano sempre separate da quelle amministrative. I giudici non
potevano ingerirsi nelle operazioni dei corpi amministrativi, né citare in
giudizio gli amministratori per ragioni inerenti alle loro funzioni.
Con la Costituzione del 1799 e con la legge del 1800, la decisione
sulle controversie fra cittadini e Amministrazione venne attribuita a due
organi collegiali istituiti all'uopo: Il Consiglio di Stato al centro e per
determinate materie; i Consigli di Prefettura in periferia, con possibilità di
appello al Consiglio di Stato.
Entrambi facevano parte della Pubblica Amministrazione ed
esercitavano anche funzioni consultive, le decisioni del Consiglio di Stato
acquisivano efficacia esecutiva in forza di decreto del Capo dello Stato,
nasceva in questo modo il sistema del contenzioso amministrativo.
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Siamo ancora nell'ambito della giustizia ritenuta, poi l'individuazione
di organi specializzati davanti ai quali le controversie si svolgevano con
una istruttoria in contraddittorio, avrebbe consentito il passaggio dalla
giustizia ritenuta alla giustizia delegata, cioè il passaggio dal contenzioso
amministrativo alla giurisdizione amministrativa.
Questo passaggio avvenne in Francia con una legge del 1872,
attributiva di efficacia esecutiva alle pronunzie del Consiglio di Stato,
mentre nella giustizia ritenuta l'efficacia esecutiva era subordinata al
decreto del Capo dello Stato.
Nel 1831 il Belgio, dopo aver acquisito l’indipendenza dai Paesi
Bassi, non aveva un buon ricordo né del Consiglio di Stato napoleonico né
di quello dei Paesi Bassi, respinse il sistema del contenzioso
amministrativo e si orientò verso l'attribuzione al giudice ordinario delle liti
con la Pubblica Amministrazione in particolare con la Costituzione del 7
febbraio 1831 si stabilirono alcuni principi enunciati nei seguenti articoli:
articolo 92 “le controversie aventi ad oggetto diritti civili sono
esclusivamente di competenza dei tribunali”; articolo 93 “le controversie
aventi ad oggetto diritti politici sono di competenza dei tribunali salvo le
eccezioni previste dalla legge”; articolo 107 “le Corti e i tribunali non
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applicheranno i decreti ed i regolamenti generali, provinciali e locali se
non in quanto conformi alle leggi”.
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Già a fine del XIX secolo abbiamo una contrapposizione tra un
modello di giurisdizione che viene attribuito, con prevalenza, ad un solo
giudice ordinario (caso belga con la costituzione del 1831 che è tuttora in
vigore) o ad un giudice speciale (caso francese dopo la riforma del 1872).
3
2
Articolo “l’evoluzione della giustizia amministrativa in Italia”, pubblicato su “Progetto giuridico”
dell’avv. Giuliana Recupero Bruno, tratto dal sito internet
http://biz.supereva.it/progettogiuridico/index.htm
3
NIGRO M., “Giustizia Amministrativa”, 5° edizione, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 33-5.
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2. LA SITUAZIONE ITALIANA NELLO
STATO PRE-UNITARIO
In Italia il sistema francese del contenzioso era stato introdotto con le
conquiste napoleoniche, successivamente, tale sistema venne per pochi
anni eliminato, ad eccezione del ducato di Parma, dove Maria Luisa
d'Austria, moglie di Napoleone, mantenne il contenzioso. A distanza di
pochi anni dal Congresso di Vienna, il sistema venne nuovamente
ricostituito in quasi tutti gli Stati.
Il sistema che più ci interessa è quello di giustizia amministrativa del
Regno Sardo-Piemontese: con l’editto 18 agosto 1831 il Re Carlo Alberto
costituì un Consiglio di Stato, con funzioni consultive articolato in 3
sezioni: sezione dell’interno; sezioni di Giustizia, Grazia e di affari
ecclesiastici; sezione di Finanza.
Con lo stesso editto fu stabilito che il parere del Consiglio di Stato
era obbligatorio prima dell’adozione di determinati atti come ad esempio
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atti con forza di legge, regolamenti, conflitti tra “giurisdizione giudiziaria”
4
e amministrazione.
Qualche anno dopo con un regio editto datato 29 ottobre 1847 fu
istituito il sistema del contenzioso amministrativo, che si fondava sulla
distinzione tra controversie riservate all’amministrazione (per le quali era
esclusa qualsiasi tutela innanzi ad un giudice ordinario o speciale, era
ammesso solo il ricorso ad un’autorità amministrativa: l’intendente),
controversie di “amministrazione contenziosa” (per le quali era possibile
ricorrere in primo grado a un Consiglio di Intendenza e in secondo grado
alla Camera dei Conti).
Al Consiglio di Intendenza e alla Camera dei Conti la giurisprudenza
civile riconobbe il carattere di organo giurisdizionale e furono designati
come “tribunali amministrativi” in alcune sentenze della Corte di
Cassazione di Torino.
5
Nel regno Sardo-Piemontese, in seguito all’emanazione dello Statuto
Albertino del 1848 e con la diffusione delle idee liberali, furono mosse
molte critiche al sistema del contenzioso e furono avanzate proposte di
riforma, alcune particolarmente radicali come il disegno di legge presentato
4
Era la giurisdizione del giudice ordinario, disciplinata dall’articolo 68 dello Statuto Albertino.
5
TRAVI A., “Lezioni di giustizia amministrativa”, 4° edizione, Giappichelli editore, Torino, 2000, p. 16.
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da Galvagno, ministro dell'interno nel 1850, volto all'abolizione del
contenzioso amministrativo e alla devoluzione delle questioni, sia civili che
penali, con l'Amministrazione, ai tribunali ordinari, proposta che non arrivò
alla discussione alla Camera.
Nella successiva legislatura, il ministro dell'interno Rattazzi
manifestò un orientamento favorevole ad un riordinamento del sistema del
contenzioso amministrativo, ma non alla sua abolizione. Il progetto
prevedeva una restrizione delle materie di competenza degli organi di
contenzioso amministrativo a favore del giudice ordinario. Egli presentò
due disegni di legge, ma in ogni caso con il conferimento dei pieni poteri,
con una legge del 1859, Rattazzi effettuò la sua riforma: approvò quattro
decreti reali emanati il 30 ottobre 1859 e con uno di questi si riordinava il
contenzioso amministrativo.
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3. IL SISTEMA DEL CONTENZIOSO
AMMINISTRATIVO
Venivano qualificati come giudici ordinari del contenzioso
amministrativo i Consigli di Governo, organi sedenti in ogni provincia che
poi diventarono i Consigli di Prefettura. A questi consigli presieduti dal
Governatore, che poi diventerà Prefetto, venne attribuita una competenza in
primo grado per materie specificamente enumerate, mentre la competenza
in secondo grado o d'appello venne attribuita al Consiglio di Stato che
assumeva, il ruolo di giudice supremo del contenzioso amministrativo. Le
principali materie devolute ai tribunali ordinari del Contenzioso
amministrativo nel regno Sardo sono: controversie in cui si facevano valere
diritti civili dei cittadini: oltre alle questioni tra privati che traevano titolo
da attività svolte sulla base di atti amministrativi (danni derivati da
trasporto di legname su autorizzazione dell'amministrazione), si trattava
soprattutto di questioni tra privati e Pubblica Amministrazione in ordine
alla interpretazione dei contratti, che la dottrina moderna chiama "ad
evidenza pubblica"; controversie di natura patrimoniale, traenti origine da
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rapporti di diritto pubblico (le tasse, per esempio); questioni di puro diritto
amministrativo, riguardanti semplici interessi individuali da riconoscere e
tutelare compatibilmente con l'interesse pubblico secondo criteri di equità e
convenienza (classificazione di strade, assegnazione di suoli); controversie
di carattere penale concernenti contravvenzioni alle leggi fiscali sulle
imposte dirette.
C'erano poi i tribunali Speciali del contenzioso amministrativo, ossia
la Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica, il Consiglio di Stato
per le controversie fra lo Stato e i suoi creditori, riguardanti il debito
pubblico, pensioni a carico dello stato, concessioni minerarie, ecc.
La competenza della giurisdizione ordinaria che residuava,
riguardava le questioni nelle quali lo Stato si presentava come soggetto di
puro diritto privato (contratti di diritto comune, come vendite, locazioni,
diritti di proprietà, imposte dirette, ecc).
Si discusse se l'enumerazione delle materie di competenza dei
tribunali del contenzioso fosse tassativa o se, stante la configurazione dei
Consigli di Governo come giudici del contenzioso amministrativo,
qualunque nuova controversia affine a quella ad essi demandata, andasse
ritenuta di loro competenza.
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La giurisprudenza si orientò per la tassatività della enumerazione,
con un temperamento costituito dalle materie affini, purché attinenti a
diritti. La competenza degli organi del contenzioso rimaneva esclusa dove
mancasse questa analogia, ovvero qualora mancasse un vero e proprio
diritto e si trattasse di un semplice interesse.
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Questo sistema lasciava ampio spazio alla possibilità di conflitti,
positivi o negativi, fra amministrazione e giudici, e fra giudici del
contenzioso amministrativo e giudici ordinari. I conflitti si presentavano
quando due autorità di ordini diversi rivendicavano la stessa competenza
(cosiddetti conflitti positivi) o quando eludevano entrambe la propria
competenza (cosiddetti conflitti negativi).
La disciplina per la loro risoluzione, fu introdotta dalla legge 20
novembre 1859 e dettò una prima definizione di conflitti positivi: “vi è
conflitto quando l’autorità giudiziaria si occupa di questioni riservate alle
determinazioni dell’autorità amministrativa, o quando un tribunale
ordinario si occupa di una questione riservata ai tribunali del
contenzioso”.
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6
Articolo “l’evoluzione della giustizia amministrativa in Italia”, op. cit.
7
TRAVI A., op. cit. p. 18.
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In base a questa legge, il conflitto poteva essere sollevato anche dal
rappresentante locale del potere esecutivo (il Governatore, poi il Prefetto),
in quanto ad essi era riconosciuta la possibilità di interferire sul
procedimento giurisdizionale, perché potevano anche imporre la
sospensione del giudizio.
Il procedimento per dirimere un conflitto era molto complesso, infatti
la decisione era assunta con un decreto reale, dopo aver ottenuto il parere
del Consiglio di Stato, su proposta del ministro dell’interno, sentito il
consiglio dei ministri e tale procedura era prevista dai uno dei decreti
Rattazzi. Secondo la dottrina, il Mortara in particolare, la necessità del
decreto reale trovava ragione nello Statuto (articoli 5 e 68)
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, che
riconduceva al Re entrambe le funzioni, sia quella giudiziaria che quella
amministrativa.
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Articolo 5 Statuto Albertino (estratto) “Al Re solo appartiene il potere esecutivo…”.
Articolo 68 Statuto Albertino “La Giustizia emana dal Re ed è amministrata in suo nome dai giudici che
egli istituisce”.