2
Tali dati, quali radiazione, albedo, temperatura della neve, densità della
neve, equivalente in acqua sono in genere reperibili solo in aree
sperimentali appositamente attrezzate.
L'applicazione di questi modelli, auspicabile nell'ottica di usare
formulazioni matematiche il più possibile aderenti alla realtà fisica del
fenomeno studiato, rimane pertanto limitata dalla disponibilità dei dati
(Fattorelli, 1982).
Praticamente l'unico dato reperibile con relativa facilità è quello di
temperatura dell'aria, è quindi su questo dato che si basa in gran parte la
modellistica dei fenomeni nivali con finalità pratiche, anche se non sempre
la temperatura dell'aria in prossimità della superficie rappresenta un buon
indice dello scioglimento nivale. L’ablazione diurna non è affatto
proporzionale alla temperatura media, ma è più forte nelle ore di maggiore
radiazione (Monterin, 1931).
Oggi, lo studio dei processi nivali che interessano un bacino
idrografico, può essere validamente supportato dall'utilizzo di un Sistema
Informativo Territoriale, in inglese Geographycal Information System
(GIS).
I Sistemi Informativi Territoriali, sempre più utilizzati nel campo della
gestione del territorio, consentono di studiare il bacino ad una scala di
dettaglio definita da singole unità di territorio tendenzialmente omogenee
per caratteristiche morfometriche.
Nel presente lavoro si è applicato un modello distribuito di
scioglimento della neve basato sul classico approccio grado-giorno, in cui il
fattore di fusione viene modificato in funzione del valore locale di
radiazione astronomica potenziale, assegnando così un ruolo più
preminente alla morfologia del bacino.
E’ noto che la maggior parte della radiazione solare che giunge sulla
terra rappresenta solo una frazione della radiazione totale, diminuita dai
3
fenomeni di riflessione, diffusione, assorbimento da parte dell'atmosfera e,
inoltre, essa è ulteriormente ridotta dalla morfologia locale.
Nel presente lavoro l'area oggetto di studio è l'alto bacino del Lys,
affluente di sinistra della Dora Baltea, che scorre lungo la valle di
Gressoney (Valle d’Aosta) alla cui testata sorge l'imponente massiccio del
Monte Rosa.
4
1. IDROLOGIA ALPINA
1.1 La precipitazione nevosa
La formazione della neve implica processi fisici piuttosto complessi.
E’ essenziale la presenza di nuclei di condensazione, sui quali si verifica la
sublimazione del vapore acqueo con la formazione di cristalli di ghiaccio.
All’inizio essi sono molto semplici e di ridotte dimensioni, successivamente
danno luogo a forme visibili ad occhio nudo. L’aggregazione di più cristalli
dà luogo ai fiocchi di neve.
La morfologia dei cristalli di neve, strettamente legata alla modalità di
formazione, è stata oggetto di minuziose classificazioni e riveste particolare
interesse nella valutazione della stabilità del manto nevoso.
La formazione di significative precipitazioni nevose è condizionata
dalla presenza di umidità atmosferica, da uno spessore tale delle nubi da
permettere la crescita dei fiocchi di neve e, naturalmente, da una
temperatura al di sotto dello zero.
La variabilità spaziale delle precipitazioni nevose deve essere
considerata sia su ampia sia su ridotta scala. Il clima della regione e la
latitudine influenzano direttamente le precipitazioni, ma nessuna delle due
varia significativamente nel contesto di un bacino montano. La quota viene
dunque ad assumere il significato di fattore di maggior rilievo nella
distribuzione del manto nevoso in fase di accumulo.
Le principali grandezze di interesse idrologico oggetto di misura sono
l’altezza della neve fresca al suolo, la sua densità e il suo equivalente in
acqua.
Per altezza di neve fresca si intende l’accumulo avvenuto in un
periodo recente di tempo, generalmente 24 ore.
5
Il modo più semplice per effettuare la misurazione consiste
nell’immergere verticalmente un’asta graduata nella neve accumulatasi su
di una tavola da neve.
Il limite di tale metodologia risiede nel fatto che la precipitazione
viene attribuita alle 24 ore del giorno nel quale si effettua il rilievo, mentre
l’accumulo può anche essere generato da un’intensa e breve nevicata della
durata di qualche ora. Inoltre, nel periodo che intercorre tra la
precipitazione ed il momento in cui viene effettuata la misura, possono
esserci fenomeni di compattazione e di fusione che alterano il dato
originario.
La misura può anche essere fatta per differenza di successive letture su
un’asta graduata infissa stabilmente nel terreno : il dato anche in questo
caso è impreciso a causa dei fenomeni di compattazione.
Una misura per differenza attendibile può essere ottenuta impiegando
nivometri ad ultrasuoni che eseguono scansioni a determinati intervalli di
tempo, fornendo dati in continuo sull’accumulo della neve al suolo.
La densità della neve fresca, ovvero la massa per unità di volume,
consente di dare una interpretazione più significativa al dato di altezza.
La densità della neve fresca è variabile in relazione alle condizioni
meteorologiche al momento della precipitazione. In particolare, la
temperatura dell’aria e la velocità del vento sono i fattori più importanti.
All’aumentare della temperatura, la densità della neve aumenta e si ha la
cosiddetta neve bagnata. Anche il vento svolge un ruolo importante pure se
la relazione non è del tutto chiara come per la temperatura.
Spesso si fa riferimento alla densità relativa, ovvero al rapporto tra il
volume dell’acqua ottenuta dalla fusione di un campione di neve e il
volume originario del campione stesso.
6
L’equivalente in acqua è il dato più significativo da un punto di vista
idrologico, poiché fornisce direttamente la potenzialità della neve in termini
di apporto alla rete idrica del bacino.
Esso è definibile come l’altezza di acqua che si otterrebbe fondendo
l’intero spessore di neve caduta.
L’equivalente in acqua può essere determinato applicando la
seguente :
H
w
= H
n
x ρ (1.1)
dove :
ρ = densità relativa della neve
H
w
= altezza dell’equivalente in acqua in mm
H
n
= altezza della neve in mm
La relazione può essere impiegata con un dato medio della densità per
determinare l’equivalente in acqua a partire dalla sola misura dell’altezza di
neve caduta.
Il valore di riferimento generalmente impiegato per ρ, in caso di neve
fresca, è pari a 0.1. Da cui si deduce che dieci centimetri di neve fresca
corrispondono a dieci millimetri di acqua equivalente.
L’equivalente in acqua della neve fresca può essere determinato
direttamente prelevando un campione di neve, fondendolo e misurando
l’altezza dell’acqua ottenuta. Lo si può anche misurare attraverso gli stessi
pluviometri a vaschetta basculante usati per le precipitazioni liquide, se
sono muniti di un dispositivo di riscaldamento per la fusione della neve
accumulatasi sulla bocca dello strumento. Esistono, però, problemi di
misurazione causati dalla turbolenza in prossimità dello strumento, che per
7
il caso specifico della neve, possono causare sottostime notevoli. Per ridurre
questi inconvenienti esistono diversi dispositivi di schermatura, anche se
l’errore non è eliminato nella sua totalità.
In fase d'acquisizione dei dati è necessario conoscere la temperatura
per classificare l’evento meteorico. La soglia di separazione tra una
precipitazione liquida e una solida viene frequentemente fissata a 0.5°C.
8
1.2 Il manto nevoso
Il manto nevoso nasce dallo stratificarsi al suolo di successive nevicate.
Esso presenta una struttura dinamica con un’altezza variabile in relazione
all’andamento stagionale, in evoluzione nel tempo e difforme nello spazio.
Lungo il profilo si possono distinguere strati differenti per consistenza,
spessore e modalità di formazione.
Gli strati più spessi possono essere originati da consistenti precipitazioni,
mentre quelli più sottili da alterazioni dovute all’alternanza di fasi di gelo e
disgelo, da conseguenze di ridistribuzione operata dal vento, dalle slavine o
dal depositarsi di brine di superficie.
Nel suo complesso il manto nevoso è una struttura porosa derivante
dall’accumulo di cristalli di neve, che forma uno strato altamente deformabile
e da spazi che contengono aria, vapore acqueo o, in particolari condizioni,
acqua liquida.
Il manto nevoso è soggetto ad una serie di trasformazioni a carattere
irreversibile, che alterano la struttura originaria di cristalli di neve e
conferiscono dinamicità alle caratteristiche fisiche del manto.
Il metamorfismo subito dal manto nevoso porta ad una variazione del
profilo termico e ad una riduzione dello spessore, quindi ad un aumento di
densità e di resistenza meccanica. Inoltre, si ha un cambiamento della forma
dei cristalli con la formazione di cristalli granulari di forma semplificata
rispetto a quella originaria e un aumento di compattezza.
In presenza di forti gradienti di temperatura e vapore acqueo, possono
formarsi le cosiddette brine di profondità.
Lo studio dei processi della metamorfosi è molto importante per la
determinazione e valutazione della stabilità del manto nevoso.
9
Per effetto dei fenomeni legati al metamorfismo, il manto nevoso tende,
con il passare del tempo, a diventare omogeneo rispetto alla temperatura, al
contenuto di acqua liquida, alla grandezza dei grani e alla densità ed, infine,
raggiunge lo stadio di maturità nel quale i cambiamenti apprezzabili si
verificano solo in superficie.
La temperatura del manto nevoso è il dato più importante per la
determinazione delle sue caratteristiche energetiche. Il gradiente di
temperatura assieme alla densità condiziona il trasferimento energetico
all’interno del manto nevoso.
La temperatura varia con la profondità e tende ad aumentare con
l’avvicinamento all’interfaccia neve-suolo, dove il valore si avvicina a 0°C.
Durante la fusione, la temperatura si presenta uguale in tutti gli strati e pari
a 0°C.
Inoltre, è utile conoscere la variazione spaziale delle proprietà del manto
nevoso.
A tale variabilità concorrono fattori meteorologici, morfologici e
vegetazionali che interagiscono in modo complesso nel determinare le diverse
caratteristiche del manto. Una importante causa di eterogeneità spaziale del
manto nevoso in fase di accumulo è la ridistribuzione operata dal vento.
Anche quando le precipitazioni sono uniformi su tutta l’area, la
distribuzione spaziale finale può essere molto eterogenea poiché la neve viene
spostata e ridepositata dal vento. In questa situazione la neve si comporta
come altri sedimenti, accumulandosi in zone dove il flusso decelera a scapito
delle zone dove accelera.
Dove le irregolarità del terreno e il disegno del vento si ripetono, le
scoperture e gli accumuli tendono a ripresentarsi negli anni sia nella forma sia
nella localizzazione.
10
Inoltre, volumi considerevoli di neve vengono mossi anche dalle
valanghe e dalle slavine. Queste trasportano e concentrano la neve ad altitudini
più basse, potendo, in alcuni casi, favorirne la fusione. Anche in questo caso,
questi eventi si ripetono con maggiore frequenza negli stessi pendii, i quali
presentano una inclinazione tale da poter innescare facilmente tali fenomeni.
In alcune situazioni, può essere molto importante una stima corretta
dell’esatto volume di neve messo in movimento da una valanga e depositato in
fondovalle, poiché il suo contenuto d’acqua può essere elevato.
E’ da sottolineare che tali agenti non comportano un cambiamento della
massa totale di neve, ma operano soltanto una ridistribuzione della stessa.
1.2.1 Proprietà fisiche del manto nevoso e loro misura
Le misure più significative inerenti le caratteristiche del manto nevoso
sono : l’altezza, la densità e l’equivalente in acqua.
L’altezza del manto nevoso esprime lo spessore del manto in un
determinato sito. Essa aumenta con gli accumuli successivi di neve, mentre
diminuisce a causa della fusione e della compattazione.
Il metodo più semplice per ottenere informazioni sull’altezza del manto
nevoso consiste nella lettura di un’asta graduata infissa nel terreno. Altrimenti
la misura può anche essere effettuata tramite l’infissione nel terreno di una
sonda nivometrica, che consente di eseguire il rilievo per più punti.
Per ottenere il dato di continuo si utilizzano sensori ad ultrasuoni, i quali
consentono di ottenere informazioni relative all’evoluzione nel tempo del
manto nevoso.
La densità del manto nevoso varia lungo il profilo. Essa tende ad
aumentare nel tempo a causa del progressivo compattamento sotto l’azione del
11
peso proprio e a causa degli effetti del metamorfismo. Si ha così una
differenziazione per strati : i valori minimi sono registrati in superficie, mentre
i massimi vengono raggiunti negli strati inferiori.
Per determinare la densità si procede al prelievo di un campione di
volume noto per mezzo di un tubo da neve immerso verticalmente nel manto.
Il campione viene poi pesato mediante dinamometro e, sottratta la tara, la
densità viene calcolata come rapporto peso-volume.
L’equivalente in acqua è il dato di maggior interesse idrologico.
E’ definibile come l’altezza in millimetri della quantità di acqua che si
otterrebbe dalla fusione del manto nevoso.
Il suo valore è legato all’altezza del manto nevoso e alla sua densità.
ρ = h
w
/ h
n
(1.2)
dove :
ρ = densità relativa
h
w
= altezza equivalente in acqua (mm)
h
n
= altezza del manto nevoso
Le misure dirette dell’equivalente in acqua possono essere effettuate
mediante i cuscini da neve (snow pillows) e i dispositivi a raggi γ.
I cuscini da neve sono apparecchi che si basano sulla misura della
pressione esercitata dalla massa di neve depositata sulla superficie di una sacca
riempita di liquido anticongelante, mediante appositi trasduttori.
I dispositivi a raggi γ si basano sull’assorbimento dei raggi γ stessi da
parte dei corpi d’acqua : il metodo passivo si basa sulla misurazione della
radiazione γ emessa naturalmente da isotopi radioattivi di potassio, uranio e
torio presenti nel terreno. Dalla differenza tra la radiazione emessa a suolo
12
nudo e quella parzialmente attenuata dalla presenza del manto nevoso si
possono ottenere direttamente informazioni sull’equivalente in acqua.
Il metodo attivo prevede, invece, la presenza di uno strumento puntuale,
con una propria sorgente e un rilevatore di raggi γ disposti ad una distanza
nota e in modo tale da attraversare uno strato di neve.
Dalla riduzione delle radiazioni emesse e captate dal ricevitore dopo
l’attraversamento dello strato di neve, si ricava direttamente la densità di
ciascun strato e quindi l’equivalente in acqua.
A maturità, l’altezza del manto nevoso varia più della densità dello
stesso. Di conseguenza la maggior fonte di variabilità dell’equivalente in
acqua è data dalle differenze di spessore del manto nevoso, specialmente
durante la stagione di fusione.
13
1.3 I Ghiacciai
I ghiacciai terrestri occupano oggi oltre il 10% delle terre emerse e il loro
volume complessivo si valuta tra 28 e 35 milioni di km
3
.
Essi esercitano un influsso indiretto sulle aree circostanti sia per mezzo
dei corsi d’acqua alimentati dall’acqua di fusione, sia modificando il clima
circostante.
L’esistenza di queste masse di ghiaccio si deve al progressivo e durevole
accumulo di neve al suolo, il quale dipende dal clima freddo delle regioni
dove i ghiacciai si formano. La trasformazione graduale della neve e la sua
ricristallizzazione in ghiaccio compatto sono dovute alla pressione della massa
di neve sovrastante e ai ripetuti fenomeni di disgelo e rigelo.
Man mano che la massa di ghiaccio ispessisce, si manifesta la tendenza
alla deformazione del ghiaccio stesso e s'instaura, per effetto della forza di
gravità, un lento movimento verso le aree più a valle.
I ghiacciai cambiano di comportamento ed area d’azione a causa delle
variazioni di grandezza che subiscono per la loro tendenza ad adeguarsi alle
condizioni climatiche ed ambientali.
La forma dei ghiacciai di montagna è una conseguenza della topografia
accidentata dei luoghi.
Si distinguono in letteratura (Castiglioni, 1979) :
• Ghiacciai vallivi : i quali sviluppano verso il basso una lingua di
forma allungata che s'insinua in una valle ; in alto presentano uno o
più bacini alimentatori delimitati da creste montuose.
• Ghiacciai vallivi composti : i quali presentano più lingue molto
ramificate che si uniscono assieme.
14
• Ghiacciai d'altopiano : i quali occupano superfici pianeggianti di
sommità, da cui dipartono più lingue dirette talora verso valli diverse.
• Ghiacciai pedemontani : uno o più ghiacciai vallivi composti escono
dalla zona montagnosa allargandosi nelle pianure vicine.
• Ghiacciai di circo, di pendio, di canalone, sospesi ecc. : sono in
genere piccoli ghiacciai, privi di lingua, di tipo diverso secondo la
forma topografica che li accoglie.
Un ghiacciaio è alimentato dagli apporti di nuova neve, che si accumula
con le precipitazioni e di cui rimane una parte residua dopo la stagione dello
scioglimento.
Su una parte del ghiacciaio si sovrappongono strati di neve vecchia
d'anno in anno, mentre in un’altra parte lo scioglimento della neve che ogni
anno si deposita è totale. A volte anche una certa quantità di ghiaccio fonde e
si ha, quindi, annualmente una perdita.
L’ablazione glaciale alimenta i torrenti glaciali : numerosi ruscelli
appaiono nella stagione più calda sulla superficie dei ghiacciai, scendono
attraverso i crepacci sul fondo, e confluiscono in uno o più torrenti subglaciali
che, alla fronte, fuoriescono. Se si volesse analizzare in modo preciso questi
fenomeni, occorrerebbe tenere conto dell’acqua d’ablazione che viene perduta
per evaporazione, dell’acqua di ablazione che rigela nel corpo stesso del
ghiacciaio e dell’intervento della pioggia. Per quanto riguarda l’energia che
determina l’ablazione, si dovrebbe considerare, oltre al calore ricevuto dal
ghiacciaio per radiazione, anche l’energia acquisita in altra forma : per
afflusso di aria calda, per conduzione dal fondo roccioso, prodotta negli attriti
ecc..
La zona di accumulo si trova in alto, dove le temperature sono
mediamente più basse e l’ablazione meno efficace, mentre la zona di ablazione
15
si trova nelle parti del ghiacciaio situate a quota più bassa. Si può individuare,
poi, su ogni ghiacciaio una zona di equilibrio, in cui l’accumulo pareggia
l’ablazione. Nei ghiacciai di montagna delle medie e basse latitudini, dove ha
poca importanza il “ghiaccio sovrimposto”, ossia quello prodotto dal rigelo
dell’acqua di ablazione, la zona di equilibrio coincide con il limite inferiore
delle nevi perenni : questo limite separa dunque la zona di accumulo da quella
di ablazione.
Guadagni e perdite di un ghiacciaio si possono esprimere in termini di
bilancio di massa.
fig. 1.1 Schema del bilancio di massa nelle varie parti di un ghiacciaio (Castiglioni, 1979).
Il bilancio può risultare in pareggio, quando la sua massa resta costante
nell’arco di tempo che si considera.
Un ghiacciaio è stazionario quando, per più anni consecutivi, le perdite
complessive uguagliano gli apporti. Bisogna considerare, però, che si realizza
una compensazione dovuta al movimento determinato dalla gravità poiché si
ha un flusso di ghiaccio dalla zona di alimentazione a quella di ablazione. Gli
spessori e la posizione della fronte possono restare praticamente costanti se
questo flusso compensa l’eccedenza di accumulo in una parte e l’eccedenza di
ablazione nell’altra parte.