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Introduzione
Studi politologici
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calcolano che circa il 40% della popolazione
mondiale vive in sistemi costituzionali a struttura federale, la
percentuale sale al 50% circa se si tiene conto degli ordinamenti a
base regionale.
La formula dello Stato composto sta dunque affermandosi e tende a
divenire prevalente negli ultimi decenni: l’avvento del modello
democratico e la sua diffusione soprattutto in Europa dopo il 1989
sembrano ,infatti, coincidere con la crescita del decentramento
politico o istituzionale.
Risulta pertanto più che ovvio il fiorire, negli ultimi anni, di studi e
dibattiti sul federalismo fiscale inteso, anzitutto, come
decentramento di autonomia fiscale: cioè di entrate e di spesa.
Scopo principale di questo lavoro è cercare di fornire un quadro
sintetico, ma esauriente, delle più importanti esperienze straniere di
decentramento, evidenziandone nel contempo analogie e differenze
con il caso italiano.
Nel primo capitolo vengono esposte le principali teorie economiche
del federalismo fiscale.
In particolare, dopo una breve rassegna dei motivi generalmente
portati a favore del decentramento e contro, si esamineranno
anzitutto le teorie classiche (Oates, Buchanan, Tiebout) dopo di che si
darà conto sinteticamente delle cosiddette teorie alternative.
Nel secondo capitolo, vengono analizzate le esperienze di 12 Paesi:
da quelli piccoli territorialmente e demograficamente (come il Belgio
1
G. ANDERSON, Fiscal Federalism: A comparative Introduction, Oxford University Press, 2010, pp.
1 sgg.; D. HELD, Modelli di democrazia, 2007, pp. 10 sgg.
7
e la Svizzera) a quelli di grandi dimensioni come gli Stati Uniti
d’America, abbracciando in definitiva quattro continenti (Europa,
America, Africa ed Oceania) e tre differenti culture giuridiche
(europea-continentale, anglosassone, latino-americana).
Del sistema di ogni Paese si cercherà soprattutto di valutare due
aspetti chiave: l’autonomia tributaria degli enti sub-centrali e la
perequazione.
Il terzo capitolo, offre una quantificazione, attraverso opportuni dati
statistici relativi ad un vasto campione di Paesi, del potere di
tassazione (taxing power) degli enti intermedi e locali nonché una
valutazione del ruolo da questi svolto nella gestione/spesa delle
risorse pubbliche.
Infine, nel quarto capitolo, si compie una disamina dell’articolo 119
della Costituzione italiana e della legge n. 42 del 2009, ossia le basi
giuridiche del “nostro” federalismo fiscale, mettendo in luce le
differenze che esistono rispetto all’unico Paese europeo che adotta
un sistema federale di tipo duale o competitivo: la Svizzera.
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Capitolo 1
Lineamenti teorici
1.1. Federalismo fiscale: motivazioni a favore e contro
Non è facile definire un fenomeno di notevole complessità come il
federalismo fiscale, si può comunque affermare in modo sintetico,
anche se certamente non esauriente, che esso consista in un
“processo di rotazione dell’asse del prelievo fiscale dal centro alla
periferia”
2
e dunque miri ad attribuire, mediante il decentramento
dei poteri di spesa e di entrata, una rilevante sovranità fiscale agli
enti sub-centrali.
3
I modelli di organizzazione territoriale, attraverso i quali il
federalismo fiscale ha trovato storicamente espressione, sono
sostanzialmente due:
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Il federalismo classico, in cui sono presenti enti sub-
nazionali dotati di un elevato grado di autonomia
finanziaria nonché di autonoma potestà istituzionale
rispetto allo Stato centrale (si pensi agli Stati Uniti, alla
Germania, alla Svizzera);
la decentralizzazione spaziale, dove gli enti sub-nazionali,
pur non avendo in genere pari dignità istituzionale
2
R. MURER, Il federalismo fiscale, 2011, p. 2.
3
E. BUGLIONE, Istituzione e autonomia finanziaria in Italia, in Governo e governi.
Istituzioni e finanza in un sistema a più livelli, a cura di E. BUGLIONE e V. PATRIZI, 1998,
p. 233.
4
G. BROSIO – S. PIPERNO, Governo e finanza locale, 2009, pp. 2-7; L. BERNARDI – L. GANDULLIA,
“Federalismo fiscale in Europa e in Italia”, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze,
2005, pp. 12-13; E. GALLI – M. VILLANI, Contabilità di stato e finanza decentrata, 2009, pp. 27-28.
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rispetto allo Stato centrale, dispongono di una certa
autonomia finanziaria ed hanno autorità politica su una
determinata area del territorio nazionale (ad esempio i
sistemi regionali oggi esistenti in Francia, Italia e Spagna
rientrano a pieno titolo nella categoria della
decentralizzazione spaziale).
Ma, al di là degli specifici assetti istituzionali con cui si cerca di
realizzarlo, è naturale chiedersi quali siano le ragioni che spingono a
favore del federalismo fiscale; queste, per comodità espositiva,
possono essere suddivise in politiche, ideologiche ed economiche.
Dal punto di vista politico, si afferma che il decentramento accentua
la partecipazione dei cittadini favorendo il loro coinvolgimento
nell’attività politica ed aumentando il loro controllo sull’operato degli
amministratori, mentre, tra le motivazioni ideologiche, spicca il
principio di sussidiarietà in base al quale ogni funzione dovrebbe
essere assegnata al più basso dei livelli di governo poiché questo è
più vicino all’interesse diretto dei cittadini e quindi più adatto al
soddisfacimento dei loro bisogni, salvo il caso in cui la funzione possa
essere meglio svolta dai livelli superiori.
5
Al riguardo è interessante notare come tale principio sia stato
costituzionalizzato nel nostro ordinamento attraverso la legge
costituzionale n.3 del 2001 che, modificando il titolo V parte seconda
della Costituzione, ha determinato un consistente decentramento
istituzionale; il primo comma del novellato articolo 118 infatti recita:
“le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per
assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città
5
R. MURER, Il federalismo fiscale, 2011, pp. 3-4.
10
metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza”.
Per quanto riguarda poi le motivazioni economiche, esse trovano
fondamento nelle cosiddette teorie tradizionali del federalismo
fiscale secondo cui tale sistema, grazie alla determinazione di livelli di
output basati sulle preferenze e sui costi locali, è in grado di
realizzare una più efficiente allocazione dei beni e dei servizi i cui
benefici rimangono confinati in aree delimitate del territorio
nazionale;
6
inoltre, è stato evidenziato che il decentramento
“consente maggiore sperimentazione e innovazione nella modalità di
offerta dei servizi collettivi cosa che a sua volta può indurre, per
imitazione, miglioramenti di produttività per tutti”.
7
Infine, la più recente letteratura associa il decentramento a un ritmo
di sviluppo economico mediamente più elevato.
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Naturalmente però non mancano considerazioni contrarie al
decentramento, in particolare viene spesso sostenuto che un sistema
di governo decentralizzato non possa mantenere condizioni di
eguaglianza nell’offerta dei servizi pubblici, senza dimenticare che, a
differenza dei governi locali, i livelli superiori di governo possono
beneficiare di economie di scala e di una maggiore disponibilità di
risorse per scopi specifici.
Inoltre, le stesse teorie tradizionali sul federalismo fiscale, pur
continuando a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile
di qualsiasi analisi economica del fenomeno, presentano rilevanti
punti deboli: esse infatti (come ben vedremo nei successivi paragrafi)
6
E. GALLI – M. VILLANI, Contabilità di stato e finanza decentrata, 2009, pp. 29-30.
7
P. BOSI, Il decentramento fiscale, in Corso di scienza delle finanze, a cura di P. BOSI 2010, p. 236.
8
L. BERNARDI – G. GANDULLIA, op. cit., p. 5.
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risultano basate su assunzioni che difficilmente corrispondono a
quanto si verifica nella realtà.
Infine, uno dei più recenti filoni di ricerca sul tema, la cosiddetta
teoria del federalismo fiscale di seconda generazione, ha messo in
evidenza come il decentramento possa anche avere, in assenza di
stringenti e ben definite regole fiscali, notevoli effetti negativi sulla
solidità dei bilanci pubblici a motivo di alcuni particolari problemi:
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il common pool fund, che si verifica quando programmi
di spesa decentrata vengono incentivati attraverso
trasferimenti del governo centrale: difatti gli enti sub-
centrali, non internalizzando completamente i costi di
tali programmi di spesa, finiscono inevitabilmente col
determinarne un sovradimensionamento;
il soft budget constraint, che invece si verifica quando gli
enti sub-centrali adottano comportamenti opportunistici
(tipo spese eccessive e deficit elevati) a causa
dell’aspettativa di un intervento ex-post del governo
centrale con risorse aggiuntive.
1.2. Le teorie tradizionali del federalismo fiscale
1.2.1. La ripartizione delle funzioni
Secondo la nota classificazione di Musgrave esistono tre principali
funzioni di finanza pubblica:
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la funzione allocativa;
9
E. GALLI – M. VILLANI, op. cit., pp. 37-39.
10
P. LIBERATI, Il federalismo fiscale. Aspetti teorici e pratici, 1999, pp. 24-25.