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Nella prima parte, il discorso teorico si snoda lungo il background
storico,per poi porre l’accento sulla,fenomenologia e tipologia del
problema.
Si è evidenziato anche il contributo legislativo per rendere ancora
più concrete le modalità di intervento.
La seconda parte riguarda invece la ricerca vera e propria che ha
permesso, attraverso la somministrazione di un questionario
specifico, di addurre alcune conclusioni relative al fenomeno
Mobbing nella realtà della Sardegna
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Prima Parte
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Capitolo 1
COS’E’IL MOBBING
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1.1. La violenza psicologica nei luoghi di lavoro
Parlare oggi di mobbing, significa considerare una forma estrema
di stressor sociale che causa una serie d’effetti di natura biologica
e psichica.
Il concetto di stress, infatti, implica una reazione ad uno stimolo
considerato come “stressor”, una reazione con effetti psichici che
potrebbero essere responsabili dei cambiamenti di comportamento.
Si discute sempre più di questo fenomeno misconosciuto, lo si
valuta spesso in modo scorretto e inappropriato, e ciò, non può che
creare conseguenze gravi sia per la vittima sia per
l’organizzazione.
Oggi il mobbing è un fenomeno che si può in una qualche misura
prevenire e che richiede un intervento del management.
Possiamo quindi addentrarci meglio nella conoscenza dello stesso
cercando in particolare di individuare il suo target di riferimento.
Il mobbing nell’ambiente di lavoro, indica quelle sottili forme di
violenza psicologica ,che si esprimono in un insieme ampio di
comportamenti messi in atto ai danni di colleghi e subordinati
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quali, ad esempio, l’assegnazione d’incarichi privi di senso,
l’isolamento sociale, la derisione, gli attacchi alla vita privata e
all’identità personale.
Molte delle attività che danno luogo al mobbing, non sono in sé
negative o distruttive; è il ricorso ad esse in modo continuato ai
danni di una o più persone a costituire una situazione di rischio per
chi ne è vittima e una forma estrema di stress sociale.
Anche se esso rappresenta, almeno per chi lavora nel campo, un
fenomeno diffuso e noto, diventa un tema d’interesse scientifico e
oggetto di ricerche empiriche, condotte prevalentemente
nell’Europa settentrionale, solo dalla metà degli anni ’80.
Con poche eccezioni, la maggior parte della letteratura sul tema, è
in Svedese (Leymann&Gustavsson, 1984), Norvegese
(Einarsen&Raknes, 1991; Kihle, 1990; Matthiesen, Raknes &
Rokkum, 1989), Finlandese (Bjorkqvist et al 1994; Paanen&Vartia,
1991) Tedesco (Becker, 1993; knorz&Zapf, 1996, Zapf et al 1996),
Austriaco (Niedl, 1995), Ungherese (Kauesek&Simon, 1995), e
Australiano (McCarthy et al 1995, Toohey, 1991).Le ricerche
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sono iniziate anche nei Paesi Bassi, nel Regno Unito, in Francia e
Italia.
1.2. Le origini
Il primo testo sul tema mobbing, è raccolto in “the Mobbing
Encyclopaedia”, (Leyman, 1986) questo testo illustra i molteplici
contributi conoscitivi che la ricerca empirica e la riflessione
teorica hanno prodotto sulle cause, sui processi e sulle
conseguenze del mobbing, sulle strategie di coping adottate dalle
vittime, sui criteri diagnostici, sulle tecniche di prevenzione, cura e
riabilitazione.
Etimologicamente parlando ,la parola mobbing deriva dall’inglese
“to mob” che significa assalire, malmenare, aggredire.
In lingua inglese mobbing, bullyng e harassment sono termini usati
in modo intercambiabile anche se ciascuno indica e rileva aspetti
parziali e diversi.
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Il primo , è in ogni modo quello più frequentemente impiegato
dagli studiosi per indicare l’insieme di comportamenti che
costituiscono un vero e proprio attacco ai diritti umani e civili.
In principio però la parola non è stata usata nel contesto della
lingua inglese.
Fu, infatti, utilizzata inizialmente nel 1971 da Konrad Lorenz, un
etologo, per spiegare il comportamento degli animali in branco.
Egli definì con la parola “mobbing”gli attacchi effettuati da un
gruppo di piccoli animali nei confronti di un animale più grosso.
Più tardi un medico svedese, interessato al tipo di comportamenti
che i bambini assumevano nei confronti dei coetanei in ambito
scolastico, prese in prestito questa
terminologia da Lorenz e chiamò mobbing questo comportamento
distruttivo, esercitato da piccoli gruppi di bambini nei confronti di
un solo bambino (Heinemann, 1972).
La presente ricerca relativa a questo tipo di comportamento fra i
bambini, è stata portata avanti da venti anni a questa parte, uno dei
più illustri ricercatori è stato il norvegese Dan Olweus
1
(e.g.1993).
1
Olweus, Dan.(1993):Bullying at school.What we know and what we can do.Oxford:Blackwell
12
1.3. L’evoluzione
Leymann,
1
traccia anche quelli che sono i confini tra normali liti o
scontri tra i colleghi, che accadono episodicamente in ogni
ambiente e quelle che sono invece vere e proprie molestie morali.
Infatti, una certa dose di stato di conflitto interpersonale in ufficio
o in fabbrica è fisiologica.
La molestia morale, è invece una vera patologia sociale, che si
caratterizza per alcuni aspetti peculiari, come la continuità delle
aggressioni nel tempo, lo stillicidio d’eventi persecutori,
l’intensificazione progressiva d’attacchi che portano la vittima
all’isolamento, all’emarginazione, al disagio e alla malattia.
Leymann afferma inoltre che un lavoratore può dirsi vittima di
mobbing quando si verificano le seguenti condizioni:
• All’improvviso spariscono o si rompono (senza che siano
sostituiti) strumenti di lavoro come telefonini, computer o
lampadine.
1
cfr. Appendice
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• I litigi o i dissidi con i colleghi sono sempre più frequenti.
• Quando si entra in una stanza la conversazione generale
cessa bruscamente.
• Si è’ esclusi da riunioni e notizie utili per lo svolgimento del
suo lavoro.
• Si apprende che girano pettegolezzi infondati sul suo conto
• Gli sono affidati da un giorno all’altro incarichi inferiori alla
sua qualifica, estranei alle sue competenze.
• Si è osservati ogni giorno nei minimi dettagli
• Le sue richieste sia verbali sia scritte non ottengono risposta
• Si è retribuito meno d’altri colleghi che hanno incarichi
d’importanza minore.
Secondo Leymann si può parlare di molestia morale sul lavoro
quando le violenze verbali, gli attacchi alla vita privata e le
vessazioni in genere si ripetono almeno una volta la settimana per
sei mesi.
Si tratta di una gabbia un po’ rigida ma rende conto di quanto il
processo sia esteso nel tempo, reiterato e frequente.
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1.4. I pionieri
1
I prodromi del fenomeno vanno ricercati in Svezia, fu, infatti, il
professor Heinz Leyman, agli inizi degli anni ’80, a prendere in
prestito il termine “mobbing”, nel momento in cui individuò un
comportamento simile nei luoghi di lavoro.
La prima pubblicazione risale al 1976 e si riferisce al ”lavoratore
molestato”
Per la prima volta in questo libro sono studiati tipici casi di
mobbing.
Nel testo l’attenzione era focalizzata sulla dura vita dei semplici
lavoratori, la loro situazione è ancora oggi conosciuta grazie alle
ricerche sullo stress.
Il libro, scritto sotto l’influenza politica e sociale della sinistra del
periodo, non ebbe grossa influenza su tutta la società.
Le ricerche svedesi nei primi anni ’80 proseguirono senza
conoscere il lavoro di Brodsky.
1
Brodsky, C.M.(1976):The harassed worker. Lexington: Lexington Books.
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Einz Leymann ha rappresentato in Svezia il maggiore esperto
nell’ambito del mobbing. Fu lui ad introdurre il fenomeno, il quale
tuttavia non fu descritto sistematicamente fino alla ricerca iniziata
nel 1982 la quale terminò con un piccolo rapporto scientifico
scritto nell’autunno del1983.Il rapporto fu pubblicato alla fine del
1984 dal “National Board of Occupational Safety and Health” in
Svezia. (Leymann&Gustavsson, 1984).
In Inghilterra gli studi più approfonditi sono invece stati svolti
dalla giornalista Andrea Adams che si è occupata di mobbing e
bullying fin dagli anni Ottanta, con articoli sui giornali e inchieste
televisive: è stata lei a rivelare agli inglesi l’esistenza del problema
e ha scritto diversi libri in proposito.
In Gran Bretagna anche Tim Field si occupa da anni e a tempo
pieno di mobbing. Nel nostro paese, manca una letteratura
approfondita a livello divulgativo sul fenomeno; gli unici lavori di
rilievo sono quelli del ricercatore tedesco fondatore
dell’associazione “Prima” Herald Ege, e del dott. Renato Giglioli
della clinica del lavoro di Milano.
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1.5. Mobbing o Bullying?
Leymann non scelse di proposito il termine “Bullyng”, usato nelle
ricerche inglesi e australiane, perché esso connota un aggressione
fisica e una minaccia, infatti, il “bullyng” (bullismo) a scuola è
fortemente caratterizzato da tali atti aggressivi.
Di contro la violenza fisica raramente si riscontra nei
comportamenti di mobbing sui luoghi di lavoro.
Piuttosto il mobbing sui luoghi di lavoro, è caratterizzato da
comportamenti più complicati quali, per esempio, l’isolamento
sociale della vittima.
A questo proposito Leymann suggerisce di utilizzare la parola
“bulling” per quel che riguarda i rapporti tra bambini e adolescenti
a scuola, riservando la parola “mobbing” per il comportamento
adulto nei luoghi di lavoro.
Il termine è stato quindi utilizzato da Leymann e diffuso poi in
Germania e in altri paesi Europei fra cui l’Italia.
In America e Gran Bretagna, si usa invece il termine Bullying, che
significa “agire con prepotenza”.
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Perciò, quando nei testi americani e inglesi si trova l’espressione
“Bullying at work”, questa equivale a mobbing.
Secondo E.Leymann, il terrorismo psicologico consiste in una
comunicazione di tipo ostile, diretta in modo sistemico da parte di
uno o più individui verso un loro simile, il quale si trova così in
una posizione d’impotenza e mancanza di difese.Questi è
sottoposto ad azioni “mobbizzanti” (l’autore ne individua 45) che
ne compromettono alla fine la reputazione e la prestazione
lavorativa.
Per parlare di mobbing bisogna che tali azioni si verifichino una
volta la settimana e per un periodo di almeno sei mesi.
Sono la reiterazione e la frequenza a trasformare un’azione che in
sé non avrebbe un significato particolarmente distruttivo in un
processo che può avere esiti piuttosto seri, sia per le vittime sia per
l’organizzazione alla quale appartengono, esiti di natura
psicologica psicosomatica e sociale.(Leymann, 1990,1992;
Leymann e Tallgren1988)
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Molte delle attività che danno luogo al mobbing, non sono in sé
negative, né distruttive, ma è il ricorso ad esse in modo continuo a
costituire un pericolo per chi n’è vittima.
Siamo insomma di fronte ad un fenomeno complesso, che può
esprimersi in vari modi.Alla fine però la persona attaccata, si sente
sempre in una posizione d’inferiorità rispetto ai suoi avversari.