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l’avvento della televisione come punto di svolta e si illustreranno le
differenze fra il divismo “classico” pre-televisivo e il “nuovo” divismo
post-televisivo. Si rifletterà inoltre sulle differenze intervenute nel caso
specifico della comunicazione politica e si potranno evidenziare i
cambiamenti intercorsi nel tempo confrontando alcuni interventi di
studiosi italiani rispetto alla situazione attuale. Infine, nel terzo capitolo
si prenderà in considerazione la prospettiva postmoderna, che
contribuisce al tentativo di spiegare le trasformazioni avvenute riguardo
alla quantità e alla qualità delle rappresentazioni divistiche. Partendo
dalla convinzione che il mito, in qualunque sua forma, influenzi di molto
le dinamiche di costruzione dell’identità, si rifletterà sulla condizione
dell’identità individuale, sulla sua frammentarietà e sul bisogno di diversi
contributi che concorrano a formare un insieme di elementi utili alla
costruzione e alla trasformazione incessante di sé. In ultimo, un appunto
sul rischio dell’invisibilità: cosa succede quando l’individuo
contemporaneo si trova non-conoscibile dagli altri a causa della sua
estrema complessità?
Una piccola nota che assolverà ad alcune mancanze evidenti: durante
la fase di documentazione e poi in quella di stesura vera e propria, mi
sono imbattuta in una miriade di contributi, notando che questo
argomento coinvolge numerose e differenti sfere di interesse. Dovendo
circoscrivere la mia area di riflessione ho purtroppo sorvolato su molti
aspetti che avrebbero meritato un approfondimento a parte, ma che
avrebbero reso le mie connessioni mentali tra un concetto e un altro
pressoché infinite. Laddove ho sentito particolarmente queste mancanze
si troveranno dei brevi riferimenti.
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1. IL DIVISMO COME FENOMENO
SOCIALE
1.1 L’uomo ha bisogno dei miti
Il mito è soprattutto una forza culturale che si rigenera continuamente,
e ogni cambiamento storico crea la sua mitologia che, tuttavia, si ricollega
solo indirettamente al fatto storico, perché il mito è un costante prodotto
dello status sociologico che ha bisogno di precedenti. […] Nella cultura
primitiva il mito esplica una funzione indispensabile: è l’espressione, la
valorizzazione, la codificazione di un credo; difende e rinforza la moralità;
garantisce l’efficacia del rito, e contiene pratiche che guidano l’uomo. Il
mito è perciò una componente vitale della civiltà umana; non è un futile
racconto, ma una forza attiva operante; non è una spiegazione razionale o
un’immaginazione artistica, ma un documento pragmatico di fede
primitiva, di saggezza morale.
1
Da queste parole di Malinowski appare evidente il ruolo essenziale del
mito nelle civiltà e nelle società di ogni tempo. La funzione fondamentale
del mito è quella di attribuire alla realtà un significato, di giustificarla: in
sostanza, creare senso, dare stabilità e ordine a elementi primordiali del
mondo che l’uomo altrimenti non potrebbe comprendere. Il mito svolge,
da un certo punto di vista, un lavoro riparatore, dà senso al nostro
destino impermanente, garantendo agli uomini il controllo su ciò che
altrimenti apparirebbe incontrollabile e rende accettabile ciò che si deve
necessariamente accettare (per esempio la morte, la malattia, il lavoro, la
sottomissione, etc). Come si è detto, l’attività del creare miti è un’attività
1
B. K. Malinowski, “Il mito e il padre nella psicologia primitiva”, Newton Compton, Roma, 1976
7
rivolta a creare senso, ma il senso della vita cambia continuamente con il
cambiare della storia e della società: ecco che questa continua creazione
viene incontro al nostro bisogno di valori simbolici, valori che si
modificano nel tempo e che necessitano di forme sempre diverse tramite
cui esprimersi. Anche oggi, sebbene in modo diverso, creiamo miti e
questo perché sentiamo l’esigenza di sviluppare un immaginario
collettivo che ci comunichi il senso più profondo del vivere specifico nella
nostra società, nel nostro mondo attuale.
I miti hanno sempre avuto, e continuano ad avere, un ruolo
preponderante nella costruzione dell’identità sociale di ogni individuo:
costituiscono modalità di espressione, in forma irrazionale, ma
coinvolgente dal punto di vista emotivo, di aspirazioni, credenze e valori
morali. Attraverso i miti le società del passato, e in qualche modo anche
quelle del presente, costituivano un immaginario collettivo in cui ogni
individuo poteva ritrovare la sua identità, comune agli altri membri dello
stesso gruppo di appartenenza. La funzione più evidente del mito è infatti
quella di contribuire alla creazione di una mentalità uguale per tutta una
collettività e se anche il mito è creazione della fantasia, costituisce
comunque un sistema di credenze, di modelli, di valori a cui tendere che,
pur mettendo in gioco conoscenze tutt’altro che scientifiche, dimostrabili
o razionali, riesce a fornire unità a tutto il reale, espressione di una data
cultura.
I miti rispondono al bisogno fondamentale dell’individuo di
identificarsi, di riconoscersi in qualcosa che lo precede: tale
riconoscimento soddisfa il bisogno di un appoggio sociale. Questa
coesione, prodotta attraverso l’imitazione, riafferma l'appartenenza al
gruppo, limitando il timore dell'isolamento: “l'istinto gregario è un
8
tratto originario e irriducibile ad altre tendenze, per cui gli uomini sono
spontaneamente attratti ad unirsi tra loro”
2
.
Thomas Carlyle, negli anni ’40, lamenta la scomparsa dell’eroe nella
civiltà moderna
3
. Secondo la sua tesi, l’avvento del capitalismo e della
democrazia porrebbero fine al fenomeno dell’eroismo individuale. A
questo proposito, prendendo spunto dalle idee di Carlyle, scrive Gundle:
La diffusione della cultura di massa, lo sviluppo dei movimenti di
massa e la guerra contemporanea rendono possibile solo l’apparenza
dell’eroismo, non la sua sostanza. In una situazione di scarse, se non
inesistenti, opportunità di eroismo individuale, nella quale […] c’è bisogno
di esperienza carismatica, viene sollecitata la creazione artificiale di
un’aura incantata. […]
I “nuovi eroi” differiscono per molti aspetti da quelli antichi. Non si
tratta di “creatori” cui si deve la realizzazione di un’opera o un’impresa
importante per il loro paese, bensì di individui che inscenano una
prestazione, che devono la propria fama a campagne pubblicitarie o che,
semplicemente, sono famosi. Se non forniscono esempi di impresa eroica,
indicano in compenso modelli di consumo; a interessare non è il loro
operato ma il loro stile di vita.
4
I miti, gli eroi, non sarebbero quindi scomparsi definitivamente, come
scriveva Carlyle più di un secolo fa, ma riproposti in altre sembianze,
costruiti su misura per rispondere a esigenze contemporanee molto
differenti che nel passato. Tessarolo, riferendosi alla natura, al significato
e al modo in cui il mito si inserisce nella società sostiene che
2
S. Freud, “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, in “Opere di Sigmund Freud”, volume IX
(1917-1923), Boringhieri, Torino, 1977, p. 262
3
Il lavoro di Carlyle risale al 1843, tradotto in italiano nel 1992 “Gli eroi: il culto degli eroi e
l’eroico nella storia, Milano, 1992
4
S. Gundle, “L’età d’oro dello Star System”, in “Storia del cinema mondiale”, G. P. Brunetta (a
cura di), Einaudi, Torino, 1999-2000
9
Se il mito è di natura simbolica e sempre funzionale, anche i miti che
oggi sono diffusi dall’industria culturale devono rispondere a certe
necessità e aspettative collettive che persistono poiché sono fortemente
radicate nell’uomo, tanto più che i miti non possono essere imposti. Anche
quelli moderni per penetrare e radicarsi devono dare risposte alle
domande latenti nell’attuale società: solo così il mito diventa il risultato di
un tacito accordo tra l’industria culturale e il suo pubblico.
5
Secondo l’autrice, il fatto che l’eroe o il mito continui ad esistere nella
cultura e nella società moderna, ad avere un ruolo nonostante i
cambiamenti che le sue forme hanno subito, è un dato psicologico
significativo e che funzionerebbe come “risposta difensiva e
compensatrice dell’anonimato e dell’omogeneizzazione della moderna
società industriale”
6
.
Durgnant scriveva che le star sono un riflesso in cui il pubblico scruta
e adegua la propria immagine: potenzialmente, a suo parere, la storia
sociale di una nazione potrebbe essere scritta alla luce delle sue star
cinematografiche, che rappresentano bisogni e aspirazioni della gente
comune, la quale contribuisce con il suo interesse a creare i divi. Morin
sostiene in sostanza qualcosa di simile quando dice:
La star è davvero un mito. Non è solo sogno, ma idea-forza. Lo
specifico del mito è la capacità di inserirsi o incorporarsi in qualche modo
nella vita. Se il mito delle star si incarna con tanto clamore nella realtà, è
perché si tratta di un prodotto di questa realtà, cioè della storia umana del
XX secolo.
7
5
E. Kermol, M. Tessarolo, “Divismo vecchio e nuovo: la trasformazione dei modelli di divismo”,
Cleup, Padova, 1998
6
E. Kermol, M. Tessarolo, “Divismo vecchio e nuovo: la trasformazione dei modelli di divismo”,
Cleup, Padova, 1998, p. 104
7
E. Morin, “Le star”, Redifin-Edizioni Olivares, copyr. 1995, Milano, 1957
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I miti, i divi, quindi, sono frutto della cultura e della società in cui essi
penetrano, incarnando i desideri, le aspirazioni, i valori di tale società.
Nella società contemporanea i miti sono principalmente frutto
dell’industria culturale, la cui elevata visibilità permette un’osservazione e
una conoscenza dei divi in precedenza inimmaginabile. La diretta
conseguenza è che nel tempo le star diventano sempre più familiari e, se
da un lato perdono, progressivamente, la loro aura mitica di
irraggiungibilità, dall’altro acquistano l’affetto e la tolleranza del
pubblico, della gente comune che li sente più vicini e più facilmente
assimilabili: “gli eroi restano eroi, cioè modelli e mediatori, ma
combinando in modo sempre più stretto e vario l’eccezionale e il
consueto, l’ideale e il quotidiano, offrono all’identificazione dei punti
d’appoggio sempre più realistici”
8
.
8
E. Morin, “Le star”, Redifin-Edizioni Olivares, copyr. 1995, Milano, 1957, p. 42