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INTRODUZIONE
Attualmente non esiste attività organizzata dall’uomo per la quale non sia
necessario l’utilizzo di energia che, purtroppo, costituisce la fonte principale di
emissioni alteranti il clima e figura tra le principali cause dell’inquinamento
ambientale.
Il risparmio energetico costituisce la principale risposta a tali problematiche. Il
Protocollo di Kyoto del dicembre 1997 ha rappresentato un tentativo concreto di
governare lo sviluppo del sistema economico mondiale, orientandolo verso la
sostenibilità e la riduzione delle emissioni di gas serra.
Ultimamente si è assistito ad un incremento di direttive europee e di leggi nazionali
per imporre regole che rendessero i porti più responsabili ed incoraggiassero uno
sviluppo sostenibile.
In tale contesto, l’Autorità Portuale di Salerno (oggetto di studio di tale lavoro di
tesi), ha elaborato un programma di monitoraggio delle polveri prodotte e di
realizzazione di impianti fotovoltaici, con il fine di rilanciare il porto in termini di
sostenibilità, dando rilevanza e supporto a tutte le attività e procedure che possano
avere un impatto, sia indiretto che diretto.
Il presente lavoro di tesi si pone, perciò, come obiettivo la definizione, la
progettazione e la realizzazione (attraverso un software di simulazione) di un
modello, appunto, del porto di Salerno, al fine di valutare l’impatto ambientale delle
operazioni che prendono luogo in esso.
Di seguito si riporta l’articolazione dell’elaborato.
Nel primo capitolo verrà fornita una visione generale delle principali tematiche
legate all’inquinamento, soprattutto in ambito portuale, e delle relative “green
solutions” ultimamente proposte.
Successivamente si riporterà un approfondito stato dell’arte, volgendo una
particolare attenzione agli strumenti utilizzati per l’analisi e la valutazione
dell’impatto ambientale nei porti. L’analisi di tale stato dell'arte sottolineerà come
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la sostenibilità non possa essere trascurata, in quanto imperativo sia nel settore
della logistica che in quello dell'industria. L’analisi di problemi complessi ha, infatti,
da sempre richiesto tecniche che si avvalessero dell’interazione di elementi
stocastici e che permettessero il trasferimento dei dati e delle conoscenze ad uno
strumento di supporto, quale è, ad esempio, quello del “Modeling&Simulation”
(M&S).
Sfruttando il software di simulazione AnyLogic 6, si creerà il modello del Porto di
Salerno e si analizzeranno, nello specifico, gli impatti generati dalle attività, dai
mezzi e dalle attrezzature in esso presenti.
Nell’ultimo capitolo si commenterà l’architettura del modello e la sua creazione
sulla base di obiettivi predefiniti.
Si analizzeranno, infine, i risultati ottenuti in seguito al lancio delle simulazioni,
soffermandosi su eventuali criticità emerse e proponendo soluzioni alternative.
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CAPITOLO 1
1. “GREENPORTS”
L'inquinamento è un'alterazione dell'ambiente, naturale o antropico, che produce
disagi temporanei, patologie o danni permanenti in una data area, ponendo la zona
in disequilibrio con i cicli naturali esistenti.
Le aree portuali, pur rappresentando un notevole potenziale per lo sviluppo
economico, determinano anche un impatto ambientale negativo, per via della
presenza di diverse fonti di emissioni. Negli ultimi anni, perciò, i porti marittimi di
tutto il mondo stanno dimostrando un impegno nella tutela dell'ambiente e
nell’attivazione di operazioni sostenibili attraverso una varietà di azioni, di mandati
e di iniziative.
Al fine di massimizzare i benefici legati alla sostenibilità, ultimamente si sta
puntando al concetto di “GreenPort”. Rendere “eco-compatibili” i traffici e le
operazioni portuali, grazie all’uso di fonti rinnovabili: è questo il futuro per il quale
ci si sta impegnando. La definizione di “GreenPort” costituisce uno degli obiettivi
oggigiorno primari, acquisibile tramite il perseguimento di più linee di lavoro:
l’efficienza energetica; la raccolta ed il riciclo delle acque meteoriche e dei rifiuti a
bordo; la politica delle “emissioni zero”.
In generale le principali aree di intervento per la realizzazione dei “porti verdi” sono
quattro:
1. Ambiente:
i principali elementi di sviluppo in tale area consistono nel ridurre
l’inquinamento acustico; nel monitorare la qualità dell’acqua e dell’aria e
nel gestire il flusso dei rifiuti (sia standard che tossici);
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2. Energia e risorse:
per tale area si rende necessario, innanzitutto, integrare ed, in alcuni casi,
creare ex-novo impianti ad energia rinnovabile; effettuare un’analisi dei
fabbisogni in termini di combustibile fossile, valutando eventuali
alternative ed, infine, riutilizzare fanghi e rifiuti non tossici;
3. Infrastrutture e servizi:
gli elementi cardine in questo caso sono: la manutenzione e la
progettazione sostenibile dei terminali; l’ottimizzazione delle operazioni e
la razionalizzazione degli accessi nel porto; la creazione e l’ampliamento
dei servizi telematici basati su nuove soluzioni tecnologiche;
4. Costi, tariffe e meccanismi finanziari:
sono previste, in quest’ambito, un’analisi “make or buy” e nuove proposte
circa le politiche tariffarie, al fine di incoraggiare il più possibile scelte
sostenibili ed ecologiche.
1.1. LCA e sostenibilità ambientale
Il “Life Cycle Assessment” (Valutazione del Ciclo di Vita - LCA) è un metodo di
valutazione e di quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti
potenziali associati ad un prodotto, ad un processo, ad un’attività, lungo l’intero
ciclo di vita.
Le prime applicazioni note dell’ LCA risalgono alla fine degli anni ’60 e riguardano
l’analisi delle conseguenze ambientali dovute alla produzione di particolari
contenitori per alimenti. Negli anni ’80 vengono tracciate le basi per un modello di
economia olistica mondialmente condivisibile, con l’introduzione da parte di
Brundtland della definizione di sviluppo sostenibile: «…è uno sviluppo che soddisfi le
esigenze del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di
soddisfare i propri bisogni». A partire dai primi anni ’90, grazie al lavoro congiunto
della SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) e dell’ente ISO
(International Standard Organisation), la metodologia LCA può contare su una vera
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e propria standardizzazione, la quale costituirà la base della norma europea di
riferimento: la UNI EN ISO 14040, approvata dal CEN (Comitato Europeo di
Normazione).
La struttura dell’LCA proposta dalla normativa è sintetizzabile in quattro momenti
principali:
1. Definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione:
E’ la fase preliminare in cui sono definite le finalità dello studio, l’unità
funzionale, i confini del sistema studiato, il fabbisogno e l’affidabilità dei
dati, le assunzioni e i limiti;
2. Analisi di Inventario (Life Cycle Inventory Analysis, LCI):
In cui si evidenziano tutti i flussi di input e di output riferibili al prodotto.
Vengono così ad identificarsi elementi importanti da tenere in
considerazione per la creazione di un vero e proprio inventario di sostanze
e di pesi;
3. Valutazione dell’impatto (Life Cycle Impact Assessment, LCIA):
I consumi di materie e di energia, così come i composti che formano le
emissioni in aria, acqua e suolo, vengono aggregati in funzione degli effetti
che possono procurare sull'ambiente e in funzione della rilevanza di
ciascuno. Il procedimento inizia con la classificazione in categorie di
impatto e, in seguito ad un processo di normalizzazione e di bilanciamento,
si arriva al risultato finale costituito da un “eco-indicatore”;
4. Interpretazione e miglioramento (Life Cycle Interpretation):
E’ la parte conclusiva di una LCA. Ha lo scopo di proporre i cambiamenti
necessari a ridurre l’impatto ambientale dei processi o delle attività
considerati.
L’LCA, dunque, rappresenta un efficace strumento per la valutazione dell'impatto
ambientale: permette di prevedere le conseguenze, positive e/o negative, che
un'azione o un evento possono comportare sull'ambiente circostante.
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Si basa sull’utilizzo di una serie di indicatori, ovvero di una sequenza di dati espressi
in scala che, posti determinati obiettivi, fungono da strumento di valutazione.
Quanto più l’obiettivo da raggiungere è di difficile definizione, tanto più gli
indicatori svolgono un ruolo fondamentale per un suo effettivo conseguimento.
Uno degli indici maggiormente utilizzato è quello di “sostenibilità ambientale” (ESI),
che delinea 21 elementi riguardanti fattori chiave per lo sviluppo sostenibile di ogni
paese, come:
la dotazione di risorse naturali;
i livelli di inquinamento;
gli impegni di management ambientale;
la capacità di miglioramento delle prestazioni ambientali e sociali.
La sostenibilità lega in maniera inscindibile il ricorso alle fonti rinnovabili (e non
solo) alla dimensione economica e sociale; vede la sua nascita nei primi anni ’70, in
concomitanza della crisi petrolifera, quando i Paesi arabi rivoluzionarono il mondo
delle esportazioni di petrolio, aumentandone il prezzo e riducendo la quantità
destinata ai commerci con l’Occidente. Tale crisi rappresentò l’occasione per
riflettere circa la necessità di imporre delle limitazioni in campo energetico.
L’inizio effettivo del percorso strategico dello sviluppo sostenibile si ebbe con la
Conferenza ONU sull’Ambiente Umano, a Stoccolma, nel 1972.
Nello stesso anno fu pubblicato il rapporto dei “Limiti dello sviluppo”; questo
riportava importanti risultati scaturiti da una simulazione circa le influenze
reciproche tra la popolazione, l’inquinamento e l’industrializzazione. In particolare si
evinceva che nel giro di qualche decennio la crescita produttiva avrebbe
determinato l’esaurimento di tutte quelle risorse naturali utilizzate per la maggior
parte delle attività economiche.
Nel 1980, nel corso della IUCN (International Union for Conservation of Nature), si
delinearono in particolare tre obiettivi da raggiungere:
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1. La conservazione dei processi ecologici fondamentali;
2. La tutela della flora e della fauna;
3. L’utilizzo sostenibile degli ecosistemi.
Nel 1992, con la conferenza ONU tenutasi a Rio de Janeiro, si attuò l’Agenda 21 che
invitava ad uno sviluppo, a livello nazionale, degli indicatori di sostenibilità. Inoltre si
confermavano gli obiettivi di cui sopra, introducendo il principio di “chi inquina,
paga”. Così facendo si scoraggiavano gli sprechi e, nello stesso tempo, si stimolava
la ricerca e l’innovazione nel fare passi in avanti.
Nel 1997 viene sottoscritto il protocollo di Kyoto, ma entrerà in vigore solo nel
2005, impegnando 169 nazioni a ridurre il totale delle emissioni di gas serra di
almeno il 5% rispetto ai livelli registrati nel 1990, tutto ciò nell’arco temporale di
quattro anni, dal 2008 al 2012.
I Paesi coinvolti si impegnavano innanzitutto a soddisfare gli obiettivi legati alle
proprie misure nazionali e, successivamente, a tener conto di tutti quei meccanismi,
alla base del mercato del carbonio, che consentono di investire in progetti
sostenibili e di realizzarli nell’ottica di ridurre l’impatto delle emissioni.
Nel 2002, a Johannesburg, si svolse il “Sustanaible Development Action Plan”, in cui
si delineava, per la prima volta, la sostanziale differenza tra “crescita” e “sviluppo”,
incentivando quest’ultimo a favore dell’altro.
Oggigiorno il concetto di sostenibilità è molto diverso da quello proposto al
principio degli anni ’70: si punta, attualmente, al sostegno della crescita economica
e, nello stesso tempo, alla salvaguardia dell’ambiente, tramite uno sviluppo
sostenibile che pone l’accento sul “Green Management”, ovvero sull’adozione di
opportuni criteri ambientali al fine di ridurre l’impatto ambientale di determinate
attività e di promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie.
Allo stato attuale, le forniture energetiche provengono per lo più da combustibili
fossili che, con le loro emissioni, contribuiscono drasticamente ad uno “sviluppo
insostenibile”. Un maggior utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili
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determinerebbe non solo un approvvigionamento sostenibile, ma anche un
notevole aumento dei livelli di efficienza.
Inoltre, grazie alle numerose iniziative intraprese dai Governi, stanno diventando
sempre più comuni anche le azioni volontarie da parte delle organizzazioni private.
Una delle condotte più diffuse è sicuramente legata all’adozione dell’EMS
(Environmental Management System). Tale accorgimento permette di valutare
sistematicamente tutti i processi che influenzano l’ambiente e,
contemporaneamente, di monitorare i propri progressi.
1.2. Importanza delle iniziative “green”
Qualificarsi come “GreenPort” non è semplice: è necessario, infatti, adottare
opportune misure e tecnologie, in un’ottica di rispetto dell’ambiente e di risparmio
energetico. A tal proposito si riportano le principali aree d’intervento:
Qualità dell'aria:
I porti marittimi, al fine di ridurre le emissioni dell'aria e di migliorarne la
qualità, stanno volgendo la propria attenzione a: i regolamenti che
disciplinano un porto di mare; le dimensioni e le capacità finanziarie; le
operazioni e le linee di business. Ultimamente, inoltre, si sta valutando la
possibilità di sostituire le attuali attrezzature per la movimentazione delle
merci con tecnologie meno inquinanti e, al contempo, più efficienti.
Numerosi porti stanno anche considerando l’utilizzo di carburanti alternativi,
come ad esempio quelli elettrici, ibridi, a gas naturale, propano, diesel ultra
basso tenore di zolfo e biodiesel;
Cambiamenti climatici:
Molti porti marittimi internazionali hanno aderito al “World Climate Ports
Initiative” (WPCI) per gestire i cambiamenti climatici. I membri del WPCI
stanno attivamente lavorando su una serie di progetti che includono
principalmente lo sviluppo di linee guida per il miglioramento del trasporto