del futuro assoluto, ecc., e di giustificare l’eroe e compierlo indipendentemente dal
senso, dalle realizzazioni, dal risultato e dal successo della sua vita orientata in
avanti»
2
.
Alla luce di quanto esposto, come riesce allora Hardy a fondare un’estetica
produttiva e totalizzante con Tess, compiendola in rapporto significante con se
stesso? In altre parole, come si relaziona l’autore al cospetto della sua eroina? Ciò che
si può dire come valore primario è che già il termine eroe implica un senso religioso,
quasi sacrale dell’esistenza, se si accetta in fondo l’etimologia greca della parola con
cui mediante essa si sarebbe indicato, nell’antichità classica, un individuo consacrato
alla dea Era, attraverso il sanscrito Heruka, in riferimento alla divinità che detiene la
Conoscenza
3
. Dal canto suo, Tess può assumere dunque il connotato di un’eroina
proprio nell’accezione significante delle origini, configurando la sua epifania ‘mitica’
sotto lo schema matriarcale di una variegata simbologia positiva della sfera religiosa.
D’altronde proprio ella si identifica appieno con l’aspetto demetrico della terra per lo
stretto vincolo che la lega ai cicli agrari della Natura e che vede la mitologia pagana
rusticale, dietro la quale si celano sentimenti primordiali, delinearsi anche negli atti di
iniziazione cruenta (lo stupro, il sacrificio ultimo dell’impiccagione) che Tess
affronta per entrare a far parte in senso trascendente del grandioso ordine tellurico,
sotto il segno femminile della Terra Madre.
2
Ivi, p. 14.
3
Cfr. Walker Barbara G., op cit., p. 399.
Effettivamente Hardy sembra illuminare il suo rapporto narrativo con l’eroina,
non negando di fatto all’interno del romanzo la presenza del ‘femminile sacro’
4
. La
sua concezione in merito a simili problematiche si riassume perentoriamente in quella
formula laica di pensiero che egli definiva «transmutative», con la quale intendeva
sostenere l’equipollenza di ogni devozione religiosa, sottraendo al cristianesimo dei
patriarchi qualsiasi possibile rivendicazione di superiorità teologica
5
. Sennonché,
spostando il discorso dal piano ideologico a quello del rapporto estetico, in Tess of
the d’Urbervilles la seconda categoria subisce una profonda rivitalizzazione,
rendendosi produttiva grazie al ricorso delle raffinatezze cromatiche che Hardy
distribuisce letteralmente e simbolicamente nel corso della scansione diacronica del
romanzo. Di fatto, a giudicare dalla dinamica dell’intreccio, l’adozione del colore non
appare solamente quale aspetto esornativo fruibile per la pura descrizione, ma
acquisisce indubbiamente una funzione estetica di suprema importanza. Soprattutto è
la valenza di una tonalità che predomina su tutti gli altri - il rosso - a definire Tess
qualitativamente come una creatura ctonia della terra, specificità cromatica che
sembra accompagnarla dall’inizio alla fine della sua storia tragica. Sicché, fin dal
primo apparire sulla scena nella Danza di Maggio, l’eroina mostra una peculiarità
esclusiva. È vero che al suo pari tutte le danzatrici sono abbigliate di bianco, ma a
caratterizzare cromaticamente Tess è la ragione per cui lei «wore a red ribbon in her
hair, and was the only one of the white company who could boast of such a
4
D’altronde, è già stato sostenuto che “eterno femminino e sentimento della natura vanno di pari
passo nella letteratura”; Durand G., Le strutture antropologiche dell’immaginario, cit., p. 234.
5
Cfr. Millgate M. (ed.)., The Life and Work of Thomas Hardy, cit., p. 358.
pronounced adornment» (TD, p. 20). Altrove la carnalità erotica della giovane è
accentuata dal seducente dettaglio della bocca - che per la psicologia analitica
rappresenta un’equazione simbolica dell’utero
6
: «The pouted-up deep red mouth»
(TD, p. 21); bocca dove in presenza di Angel viene finanche paragonata a quella di un
serpente: «She was yawning, and he saw the red interior of her mouth as of it had
been a snake’s» (TD, p. 187). E ancora: «Her eyes were bright: her pale cheek still
showed its wonted roundness, though half-dried tears had left glistening traces
thereon; and the usually ripe red mouth was almost as pale as her cheek» (TD, p.
257). Il rosso non pare solo incarnarsi nella figura di Tess, ma addirittura la giovane
se ne ricopre al pari di un’epifania cromatica all’unisono con il respiro ctonio del
paesaggio circostante: «Thus Tess walks on; a figure which is part of the landscape; a
fieldwoman pure and simple, in winter guise: a grey serge cape, a red woollen cravat
[…]» (TD, p. 299).
Sono innumerevoli gli esempi presenti nel romanzo e che potrebbero ancora
essere menzionati; qui ora preme rimarcare il significato importante che viene ad
assumere il colore rosso, in quanto nelle raffigurazioni plastiche dell’inconscio esso
costituisce primariamente l’evocazione primordiale del femminile: «la “madre” è
oscura fino ad essere nera o rossa (che sono i suoi colori principali)», sostiene al
proposito Jung
7
. Il rosso è infatti per analogia la simbolica percezione del sangue
6
“Il Femminile positivo dell’utero appare come bocca; perciò al genitale femminile vengono
attribuite delle ’labbra’. Alla base di questa equazione simbolica la bocca, come ‘utero spostato in
alto’, costituisce il luogo di nascita del respiro, della parola, del Logos”; cfr. Neumann E., La
Grande Madre, cit., p. 170.
7
Jung Carl G., Kerényi K., Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, cit., p. 227. Se in
Tess il colore rosso predomina come significante positivo, all’opposto il nero identifica l’aspetto
mestruale, uno dei misteri più antichi della sfera riguardante il Femminile, in
connessione simmetrica al tema originario della fecondità. L’associazione cromatica
del rosso con Tess farebbe supporre l’appartenenza di quest’ultima all’archetipo
femminile di ‘tipo demetrico’ nel suo aspetto di forza allo stato puro, come
traduzione naturalistica della Dea Madre Terra concepita quale vita e ordine della
vita
8
. Ipotesi di massima in accordo all’appellativo di Demetra con cui Angel
solitamente invoca l’amata nel corso del romanzo, indubbiamente con l’intenzione di
attribuirle un’immagine epifanica concepita come utero fecondo della Terra
9
.
Talvolta Angel vede Tess non più in termini remoti, spiritualizzati o disincarnati,
bensì come l’erotica manifestazione femminile di una ‘materia’ viva e palpitante:
«How very lovable her face was to him. Yet there was nothing ethereal about it: all
was real vitality, real warmth, real incarnation» (TD, p. 165).
La proiezione mitica di questo genere archetipale della feconda maternità è
svolta dalla scena dell’allattamento di Sorrow sulle stoppie del campo di grano
appena mietuto:
notturno, distruttivo e violento del principio femminile. L’esempio maggiormente utile a definire
questa seconda interpretazione è fornito nel romanzo dalla figura mascolina di Car Darch, la Regina
di Picche, descritta da Hardy come “dark virago […] dark queen” (TD, pp. 74-75). Al di là della
veemenza con cui detesta Tess fino a percuoterla fisicamente, già nell’aspetto esteriore Car avvalora
la percezione inconscia del rapporto esistente tra il colore nero e la cattiveria, il male. Sul piano
mitologico Car non è che una variante celtica del nome Kore, la vergine dea greca del mondo
sotterraneo figlia di Demetra, nell’iconografia classica spesso rappresentata di nero proprio per il
fatto di presiedere la feconda oscurità del sottosuolo, il luogo sacro per eccellenza da dove
rinascono ciclicamente le energie vegetative. Per curiosità si noti che la dea Car ha dato il nome alla
città di Cagliari, un tempo Caralis, centro in cui il suo culto era maggiormente affermato.
8
Cfr. Evola J., Metafisica del sesso, cit., p. 155.
9
Cfr. Hardy T., Tess of the d’Urbervilles, cit., p. 146.
Tess Durbeyfield had been one of the last to suspend her labours. She sat
down at the end of the shock, her face turned somewhat away from her
companions. [...] As soon as her lunch was spread she called up the big
girl, who was her sister, Liza-Lu, and took the baby of her; who, glad to
be relieved of the burden, went away to the next shock and joined the
other children playing there. Tess, with a curiously stealthy yet
courageous movement, and with a still rising colour, unfastened her frock
and began suckling the child (TD, p. 102).
È possibile sostenere che nella semiosi del testo non ci sia evocazione
matriarcale più avvalorante di questo episodio circostanziato. Tess si assimila alle
caratterizzazioni divine delle kourotrophe elleniche, le nutrici di fanciulli, tanto che
nel romanzo l’eroina giunge ad essere propriamente una «divinity who could confer
bliss» (TD, p. 146). Già il latte di per sé si carica di un mistero primordiale legato ai
cicli naturali della nascita, ancorché nell’inferiore espressione simbolica l’immagine
della madre che allatta rappresenta l’umiltà che tutte le donne consacrano alla piena
accettazione della condizione materna, persino in termini trasfigurati. Nondimeno,
seduta in mezzo al campo di grano col figlio al seno, Tess diventa Demetra Lactans,
la madre cosmica primordiale che tutto nutre e sostiene, la Grande Madre Terra,
visualizzazione in termini archetipici di un valore tuttora religioso riepilogato
nell’iconografia medievale della Madonna con l’infante Gesù stretto al petto.
D’altronde è stata accertata la profonda relazione etimologica tra la Mater e la
materia datrice di vita, con ciò a indicare il suolo fertile, la terra feconda in
sembianza della Magna Mater Genitrix
10
: ambedue i sostantivi originano
dall’indeuropeo *MA, sillaba di base con cui da sempre i figli invocano la propria
10
Come difatti ebbe a scrivere Platone (Menesseno, 237a): “Non la terra imita la donna nel
concepire e nel partorire, ma la donna la terra”.
madre
11
. Implicitamente Hardy rivisita il suddetto nesso mitico quando, analizzando
un recondito altipiano del Wessex, finisce per trasfigurarlo come «bosomed with
semi-globular tumuli – as if Cybele the Many-breasted were supinely extended there»
(TD, p. 300): quasi fosse la terra stessa una dea frigia della maternità. Lo spazio
topologico del Wessex è perciò da lui necessariamente ridotto ad una pura epifania
«mitica» che si basa sulla terra, terra materica e ctonia, in ciclica sintonia coi suoi
lenti ritmi lunari e calendariali. La terra che ad Hardy preme di raccontare, con tutto
l’arsenale magico ritualizzato e superstizioso, è quella sospesa eternamente fra il
sonno ed il pianto, una terra ‘altrove’ dalla coscienza infelice che si ritorce sulle
memorie avvelenate di un cattivo passato o, sovrana di un oscuro destino, si trascina
ansiosa fino ai limiti che rendono davvero tragica l’esistenza individuale.
Come Jung ha osservato, «la terra madre ha una parte considerevole
nell’inconscio della donna, perché tutte le sue apparizioni sono contraddistinte da una
notevole potenza»
12
. Oltretutto, proprio nel corso dei Grandi Misteri Eleusini lo
ierofante, che incarnava nel tempio la divinità di Zeus, dopo il congiungimento
simbolico e scenografico con la sacerdotessa di Demetra, mostrava al popolo in
silenzio una spiga di grano, emblematico frutto delle nozze divine, annunciando ad
11
*MA è infatti una sillaba basilare delle lingue indoeuropee, e MA-MA significa “seno materno”,
“mammella”, in quasi tutti gli idiomi. Dalla Russia a Samoa, e nelle antiche lingue d’Egitto,
Babilonia, India e in quelle d’America, la parola che indica “madre” è o era mama o piccole varianti
di questo termine (Mami, Mamittu, Ma-Bellona, Mama Cocha, Mummu Tiamat, Zara Mama, etc.).
Cfr. Walker Barbara G., op. cit., p. 560. Gli studiosi del Femminile, da Bachofen a Briffault fino a
Neumann e ai giorni nostri, considerano poi la relazione della madre col bambino e il
comportamento del gruppo femminile come fondamento della vita sociale, e quindi, della civiltà
umana. A sua volta, la trasfigurazione della donna nelle vesti di Dea Madre primordiale
rappresenterebbe l’impulso religioso originario dell’umanità.
12
Jung Carl G, Kerényi K., Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, cit., p. 228.
alta voce: «La regina Brimo ha dato alla luce un sacro fanciullo, Brimos» il che,
come spiega Frazer, voleva semplicemente dire «La Potente ha generato il Potente»
13
- con ciò a significare che la madre ctonia delle messi, Demetra, aveva generato il
figlio divino (Iacco) nell’immagine agraria di una spina di grano mietuto.
Analogamente Tess, in sembianze demetriche, incurante delle maliziose
confabulazioni dei mietitori mentre allatta, sembra voglia caricare la sua maternità di
un’enfasi positiva quasi al limite dell’accadimento religioso:
Solo quando si sia inteso l’ambito delle funzioni fondamentali del
femminile, che prescindendo dalla funzione del dare la vita, possiede
anche la funzione del nutrire, del dar calore, del proteggere e del
difendere, è possibile comprendere il significato e il valore simbolico
centrali del femminile, a cui sin dal primo momento spetta un carattere
‘grande’. Alla ‘grandezza’ del femminile corrisponde il fatto che ciò che è
contenuto, protetto, nutrito, riscaldato, mantenuto sicuro è sempre
qualcosa di piccolo, indifeso, dipendente, esposto per la vita e la morte al
femminile. In nessun luogo, forse, risulta così evidente che un essere
umano può essere esperito come grande come nella madre. Ogni sguardo
a un lattante e a un bambino ripete e conferma la sua posizione di Grande
Madre e di Archetipo del Femminile (14).
Col conforto della prospettiva junghiana offerta da Neumann, Tess diventa
pertanto il riflesso infinito di un simbolo santo del Femminile, a dire la figura più
bella e sublime che, sotto il segno rusticale di Demetra, trascende ed abbraccia quella
di tutte le donne terrene, le quali compiono da sempre il sacrificio più grande di ogni
possibile immaginazione: donare agli altri, in silenzio, la vita.
13
Frazer James G., op. cit., p. 175.
14
Neumann E., La Grande Madre, cit., p. 51.
Il rapporto che Hardy instaura con la sua eroina è dunque ascrivibile alla
reintegrazione totalizzante di quei sistemi spaziali e temporali, nonché assiologici,
inerenti all’eroe. Tess come Demetra Nutrix racchiude in sé sia il tempo mitico sia
quello circolare dei cicli naturali, sia il senso materno della nutrizione sia quello
archetipico della Grande Madre Terra, immenso contenitore in cui ogni giorno la vita
si ripete e si rinnova. Tess coincide con la completezza, proprio nel senso che Bachtin
gli conferiva, di una reintegrazione totale con l’immagine del mondo. Sul piano della
funzione estetica, Tess incarna poi il colore rosso come proponimento autoriale di
un’intenzione artistica. Non casualmente Hardy è stato definito «visually sensitive»
15
,
per l’importanza che egli attribuiva non solo alla ricorsività cromatica quanto per la
perizia con cui metteva in mostra, rendendola dunque fruibile, la sua peculiare
sensibilità visiva.
Considerata la costante presenza del colore rosso nelle enunciazioni di fondo
occorrenti in Tess, si può affermare che Hardy potesse costituire la sua materia
narrativa basando ogni opera, come gli impressionisti nella pittura, sulla
scomposizione di certi toni cromatici. Del resto il comune impegno fra i vari
esponenti dell’impressionismo figurativo era proprio quello di una pittura dal vero,
eseguita en plein air, e fondata sull’impressione individuale di fronte al soggetto,
qualunque esso fosse, impressione visiva, si noti, di un insieme di colori cangianti col
variare delle condizioni di luce. Analogamente, per Hardy il romanzo doveva
considerarsi come «an impression, not an argument», a dire una percezione immediat
15
Tanner T., “Colour and Movement in Tess of the d’Urbervilles”, in Draper R.P. (ed.), op. cit., p.
184.