4
culturali americani nell’immaginario collettivo italiano. Infine viene presentata una breve
sintesi sulla reazione della stampa femminista di fronte all’ingerenza dello stile di vita
statunitense nei costumi italiani.
Il terzo capitolo da un lato analizza il nuovo modello di periodico femminile
rappresentato da «Io Donna» e da «D La Repubblica delle Donne», supplementi del «Corriere
della Sera» e «La Repubblica»; e dall’altro le nuove teorie sul consumo, che sottolineano il
ruolo attivo giocato dai consumatori nell’atto dell’acquisto e di fronte ai messaggi
pubblicitari. Il capitolo suggerisce anche la possibilità di un modello alternativo di bellezza
femminile, presentando la campagna Dove “Per la bellezza autentica”.
In chiusura dell’elaborato sono state inserite le interviste realizzate ad alcuni periodici
femminili italiani.
Le fonti utilizzate nella stesura della tesi sono rappresentate da saggi specifici sulla
stampa femminile, per esempio La stampa femminile come ideologia di Giovanna Pezzuoli, e
opere di respiro filosofico e semiotico, quali La moda di Georg Simmel e Block Modes. Il
linguaggio del corpo e della moda di Ugo Volli. Alcuni interventi di giornalisti ed esponenti
del mondo femminista, contenuti nel volume Perché la stampa femminile, si sono rivelati
particolarmente interessanti per capire la reazione e il rapporto tra questo tipo di pubblicazioni
e la stampa femminile tradizionale. Gli scritti di Mauro Wolf e Roberta Sassatelli, invece,
sono stati fondamentali per fare luce sulle complesse dinamiche che entrano in gioco nei
fenomeni di acquisto e sull’evoluzione delle teorie dei media. Internet si è rivelato utile per
l’analisi dei periodici più trasversali e per il progetto pubblicitario controcorrente sviluppato
dalla multinazionale anglo-olandese Dove. Le interviste in Appendice, infine, hanno permesso
il confronto con le opinioni e le percezioni di chi ruota attorno al mondo della moda e della
sua stampa specializzata.
5
CAPITOLO PRIMO
MODELLI AMERICANI NEI PERIODICI ITALIANI TRA IL 1950 E IL 1960
1.1 - L’Italia degli anni Cinquanta
Gli anni Cinquanta rappresentano una fase cruciale della storia italiana. Da un lato essi
segnarono il passaggio da una società rurale e tradizionale a una società industrializzata e
moderna, dall’altro gettarono le basi per un’evoluzione nei costumi degli italiani. Per fare un
esempio: tra il 1954 e il 1964 gli occupati nell’agricoltura passarono dal 40 al 25% della
popolazione attiva; al contrario l’industria registrò un incremento dei lavoratori pari al 40% e
i servizi del 35%.
Le automobili sulle strade, che nel 1954 sfioravano le 700.000 unità, nel 1964
toccarono i 5 milioni, mentre i frigoriferi di uso domestico passarono, tra il 1959 e il 1963,
dalle 370.000 unità al milione e mezzo. Si registrò inoltre un’evoluzione quantitativa e
qualitativa della dieta giornaliera, con un incremento nei consumi di carne, frutta, latte,
ortaggi, grassi e formaggi. Ciononostante la spesa per i consumi alimentari, tra il 1955 e il
1975, diminuì progressivamente, fino a toccare, nel 1992, il 18% del reddito. La progressiva
contrazione dell’incidenza dei consumi alimentari sui consumi totali delle famiglie indicava
che le famiglie italiane avevano a disposizione più denaro da spendere per soddisfare esigenze
e bisogni diversi rispetto a quelli strettamente legati alla mera sopravvivenza. Non a caso, il 3
febbraio del 1957, nel primo “Carosello” mandato in onda dal servizio televisivo pubblico, i
prodotti pubblicizzati erano gli shampoo e le creme di L’Oréal, le macchine da cucire Singer,
le benzine Shell e l’amaro Cynar.
Nel medesimo arco di tempo, inoltre, si verificò un’imponente ondata migratoria
interna che si snodava non solo lungo l’asse Sud-Nord, ma anche a livello locale, per esempio
dal comune al capoluogo di provincia, dalla campagna alla città, da una regione all’altra. La
mobilità territoriale, che interessò circa nove milioni di italiani, influì non poco sul passaggio
da un’Italia rurale e contadina a un’Italia urbana e industriale. I grandi centri urbani, con oltre
100.000 abitanti, toccarono, nel 1975, le 45 unità, mentre gli iscritti alla scuola media e
all’avviamento professionale superarono, nel 1962, il milione e mezzo.
A dispetto delle cifre statistiche, che dimostrano come il cambiamento avvenuto nella
società italiana sia stato eccezionale ed estremamente rapido, è interessante esaminarne il
significato a livello di costume e di comportamento di massa. Gli anni Cinquanta vengono
comunemente indicati come una fase di rapida e convulsa trasformazione e il 1958
6
rappresentò il momento clou del decollo produttivo e industriale del paese, la data in cui si
evidenziò con assoluta chiarezza come una serie di modi di vivere e di pensare stavano
profondamente modificandosi. Nuovi “attori” si imposero massicciamente sulla scena sociale,
cioè il cinema, la televisione, la musica e i rotocalchi. Nel 1954, quando iniziarono le prime
trasmissioni televisive, la Rai registrò meno di 90.000 abbonati; nel 1957 essi salirono a
600.000, nel 1960 oltrepassarono i 2 milioni. Inoltre, negli stessi anni, si registrò il boom dei
settimanali e dei rotocalchi. Tra il 1950 e il 1955, infatti, videro la luce «La Settimana Incom»
ed «Epoca», mentre consolidarono la loro posizione «Oggi», «Tempo», «L’Europeo» e la
«Domenica del Corriere». Tutti perseguivano tre obiettivi: il primo era quello di raccontare in
modo esteso ed esauriente le “favole moderne”, ovvero il jet set internazionale, il divismo
hollywoodiano e lo stile di vita delle star d’oltreoceano. Il secondo era di dare più spazio e
attenzione a due soggetti sociali poco considerati dal giornalismo tradizionale, cioè le donne e
i giovani. Il terzo quello di usare un linguaggio alla portata di tutti. Tra il 1950 e il 1955 quasi
tutti i periodici incrementarono le tirature, segno di un crescente interesse degli italiani per
questo tipo di pubblicazioni a carattere nazionale-popolare, ad eccezione de «Il Mondo»,
l’unico settimanale che, per il suo carattere elitario, non riuscì a superare le 20.000 copie
1
.
È interessante notare che, nonostante la tendenza dei giovani a volere superare gli stili
di vita propri dalle generazioni passate, le storie raccontate dai rotocalchi, e dai mass media in
generale, si limitavano a ribadire e a rinforzare le regole e i valori tradizionali. Significativa a
questo proposito è un’inchiesta realizzata dalla Doxa per «Oggi» e pubblicata nel 1951. Dal
sondaggio, riguardante le abitudini di coppia degli italiani, risultò che ben il 37% delle mogli
tradite sarebbe rimasto con il marito, chiedendo una «spiegazione amichevole» per l’accaduto,
mentre un buon 20% «avrebbe fatto finta di nulla». Solo il 10% delle intervistate ammise di
valutare l’ipotesi di una «separazione legale» e un esiguo 9% rispose che avrebbe tradito a sua
volta il proprio compagno
2
.
Questa ambivalenza di fondo, che caratterizza la figura della donna negli anni
Cinquanta, è una delle caratteristiche più significative del giornalismo di quel periodo. Se da
un lato i principali rotocalchi offrivano al pubblico gli amori, i divorzi e le spregiudicatezze
delle attrici americane e francesi, dall’altro davano un’immagine rassicurante, domestica e
moderata delle dive nostrane. Donne belle e virtuose, lontane dagli scandali, simili alle
tantissime mogli e fidanzate - devote agli insegnamenti della Chiesa cattolica - che abitavano
l’Italia di allora.
1
P. MURIALDI, Dalla liberazione al centrosinistra, in V. Castronovo e N. Tranfaglia (a cura di), La stampa
italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Laterza, Bari, 1980, pp. 243-44, 249.
2
P. SORCINELLI, Eros Storie e fantasie degli italiani dall’ottocento a oggi, Laterza, Bari, 1993.
7
Adeguandosi alla morale imperante, «Epoca» proclamava a gran voce che a
Hollywood «la percentuale di divorzi e delle separazioni era inferiore rispetto alla media del
resto degli Stati Uniti»
3
; mentre «Oggi» presentava ai suoi lettori una Silvana Pampanini tanto
audace e sensuale sullo schermo quanto riservata e discreta nella vita privata
4
. Lo stesso
accadeva a Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Elsa Martinelli, mostrate come madri e
mogli felici. E non erano rare le dichiarazioni di morigeratezza e pudicizia rilasciate dalle
stesse attrici; Marisa Allasio, per esempio, sottolineò in molte interviste di non essere “una
civetta” e di trascorrere le serate in compagnia del suo diario e dei lavori all’uncinetto
5
. Il
muro di conformismo (nel 1953 «Epoca» ancora si scandalizzava di fronte al fatto che il 50%
delle donne americane dichiarava di essere arrivata al matrimonio dopo «una o più esperienze
sessuali») era però destinato a crollare. A metà degli anni Cinquanta il caso Montesi portò alla
luce un giro di aspiranti starlette e di droga, che tenne banco sui principali rotocalchi sino al
1957; la relazione tra Fausto Coppi e la misteriosa “dama bianca” scandalizzò i benpensanti,
mentre la sensualissima e imbronciata Brigitte Bardot, in Et Dieu crea la femme, offrì agli
italiani un’immagine di donna libera e spregiudicata.
Nel 1955 «Epoca» sottolineò come, negli ultimi anni, si erano verificati dei profondi
mutamenti nei rapporti tra gli uomini e le donne, evidenziando il carattere sempre più
libertino e aggressivo di queste ultime. A sostegno di questa tesi, il 1954 aveva fatto registrare
una pericolosa débâcle nello stato di salute dei matrimoni in Italia: a fronte di 333.000
sposalizi celebrati, il numero degli annullamenti e delle separazioni toccava quota 67.000. Sui
rotocalchi trovavano ampio spazio il dibattito, allora in discussione alla Camera, sul “piccolo
divorzio” e le campagne moraleggianti di solerti funzionari di polizia che criticavano
aspramente le coppie sorprese in macchina ad amoreggiare.
Nel 1957 le pagine de «L’Espresso» riportavano l’intervento acuto di Camilla
Cederna, che sottolineava una serie di cambiamenti mentali e comportamentali nelle giovani
borghesi del Nord Italia. Nel suo articolo la Cederna affermava che le giovani cercavano di
assomigliare fisicamente alle attrici, si dedicavano ai flirt e il matrimonio non era la loro
maggiore aspettativa, infatti cercavano di ritardarlo il più possibile perché volevano divertirsi
proprio come facevano gli uomini.
La giornalista accennava poi a due nuovi modi di ballare che stavano prendendo piede tra i
giovani: a “casque d’or” e “a mattonella”. In entrambi i casi la distanza fisica tra l’uomo e la
donna era annullata.
3
Il divorzio fuori moda, in «Epoca», 14 marzo 1954.
4
Venere educanda, in «Oggi», 17 ottobre 1954.
5
Si vedano i numeri di «Oggi» del 15 dicembre 1953, 23 maggio 1957, 13 giugno 1957, 12 dicembre 1957, 20
febbraio 1958 e 27 febbraio 1958.
8
Ma verso la fine degli anni Cinquanta non mutarono solo i comportamenti e
l’atteggiamento mentale delle donne italiane, cambiò anche la loro posizione sociale. In un
articolo del 1954, dedicato a quattro donne che ricoprivano incarichi di responsabilità, Anna
Garofalo parlava delle esponenti del “gentil sesso” come di giovani manager rampanti. Ecco
quanto riportava l’occhiello di apertura:
Ci sono, in Italia, donne di cui non si parla mai e che ricoprono posti importanti […]. Questi
ritratti testimoniano le capacità femminili negli uffici, per i quali, secondo molti, la donna non sarebbe
adatta […]
6
.
Nel 1959 «Epoca» denunciò numerosi casi di disparità nei diritti tra uomini e donne,
ricordando che le ultime per esempio non godevano della patria potestà, non potevano
diventare magistrati o segretario comunale, erano escluse dall’amministrazione del patrimonio
familiare e incorrevano in severe misure penali se si fossero macchiate di adulterio
7
. Nel 1951
la Chiesa cattolica dichiarò che i soli metodi contraccettivi validi erano l’astinenza o il calcolo
dei giorni fecondi, secondo il metodo Ogino-Knaus, e solo nel 1958 «Epoca» sollevò dubbi
circa la loro validità ed efficacia.
Sempre in quell’anno, il settimanale dedicò numerosi articoli al mestiere di “moglie”,
al modo in cui gli italiani vivevano l’amore e all’educazione sessuale degli adolescenti. Si
deve però attendere il 1959 per leggere i primi articoli sulla sessualità degli italiani. Pubblicati
da «L’Espresso», vennero elaborati da un’indagine condotta in precedenza e mai resa nota,
per non incorrere nella censura che aveva già osteggiato Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini
e L’amante di Lady Chatterley di Lawrence. Persino il compassato settimanale «Epoca»
pubblicò un’inchiesta sulla validità dell’illibatezza come “condizione fondamentale per il
matrimonio”, sottolineando però il carattere non pruriginoso dell’indagine.
L’altro tema ricorrente nei rotocalchi degli anni Cinquanta riguardava invece
l’universo giovanile. Non è pertinente alle finalità di questo elaborato scandagliare la portata e
la rilevanza di tale fenomeno, tuttavia è bene sottolineare che i principali periodici se ne
occuparono con grande interesse. Vennero pubblicate numerose inchieste per capire cosa
pensavano e facevano i giovani, quali erano le loro inquietudini e quali le loro aspirazioni. Gli
adulti scoprirono così che i giovani desideravano vivere il più possibile lontani dalle famiglie
per soddisfare le loro esigenze, “non sempre legittime”, che si sentivano privati della
sicurezza e della tranquillità di cui avevano goduto i loro padri, padri con i quali, tra l’altro,
era in corso un duro conflitto generazionale. Nel 1958, anno del decollo industriale, i giovani
6
Le donne che comandano , in «Epoca», 17 gennaio 1954.
7
Quando la legge non è uguale , in «Epoca», 26 aprile 1959.
9
cominciarono a delinearsi sempre più come “un mondo a parte”. Il 1958 segnò anche
l’avvento del rock’n’roll, dei blue jeans, del juke–box, della beat generation e dei romanzi di
Kerouac. Fenomeni sociali e di costume così rilevanti che anche «Epoca», forse il settimanale
più tradizionalista nel panorama editoriale italiano di quegli anni, fu costretto ad adeguarsi,
pubblicando articoli sui nuovi divi della musica e sulle ultime tendenze della moda.
È evidente che la maggior parte dei modelli culturali e ideologici americani sono
penetrati nel nostro tessuto sociale attraverso i media. Non potendo analizzare l’intero sistema
dei moderni mezzi di comunicazione di massa e i loro rapporti con la cultura d’oltreoceano, si
è ritenuto opportuno concentrare l’attenzione sulla stampa periodica italiana, in particolare
quella femminile. Verranno presentati di seguito alcuni casi ritenuti significativi, a cominciare
dall’avvento dei primi settimanali, di cui si fornisce un’analisi sintetica al fine di comprendere
meglio la genesi di tale interdipendenza e la sua evoluzione.
1.2 - Il caso del «Reader’s Digest»
Si può ancora parlare di un mito americano quando la realtà ci appare dominata da
percezioni di segno diverso? E ancora, questi miti sono da intendersi come simboli a tutt’oggi
validi, oppure sembrano prevalere immagini sempre più preoccupate e diffidenti
dell’America?
Gli anni Cinquanta rappresentarono l’apogeo del mito americano in Italia. Le effigi
dell’American way of life erano la risposta che gli Stati Uniti diedero all’antagonista di allora:
l’ormai dissolta Unione Sovietica, foriera di miti e ideologie altrettanto fertili, ma meno
suggestivi. Gli Stati Uniti rappresentarono per un paese povero, uscito da una dittatura feroce
e prostrato dalla guerra, l’Eldorado a cui guardare, la Terra Promessa a cui aspirare, la madre
benigna dispensatrice di felicità e benessere a buon mercato. Indubbio è che i modelli e lo
stile di vita d’Oltreoceano influirono non poco sui costumi degli italiani, sulla loro percezione
della realtà e sulla loro adesione e identificazione con un preciso credo ideologico e politico.
I principali ambiti della comunicazione, dalla pubblicità al cinema, dai fumetti alla
musica, furono allora fortemente condizionati dal mito americano. Anche il giornalismo, e in
particolare il fotogiornalismo, devono molto ai simboli degli Stati Uniti. «L’Europeo» di
Arrigo Benedetti uscì a Milano nel 1945, seguito a ruota da «Il Mondo» di Mario Pannunzio
del 1949 e da «Epoca», vistoso tabloid della Mondadori, che vide la luce nell’ottobre del
1950. Tre rotocalchi ispirati dall’americanissimo «Life» che, secondo la critica
cinematografica Pauline Keal, incarnava perfettamente lo spirito americano dell’epoca.
10
Se dei newsmagazine e dei tabloid italiani si è a lungo parlato in relazione
all’incidenza della cultura e dell’ideologia americana nel nostro paese, meno è stato scritto sui
periodici femminili e sulle pubblicazioni di matrice femminista. Nati sul finire degli anni
Sessanta, sia gli uni che le altre rappresentano un campo di investigazione relativamente poco
battuto. Soprattutto la stampa femminile, a lungo considerata di rango inferiore, poco seria e
impegnata, più attenta a fare sognare che a informare il suo pubblico.
Lasciando per ora in sospeso la questione relativa ai periodici femminili e femministi,
che saranno oggetto di analisi più approfondite in seguito, vale la pena di parlare delle prime
influenze del “mito americano” in Italia. Cultura e ideologia “a stelle e strisce” vennero
diffuse attraverso «Selezione», una costola del «Reader’s Digest», a partire dal 6 agosto 1948,
con la costituzione della società Selezione dal Reader’s Digest Spa, nata con l’intento di
pubblicare e diffondere la rivista. Nel consiglio di amministrazione sedevano, oltre ad Alfredo
Pizzoni – presidente del Credito Italiano e protagonista della lotta di liberazione, durante la
quale si era occupato dei rapporti con gli alleati in merito ai finanziamenti della Resistenza –
Paul Thompson e Terence Hermann
8
, inviati del «Reader’s Digest».
La storia del «Reader’s Digest» in Italia esemplifica il modo in cui il “prodotto
America” veniva venduto e pubblicizzato dagli Stati Uniti al termine della seconda guerra
mondiale. La rivista era un collaudato strumento di propaganda, dal momento che prima di
arrivare in Europa, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, aveva partecipato, nel 1940, alla
controffensiva ideologica contro le potenze dell’Asse in America Latina. Inoltre, nel 1943, su
esplicita richiesta dell’Office of War Information
9
, era stata diffusa in Arabia Saudita e in
Svezia.
Al termine della guerra, grazie ai consistenti aiuti del Piano Marshall, il «Reader’s
Digest» iniziò a creare delle consorelle in Europa. Inizialmente in Francia (1946), poi in
Germania, Austria, Belgio e infine in Svizzera. Il termine “consorelle” esemplifica
perfettamente una delle principali caratteristiche, e punto di forza, del periodico. Il «Digest»,
infatti, usava le diverse lingue nazionali per facilitare la penetrazione nei paesi di riferimento,
invece di limitarsi a diffondere l’edizione originale in lingua inglese, come facevano «Time»
o «Newsweek»
10
.
Come precedentemente detto, la società che pubblicava «Selezione» fu costituita il 6
agosto 1948. Si trattava di una realtà di piccole dimensioni, con due soli azionisti: The
Reader’s Digest Association, Inc. e la W.A. Publication, Inc., e tredici dipendenti. Il materiale
8
T. Hernann diventerà vice presidente e general manager delle Edizioni Internazionali. P. Thompson sarà prima
general manager delle Edizioni Internazionali e poi assistant general manager delle Edizioni Internazionali
9
Cfr. J. PLAYSTED WOOD, Of Lasting Interest. The story of the Reader’s Digest, Doubleday & Company
Inc., Garden City, New York, 1967, pp. 156-157.
10
Cfr. A. MATTELART, Multinazionali e comunicazioni di massa, Editori Riuniti, Roma, 1977, p. 362 e segg..